Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21613 - pubb. 10/05/2019

Non è indennizzabile la violazione che non raggiunge una soglia minima di gravità

Cassazione civile, sez. II, 24 Aprile 2019, n. 11228. Est. Scalisi.


Principio de minimis non curat praetor – Lesione che non raggiunge una soglia minima di gravità – Indennizzo – esclusione



In base al principio de minimis non curat praetor recepito dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (con sentenza del 6 marzo 2012, Gagliano Giorgi c. Italia), non è indennizzabile la violazione che non raggiunga una soglia minima di gravità. Intanto, può presumersi come normale l’afflizione derivante dalla durata di un processo, in quanto il pregiudizio sofferto raggiunga nel caso concreto una soglia minima di gravità, al di sotto della quale il patema non è più oggettivabile e meritevole di tutela. Per quanto concettualmente distinguibili, presunzione di danno e gravità in concreto della violazione, incrociano il medesimo ambito di apprezzamento, atteso che presumere il primo ha senso logico soltanto se si sopprime la rilevanza della seconda e viceversa. Nei casi marginali, la posizione centrale che la presunzione di danno ha assunto a partire dalle note pronunce nn. 1338, 1339 e 1340/04 rese a S.U., deve di necessità cedere il passo all’accertamento diretto e specifico dell’esistenza di un pregiudizio significativo, perciò, il percorso rivelatore ne risulta in certo qual modo invertito. Valutata la posta in gioco nel giudizio presupposto e la gravità della violazione in rapporto alla situazione soggettiva della parte, è la stessa presunzione di danno a non avere più un reale spazio d’applicazione, essendo superata da un’attività di riscontro positivo delle caratteristiche del caso singolo. Escluso il danno evento (la cui riparazione è regola che soggiace solo alle proprie eccezioni), lo spostamento del baricentro dell’indagine comporta che l’esistenza di una soglia minima di gravità al di sotto della quale il danno non è indennizzabile può apprezzarsi sotto un duplice profilo, quello della violazione e quello delle sue conseguenze. Pertanto, dall’ambito di tutela della L. n. 89 del 2001, vanno espunte sia le violazioni minime del termine di durata ragionevole, di per sé non significative; sia quelle di maggior estensione temporale ma riferibili a giudizi presupposti di carattere bagatellare, in cui esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e processuali connessi. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


Fatti di causa

Con ricorso depositato in data 29.12.2015 G.G. e V.C. hanno proposto opposizione avverso il decreto emesso nel procedimento n. 590/2015 V.G. dal giudice designato il 30.11.2015, con il quale è stata rigettata la domanda di equa riparazione proposta in relazione al giudizio presupposto promosso dai medesimi davanti al TAR. sezione staccata di Catania, con ricorso del 5.8.1996 e definito con sentenza depositata il 4.12.2014, per il mancato superamento della soglia di gravità minima (in quanto oltremodo modesta, nel giudizio presupposto, la posta in gioco, consistente nella corresponsione di interessi e rivalutazione sulle somme pretese quale compenso incentivante per l’anno scolastico 1994/1995), al di sotto della quale il pregiudizio derivante dalla violazione del diritto (alla ragionevole durata del giudizio) non può ritenersi significativo e non è, pertanto, indennizzabile.

Gli opponenti hanno censurato il decreto opposto, concludendo per la riforma, del decreto e fondatezza del ricorso, con la condanna del Ministero convenuto al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è costituito in giudizio, evidenziando, oltre la natura bagatellare del contenzioso amministrativo, avente ad oggetto accessori su somme pretese a titolo di compenso incentivante per una annualità, l’esito sfavorevole all’istante dello stesso giudizio presupposto e concludendo, quindi, per l’inammissibilità dell’opposizione o il rigetto della domanda, con vittoria di spese e compensi.

La Corte di appello di Messina con decreto n. 515 del 2016 rigettava l’opposizione e condannava i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio. Secondo la Corte distrettuale correttamente il Giudice delegato aveva escluso l’indennizzo ex L. n. 89 del 2001, posto che la posta in gioco nel giudizio presupposto non superava la soglia minima di gravità. Le condizioni economiche dei ricorrenti valutate unitariamente all’esiguità della posta in gioco consentirebbero di escludere l’esistenza di un qualsiasi pregiudizio apprezzabile per i ricorrenti derivante dalla lungaggine del giudizio presupposto.

La cassazione di questo decreto è stata chiesta da V.C. e G.G. con ricorso affidato a quattro motivi, illustrati con memoria. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso.


Ragioni della decisione

1.= Con il primo motivo di ricorso V.C. e G.G. lamentano la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 35 CEDU nella parte in cui dispone che "(....) la Corte dichiara irricevibile ogni ricorso individuale presentato in virtù dell’art. 34 qualora (....) b) il ricorrente non abbia subito alcun pregiudizio significativo a meno che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi protocolli non esiga l’esame del merito del ricorso "In riferimento all’art. 112 c.p.c. secondo cui il giudice nell’interpretazione della domanda giudiziale del giudizio della cui lungaggine si discute deve tener conto della situazione dedotta in causa e della volontà effettiva, nonché delle finalità che la parte intende perseguire (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) I ricorrenti sostengono che la Corte distrettuale se avesse fatto corretta applicazione della norma di cui all’art. 112 c.p.c. avrebbe verificato che la posta in gioco del ricorso innanzi alla G.A. intesa come valore della causa era il riparto del fondo incentivante dell’I.T.A. Eredia per l’a.s. 1994/1995 (del valore di circa ottanta milioni di lire secondo la proposta di riparto del prof. V. ) e che il valore del petitum sostanziale fatto valere dagli attori era pari ad Euro 3.011,60 per la G. ed Euro 3.120,67 per il V. , oltre interessi e rivalutazione monetaria.

1.1.= il motivo è infondato.

Va qui premesso che l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito: la statuizione motivata sul punto, ancorché erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato la erroneità di quella motivazione; sicché, in tal caso, il dedotto errore attiene al momento logico dell’accertamento in concreto della volontà della parte, sindacabile in sede di legittimità solo se la motivazione non è adeguata e congrua, mentre l’accertamento della ultrapetizione appartiene a un momento logicamente successivo.

Ora, nel caso in esame, emerge con chiarezza dalla sentenza impugnata che la Corte distrettuale ha ampiamente esaminato i dati processuali, ha interpretato la domanda giudiziale avanzata dagli attuali ricorrenti davanti al Tar (giudizio presupposto) ha considerato le fasi del giudizio svoltosi davanti al Tar ed ha consapevolmente concluso che la domanda formulata dai ricorrenti riguardava la condanna dell’Amministrazione alla corresponsione in loro favore di interessi e rivalutazione monetaria sulle somme ripartite quale compenso incentivante. Come afferma la sentenza impugnata "(...) basta leggere il ricorso introduttivo, davanti al Tar, depositato il 19 luglio 1996 per rilevare come i ricorrenti abbiano formulato domanda di condanna dell’Amministrazione alla corresponsione in loro favore di interessi e rivalutazione monetaria sulle somme che verranno ripartire quale compenso incentivante per l’anno scolastico 1994/1995, al cui accoglimento era meramente strumentale la richiesta di annullamento degli atti impugnati (la delibera del Consiglio d’Istituto della I.T.A. Eridea del 20 maggio 1996 in merito al compenso incentivante 1994/1995 e di tutti gli atti preparatori. Dalla sentenza del Giudice amministrativo (...) risulta, poi, che il fondo destinato al compenso incentivante (.....) era stato già ripartito e corrisposto, sicché le domande dei ricorrenti che, avevano avanzato domanda cautelare, a tutela dei propri diritti patrimoniali, sono state più volte disattesa dal Tar per insussistenza del danno grave ed irreparabile (...)".

2.= Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 35 CEDU nella parte in cui dispone che "(....) la Corte dichiara irricevibile ogni ricorso individuale presentato in virtù dell’art. 34 qualora (....) b) il ricorrente non abbia subito alcun pregiudizio significativo a meno che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi protocolli non esiga l’esame del merito del ricorso " in riferimento all’art. 112 c.p.c. secondo cui il giudice nel valutare la significatività del pregiudizio avrebbe fatto esclusivo rifermento ad una mera estrapolazione letterale di una delle domande del ricorso introduttivo, non considerando che era emersa dagli atti difensivi la significatività del pregiudizio sia per il profilo economico sia per il danno all’immagine ed alla dignità professionale dei ricorrenti, tanto che era emerso un effettivo e concreto interesse alla decisione del giudizio della cui lungaggine si trattava, che aveva imposto agli attori l’affanno di ricercare molti documenti, di sottoscrivere personalmente molteplici atti processuali ed intavolare più sessioni con il difensore (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

2.1.= Il motivo è infondato, non solo per le ragioni di cui si è già detto, ma, anche, perché si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali non proponibile nel giudizio di cassazione, deputato a vagliare la legittimità della sentenza in diritto. Come afferma il decreto "(...) va aggiunto che le condizioni economiche dei ricorrenti entrambi professori percettori di stipendio (oltre che di compenso incentivante) valutate unitariamente all’esiguità della posta in gioco consentono di escludere l’esistenza di un qualsiasi pregiudizio apprezzabile per i ricorrenti derivante dalla lungaggine del processo (...)". Trattasi di una valutazione razionalmente condivisibile, che non merita alcuna censura. D’altra parte, neppure in questa sede, i ricorrenti indicano "come e perché" la lungaggine di un giudizio avente ad oggetto il riconoscimento di interessi e rivalutazione su un compenso professionale incentivante, abbia potuto determinato, oltre che un danno economico, un danno all’immagine ed alla dignità professionale dei ricorrenti.

Piuttosto, a fronte delle valutazioni della Corte distrettuale le parti contrappongono le proprie ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, nè possono i ricorrenti pretendere il riesame del merito sol perché la valutazione delle accertate circostanze di fatto, come operata dal giudice di secondo grado, non collima con le loro aspettative.

3.= Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 35 CEDU nella parte in cui dispone che "(....) la Corte dichiara irricevibile ogni ricorso individuale presentato in virtù dell’art. 34 qualora (....) b) il ricorrente non abbia subito alcun pregiudizio significativo a meno che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi protocolli non esiga l’esame del merito del ricorso", in riferimento all’art. 112 c.p.c. all’art. 429 c.p.c., comma 3, art. 150 disp. att. c.p.c.. Facendo falsa applicazione di tali norme la Corte distrettuale avrebbe individuato la posta in gioco ed il valore della causa in Euro 482,81 per la G. ed in Euro 500,00 per il V. quali "interessi e rivalutazione monetaria sulle somme che verranno ripartire quale compenso incentivante per l’anno scolastico 1994/1995. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Secondo i ricorrenti anche a voler considerare gli interessi per tutto il periodo e la rivalutazione fino al 31 dicembre 1994 od anche solo gli interessi la soglia dei 500 Euro sarebbe ampiamente superata per entrambi i ricorrenti.

3.= Il motivo è infondato.

Come è stato già affermato da questa Corte in più occasioni in base al principio de minimis non curat praetor recepito dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (con sentenza del 6 marzo 2012, Gagliano Giorgi c. Italia), non è indennizzabile la violazione che non raggiunga una soglia minima di gravità. Intanto, può presumersi come normale l’afflizione derivante dalla durata di un processo, in quanto il pregiudizio sofferto raggiunga nel caso concreto una soglia minima di gravità, al di sotto della quale il patema non è più oggettivabile e meritevole di tutela. Per quanto concettualmente distinguibili, presunzione di danno e gravità in concreto della violazione, incrociano il medesimo ambito di apprezzamento, atteso che presumere il primo ha senso logico soltanto se si sopprime la rilevanza della seconda e viceversa. Nei casi marginali, la posizione centrale che la presunzione di danno ha assunto a partire dalle note pronunce nn. 1338, 1339 e 1340/04 rese a S.U., deve di necessità cedere il passo all’accertamento diretto e specifico dell’esistenza di un pregiudizio significativo, perciò, il percorso rivelatore ne risulta in certo qual modo invertito. Valutata la posta in gioco nel giudizio presupposto e la gravità della violazione in rapporto alla situazione soggettiva della parte, è la stessa presunzione di danno a non avere più un reale spazio d’applicazione, essendo superata da un’attività di riscontro positivo delle caratteristiche del caso singolo. Escluso il danno evento (la cui riparazione è regola che soggiace solo alle proprie eccezioni), lo spostamento del baricentro dell’indagine comporta che l’esistenza di una soglia minima di gravità al di sotto della quale il danno non è indennizzabile può apprezzarsi sotto un duplice profilo, quello della violazione e quello delle sue conseguenze. Pertanto, dall’ambito di tutela della L. n. 89 del 2001, vanno espunte sia le violazioni minime del termine di durata ragionevole, di per sé non significative; sia quelle di maggior estensione temporale ma riferibili a giudizi presupposti di carattere bagatellare, in cui esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e processuali connessi (Cass. n. 633 del 2014).

Ora, nel caso in esame, la Corte distrettuale si è conformata all’interpretazione convenzionalmente orientata della L. n. 89 del 2001, art. 2 ed ha escluso, in buona sostanza, qualsivoglia reale pregiudizio a danno degli odierni ricorrenti data la scarsissima rilevanza della posta in gioco relativo al giudizio presupposto. E a ciò perviene svolgendo sui fatti decisivi una motivazione congrua ed esente da vizi logico-giuridici, che si sottrae, pertanto, al sindacato di questa Corte. Come ha avuto modo di affermare la Corte distrettuale: "(.....) È certo poi che l’importo di tali accessori (interessi e rivalutazione) sul compenso incentivante dovuto per l’anno 1994/1995 (dall’1.9.1994 al 31.8.1995), calcolato sulle stesse somme indicate dai ricorrenti nell’atto di opposizione (Euro 3.011,60 per la G. ed Euro 3.120,67 per i V. ), ammonta rispettivamente ad Euro 482,81 e ad Euro 500,00 alla data (12.9.1996) di deposito del ricorso amministrativo (ai sensi dell’art. 10 c.p.c., per la determinazione del valore della causa deve farsi riferimento alla data della domanda).

Si tratta di una valutazione conforme agli orientamenti espressi da questa Corte in altre occasioni, laddove ha escluso l’equo indennizzo in casi in cui il processo presupposto aveva ad oggetto pretese di entità davvero minima, sempre inferiore a Euro 500,00 (cfr. Cass. nn. 21861/14, 18435/14, 18434/14 e 17944/14, non massimate).

3.2.= Inconferente, in questa sede, è il calcolo degli interessi e della rivalutazione oggetto del giudizio presupposto, predisposto dai ricorrenti, essenzialmente, perché il calcolo effettuato dai ricorrenti, che risulta essere diverso da quello effettuato dalla Corte distrettuale, muove da un presupposto non corretto e. cioè, che gli interessi e la rivalutazione, andavano calcolati dal 1/9/1994 quando, invece, il compenso incentivante avrebbe dovuto essere corrisposto alla conclusione dell’anno scolastico 1994/1995 e dunque dal 31 agosto 1995, data dalla qual vanno calcolati gli interessi e la rivalutazione.

4.= Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 6 par. 1, art. 13 e art. 41 CEDU e artt. 2056 e 1226. Inapplicabilità ratione temporis del parametro del pregiudizio significativo di cui all’art. 5 CEDU come modificato dall’art. 12 del Protocollo addizionale n. 14 (adottato il 13 maggio 2004 ratificato e reso esecutivo con la L. n. 280 del 2005).

4.1.= Il motivo è inammissibile perché generico posto che non viene indicata quale violazione di legge avrebbe commesso il decreto impugnato. Come è facilmente comprensibile l’osservazione che sarebbe inapplicabile, ratione temporis, il parametro del pregiudizio di cui all’art. 5 CEDU come modificato dall’art. 12 del Protocollo addizionale n. 14, non integra gli estremi di una critica ad alcuna prescrizione del decreto impugnato.

In definitiva il ricorso va rigettato e i ricorrenti, in ragione del principio di soccombenza condannati a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo.


P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio che liquida in Euro 710,00 oltre spese prenotate a debito ed accessori come per legge.