Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21541 - pubb. 16/04/2019

I flussi generati o attesi dalla prosecuzione dell’attività non sono qualificabili come finanza esterna

Appello Torino, 31 Agosto 2018. Est. Macagno.


Concordato preventivo – Deposito del ricorso prenotativo – Effetti – Applicazione della normativa successiva

Concordato preventivo – Finanza esterna – Libera distribuzione – alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione – Ammissibilità – Flussi di cassa generati o attesi dalla prosecuzione dell’attività di impresa – Qualificabili come finanza esterna – Esclusione



Il debitore acquisisce lo statuto di debitore concordatario per il solo deposito della domanda, anche riservata ai sensi dell’art. 161, sesto comma l.fall., che determina la costituzione del rapporto processuale con il giudice, chiamato ad una pronuncia su di essa, e prima ancora l’instaurazione di un regime di controllo giudiziale sull’amministrazione (com’è evidente proprio nel concordato con riserva) e sui contratti pendenti ex art. 169-bis l.fall., oltre che uno statuto di relativa insensibilità del patrimonio alle iniziative di terzi ex art. 168 l.fall., con regole sui crediti e l’inefficacia importate dal fallimento e progressivamente estese (da ultimo, l’art. 43, comma 4, nell’art. 169 l.fall. novellato dal d.l. n. 83 del 2015).

Il procedimento concordatario è pertanto introdotto dal ricorso di cui al primo e sesto comma dell’art. 161 l.fall. e non dal successivo deposito del piano, con la conseguenza che il deposito della domanda di concordato “con riserva” determina di per sé, immediatamente ed a prescindere dal deposito del plano, tutta una serie di effetti tipici della procedura concordataria: non può quindi negarsi che essa introduca una procedura di concordato, fattispecie a formazione progressiva in cui il deposito del piano rappresenta solo uno degli elementi costitutivi.

La disciplina introdotta dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83 non può pertanto essere applicata ai concordati pendenti ed introdotti con ricorso, sia pure ex art. 161, comma 6, l.fall., depositato in data anteriore alla entrata in vigore del citato decreto-legge. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Nel concordato preventivo, la c.d. “finanza esterna” o “nuova finanza” deve ritenersi liberamente distribuibile e non soggetta al principio affermato dall’ultima parte del co. 2 dall’art. 160 l.fall. il quale vieta l’alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione.

I flussi di cassa generati o attesi dalla prosecuzione dell’attività di impresa non sono qualificabili come finanza esterna e devono quindi sottostare alla regola del rispetto dell’ordine delle cause di prelazione. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato



Segnalazione del Dott. Alberto Capecchi


1. Con ricorso depositato in data 6 luglio 2018, l’Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale del Verbano Cusio Ossola ha proposto reclamo ex art. 183 l.fall. avverso il decreto del Tribunale di Verbania, reso in data 1° giugno 2018, di omologa del concordato preventivo della società A. Romano S.p.a., con cui è stata contestualmente rigettata l’opposizione proposta dall’Agenzia.

2. In data 13 gennaio 2017 la società aveva presentato la proposta e il piano di concordato, in continuità aziendale diretta: vi era stata una precedente fase con riserva, introdotta con ricorso ex art. 161, sesto comma l.fall. in data 26.08.2016.

La proposta concordataria approvata e sottoposta ad omologa prevedeva: 1) il pagamento del 100% delle spese e dei costi in prededuzione dall’omologazione; 2) il pagamento del 100% dei creditori assistiti da privilegio ipotecario, da privilegio generale ex art. 2751 bis c.c. e 2753 c.c. e dei crediti per tributi locali; 3) il pagamento del credito erariale, assistito da privilegio generale ex art. 2752 c.c., nella misura di euro 1.161,300, degradando al rango chirografario il residuo importo dovuto pari a euro 3.511.633; 4) il pagamento dei creditori chirografari suddivisi in quattro distinte classi, come segue: Classe I - crediti dei clienti per acconti ricevuti, da soddisfarsi integralmente con l’ultimazione delle relative commesse; Classe II - crediti dei fornitori considerati strategici, da soddisfarsi integralmente in linea capitale entro 24 mesi dall’omologazione; Classe III - crediti dei fornitori per IVA di rivalsa, da soddisfarsi integralmente in linea capitale entro 24 mesi dall’omologazione; Classe IV - Erario, per i crediti tributari degradati al chirografo, da soddisfarsi nel limite del 20% del capitale entro il 31.10.2022; Classe V - altri creditori chirografari, tutti da soddisfarsi nel limite del 20% del capitale entro il 31.10.2022.

3. Con il reclamo sono stati articolati 3 specifici motivi di impugnazione.

Con il primo motivo l’Agenzia: a) afferma l’applicabilità, alla procedura concordataria in oggetto, della disciplina innovativa di cui alle modifiche introdotte all’art. 182-ter l.fall. dall’art. 1, comma 81, della L. 11 dicembre 2016, n. 232, in vigore per le procedure di concordato preventivo pendenti a far data dal 1 gennaio 2017: osserva la reclamante che, a tale riguardo, la pendenza si verificherebbe non alla data di presentazione del ricorso riservato, anteriore al 1.1.2017, bensì a quella - successiva - di presentazione della proposta e del piano; b) deduce conseguentemente la violazione della norma invocata, che - così come novellata - prevede che “se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, il trattamento non possa essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole; nella fattispecie, rileva, l’Era- rio è destinatario di un trattamento deteriore rispetto a quello riservato agli altri creditori chirografari”.

Osserva infine che la stessa società - producendo una proposta di trattamento dei crediti tributari - avrebbe dimostrato di ritenere applicabile la nuova disciplina.

Con il secondo motivo di reclamo l’Agenzia delle Entrate contesta - comunque - la violazione oltre che dall’art. 182-ter l.fall. di cui ritiene l’applicabilità alla procedura in oggetto, anche dell’art. 160, secondo comma, l.fall. e lamenta la conseguente illegittima alterazione dell’ordine dei privilegi operata in danno del credito erariale degradato, in contrasto con il principio della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c.; articolate censure vengono inoltre sollevate in merito alla legittimità dei criteri seguiti dalla società proponente il concordato nella formazione delle classi dei creditori.

Con il terzo motivo di reclamo si censura la pronuncia del Tribunale di Verbania nella parte in cui ha ritenuto maggiormente conveniente la proposta concordataria raffrontata allo scenario liquidatorio fallimentare, con riguardo alla estrema esiguità del pagamento proposto, alle incertezze sulle tempistiche di pagamento e sul valore della garanzia prestata.

4. Si è ritualmente costituita in giudizio la società A. Romano SPA in concordato preventivo, contestando integralmente le deduzioni dell’Agenzia delle Entrate e, in merito al primo motivo di reclamo: affermando l’inapplicabilità alla fattispecie dell’attuale disciplina del trattamento dei crediti previdenziali e tributari ex art. 182-ter l.fall. novellato e osservando che una “proposta di trattamento dei crediti tributari” è stata allegata alla proposta del concordato in via esclusivamente prudenziale, mentre sarebbe invece palese la diversa opzione prescelta, del trattamento dei crediti tributari con falcidia ex art. 160, secondo comma, l.fall., al di fuori della transazione fiscale - come consentito ante modifica dell’art. 182-ter cit.; in merito al secondo motivo di reclamo, affermando la legittimità del trattamento riservato ai creditori della Classe IV (erario con privilegio generale degradato al chirografo); in merito al terzo motivo di reclamo, sostenendo l’infondatezza e comunque l’irrilevanza delle valutazioni espresse in merito alla vantaggiosità dell’alternativa fallimentare.

5. All’esito dell’udienza di discussione del 28.8.2018 la Corte ha riservato la decisione.

1. Il primo motivo di reclamo deve ritenersi infondato.

Il debitore acquisisce lo statuto di debitore concordatario per il solo deposito della domanda, anche riservata ai sensi dell’art. 161, sesto comma l.fall., che determina la costituzione del rapporto processuale con il giudice, chiamato ad una pronuncia su di essa, e prima ancora l’instaurazione di un regime di controllo giudiziale sull’amministrazione (com’è evidente proprio nel concordato con riserva) e sui contratti pendenti ex art. 169-bis l.fall., oltre che uno statuto di relativa insensibilità del patrimonio alle iniziative di terzi ex art. 168 l.fall., con regole sui crediti e l’inefficacia importate dal fallimento e progressivamente estese (da ultimo, l’art. 43, comma 4, nell’art. 169 l.fall. novellato dal d.l. n. 83 del 2015) (cfr. Cassazione civile, sez. I, 14 marzo 2016, n. 4977).

Il procedimento concordatario è pertanto introdotto dal ricorso di cui al primo e sesto comma dell’art. 161 l.fall. e non dal successivo deposito del piano, con la conseguenza che il deposito della domanda di concordato “con riserva” determina di per sé, immediatamente ed a prescindere dal deposito del plano, tutta una serie di effetti tipici della procedura concordataria: non può quindi negarsi che essa introduca una procedura di concordato, fattispecie a formazione progressiva in cui il deposito del piano rappresenta solo uno degli elementi costitutivi (cfr. App. Torino, sentenza n. 617/2016 del 19 aprile 2016, con riferimento all’analoga questione, risolta in senso negativo, della applicabilità ai concordati con riserva già “pendenti” alla data di vigenza, delle modifiche degli artt. 160 e 161 l.fall. introdotte dall’art. 4 del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con la L. 6 agosto 2015 n. 132, entrata in vigore il 21 agosto 2015).

Non può pertanto ritenersi applicabile alla fattispecie in esame la disciplina di cui all’art. 182-ter l.fall. novellato, invocata da parte reclamante, introdotta dalla L. 11 dicembre 2016, n. 232 e in vigore per le procedure di concordato pendenti a far data dal 1° gennaio 2017, quindi in periodo successivo alla presentazione della domanda di concordato con riserva da parte di Albis International S.r.l.

2. Fondato è invece il secondo motivo di reclamo, con cui si censura la violazione dell’ordine delle cause di prelazione.

La società resistente afferma di essersi avvalsa della facoltà attribuita in via generale - e dalla normativa ratione temporis vigente anche in relazione ai crediti, assistiti da privilegio generale, vantati dall’Erario - dall’art. 160, secondo comma, l.fall.

Tale disposizione consente che la proposta possa prevedere che i creditori muniti di diritto di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, come da attestazione giurata del professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d). Precisa poi la richiamata disposizione che “Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione”.

Pertanto, con riguardo ai privilegi di natura generale, la prospettazione di un certo soddisfacimento anche per i creditori chirografari, nonostante l’insufficienza dell’at- tivo a estinguere le passività privilegiate ad essi anteposte, è ammissibile esclusivamente nel caso della previsione di apporti alla esecuzione del concordato provenienti dall’e- sterno del patrimonio dell’imprenditore: la c.d. “finanza esterna” o “nuova finanza” deve infatti ritenersi liberamente distribuibile e non soggetta al principio affermato dall’ultima parte del co. 2 dall’art. 160 l.fall.

La questione che qui si pone - con valenza dirimente - attiene a quali siano i criteri di identificazione della “finanza esterna”, tema particolarmente delicato con riguardo alla fattispecie del concordato in continuità aziendale.

2.1. Secondo l’orientamento fatto proprio dal provvedimento gravato, affermato da parte della dottrina e rinvenibile anche in alcuni precedenti giurisprudenziali di merito (richiamati dalla società resistente), il concetto di “finanza esterna”, “nuova finanza” o “surplus concordatario”, che in stretta lettura appare riferito alle risorse provenienti da fonti esterne al patrimonio dell’impresa in crisi, risorse che, non essendo soggette alla garanzia patrimoniale del debitore e al conseguente rispetto delle cause legittime di prelazione, possono essere liberamente distribuibili, dovrebbe essere interpretato secondo un’accezione estensiva, per cui la natura di “finanza esterna” non deriverebbe dalla fonte dal quale viene alimentato il fabbisogno concordatario, ma dal maggior valore che la prosecuzione dell’attività di impresa dovrebbe assicurare - secondo le prospettive del piano concordatario - rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare.

Il surplus concordatario consisterebbe nella maggiore utilità ricavabile dalla prosecuzione dell’attività aziendale rispetto all’alternativa liquidatoria e non dovrebbe pertanto rilevare ai fini della valutazione da compiere ex art. 160, comma 2, l.fall., come se tali ulteriori risorse non fossero provenienti dal patrimonio dell’impresa medesima.

2.2. Diversamente dall’opinione ora richiamata, questa Corte ritiene di dover escludere che i flussi generati dalla continuità aziendale possano ritenersi “nuova finanza”, come affermato dal Collegio di prime cure.

In applicazione del principio genarle dettato dall’art. 2740 c.c., la prosecuzione dell’attività di impresa in sede concordataria non può comportare il venir meno della garanzia patrimoniale del debitore, che risponde dei suoi debiti con tutti i beni, presenti e futuri.

Qualora la proposta di concordato preveda la falcidia dei creditori assistiti da privilegio generale, che grava sull’in- tero attivo mobiliare, il soddisfacimento dei creditori chirografari non può essere realizzato con l’attivo concordatario: conseguentemente, la proposta di concordato sarà ammissibile solo se le risorse a ciò destinate vengano messe a disposizione da terzi, come “finanza esterna” in senso stretto; ciò in quanto ai sensi dell’art. 160, secondo comma, l.fall. la formazione delle classi e il pagamento non integrale dei creditori privilegiati non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione (cfr. Cass., Sez. I, 8 giugno 2012, n. 9373).

La prosecuzione dell’attività d’impresa non può creare un patrimonio separato o riservato in favore di alcune categorie di creditori (anteriori o posteriori alla domanda di concordato). Non è parimenti consentito azzerare in sede concordataria il rispetto delle cause legittime di prelazione di cui all’art. 2741 c.c., corollario della responsabilità patrimoniale. Infatti, in assenza di un consenso esplicito, il creditore transita con la propria posizione di portatore di interesse in sede concordataria negli stessi termini in cui la posizione creditoria sussisteva quando l’impresa era in bonis. Né potrebbe farsi carico al singolo creditore (o a una classe di creditori, vieppiù privilegiati o ipotecari), in quanto titolare del diritto di voto nel concordato o, comunque, creditore anteriore assoggettato alla proposta concordataria, il solo rischio della procedura di continuità (il costo dell’alternativa fallimentare, con conseguente “taglio” delle sue prospettive di soddisfacimento in tale misura) senza attribuzione anche a costui anche delle potenzialità derivanti dalla prosecuzione (il surplus concordatario), perché ciò comporterebbe l’imposizione a questo particolare e privilegiato creditore un patto leonino a suo discapito (così - condivisibilmente - Trib. Milano 15 dicembre 2016; conf. Trib. Bergamo 26 settembre 2013, in esatti termini, che ha escluso la libera disponibilità dei flussi di cassa attesi dalla continuità aziendale - che, benché futuri e non presenti attualmente nel patrimonio del debitore, sono comunque generati dallo stesso in quanto scaturiscono dall’impiego di beni strumentali che di questo fanno parte - nella fattispecie destinati al pagamento integrale dei crediti chirografari di una classe di fornitori strategici; di recente, nello stesso senso v. Trib. Roma, 3.8.2017).

2.3. Infine, non può condividersi la tesi - pure argomentata da parte resistente - per cui la società proponente il concordato avrebbe comunque potuto ottenere il medesimo risultato concreto di soddisfazione integrale dei creditori “strategici” se avesse richiesto al Tribunale - ex art. 182-quinqiues, co. 5 l.fall. - l’autorizzazione al pagamento dei crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi offerti da tali creditori, Si tratta in primo luogo di una mera ipotesi, in quanto la società non ha ritenuto di esercitare tale - opzionale - facoltà. Inoltre, si evidenzia, trattasi di facoltà soggetta alla valutazione del tribunale ed alla previa attestazione del professionista, in ordine all’essenzialità delle prestazioni per la prosecuzione dell’attività di impresa e alla loro funzionalità ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. Con una precisazione di non indifferente rilievo, la disposizione invocata prevede che l’attestazione del professionista possa essere omessa - solo - per i pagamenti effettuati in forza di “nuove risorse finanziarie che vengano apportate al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo di restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori”, ribadendo anche sotto tale differente profilo che la sussistenza di “nuova finanza” di provenienza esterna all’impresa è presupposto necessario al fine di prescindere - in tutto o in parte - dal rispetto delle regole generali di trattamento dei creditori.

3. L’accoglimento del motivo di reclamo - assorbite le altre censure - comporta la revoca del decreto impugnato, con rigetto della domanda di omologazione del concordato preventivo proposta da A. Romano S.p.a.

Stante la relativa novità della questione e la presenza di orientamenti giurisprudenziali tra loro difformi, vanno ravvisate gravi ed eccezionali ragioni, ai sensi dell’art. 92, secondo comma, c.p.c. - nella lettura conseguente all’intervento della Corte costituzionale di cui alla sentenza n. 77/2018 - per la compensazione integrale delle spese tra le parti.