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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19491 - pubb. 12/04/2018.

Attribuzione effettuata da un coniuge, poi fallito, a favore dell'altro coniuge che non abbia la funzione di integrare o sostituire quanto dovuto per il mantenimento suo o dei figli


Cassazione civile, sez. I, 30 Novembre 2017. Est. Bisogni.

Fallimento - Atti a titolo gratuito - Inefficacia - Assenza di corrispettivo - Attribuzione patrimoniale effettuata da un coniuge, poi fallito, a favore dell'altro coniuge in vista della loro separazione - Atto a titolo gratuito ove non abbia la funzione di integrare o sostituire quanto dovuto per il mantenimento suo o dei figli


Ai fini dell'azione di inefficacia di cui all'art. 64 legge fall., atti a titolo gratuito non sono solo quelli posti in essere per spirito di liberalità, che è requisito necessario della donazione, ma anche gli atti caratterizzati semplicemente da una prestazione in assenza di corrispettivo; ne consegue che l'attribuzione patrimoniale effettuata da un coniuge, poi fallito, a favore dell'altro coniuge in vista della loro separazione, va qualificata come atto a titolo gratuito ove non abbia la funzione di integrare o sostituire quanto dovuto per il mantenimento suo o dei figli.

E' pertanto onere di chi si oppone all'azione revocatoria dimostrare che l'attribuzione patrimoniale, oggetto dell'azione revocatoria, abbia avuto tale funzione sostitutiva o integrativa. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Segnalazione dell'Avv. Paola Cuzzocrea

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio - Presidente -

Dott. BISOGNI Giacinto - rel. Consigliere -

Dott. ACIERNO Maria - Consigliere -

Dott. FERRO Massimo - Consigliere -

Dott. TERRUSI Francesco - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

omissis

avverso la sentenza n. 625/11 della Corte d'appello di Catanzaro emessa il 17 maggio 2011 e depositata il 1 giugno 2011, RG n. 54/2005;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 luglio 2017 dal Consigliere Giacinto Bisogni;

Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale cons. Salvato Luigi che ha chiesto il rigetto del ricorso.

omissis

1. Il Fallimento GEDIL di G.V. s.n.c. nonchè di G.V. e di V.C. ha convenuto in giudizio, con citazione del 15 ottobre 2001, davanti al Tribunale di Catanzaro, G.R., G. e A. per sentir dichiarare l'inefficacia, ex art. 64 L.F., dell'atto di donazione relativo a un immobile sito in (*) intercorso per atto pubblico del 9 ottobre 1996 e cioè solo quattro mesi prima che la società GEDIL fosse ammessa al concordato preventivo, procedura cui era seguita la dichiarazione di fallimento del 21 dicembre 2000.

2. Si sono costituiti i convenuti R. e G.G. e hanno chiesto il rigetto della domanda rilevando che la donazione era stata effettuata dal padre in adempimento degli obblighi assunti nella separazione consensuale con la madre V.C.

3. Il Tribunale con sentenza n. 1519/2003 ha dichiarato l'inefficacia dell'atto di donazione.

4. Hanno proposto appello R. e G.G. rilevando l'insussistenza dei presupposti per la revocatoria di un atto qualificabile come adempimento di un dovere morale. Si è costituita successivamente G.A.

5. La Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado ritenendo insussistente l'eccepito dovere morale sottostante alla donazione.

6. Ricorre per cassazione G.G. per violazione e falsa applicazione dell'art. 64 L.F. e artt. 147, 155 e 155 quater c.c. avendo ritenuto la Corte di appello che il trasferimento della casa coniugale, da parte del genitore separato a favore dei figli minorenni affidati all'altro coniuge, non costituisca l'adempimento di un dovere morale. Il ricorrente richiama la giurisprudenza secondo cui l'adempimento dell'obbligo di mantenimento dei figli minori può essere adempiuto dai genitori in sede di separazione o divorzio mediante accordo rientrante nelle previsioni degli artt. 155 e 158 c.c. con il quale il genitore si impegni ad attribuire ai figli la proprietà di un bene (Cass. civ. n. 3747/2006, n. 2088/2005, n. 11342/2004 e n. 9500/1997).

7. Propone controricorso la curatela fallimentare.

Considerato che:

8. La giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ., sezione 1, n. 13087 del 24 giugno 2015) ha chiarito che ai fini dell'azione di inefficacia di cui all'art. 64 legge fall., atti a titolo gratuito non sono solo quelli posti in essere per spirito di liberalità, che è requisito necessario della donazione, ma anche gli atti caratterizzati semplicemente da una prestazione in assenza di corrispettivo. Ne consegue che, l'attribuzione patrimoniale effettuata da un coniuge, poi fallito, a favore dell'altro coniuge in vista della loro separazione, va qualificata come atto a titolo gratuito ove non abbia la funzione di integrare o sostituire quanto dovuto per il mantenimento suo o dei figli.

9. E' pertanto onere di chi si oppone all'azione revocatoria dimostrare che l'attribuzione patrimoniale, oggetto dell'azione revocatoria, abbia avuto tale funzione sostitutiva o integrativa. Laddove, nella specie, secondo quanto riscontrato dalla Corte di appello, la attribuzione in proprietà dell'abitazione familiare ha costituito l'oggetto di una liberalità non connessa all'esonero sia pure parziale dall'obbligo di mantenimento dei figli sino al raggiungimento della loro indipendenza economica. Di tale valutazione dà indirettamente conferma il ricorrente che attribuisce alla previsione, contenuta nella separazione consensuale, dell'obbligo di trasferire ai figli la proprietà della casa familiare la finalità di soddisfare l'esigenza abitativa familiare come ragione del trasferimento. Tuttavia, tale finalità è estranea all'adempimento dell'obbligo di mantenimento e risulta tutelata in sede fallimentare dall'art. 47 della legge fallimentare che prevede la sottrazione della casa del fallito al generale principio della apprensione dei beni da parte della procedura concorsuale, nei limiti in cui è necessaria all'abitazione sua e della sua famiglia.

10. Il ricorso va pertanto respinto con condanna alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 5.600, di cui 200 per spese, oltre accessori di legge e spese forfettarie.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2017.