Diritto Penale


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 16461 - pubb. 23/12/2016

Sequestro preventivo penale, rapporti con il fallimento, legittimazione del custode giudiziario e del curatore

Cassazione civile, sez. I, 14 Dicembre 2016, n. 25736. Est. Ferro.


Fallimento - Rapporto col sequestro preventivo penale - Custode giudiziario - Litis consorzio necessario - Esclusione - Sequestro penale - Effetti nei confronti del fallimento

Fallimento - Confisca del capitale sociale - Oggetto - Quote di partecipazione dell’indiziato di mafia



Il sequestro preventivo penale dei beni di una società di capitali non rende il custode giudiziario di tali beni contraddittore necessario nel procedimento diretto alla dichiarazione di fallimento, per la validità del quale è sufficiente la convocazione dell'amministratore della medesima società, che resta nella titolarità di tutte le funzioni non riguardanti la gestione del patrimonio.

D'altronde, la stessa dichiarazione di fallimento non comporta l'estinzione della società, ma solo la liquidazione dei beni, con conseguente legittimatone processuale dell'organo di rappresentanza a difendere gli interessi dell'ente nell'ambito della procedura fallimentare, né reca alcun pregiudizio alla procedura di prevenzione patrimoniale diretta alla confisca dei beni aziendali (sia quando il fallimento sia stato pronunciato prima del sequestro preventivo, sia quando sia stato dichiarato successivamente) dovendo essere privilegiato l'interesse pubblico perseguito dalla normativa antimafia rispetto all'interesse meramente privatistico della par condicio creditorum perseguito dalla normativa fallimentare.

Il principio richiamato vale ovviamente anche con riguardo alla società le cui quote siano state oggetto di una misura segregativa con affidamento ad un terzo, di nomina ovvero controllo giudiziale, tanto più che anche l'istanza di fallimento rientra in tale corrente attività conservativa, senza perciò che vi sia l’esigenza di integrazione dell'ordinario potere di amministrazione: così questa Corte ha stabilito che il ricorso per la dichiarazione di fallimento del debitore, nel caso in cui si tratti di una società, deve essere presentato dall'amministratore, dotato del potere di rappresentanza legale, senza necessità della preventiva autorizzazione dell'assemblea o dei soci, non trattandosi di un atto negoziale né di un atto di straordinaria amministrazione, ma di una dichiarazione di scienza, peraltro doverosa, in quanto l'omissione risulta penalmente sanzionata.

Tale principio trova applicazione anche nel caso in cui l'amministratore sia stato nominato dal custode giudiziario della quota pari all'intero capitale sociale di cui il giudice per le indagini preliminari abbia disposto il sequestro (Cass. 19983/2009). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

In tema di fallimento della società di capitali, la confisca del "capitale sociale", disposta ai sensi dell'art. 2-ter della legge n. 575 del 1965, deve intendersi riferita alle quote di partecipazione dell'indiziato di mafia, non al patrimonio sociale, cosicché essa non interferisce con la dichiarazione di fallimento della società.

E neppure rileva, agli effetti della dichiarazione di fallimento della società, che il creditore sociale non dimostri la propria buona fede nell'acquisto del titolo sui beni aziendali, in quanto tale stato soggettivo incide esclusivamente sui conflitti interni alla procedura di confisca, mentre i beni aziendali non sono colpiti in modo diretto da questa, al pari della società in sé considerata (Cass. 8238/2012). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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