Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19813 - pubb. 31/05/2018

Giudizio di ottemperanza, interpretazione del giudicato e rilevanza di eventuali errori del giudice dell'ottemperanza

Cassazione Sez. Un. Civili, 30 Marzo 2018, n. 8043. Est. Maria Acierno.


Processo amministrativo - Giudizio di ottemperanza - Interpretazione del giudicato - Rilevanza di eventuali errori del giudice dell'ottemperanza



L'interpretazione del giudicato costituisce oggetto precipuo del compito del giudice dell'ottemperanza e gli eventuali errori inerenti all'esercizio di tale compito non possono integrare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione; essi, conseguentemente, non sono censurabili in sede di giudizio ex art. 362 c.p.c. (cfr. da ultimo Cass. S.U. 21621 del 2017 ed in precedenza tra le altre 26274 del 2016 e 20565 del 2013). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato - Primo Presidente f.f. -

Dott. TIRELLI Francesco - Presidente di Sez. -

Dott. D’ANTONIO Enrica - Consigliere -

Dott. VIRGILIO Biagio - Consigliere -

Dott. GRECO Antonio - Consigliere -

Dott. TRIA Lucia - Consigliere -

Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere -

Dott. FRASCA Raffaele - Consigliere -

Dott. ACIERNO Maria - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

Il sig. X. ha chiesto l'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza del Tribunale civile di Ancona, n. 1788 del 2005, con la quale il Ministero della Salute era stato condannato a pagare in suo favore il risarcimento del danno patito a seguito di eventi trasfusionali.

In particolare, ha rivendicato un credito residuo alla data del 20/4/2015 di 12.110.966,57 a fronte di un pagamento parziale di Euro 536.426,73.

All'esito del giudizio di ottemperanza svoltosi, in primo grado, davanti al T.A.R. delle Marche e conclusosi con il rigetto del ricorso, è stato adito il Consiglio di Stato che ha confermato la decisione assunta in primo grado.

A sostegno della decisione è stato affermato:

nel dispositivo della sentenza del Tribunale di Ancona era contenuta la condanna del Ministero della Salute al pagamento della somma di Euro 250.000 con l'aggiunta ex art. 2056 c.c., comma 1, richiamate le disposizioni degli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c., degli interessi di legge e della svalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, entrambi gli accessori con decorrenza dal giorno dell'insorgenza della malattia ((*), data di primaria dimissione dall'ospedale civile di Fermo con "diagnosi di calcolosi renale destra") all'effettivo saldo.

Secondo il ricorrente l'importo di Euro 250.000 era stato determinato alla data di produzione del fatto lesivo mentre l'Amministrazione ha ritenuto che fosse stato quantificato all'attualità. Le conseguenze dell'opzione prescelta in ordine ai meccanismi di protezione del ritardato adempimento sono radicalmente diverse in quanto nella prima ipotesi il capitale deve essere "attualizzato" applicando i criteri riguardanti il ritardato adempimento; nella seconda deve essere devalutato.

Secondo il Consiglio di Stato lo stesso tribunale ha indicato il criterio da seguire dal momento che non è stata indicata la data alla quale la somma capitale avrebbe dovuto essere ancorata. In mancanza di tale esatta precisazione si deve ritenere che l'importo determinato sia stato calcolato al momento della pronuncia.

A conferma dell'interpretazione adottata si deve rilevare che quando la sentenza ottemperanda ha voluto indicare una decorrenza specifica, ovvero con riferimento agli accessori, lo ha fatto in modo espresso.

Avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo nel quale si deduce la violazione dei limiti esterni del giudicato consistenti nell'aver ritenuto, al di fuori di quanto affermato nella sentenza del Tribunale di Ancona, che la somma capitale fosse stata quantificata all'attualità. Così operando il Consiglio di Stato ha seguito esclusivamente l'opzione dell'Amministrazione debitrice, andando in contrasto con l'univoco orientamento della giurisprudenza ed esorbitando dalla giurisdizione. Deve rilevarsi in primo luogo che l'interpretazione del giudicato costituisce oggetto precipuo del compito del giudice dell'ottemperanza e gli eventuali errori inerenti all'esercizio di tale compito non possono integrare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione. Essi, conseguentemente, non sono censurabili in sede di giudizio ex art. 362 c.p.c. (cfr. da ultimo Cass. S.U. 21621 del 2017 ed in precedenza tra le altre 26274 del 2016 e 20565 del 2013).

Occorre, pertanto, verificare se nella specie la decisione assunta dal Consiglio di Stato possa ritenersi rientrante nell'interpretazione del giudicato del quale è stata richiesta l'esecuzione.

La risposta non può che essere affermativa dal momento che dalla lettura della sentenza impugnata emerge inequivocabilmente che il Consiglio di Stato si è limitato ad esaminare ed interpretare il dispositivo della pronuncia del Tribunale di Ancona fondando la sua analisi ermeneutica esclusivamente sulle statuizioni in esso contenute e sugli elementi, in particolare cronologici che ne integravano il contenuto.

L'adesione alla soluzione della P.A. si è fondata su un argomento logico sistematico, intrinsecamente proprio dell'attività interpretativa. Ha rilevato il Consiglio di Stato che la mancata indicazione di una data riferita alla sorte capitale correlata con la precisa individuazione di una data per gli accessori induceva a ricondurre all'attualità l'ancoraggio cronologico della determinazione del danno, in mancanza di un'indicazione più dettagliata.

Tale valutazione è radicalmente incensurabile perchè si fonda esclusivamente su un esame interpretativo del tutto interno al dispositivo. Deve aggiungersi, peraltro, che l'adesione dell'interpretazione adottata ad orientamenti giurisprudenziali più o meno consolidati è del tutto irrilevante, non potendosi ravvisare nella scelta del Consiglio di Stato alcuno sbarramento alla tutela giurisdizionale e tanto meno, come osservato anche dal Procuratore generale nella requisitoria orale, una macroscopica violazione di norme legislative idonea ad integrare il canone della denegata giustizia. Al contrario, con riferimento ai debiti di valore, quale quello formante oggetto della sentenza ottemperanda, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato l'esigenza di evitare duplicazioni ingiustificate delle voci di danno in ordine ai debiti di valore, proprio in relazione alla corretta individuazione del parametro sul quale applicare gli interessi (Cass. 3931 del 2010).

In conclusione, il ricorso deve ritenersi inammissibile. Non è necessario provvedere alle spese processuali in quanto l'Avvocatura dello Stato si è costituito esclusivamente al fine di partecipare alla discussione orale ma non è comparsa.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Sussistono le condizioni per l'applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2018.