Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20461 - pubb. 13/09/2018

La nullità della notifica dell’atto introduttivo non impedisce l’interruzione della prescrizione

Cassazione civile, sez. III, 25 Maggio 2018, n. 13070. Est. Chiara Graziosi.


Prescrizione – Notifica di atto introduttivo di un giudizio – In luogo privo di collegamento col destinatario – Inesistenza della notifica – Esclusione – Nullità della notifica – Validità ai fini dell’interruzione della prescrizione – Sussiste



Ciò che sprigiona gli effetti interruttivi-sospensivi ai sensi dell’art.2945 c.c. non è l’atto interruttivo del processo in sé, bensì tale atto notificato.

Il disposto degli articoli 2943 e 2945 c.c., più che combinato, è assolutamente intrinseco, e non richiede, affinché l’interruzione produca i suoi effetti appieno, che l’atto introduttivo del giudizio notificato rispetti le regole processuali, con l’unica eccezione della competenza.

Ben si può ritenere che la notificazione possa essere intesa come atto meramente esistente, prescindendo dalla sua validità formale. E l’inesistenza della notificazione è una categoria residuale, che ricorre, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile quell’atto.
Posto che il principio di strumentalità delle forme degli atti processuali è ormai acquisito dalla giurisprudenza come oggetto di tutela rientrante nel principio del giusto processo accanto alla ragionevole durata, alla imparzialità del giudice e alla esercitabilità del contraddittorio, e posto che il pervenimento nella sfera di conoscibilità legale è il conseguimento dello scopo della notificazione, i presupposti dell’esistenza giuridica della notifica, ossia gli elementi strutturali che consentono di identificarla come tale, sono la trasmissione dell’atto da parte di un soggetto qualificato e una successiva fase di consegna, in modo da attribuire l’inesistenza ai soli casi di restituzione dell’atto al mittente. Il requisito del “collegamento” tra il luogo della notificazione e il destinatario è fuori dal perimetro strutturale della notificazione, e rientra quindi nella nullità sanabile ex tunc. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita - Presidente -

Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere -

Dott. CIGNA Mario - Consigliere -

Dott. GRAZIOSI Chiara - rel. Consigliere -

Dott. MOSCARINI Anna - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

Svolgimento del processo

1. Con atto di citazione notificato il 21 aprile 1993 P.I.C. conveniva dinanzi alla Pretura di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, (*) S.p.A. per ottenerne la condanna a risarcirle i danni che le sarebbero derivati da un sinistro avvenuto il 1 giugno 1992 per una anomalia del manto stradale, domanda che con sentenza n. 113/1994 il Pretore accoglieva, condannando la convenuta a corrispondere Lire 5.000.000, oltre interessi e spese, all'attrice.

(*) proponeva appello e, con sentenza n. 620/2005, il Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, dichiarava nulla la sentenza impugnata in conseguenza della nullità della notifica dell'atto di citazione di primo grado, non rimettendo peraltro la causa al giudice di prime cure ex art. 354 c.p.c. Tale sentenza passava in giudicato.

Con atto di citazione notificato il 14 dicembre 2006 la P. conveniva davanti al Tribunale di Pisa (*) S.p.A., sempre per il risarcimento dei danni dello stesso sinistro stradale; la convenuta si costituiva, eccependo la maturata prescrizione. Il Tribunale, con sentenza del 24 gennaio 2014, rigettava la sollevata eccezione di prescrizione, condannando al risarcimento dei danni la convenuta. Avendo proposto appello (*) S.p.A., ed essendosi costituita resistendo controparte, la Corte d'appello di Firenze, con sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. il 9 dicembre 2015, accoglieva l'appello per maturata prescrizione.

2. Ha presentato ricorso la P., articolato in due motivi.

2.1 Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ovvero degli artt. 2934, 2943 e 2945 c.c..

Il Tribunale aveva ritenuto che il primo atto di citazione, notificato appunto il 21 aprile 1993, avesse generato l'effetto interruttivo della prescrizione previsto dall'art. 2945 c.c.; il che è stato negato, invece, dal giudice d'appello, così però violando l'art. 2945 c.c., comma 2, regola di cui l'unica eccezione si rinviene nel comma 3 dello stesso art..

L'atto di citazione del primo processo fu notificato ad (*) presso la sua sede, per cui (*) ben sapeva del processo. E (*) si era poi appellata avverso la sentenza di primo grado con atto notificato a controparte il 19 novembre 1994, dopodichè in secondo grado le parti avevano contraddetto tra loro per undici anni, fino alla sentenza d'appello emessa 1'8 agosto 2005 dal Tribunale di Pisa: sarebbe pertanto irragionevole ritenere che frattanto la P. dovesse altresì interrompere la prescrizione, per esempio con raccomandate.

Chi effettua una notifica nulla dell'atto di citazione, al pari di chi effettua una notifica regolare, non si trova in una situazione d'inerzia rispetto all'esercizio del suo diritto, e solo l'estinzione del processo è collegata alla inattività della parte. Sussiste giurisprudenza di questa Suprema Corte che riconosce gli effetti interruttivi, ex art. 2045 c.c., comma 2, all'atto di citazione la cui notifica sia stata dichiarata nulla da una sentenza; sussistendo comunque anche giurisprudenza in senso contrario, richiamata dalla corte territoriale, il motivo conclude chiedendo la rimessione della causa alle Sezioni Unite.

2.2 Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè omessa motivazione: il giudice d'appello avrebbe condannato l'attuale ricorrente a rifondere a controparte le spese di entrambi i gradi senza fornire motivazione "se non con riferimento alla ritenuta soccombenza", laddove sarebbe stata fattispecie meritevole di compensazione ai sensi dell'art. 92 c.p.c., comma 2.

3. Si difende (*) con controricorso - illustrato altresì con memoria -, nel quale propone pure ricorso incidentale condizionato sulla base di un unico motivo.

Viene denunciata la violazione o l'errata applicazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e dei principi riguardanti la rimessione della causa al giudice di primo grado, in riferimento agli artt. 112, 329, 353 e 354 c.p.c.

Il Tribunale aveva ritenuto sussistente una consequenzialità tra l'omessa riassunzione e l'estinzione del giudizio pretorile; ciò sarebbe stato erroneamente valutato dalla corte territoriale, nonostante si fosse già formato il giudicato al riguardo. Non vi sarebbe ragione per ancorare la riassunzione e gli eventuali effetti estintivi alla sola rimessione esplicitamente disposta dal giudice d'appello, anzichè a quanto previsto dall'art. 354 in coordinamento con l'art. 353 c.p.c..

 

Motivi della decisione

3. Il ricorso principale, nel suo primo motivo, propone una questione per meglio comprendere la quale è opportuno prendere le mosse da una descrizione dettagliata del contenuto della sentenza d'appello.

La corte territoriale identifica nitidamente la questione che era stata sottoposta al suo vaglio e che, sotto corretta forma di censura della sua decisione, si presenta ora nel primo motivo del ricorso - nella "incidenza, sul corso della prescrizione, della notificazione, viziata da nullità, di un atto di citazione". L'art. 2943 c.c., comma 1, riconoscendo efficacia interruttiva della prescrizione alla notifica dell'atto con cui viene introdotto un giudizio, "attribuisce uno speciale effetto di diritto sostanziale ad un atto regolato dalla legge processuale", per cui è quest'ultima la legge in cui "devono ricercarsi i criteri di validità dell'atto interruttivo". Immediato è qui il richiamo di Cass. sez. 1, 16 maggio 2013 n. 11985, la cui soluzione del quesito è già netta nel senso che, in ordine all'applicazione dell'art. 2943 c.c., comma 1 e art. 2945 c.p.c., comma 2, "la nullità della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio impedisce l'interruzione della prescrizione e la conseguente sospensione del suo corso fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, a nulla rilevando, in senso contrario, la mera possibilità che la nullità sia successivamente sanata, e fermo restando che, qualora la sanatoria processuale abbia poi effettivamente luogo, i relativi effetti sul corso della prescrizione decorrono dal momento della sanatoria medesima, senza efficacia retroattiva". Questa pronuncia, si può fin d'ora notare, segue un orientamento precedentemente formatosi, in cui si collocano, tra gli arresti massimati, Cass. sez. L, 7 luglio 2006 n. 15489 (per il quale "la rinnovazione della notificazione nulla di un atto di citazione a giudizio... non può ritenersi idonea a determinare effetti interruttivi del corso della prescrizione (ex art. 2943 c.c., comma 1) con decorrenza retroattiva alla data della notificazione invalida, avendo la norma civilistica (nel sancire espressamente che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto introduttivo del giudizio) stabilito una innegabile connessione tra effetto interruttivo e natura recettizia dell'atto, con la conseguenza che la mancata introduzione, nella sfera giuridica del destinatario, dell'atto di notifica nullo non consentirà in alcun modo a quest'ultimo di risultare funzionale alla produzione dell'effetto retroattivo citato, a nulla rilevando la (apparentemente contraria) disposizione di cui all'art. 291 c.p.c., comma 1, la quale, stabilendo che "la rinnovazione della citazione nulla impedisce ogni decadenza", non ha inteso riferirsi all'istituto della prescrizione"), del tutto conforme a Cass. sez. 2, 14 agosto 1997 n. 7617 e Cass. sez. 2, 13 marzo 1973 n. 706; sulla stessa linea appare porsi anche Cass. sez. 2, 26 agosto 1986 n. 5212, che, sulla base della natura recettizia propria dell'atto interruttivo, intesa nel senso che l'atto deve essere portato a conoscenza della controparte, nega ogni efficacia interruttiva della prescrizione nel caso di nullità della notifica dell'atto.

La corte territoriale, dunque, non esita a seguire tale orientamento, affermando che "la violazione delle norme in materia di notificazione... priva la notificazione della sua efficacia" anche sotto il profilo interruttivo; e non verificandosi quest'ultimo "non sarebbe di conseguenza applicabile neppure l'art. 2945 c.c., comma 2, per il quale solo se l'interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell'art. 2943 c.c. la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio". E il principio invocato dall'appellata "e affermato dal giudice di legittimità nella sentenza 23-5-1997 n. 4630 (al quale ha fatto seguito la successiva conforme del 28-11-2001 n. 15075) - per cui l'effetto interruttivo/sospensivo della domanda giudiziale trova deroga solo nel caso di estinzione del processo, e pertanto resta applicabile anche nell'ipotesi in cui la sentenza conclusiva del giudizio non decide nel merito..., sì che dovrebbe riconoscersi alla domanda giudiziale l'effetto interruttivo protratto di cui all'art. 2945 c.c. anche nell'ipotesi che il giudizio si concluda con una sentenza dichiarativa della nullità della notificazione della citazione, posto che in tale ipotesi (diversamente da quanto accade nel caso di notificazione inesistente) si instaura pur sempre un rapporto processuale potenzialmente idoneo a concludersi anche con una pronuncia di merito nell'ipotesi di rinnovazione della notifica ai sensi dell'art. 291 c.p.c.", viene dalla corte territoriale "ridimensionato" attingendo ancora all'arresto che aveva appena citato, Cass. sez. 1, 16 maggio 2013 n. 11985, per cui ciò tuttavia vale "sempre che la sentenza stessa sia pronunciata nel contraddittorio tra le parti o nella contumacia legittimamente dichiarata dal convenuto", rilevando come "conoscenza" necessariamente "quella garantita dalle regole del processo".

Di qui l'accoglimento dell'appello, affermando la corte che la nullità della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio ha impedito l'interruzione della prescrizione e la conseguente sospensione di essa fino al passaggio in giudicato della sentenza che tale giudizio ha definito, e pertanto, in conclusione, "in accoglimento dell'appello e in riforma dell'impugnata sentenza, la domanda proposta dalla P. deve essere respinta posto che non risultano posti in essere idonei e tempestivi atti interruttivi del termine quinquennale di prescrizione, decorrente dal dì del sinistro verificatosi in data 1-6-1992".

2. La pronuncia impugnata non si fonda, peraltro, come rileva il motivo in esame, su un'uniformità giurisprudenziale in tal senso. La stessa motivazione della pronuncia dà atto, come si è visto, di due sentenze - Cass. sez. 1, 23 maggio 1997 n. 4630, cui aderisce la posteriore Cass. sez. L, 28 novembre 2001 n. 15075 - a suo avviso superate dall'invocata Cass. sez. 1, 16 maggio 2013 n. 11985 (che infatti a sua volta le menziona in motivazione).

Cass. sez. 1, 23 maggio 1997 n. 4630 è massimata nel senso che "il principio fissato dall'art. 2945 cod. civ. - secondo il quale l'interruzione della prescrizione per effetto di domanda giudiziale si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio - trova deroga solo nel caso di estinzione del processo, e pertanto resta applicabile anche nell'ipotesi in cui detta sentenza non decide nel merito ma definisce eventuali questioni processuali di carattere pregiudiziale, sempre che essa sia pronunciata nell'ambito di un rapporto processuale della cui esistenza le parti siano a conoscenza, di modo che non si possa presumere l'abbandono del diritto fatto valere in giudizio. Ne consegue che deve riconoscersi alla domanda giudiziale l'effetto interruttivo protratto di cui all'art. 2945 cod. civ. anche nell'ipotesi che il giudizio si concluda con una sentenza dichiarativa della nullità della notificazione della citazione, posto che in tale ipotesi - diversamente da quanto accade nel caso di notificazione inesistente - si instaura pur sempre un rapporto processuale potenzialmente idoneo a concludersi anche con una pronunzia di merito nell'ipotesi di rinnovazione della notifica ai sensi dell'art. 291 c.p.c.".

Questa pronuncia è sortita da una vicenda processuale analoga a quella che qui si è verificata. Un soggetto aveva convenuto l'(*) per un risarcimento di danni, l'(*) non si era costituita e il Tribunale adito, con sentenza del 22 maggio 1985, aveva dichiarato la nullità della notifica dell'atto di citazione eseguita il 2 febbraio 1980 presso gli uffici dell'(*) in violazione del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11 relativo a rappresentanza e difesa in giudizio delle amministrazioni statali. Lo stesso soggetto avviava allora un nuovo giudizio con citazione notificata il 15 novembre 1985, l'(*) restava contumace ed il Tribunale accoglieva la domanda con sentenza del 4 novembre 1987. A questo punto l'(*) entrava sulla scena del processo, proponendo appello in cui eccepiva in via preliminare l'intervenuta prescrizione dell'azione risarcitoria per decorso del termine quinquennale compiutosi il 2 febbraio 1985, essendo la notifica della seconda citazione avvenuta il 15 novembre 1985.

La corte territoriale rigettava l'appello, ritenendo l'eccezione di prescrizione infondata dovendosi attribuire un effetto interruttivo permanente, ex art. 2945 c.c., comma 2, alla notifica del primo atto di citazione avvenuta il 2 febbraio 1980, benchè la notifica fosse nulla; quando era stata compiuta la notifica del secondo atto di citazione, dunque, il termine quinquennale non era ancora consumato, dato che il primo giudizio non si era estinto ai sensi del comma 3, stesso art., bensì concluso con una sentenza di rito.

L'(*) quindi era ricorsa per cassazione, denunciando violazione degli artt. 2945 e 2943 c.c., e adducendo che la nullità della notifica dell'atto di citazione aveva impedito una valida instaurazione del rapporto processuale tra le parti, rapporto necessario per applicare l'art. 2945 c.c., comma 2; e questa Suprema Corte lo ha respinto osservando come segue.

"Deve rilevarsi preliminarmente che la sentenza impugnata ha affermato...che la nullità della notificazione della citazione in data 2 febbraio 1980, dichiarata per violazione delle disposizioni speciali in tema di notifica alle amministrazioni dello Stato, non aveva inciso "sulla validità della citazione, notificata direttamente all'A.N.A.S., quale atto di costituzione in mora, come riconosce la stessa appellante". La corte territoriale ha pertanto ritenuto in modo inequivoco che la notificazione della predetta citazione fosse affetta da un vizio comportante la nullità e non l'inesistenza (per radicale inidoneità dell'atto a raggiungere il proprio scopo), stante l'avvenuta ricezione - da parte della convenuta A.N.A.S. - dell'atto di citazione costituente atto interruttivo. La questione controversa consiste sostanzialmente nello stabilire se, prodottosi con la notifica di un atto di citazione l'effetto interruttivo della prescrizione del diritto di cui l'attore chiede giudizialmente l'accertamento ed intervenuta una sentenza di dichiarazione di nullità della notificazione della citazione, tale effetto interruttivo si protragga oppure no, ai sensi dell'art. 2945 c.c., comma 2, sino al passaggio in giudicato di detta sentenza. All'indicata questione, ad avviso del collegio, deve darsi risposta positiva, conforme a quella data dalla sentenza impugnata. La citata disposizione attribuisce effetto interruttivo permanente alla domanda giudiziale fino a quando il rapporto processuale derivante dallo originario atto di citazione non si concluda con una sentenza che definisca il giudizio. E' ormai fermo nella giurisprudenza... il principio per il quale la sentenza che definisce il giudizio, nell'accezione di cui all'art. 2945 c.c., comma 2 non è solo quella che decide il merito, ma anche quella che conclude il processo definendo eventuali questioni processuali di carattere pregiudiziale (quali sono quelle relative alla nullità degli atti del giudizio, compresa quella dell'atto introduttivo), essendo pur essa idonea a passare in giudicato in senso formale. Ed il principio della permanenza dell'effetto interruttivo dell'atto di citazione (e degli altri atti indicati nei primi due commi dell'art. 2943 c.c.) sino alla definizione del giudizio con sentenza passata in giudicato trova deroga ai sensi dell'art. 2945 c.c., comma 3 solo nel caso di estinzione del processo... La ragione sottesa alle disposizioni contenute nell'art. 2945 c.c., commi 2 e 3 è che il presupposto della prescrizione è il mancato esercizio del diritto da parte del titolare per il tempo stabilito dalla legge (fatto che fa presumere l'abbandono di esso e quindi la sua estinzione), e che non può presumersi l'abbandono del diritto per tutto il tempo necessario per la conclusione del processo con una sentenza passata in giudicato in quanto la pendenza del giudizio basta a giustificare l'omissione di altri atti interruttivi e fa sì che non si possa presumere l'abbandono del diritto. L'applicazione del principio dettato dall'art. 2945 c.c., comma 2 postula che la sentenza venga pronunciata nell'ambito di un rapporto processuale della cui esistenza le parti siano a conoscenza di modo che non si possa presumere l'abbandono del diritto fatto valere in giudizio. E nel caso di nullità della notificazione dell'atto di citazione, a differenza dell'ipotesi di inesistenza della notificazione stessa... si instaura pur sempre un rapporto processuale potenzialmente idoneo a concludersi anche con una pronuncia di merito nell'ipotesi di rinnovazione della notificazione ai sensi dell'art. 291 c.p.c.; si instaura cioè un rapporto tale da protrarre la pendenza di una lite tra le parti la quale basta a giustificare l'omissione di altri atti interruttivi ed a far sì che non si possa presumere l'abbandono del diritto azionato, secondo la previsione contenuta nell'art. 2945 c.c.". Così, dunque, il ricorso è stato rigettato.

A questa pronuncia si rende conforme, si ripete, Cass. sez. L, 28 novembre 2001 n. 15075, che non a caso governa una fattispecie affine, cioè un caso in cui la notifica dell'atto introduttivo del giudizio era nulla perchè effettuata alla sede provinciale, anzichè alla sede centrale dell'Inps.

3. L'appena rievocata Cass. sez. 1, 23 maggio 1997 n. 4630 è inserita, a sua volta, in un corposo filone (nella motivazione cita Cass. sez. 3, 18 aprile 1996 n. 3666, Cass. sez. 1, 22 settembre 1995 n. 10055 e Cass. sez. 3, 8 febbraio 1991 n. 1329) che interpreta proprio il rapporto tra il comma 2 e il comma 3 dell'art. 2945 c.c. nel senso che l'effetto interruttivo del termine della prescrizione derivante dalla domanda giudiziale è al contempo pure sospensivo del decorso dello stesso termine - ovvero ha natura permanente - ai sensi dell'art. 2945 c.c., comma 2, protraendosi sino al passaggio in giudicato della decisione che definisce il giudizio sorto da tale domanda, senza che rilevi il contenuto, di merito o di rito che sia, di tale sentenza salvo in due ipotesi: quella dell'art. 2945 c.c., comma 3, e altresì quella in cui la proposizione della domanda è stata comunque inidonea a instaurare un "valido rapporto processuale" (rectius, per quanto si vedrà, un rapporto processuale tout court). Ipotesi, quest'ultima, che si verifica nel caso in cui la notificazione dell'atto introduttivo è affetta da inesistenza (su questa conseguenza della inesistenza della notifica dell'atto introduttivo v. Cass. sez. 3, 8 ottobre 2007 n. 21006 e Cass. sez. 1, 22 settembre 1995 n. 10055, già citata; e in generale sull'effetto interruttivo-sospensivo della domanda giudiziale ai sensi dell'art. 2945, commi 2 e 3, v. pure Cass. sez. L, 23 ottobre 2007 n. 22238 - la cui massima ben sintetizza nel senso che la domanda giudiziale "pervenuta a conoscenza della controparte costituisce esercizio effettivo del diritto sufficiente ad interrompere la prescrizione, quale che sia l'esito successivo del giudizio, ed anche ove la domanda sia dichiarata nulla; in tal caso, permane altresì l'effetto della domanda relativo alla sospensione del decorso del termine prescrizionale fino al passaggio in giudicato della sentenza che ne ha dichiarato la nullità, in quanto tale pronuncia, anche se in rito, è diversa dalla pronuncia di estinzione del giudizio, che è la sola atta a privare la domanda giudiziaria dell'effetto sospensivo ai sensi dell'art. 2945 c.c." - nonchè Cass. sez. 2, 14 dicembre 2012 n. 23017, Cass. sez. 3, 9 marzo 2006 n. 5104, Cass. sez. 3, il 4 novembre 2005 n. 24808, Cass. sez. 1, 14 febbraio 2000 n. 1608, Cass. sez. 3, 17 dicembre 1999 n. 14243, Cass. sez. 3, 20 settembre 1996 n. 8367, Cass. sez. L, 19 maggio 1986 n. 3305, Cass. sez. L, 12 giugno 1984 n. 3516, Cass. sez. 1, 24 novembre 1983 n. 7023, Cass. sez. 3, 13 luglio 1982 n. 4120, Cass. sez. 3, 21 novembre 1981 n. 6227 e Cass. sez. 3, 5 maggio 1975 n. 1736; e cfr. Cass. sez. 3, 18 gennaio 2011 n. 1084, che rimarca come l'atto di proposizione di un'azione costituisce "un comportamento univocamente finalizzato a manifestare la volontà di esercitare specificamente il diritto" relativo all'azione stessa, rispetto al quale quindi si verifica l'effetto interruttivo-sospensivo della prescrizione).

E' dunque sostenibile che, prima dell'arresto del 2013 cui ha aderito la corte territoriale nella presente causa, l'interpretazione di questa Suprema Corte era abbastanza stabilizzata nel senso che l'effetto interruttivo-sospensivo della "notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio" - come si evince dall'art. 2943 c.c., comma 1 - sussiste fino al giudicato ai sensi dell'art. 2945, comma 2, se è stato costituito un valido rapporto processuale; nel caso poi che il giudizio termini con l'estinzione, ai sensi dell'art. 2945, u.c. l'effetto interruttivo viene spogliato del congiunto effetto sospensivo, per cui la pendenza del giudizio, comunque questo si sia svolto, e a prescindere da quel che sia avvenuto come pure dalla sua durata, non ha sospeso il decorso del termine prescrizionale, conferendo in tal modo il legislatore all'estinzione un effetto retroattivo, poichè, fino all'estinzione stessa, la pendenza del giudizio ha sospeso la prescrizione.

4. Ora, a prescindere da ogni considerazione - in questa sede superflua - sulla configurazione non del tutto lineare dell'art. 2945 c.c., tenuto conto anche del combinato disposto con l'art. 2943 c.c., non si può non desumerne che ciò che sprigiona gli effetti interruttivi-sospensivi non è l'atto introduttivo del processo in sè, bensì tale atto notificato, visto il già riportato testo dell'art. 2943 c.c., comma 1; e parimenti non si può non desumere che, poichè il legislatore garantisce l'effetto interruttivo-sospensivo fino al passaggio in giudicato della "sentenza che definisce il giudizio", con l'unica eccezione collocata nell'apposito ultimo comma, il contenuto della suddetta sentenza non incide, tranne nel caso in cui consista appunto nella dichiarazione dell'estinzione del processo. Ma l'art. 2943, comma 1, si ripete, attribuisce l'effetto interruttivo-sospensivo non all'atto introduttivo di giudizio di per sè, in veste statica e astratta, bensì, per così dire, alla integrale forma dinamica dell'atto, indicata come la "notificazione dell'atto", espressione che fa perno semanticamente (in modo apparentemente "tronco") non sull'atto, bensì sul renderlo noto al destinatario: e ciò, evidentemente, perchè la recettizietà è il presupposto di un tale duplice effetto, in quanto solo il recepimento dell'atto dal destinatario libera il notificante dall'inerzia nell'esercizio del diritto rispetto al quale l'effetto deve prodursi.

La giurisprudenza antecedente all'arresto del 2013 ha dunque inteso il combinato disposto dell'art. 2943, comma 1 e dell'art. 2945, comma 2, nel senso che l'atto introduttivo del giudizio notificato deve costituire un rapporto tra chi lo pone in essere e chi ne è il destinatario, rapporto che, trattandosi di atto processuale, per dar luogo agli effetti sostanziali deve essere anche processualmente valido. L'invalidità del rapporto processuale, che elide pure gli effetti sostanziali in quanto in tal modo infusi in quelli processuali, è stata individuata in relazione al fondamentale parametro che conforma tale intrinseca connessione, la recettizietà, di per sè concetto astratto-potenziale che si concretizza poi nella ricezione: vale a dire, identificata nell'assenza di questa. Peraltro l'assenza della recettizietà in alcuni arresti, sopra citati, è stata ravvisata nella inesistenza della notificazione, mentre alcuni altri - tra i massimati, Cass. sez. L, 7 luglio 2006 n. 15489, Cass. sez. 2, 14 agosto 1997 n. 7617, Cass. sez. 2, 6 agosto 1986 n. 5212 e Cass. sez. 2, 13 marzo 1973 n. 706 - l'hanno ravvisata nella sua nullità. Ed è su questa linea che si è collocata la più recente pronuncia in tema, ovvero quella cui ha aderito la corte territoriale.

5. Come si è visto, Cass. sez. 1, 16 maggio 2013 n. 11985, nella sua motivazione, si è confrontata con la giurisprudenza che non ritiene rilevante il vizio della nullità della notifica dell'atto introduttivo ai fini degli effetti che l'atto - notificato ma non validamente - riveste ai sensi dell'art. 2945 c.c., comma 2, poichè proprio su tale vizio si fondava il ricorso. Anche nel caso trattato dall'arresto sarebbe stata evidentemente discutibile, sul piano sostanziale, l'assenza di recettizietà, perchè la notifica formalmente nulla era stata effettuata a un istituto bancario presso una sua filiale - ove si erano però svolti gli eventi sfociati nella causa - piuttosto che nella sua sede legale situata in un'altra città. Il giudice d'appello aveva comunque affermato che in tal modo dell'atto di citazione "non era venuto a conoscenza il legale rappresentante della banca, non essendo stato introdotto correttamente e tempestivamente nella sfera giuridica del convenuto". Il giudice di legittimità, quindi, dinanzi ad un motivo del ricorso che denunciava appunto la violazione dell'art. 2945 c.c. per avere il giudice d'appello "negato l'efficacia interruttiva sospensiva della citazione a causa della nullità della sua notificazione, attribuendole un'efficacia interruttiva istantanea, che si verifica solo nel caso di estinzione del giudizio" sostenendo che "non trattandosi di inesistenza della notificazione, si sarebbe instaurato un rapporto processuale regolare, e la prescrizione sarebbe rimasta sospesa per l'intero giudizio svoltosi in due gradi", ha affermato che "la questione di diritto sollevata con il mezzo in esame è quella dell'incidenza, sul corso della prescrizione, della notificazione, viziata da nullità, di un atto di citazione", risolvendola come segue.

"L'art. 2943 c.c., comma 1, attribuisce efficacia interruttiva della prescrizione alla notificazione dell'atto con il quale si introduce un giudizio; vale a dire che attribuisce uno speciale effetto di diritto sostanziale ad un atto regolato dalla legge processuale. In questa, pertanto, devono ricercarsi i criteri di validità dell'atto interruttivo... Le norme applicabili a questo riguardo sono essenzialmente quelle contenute nel codice di rito (artt. 137-150), nonchè in alcune leggi speciali (in particolare, L. 20 novembre 1982, n. 890, sulle notificazioni a mezzo posta, e L. 21 gennaio 1994, n. 53, sulla facoltà di notificazioni per gli avvocati). In forza dei principi generali dell'ordinamento, la violazione di queste norme, se tale da costituire causa di nullità, priva la notificazione della sua efficacia anche sotto il profilo in esame, salvo quanto si dirà in tema di sanatoria. Non verificandosi l'effetto interruttivo, non sarebbe di conseguenza applicabile neppure l'art. 2945 c.c., comma 2, per il quale solo se l'interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dall'art. 2943 c.c. la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio". Dato atto dell'esistenza di una giurisprudenza contraria (Cass. 4630/1997 e Cass. 15075/2001) "per cui l'effetto interruttivo sospensivo della domanda giudiziale trova deroga solo nel caso di estinzione del processo, e pertanto resta applicabile anche nell'ipotesi in cui la sentenza conclusiva del giudizio non decide nel merito ma definisce eventuali questioni processuali di carattere pregiudiziale, sempre che essa sia pronunciata nell'ambito di un rapporto processuale della cui esistenza le parti siano a conoscenza, di modo che non si possa presumere l'abbandono del diritto fatto valere in giudizio", onde "dovrebbe riconoscersi alla domanda giudiziale l'effetto interruttivo protratto di cui all'art. 2945 c.c. anche nell'ipotesi che il giudizio si concluda con una sentenza dichiarativa della nullità della notificazione della citazione, posto che in tale ipotesi - diversamente da quanto accade nel caso di notificazione inesistente - si instaura pur sempre un rapporto processuale potenzialmente idoneo a concludersi anche con una pronunzia di merito nell'ipotesi di rinnovazione della notifica ai sensi dell'art. 291 c.p.c.", la motivazione prosegue qualificando tale orientamento contrastante "nei termini generali nei quali è stato enunciato il suo principio...con la consolidata giurisprudenza di questa corte" e prospettando possa "essere stato influenzato dalla particolarità della fattispecie esaminata, in cui la nullità derivava dalla violazione del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11 essendo stata la citazione notificata direttamente presso gli uffici dell'azienda di Stato convenuta". Ma sostenere che "in tale ipotesi - diversamente da quanto accade nel caso di notificazione inesistente - si sarebbe instaurato pur sempre un rapporto processuale potenzialmente idoneo a concludersi anche con una pronunzia di merito nell'ipotesi di rinnovazione della notifica ai sensi dell'art. 291 c.p.c." conduce l'orientamento suddetto a "valorizzare, sul piano del diritto sostanziale, la possibilità di una sanatoria della nullità - prevista dal solo codice di rito e da considerarsi eccezionale fuori del processo - indipendentemente dal fatto che la sanatoria medesima, ai fini dello stesso processo, vi sia stata"; invece "una sanatoria di nullità, prevista esclusivamente dalla legge processuale, non potrebbe avere effetti di diritto sostanziale anche qualora non si sia verificata nel campo suo proprio, del diritto processuale". Inoltre, "se sanatoria vi fosse stata, essa secondo il consolidato insegnamento di questa corte, che il precedente in esame non ha considerato - non avrebbe avuto efficacia retroattiva agli effetti del corso della prescrizione, che decorrerebbero in ogni caso dal momento della sanatoria...L'equivoco, che sembra aver condizionato anche la sentenza n. 4630/1997, ha origine in quella giurisprudenza di legittimità, pur essa consolidata, per la quale la sentenza che definisce il giudizio, nell'accezione di cui all'art. 2945 c.c., comma 2, non è solo quella che decide il merito, ma anche quella che conclude il processo definendo eventuali questioni processuali di carattere pregiudiziale (quali sono quelle relative alla nullità degli atti del giudizio, compresa quella dell'atto introduttivo), essendo pur essa idonea a passare in giudicato in senso formale...Da quel principio, se correttamente inteso, il collegio non ritiene di doversi discostare. Il vizio dell'atto introduttivo o della sua notificazione non sempre impedisce l'instaurazione del contraddittorio, e se questo si sia costituito non v'è ragione di negare gli effetti prodotti sul corso della prescrizione dalla notificazione della citazione medesima (o, nel caso di nullità della sua notificazione, dal momento della sua sanatoria); ma ciò, sempre che la sentenza stessa sia pronunciata nel contraddittorio tra le parti o nella contumacia legittimamente dichiarata del convenuto. E' così, infatti, che deve essere inteso il requisito... che la sentenza sia pronunciata nell'ambito di un rapporto processuale della cui esistenza le parti siano a conoscenza; per "conoscenza" necessariamente intendendosi quella garantita dalle regole del processo... In questo quadro, le due pronunce dissonanti già ricordate, Cass. 23 maggio 1997 n. 4630, e 28 novembre 2001 n. 15075, appaiono isolate...E' vero che alla regola dettata dall'art. 2945 c.p.c., comma 2 è prevista la sola eccezione costituita dall'estinzione del giudizio (art. 2945, comma 3): ma la regola verte soltanto sugli effetti sospensivi che conseguono all'interruzione della prescrizione a norma dell'art. 2943, e presuppone tale interruzione. Se si ha riguardo, invece, all'interruzione istantanea provocata dallo stesso atto, che è a monte, si deve constatare che l'art. 2943 non offre indicazioni diverse da quelle che si ricavano dai principi generali. L'unico caso speciale contemplato dalla citata disposizione, che non esclude l'interruzione, è quello dell'incompetenza del giudice. L'ampliamento di questa ipotesi a tutte le altre che portano ad una definizione del processo con una pronuncia di rito è del tutto ragionevole e condivisibile, sin quando non contrasti con il principio per il quale la prescrizione è interrotta da un atto di esercizio del diritto che sia stato portato regolarmente a conoscenza dell'obbligato. Sarebbe invece in violazione delle regole desumibili dallo stesso art. 2943 c.c. assumere che un effetto interruttivo della prescrizione sia ricollegabile anche alla notificazione dell'atto introduttivo che sia affetta da nullità, tale da impedire l'instaurazione del contraddittorio, sol perchè questa nullità potrebbe essere successivamente sanata, e indipendentemente dal fatto che poi la sanatoria vi sia stata" e, come già detto, non retroattivamente, ovvero non comportante effetti interruttivi della notifica nulla dell'atto introduttivo rinnovata ex art. 291 c.p.c., "avendo la norma civilistica (nel sancire espressamente che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto introduttivo del giudizio) stabilito un'innegabile connessione tra effetto interruttivo e natura recettizia dell'atto, con la conseguenza che la mancata introduzione, nella sfera giuridica del destinatario, dell'atto di notifica nullo non consentirà in alcun modo a quest'ultimo di risultare funzionale alla produzione dell'effetto retroattivo citato, a nulla rilevando la disposizione di cui all'art. 291 c.p.c., comma 1, la quale, stabilendo che "la rinnovazione della citazione nulla impedisce ogni decadenza", non ha inteso riferirsi all'istituto della prescrizione". La motivazione si conclude, quindi, con il seguente principio di diritto: "in tema di applicazione dell'art. 2943 c.c., comma 1, e dell'art. 2945 c.c., comma 2, la nullità della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio impedisce l'interruzione della prescrizione e la conseguente sospensione del corso di essa sino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, a nulla rilevando in senso contrarlo la mera possibilità che la nullità sia successivamente sanata, e fermo restando che, qualora la sanatoria processuale abbia poi effettivamente luogo, i relativi effetti sul corso della prescrizione decorrono dal momento della sanatoria medesima, senza efficacia retroattiva".

6. Questa motivazione è strutturata in modo approfondito, ma i suoi fondamenti effettivi sono identificabili, a ben guardare, in due argomenti specifici - l'art. 2945 c.c. della prescrizione regolerebbe solo la sospensione, e non anche l'interruzione, per cui non inciderebbe il dettato del suo comma 3, l'interruzione essendo regolata unicamente dall'art. 2943 c.c., il quale, affinchè si verifichi l'interruzione, esigerebbe nell'atto un completo rispetto del rito con l'unica eccezione del suo comma 3; e l'art. 291 c.p.c., comma 1, non riguarderebbe la prescrizione perchè menziona la "decadenza" - e in un argomento di natura sistemica - ritenendo che derivino effetti interruttivo-sospensivi della prescrizione da un atto notificato in modo nullo, non si rispetterebbe la basilare esigenza che la sentenza sia pronunciata a seguito di valido rapporto processuale e quindi "nel contraddittorio tra le parti o nella contumacia legittimamente dichiarata del convenuto. E' così, infatti, che deve essere inteso il requisito... che la sentenza sia pronunciata nell'ambito di un rapporto processuale della cui esistenza le parti siano a conoscenza; per "conoscenza" necessariamente intendendosi quella garantita dalle regole del processo".

Si tratta, peraltro, di interpretazioni sostanzialmente integrative (se non correttive) di alcune delle norme coinvolte.

Scindere un evidente, più che combinato, assolutamente intrinseco disposto come quello degli artt. 2943 e 2945 c.c. si pone, a ben guardare, in contrasto con tutta quella giurisprudenza, sopra richiamata, che, mantenendo invece il nesso funzionale tra le norme, riconosce la durata della interruzione fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio identificando come unico limite l'art. 2945 c.c., comma 3 e non richiedendo invece che, affinchè l'interruzione produca i suoi effetti appieno, l'atto introduttivo del giudizio notificato di cui all'art. 2943 c.c. rispetti le regole processuali con l'unica eccezione della competenza.

Parimenti, è assai discutibile una lettura dell'art. 291 c.p.c., comma 1, che si fondi rigidamente sull'utilizzo della parola "decadenza". Se, come la stessa sentenza del 2013 riconosce (e riconoscono tutti gli arresti sin qui richiamati), quel che rileva ai fini dell'interruzione di permanente durata della prescrizione mediante la fattispecie di cui al combinato disposto dell'art. 2943 c.c., comma 1 e art. 2945 c.c. è il rispetto (nei limiti, ovviamente, che si stanno scandagliando) delle regole processuali, è illogico pretendere che il legislatore, nel disciplinare un istituto processuale come quello dell'art. 291 c.p.c., sia obbligato a riferirsi espressamente alla interruzione o alla sospensione della prescrizione, istituto sostanziale.

Debole - si nota poi per inciso - è la qualificazione della giurisprudenza non condivisa come due arresti "isolati". Se così fosse, non sarebbe agevole spiegare perchè vi erano stati ulteriori già citati arresti (Cass. sez. 3, 8 ottobre 2007 n. 21006 e Cass. sez. 1, 22 settembre 1995 n. 10055) che, a parte, naturalmente, l'ipotesi espressa del comma 3, hanno individuato come limite dell'applicazione dell'art. 2945 c.c., comma 2, la notifica inesistente.

L'art. 2943 c.c., comma 1, si riferisce, come fattispecie interruttiva, alla "notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio". Se il legislatore avesse inteso notificazione valida, sarebbe stato logico specificarlo. Al contrario, ben si può ritenere che la "notificazione" possa essere intesa come atto meramente esistente, prescindendo dalla sua validità formale. D'altronde, che vi sia uno iato profondo tra nullità ed inesistenza della notifica di un atto processuale è stato confermato di recente dalle Sezioni Unite, che, con la sentenza 20 luglio 2016 n. 14916, il cui insegnamento risulta, a ben guardare, dirimente in relazione a tutti gli argomenti - tanto quelli letterali, quanto quelli sistemici - fondanti la pronuncia del 2013 e le precedenti che hanno interpretativamente inserito nel meccanismo di cui agli artt. 2943 e 2945 c.c. una eccezione per l'ipotesi di notifica nulla, così da condurre a ritenere del tutto superflua la remissione della causa ex art. 374 c.p.c. richiesta nella conclusione del motivo.

7. Le Sezioni Unite hanno preso le mosse da una questione relativa alla notificazione del ricorso per cassazione, ma hanno esteso poi la riflessione a quel che è stato definito "un unico problema di fondo", cioè il "criterio distintivo...tra le tradizionali nozioni di inesistenza e di nullità della notificazione", il quale, "in definitiva, tocca la stessa validità concettuale (e concreta utilità) della distinzione tra le due nozioni, cioè, in sostanza, la configurabilità della inesistenza come "vizio" dell'atto, autonomo e più grave della nullità, con le conseguenze che ne derivano". Il giudice nomofilattico ha rimarcato che nel codice di rito non si menziona l'inesistenza, deducendone da un lato che "il legislatore non ha motivo di disciplinare gli effetti di ciò che non esiste", e dall'altro che "la nozione di inesistenza della notificazione deve essere definita in termini assolutamente rigorosi, cioè confinata ad ipotesi talmente radicali che il legislatore ha, appunto, ritenuto di non prendere nemmeno in considerazione", essendo in effetti l'inesistenza della notificazione una categoria residuale, che ricorre, "oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile quell'atto"; categoria che "non è, dunque, in senso stretto, un vizio dell'atto più grave della nullità, perchè la dicotomia nullità/inesistenza va, alla fine, ricondotta alla bipartizione tra l'atto e il non atto".

E qui le Sezioni Unite pervengono al nucleo del ragionamento - che è di assoluto rilievo anche in rapporto alla questione esaminata nella presente causa - invocando il principio di strumentalità delle forme degli atti processuali ormai acquisito dalla giurisprudenza di legittimità come oggetto di tutela rientrante nel principio del "giusto processo" ex art. 111 Cost. e art. 6 CEDU - accanto alla ragionevole durata, alla imparzialità del giudice e alla esercitabilità del contraddittorio - nel senso di "diritto... ad un "giudice" che emetta una decisione sul merito". Il raggiungimento di questo obiettivo sistemico deve al contempo costituire l'opzione interpretativa adottabile tra le plurime astrattamente prospettabili; ed è in quest'ottica che il giudice nomofilattico riconosce l'importanza decisiva del dispositivo del raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c., comma 3, ravvisandovi la "piena attuazione del principio della strumentalità delle forme".

Così prosegue, allora, la motivazione dell'intervento delle Sezioni Unitè. "Scopo della notificazione è quello di provocare la presa di coscienza di un atto da parte del destinatario, attraverso la certezza legale che esso sia entrato nella sua sfera di conoscibilità, con gli effetti che ne conseguono". Questa dunque è, evidentemente, la base processuale dell'istituto della notificazione, e pertanto non può non includere - per quanto sopra si è constatato a proposito dell'assorbimento nelle regole processuali dell'istituto delineato dagli artt. 2943 e 2945 c.c. anche la natura sostanziale che la legge conferisce all'atto notificato, ovvero la funzione di esercizio del diritto valevole quale interruzione permanente della sua prescrizione. L'esercizio giurisdizionale di un diritto, infatti, viene attuato formulando la correlata pretesa, e al soggetto nei cui confronti viene fatta valere rendendola nota, ma non in senso fattuale/storico, bensì in senso giuridico, ovvero mediante l'inserimento in una "sfera di conoscibilità". Nel momento in cui questa viene raggiunta, allora, l'esercizio è compiuto ai fini del combinato disposto degli artt. 2943 e 2945 c.c.. Dunque, il pervenimento nella sfera di conoscibilità legale è il conseguimento dello scopo, vale a dire la concretizzazione positiva della strumentalità di questo istituto ibrido, governato appunto dai principi processuali.

Ma la questione deve essere ulteriormente puntualizzata, perchè non è questo l'approdo finale. E' il caso, a questo punto, di ritornare alla motivazione della sentenza delle Sezioni Unite, che ha rilevato, a proposito della notifica del ricorso per cassazione (si trattava però di problematiche chiaramente estensibili su un piano generale), la discrasia tra gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità che ritenevano giuridicamente inesistente la notifica nel caso in cui fosse stata eseguita in un luogo o presso una persona non aventi riferimento con il destinatario e gli orientamenti che in tal caso ravvisavano nullità della notifica. Rimarcato allora che la nullità della notifica viene sanata retroattivamente dall'art. 291 c.p.c. - il che "costituisce un'ulteriore espressione del principio di strumentalità delle forme" - il giudice nomofilattico identifica i presupposti dell'esistenza giuridica della notifica in strutturali elementi costitutivi che consentono di individuarla come tale: in una "sequenza di atti", cioè in "un procedimento articolato in fasi e finalizzato allo scopo", si devono riscontrare una fase di trasmissione dell'atto da parte di un soggetto qualificato e una successiva fase di consegna, in modo da attribuire l'inesistenza ai soli casi di restituzione al mittente, "sì da dover reputare la notifica meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa". Ed una così estrema riduzione della fattispecie inesistente della notifica viene controbilanciata, com'è logico, da una espansione della patologia alternativa, ovvero della fattispecie nulla: deve essere "superata la tesi che include in tale modello legale, facendone derivare, in sua mancanza, la inesistenza della notificazione, il requisito del "collegamento" (o del "riferimento") tra il luogo della notificazione e il destinatario", che è "fuori del perimetro strutturale della notificazione" e rientra quindi nella nullità sanabile ex tunc. 8. L'espansione della fattispecie di nullità, tuttavia, a ben guardare corrisponde anche ad una attenuazione del suo contenuto. Se è stata a tal punto, per così dire, "ritratta" la fattispecie della notifica inesistente, contemporaneamente si è sminuito di significato il vizio della nullità, perchè si è affermato, a priori, che la correlazione del destinatario con l'atto rappresentata dal collegamento tra il luogo della notificazione e il destinatario stesso è estraneo al "perimetro strutturale della notificazione". Una notifica, allora, che venga effettuata in un luogo già di per sè dotato di un qualche collegamento al destinatario è nulla al pari di una notifica effettuata in un luogo che gli è del tutto estraneo. E' evidente la "spinta" deformalizzante e recuperatoria/conservativa di una siffatta impostazione nomofilattica, effettuata non a caso contestualmente alla conferma della perfetta retroattività della sanatoria quale "espressione del principio di strumentalità delle forme". Ma se è così - e questo ragionamento è ictu oculi intriso dal principio costituzionale e sovranazionale, più sopra illustrato, del "fare il possibile" per giungere al merito - ritenere che una notifica nulla e non sanata, nell'assoluto silenzio letterale al riguardo degli artt. 2943 e 2945 c.c., possa, anche a distanza di anni (nei quali, per di più, non è detto che il destinatario non abbia partecipato comunque al giudizio, se non altro perchè possono essere coinvolti anche i gradi di impugnazione), far cadere il castello di carte di una interruzione di durata permanente, è oramai del tutto avulso dal sistema.

Il principio dominante nelle regole processuali è attualmente il pervenimento al merito, il che include, logicamente, anche una semplificazione ostativa ad un utilizzo di trucchi e "tranelli" formali che si può anche approssimare all'abuso. La forma è per natura strumentale: quel che viene perseguita è la sostanza, di cui la forma è veicolo e accessorio. Se la forma viene fatta prevalere per la presenza di sue concrete conformazioni erronee, pur essendo stata conseguita la sostanza, la sua natura soltanto teleologica viene inaccettabilmente deformata in formalismo. Tutti gli spazi normativi di recupero, al contrario, devono essere fruiti; e a fortiori, qualora dalla lettera della legge non emerga conseguenza da un vizio puramente formale (come nel caso di specie negli artt. 2943 e 2945 c.c.), il sistema è incompatibile con una sua introduzione interpretativa.

In conclusione, l'impatto dell'intervento nomofilattico del 2016 conduce a superare tutti gli argomenti attinti dalla corte territoriale dall'arresto del 2013 e dalla giurisprudenza in cui questo si inseriva, e a confermare invece - alla luce dei principi chiariti dalle Sezioni Unite - il risultato che era già stato conseguito dalla giurisprudenza opposta invocata in questo motivo, che risulta quindi fondato e assorbe il secondo, relativo alle spese dei gradi di cui si sarebbe vagliata la compensazione, sostanzialmente, in rapporto alla questione appena trattata.

9. Il ricorso incidentale condizionato denuncia, come si è visto, violazione o errata applicazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato nonchè dei principi regolanti la rimessione, e quindi degli artt. 112, 329, 353 e 354 c.p.c..

Osserva la ricorrente che il Tribunale di Pisa aveva "sostenuto la consequenzialità fra l'omessa riassunzione e l'estinzione del giudizio pretorile", statuizione che non era stata appellata, e che pertanto "del tutto erroneamente" la corte territoriale avrebbe vagliato, pur essendo "già coperta dal giudicato"; e non vi sarebbero "ragioni per ancorare la riassunzione, e gli eventuali effetti estintivi del giudizio, alla sola rimessione esplicita ad opera del Giudice".

Questo motivo estremamente scarno nella sua illustrazione non appare corrispondente alla reale ratio decidendi della sentenza impugnata, che è stata più sopra ampiamente esposta esaminando il primo motivo del ricorso principale. In base solo a tale ratio la sentenza qui impugnata ha accolto proprio il primo motivo proposto in appello dall'(*), per cui non si ravvede incidenza effettiva sulla decisione impugnata di quanto prospettato nel motivo, che pertanto è inammissibile per difetto di interesse. D'altronde, si ricorda quindi meramente ad abundantiam, il sinistro si verificò nel 1992, il precedente giudizio cominciò nel 1993 e si concluse con la sentenza del Tribunale di Pisa, sezione distaccata di Pontedera, pronunciata nel 2005, mentre il presente giudizio fu avviato nel 2006, id est senza che fosse maturata la prescrizione per quanto è risultato dalla fondatezza del primo motivo del ricorso principale.

In conclusione, deve essere accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, e deve essere dichiarato inammissibile il ricorso incidentale; conseguentemente si cassa la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della stessa corte territoriale.

 

P.Q.M.

Accolto il primo motivo del ricorso principale e assorbito il secondo, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Firenze.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2018.