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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 25119 - pubb. 10/04/2021.

Leasing: il cd. 'maxicanone' corrisposto con la prima rata va contabilizzato interamente nell'esercizio di competenza


Cassazione civile, sez. V, tributaria, 15 Marzo 2021. Pres. Cirillo. Est. Condello.

Leasing - Cd. "maxicanone" corrisposto con la prima rata - Contabilizzazione nell'esercizio di competenza - Configurabilità


In tema di determinazione ai fini impositivi dei redditi delle persone giuridiche e con riguardo ai costi deducibili per beni conseguiti in locazione finanziaria, a seguito della modifica normativa prevista dall'art. 3, commi 103, lett. c), e 109 della l. n. 549 del 1995, il cd. «"maxi-canone", corrisposto con il pagamento della prima rata, va contabilizzato interamente nell'esercizio di competenza. (massima ufficiale)

Fatto

1. Con avviso di accertamento, relativo all'anno 2009, l'Agenzia delle entrate rettificava il reddito della società Zeta Gas s.p.a., accertando maggior reddito e maggior valore della produzione netta, nonchè indebita detrazione I.V.A..

In particolare, a seguito di verifica fiscale, l'Amministrazione finanziaria muoveva nei confronti della società contribuente, esercente attività di commercio di carburante per autotrazione, sette rilievi, tra cui, per quanto qui interessa: 1) indebita deduzione, ai fini IRES e IRAP, delle quote di maxi-canone riferite a beni immobili acquisiti in leasing nel 2003 e nel 2004, in violazione degli artt. 83 e 102 t.u.i.r., del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 5 e 11, e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, commi 7 e 7-bis; 2) indebita deduzione, ai fini IRAP, della quota di ammortamento relativa alla rivalutazione degli immobili D.L. n. 185 del 2008, ex art. 15, senza scorporare il valore del terreno sottostante; 3) omessa contabilizzazione, ai fini IRES, di interessi attivi presuntivamente ricavati dal finanziamento in favore della partecipata Gas Auto 2000 s.r.l.; 4) indebita deduzione, ai fini IRES e IRAP, di costi non inerenti per consulenza immobiliare ricevuta dalla Valefin s.p.a.; 5) indebita detrazione I.V.A. in relazione all'attività secondaria di locazione immobiliare operata dalla società senza procedere al calcolo del pro-rata.

2. La società ricorreva dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, eccependo il difetto di motivazione dell'atto impositivo e la violazione e falsa applicazione delle norme sull'accertamento della base imponibile ai fini Ires, Irap e I.V.A..

I giudici provinciali rigettavano il ricorso con sentenza che veniva impugnata dalla contribuente dinanzi alla Commissione tributaria regionale che, in accoglimento parziale dell'impugnazione, annullava l'avviso di accertamento limitatamente al rilievo afferente all'omessa contabilizzazione, ai fini Ires, degli interessi attivi prodotti dal finanziamento in favore della Gas Auto 2000 s.r.l., rigettando per il resto i motivi di gravame.

3. Ricorre per la cassazione della suddetta decisione l'Agenzia delle entrate, con un unico motivo.

La società Zeta Gas s.p.a. resiste mediante controricorso e propone ricorso incidentale, affidato a sei motivi.

A seguito di diniego di condono D.L. n. 119 del 2018, ex art. 6, l'Agenzia delle entrate ha depositato, in data 10 agosto 2020, istanza con la quale ha sollecitato la fissazione dell'udienza di discussione.

Diritto

1. Con l'unico motivo del ricorso principale la difesa erariale censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 45,46 e 109, nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto infruttifero il secondo finanziamento effettuato dalla contribuente a favore della Gas Auto s.r.l., fondando tale convincimento sulla previsione dello statuto della finanziata e su una scrittura privata prodotta dalla contribuente.

Evidenzia che: a) entrambi i finanziamenti erano stati annotati dalla contribuente nell'attivo dello stato patrimoniale alla voce "crediti verso altri" e che nel bilancio della Gas Auto 2000 s.r.l. i finanziamenti erano stati iscritti nel passivo dello stato patrimoniale, alla voce "debiti verso soci per finanziamenti"; b) non si trattava di "finanziamento soci", dal momento che l'apporto in danaro era stato effettuato rispettivamente in data 27 giugno e 27 luglio 2000 quando la Zeta Gas s.p.a. non rivestiva ancora la qualità di socio della Gas Auto 2000 s.r.l., considerato che l'acquisto della partecipazione nella Gas Auto 2000 s.r.l. era avvenuto in data (OMISSIS) ed era stato registrato in data (OMISSIS); c) il fatto che la contribuente avesse rinunciato, dal 2010 in poi, agli interessi maturati sul primo finanziamento, comprovava che, fino all'anno 2009, oggetto di accertamento, aveva conseguito interessi attivi, costituenti reddito tassabile in capo alla società.

Ribadisce che a supporto dell'attività accertativa aveva posto una serie di circostanze di fatto: 1) la mancata esibizione, ad eccezione dello statuto, di documentazione che regolasse le operazioni di finanziamento; 2) la esibizione in sede di verifica di una scrittura privata, datata (OMISSIS), che rendeva conto di due accordi di finanziamento per i quali si prevedeva espressamente la fruttuosità per il primo e l'infruttuosità per il secondo; 3) la natura peculiare dello statuto, che non poteva costituire prova dell'infruttuosità delle operazioni di finanziamento; 4) l'inapplicabilità, per l'anno 2009, della previsione statutaria in merito ai finanziamento dei soci poichè solo successivamente a tale annualità d'imposta la società verificata aveva rivestito la qualifica di socio della Gas Auto 2000 s.r.l.; 5) lo statuto della finanziata, art. 27, stabiliva che i finanziamenti potevano essere effettuati a patto che si fosse trattato di soci iscritti da almeno tre mesi nel libro dei soci, mentre la contribuente era divenuta socia solo in un momento successivo a quello del finanziamento.

1.1. La censura è fondata.

1.2. La Commissione regionale, riformando la sentenza di primo grado, ha ritenuto che la controricorrente abbia fornito prove sufficienti a superare la presunzione di fruttuosità dei finanziamenti.

Analizzando i due finanziamenti oggetto di contestazione, dopo avere posto in evidenza che il primo finanziamento (ossia quello espressamente indicato come fruttifero) risultava effettuato dalla Zeta Gas s.p.a. prima di subentrare nel capitale sociale della Gas Auto 2000 s.r.l., mentre il secondo era stato effettuato in occasione dell'ingresso nella compagine sociale della controllata, e, dunque, in veste di socio, con la conseguenza che, in mancanza di diversa pattuizione, doveva considerarsi infruttifero, in conformità alle previsioni dello Statuto della società finanziata (dello Statuto, art. 27), ha annullato la ripresa a tassazione, ponendo a fondamento del decisum la diversa appostazione delle voci nel bilancio della Zeta Gas s.p.a. - essendo quello infruttifero indicato come "finanziamento soci" e quello fruttifero come "finanziamento Gas Auto 2000 s.r.l." - e la scrittura del (OMISSIS), con la quale la contribuente ha rinunciato agli interessi maturati a decorrere dal 2010, menzionando il secondo finanziamento, qualificato come "improduttivo di interessi".

1.3. Le conclusioni a cui sono pervenuti i giudici di appello non si pongono in linea con l'orientamento di questa Corte.

L'art. 46 t.u.i.r. - integrato dal successivo art. 95, comma 2, che lo rende applicabile anche alle società di capitali - stabilisce che "Le somme versate alle società commerciali ed agli enti di cui all'art. 73, comma 1, lett. b), dai loro soci o partecipanti si considerano date a mutuo se dai bilanci o dai rendiconti di tali soggetti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo".

La presunzione di onerosità del finanziamento prevista dal citato art. 46, costituisce la trasposizione, sul piano fiscale, del chiaro disposto dell'art. 1815 c.c., in forza del quale, salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante.

La presunzione di onerosità del finanziamento, desumibile dal testo dell'art. 46, può essere superata per il tramite della prova espressamente prevista dalla stessa disposizione normativa, ossia mediante l'indicazione esplicita della infruttuosità nei bilanci societari.

1.4. Con riguardo al contenuto della prova contraria a carico del contribuente, questa Corte, già con la sentenza n. 16445 del 15 luglio 2009, ha chiarito che "questa non è libera, ossia non può essere data con qualsiasi mezzo, ma soltanto nei modi e nelle forme stabiliti tassativamente dalla legge, la quale rinunzia alla suddetta presunzione sol quando risulti, "dai bilanci allegati alle dichiarazioni dei redditi della società", che il versamento fu fatto a titolo diverso dal mutuo", trattandosi di presunzione relativa "mista", volta a scongiurare eventuali finalità elusive, di cui sono rinvenibili altri esempi in materia fiscale (Cass., sez. 5, 19/07/2006, n. 16483; Cass., sez. 5, 26/01/2001, n. 1134; Cass., sez. 1, 13/07/1995, n. 7657).

Ne consegue che, mentre l'Ufficio è dispensato dall'onere di dimostrare l'onerosità del prestito, come previsto dall'art. 2728 c.c., comma 1, la parte contribuente al fine di vincere la presunzione deve dimostrare che i bilanci sociali allegati alle dichiarazioni dei redditi presentate contemplavano un versamento fatto a titolo diverso dal mutuo.

Sulla stessa linea si muovono le sentenze n. 15869 del 7 luglio 2009 e n. 12251 del 19 maggio 2010 e dello stesso tenore è anche la sentenza n. 2735 del 4 febbraio 2011, con la quale si precisa che la presunzione di onerosità può essere superata solamente attraverso l'indicazione di infruttuosità del versamento nei libri sociali senza che possano essere utilizzati altri mezzi di prova.

In particolare, con la sentenza da ultimo richiamata, questa Corte, prendendo le mosse dalla distinzione tra versamenti che comportano un credito di restituzione e i versamenti cd. in conto capitale, per i quali non vi è obbligo di restituzione a carico della società e che, come tali, sono appostati in una riserva del patrimonio netto, ha affermato che, come emerge dal suo tenore letterale, l'art. 46 t.u.i.r., pone una presunzione iuris tantum, ex art. 2727 c.c. - da qualificare legale perchè è lo stesso legislatore che impone di trarre quella specifica conseguenza da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato - nel senso che la legge impone di considerare "date a mutuo" le somme tutte le volte che dai bilanci allegati alle dichiarazioni dei redditi della società non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo, ovvero a titolo diverso dal mutuo. Si è, inoltre, precisato che la stessa norma prevede che detta presunzione possa essere superata unicamente dal fatto che "l'altro titolo" giuridico differente dal mutuo, costituente la fonte del versamento del socio, risulti "dai bilanci allegati alle dichiarazioni dei redditi della società"; il che comporta che l'indicazione nel bilancio di quell'"altro titolo" costituisce indefettibile condicio iuris per il (favorevole) superamento della presunzione legale.

Tale orientamento è stato ulteriormente ribadito da Cass. n. 17839 del 9 settembre 2016, nella quale si chiarisce che la presunzione di onerosità "può essere vinta solo in ragione di precisi elementi, ossia fornendo la dimostrazione richiesta della iscrizione in bilancio del versamento come fatto a titolo diverso dal mutuo".

1.5. Nel caso in esame, la appostazione in bilancio del finanziamento, con la annotazione "finanziamento socio", e la scrittura del 5 gennaio 2010, per effetto del quale la contribuente ha rinunciato agli interessi maturati, a decorrere dal 2010, non integrano prova idonea a superare la presunzione di onerosità, non essendo state esibite, con la documentazione allegata, le dichiarazioni della società relative al periodo oggetto di accertamento, con allegato bilancio da cui risulti quanto prescritto dal citato art. 46 t.u.i.r..

Peraltro, proprio la previsione contenuta nella scrittura privata del 5 gennaio 2010 non supporta la tesi difensiva della società contribuente, ma porta a ritenere che negli anni d'imposta antecedenti al 2010, si fossero prodotti interessi attivi.

Nè a diversa conclusione deve pervenirsi per il fatto che l'art. 27, dello Statuto della società finanziata prevedesse la gratuità dei finanziamenti, risultando evidente che lo statuto contiene norme relative al funzionamento della società e disciplina l'aspetto funzionale della stessa, ma non può, per la sua natura peculiare, certamente assurgere ad elemento probante della infruttuosità delle operazioni di finanziamento, considerato, peraltro, che la stessa clausola statutaria stabiliva che i finanziamenti potevano essere effettuati a patto che si fosse trattato di soci iscritti da almeno tre mesi nel libro dei soci, condizione questa non ricorrente nel caso di specie, dato che la controricorrente era divenuta socia solo in un momento successivo a quello del finanziamento.

2. Con il primo motivo del ricorso incidentale (indicato in controricorso con la lett. B), la contribuente deduce la violazione degli artt. 111 e 102 Cost., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, lamentando che la sentenza è assolutamente carente di motivazione laddove afferma che l'avviso di accertamento è "ampiamente motivato" e che "nessuna violazione del contraddittorio endoprocedimentale è ravvisabile".

2.1. Il motivo non è fondato.

2.2. La giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha affermato che si ha motivazione omessa o apparente quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando tali elementi, non proceda ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito.

Pertanto, il vizio di motivazione previsto dall'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, non consentendo in tal modo un controllo sulla esattezza e logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111 Cost., comma 6 (Cass., sez. U, 3/11/2016, n. 22232; Cass., sez. U, 7/04/2014, n. 8053; Cass., sez. 6-5, 7/04/2017, n. 9105).

2.3. Nella fattispecie, sebbene estremamente sintetica, la motivazione della decisione impugnata, con riguardo all'eccepita carenza di motivazione dell'atto impositivo, non rientra nelle gravi anomalie sopra individuate, avendo i giudici di appello esplicitato che l'avviso non risulta lacunoso ed escluso la sussistenza di violazioni del contraddittorio endoprocedimentale, specificando che le doglianze sollevate dalla contribuente, essendo generiche, neppure consentivano di comprendere in relazione a quali osservazioni o prove offerte nella fase dell'accertamento con adesione non fossero state opposte adeguate argomentazioni da parte dell'Ufficio, prima, e, poi, da parte dei giudici di primo grado.

3. Con il secondo motivo (indicato in controricorso con la lett. C), si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, commi 7 e 7-bis, nonchè omesso esame delle eccezioni relative alla misura della indeducibilità.

Premesso che nel 2003 e nel 2004 aveva acquistato in leasing alcuni immobili e che nella dichiarazione relativa all'anno 2009 aveva indicato la cd. "quota suolo" relativamente ai canoni contabilizzati nell'esercizio, senza tenere conto delle quote del maxi-canone di periodo, considerate interamente deducibili, la contribuente sostiene che, privilegiando una interpretazione letterale della L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 7-bis, e tenendo presente il piano di ammortamento finanziario previsto dal contratto di leasing, aveva rapportato ai canoni dallo stesso previsti per ciascuna annualità la quota di indeducibilità prevista dal comma 7-bis; in tal modo si era discostata dalle indicazioni interne dell'Agenzia delle entrate, la quale, invece, prescindendo dall'importo dei canoni annui complessivamente previsti nel piano finanziario di ammortamento del contratto di leasing, rapportava l'indeducibilità della quota riferita al terreno ad una diversa entità, ovvero il costo complessivo del leasing, comprensivo della quota di maxi-canone attribuita a ciascun esercizio.

La C.T.R., ad avviso della controricorrente, condividendo l'orientamento dell'Amministrazione finanziaria, ha dato rilevanza ad un documento di prassi (in particolare, alla Circolare 19 gennaio 2007, n. 1/E, dell'Agenzia delle entrate), richiamata nell'avviso di accertamento, irrilevante e non vincolante.

3.1. La censura è fondata.

3.2. Il D.L. n. 223 del 2006, art. 36, ponendo fine al dibattito in merito alla possibilità o meno di ammortizzare il terreno sottostante ad un fabbricato strumentale, stabilisce al comma 7: "7. Ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili il costo complessivo dei fabbricati strumentali è assunto al netto del costo delle aree occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza. Il costo da attribuire alle predette aree, ove non autonomamente acquistate in precedenza, è quantificato in misura pari al maggior valore tra quello esposto in bilancio nell'anno di acquisto e quello corrispondente al 20 per cento, e, per i fabbricati industriali, al 30 per cento del costo complessivo stesso. Per fabbricati industriali si intendono quelli destinati alla produzione o trasformazione di beni". Ai successivi commi 7-bis e 8, prevede: "7-bis. Le disposizioni del comma 7, si applicano, con riguardo alla quota capitale dei canoni, anche ai fabbricati strumentali in locazione finanziaria. Per la determinazione dell'acconto dovuto ai sensi del comma 34, non si tiene conto della disposizione del periodo precedente. 8. In deroga alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 1, recante disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, le norme di cui ai precedenti commi 7 e 7-bis, si applicano a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto anche per le quote di ammortamento e i canoni di leasing relativi ai fabbricati acquistati o acquisiti a partire dai periodi d'imposta precedenti. In tal caso, ai fini della individuazione del maggior valore indicato al comma 7, si tiene conto del valore delle aree esposto nell'ultimo bilancio approvato prima della entrata in vigore della presente disposizione e del valore risultante applicando le percentuali di cui al comma 7, al costo complessivo del fabbricato, risultante dal medesimo bilancio, assunto al netto dei costi incrementativi capitalizzati e delle rivalutazioni effettuate. Per ciascun fabbricato il residuo valore ammortizzabile è pari alla quota di costo riferibile allo stesso al netto delle quote di ammortamento dedotte nei periodi d'imposta precedenti calcolate sul costo complessivo".

3.3. La relazione al decreto ha precisato che la disposizione "ribadisce il principio della non ammortizzabilità dei terreni e delle aree occupate dai fabbricati strumentali in base ai principi contabili nazionali ed internazionali secondo i quali le imprese devono indicare separatamente in bilancio il valore del fabbricato da quello del terreno e non potranno ammortizzarlo".

3.4. Le nuove disposizioni, come previsto allo stesso art. 36, comma 8, e dalla Circolare dell'agenzia delle entrate 4 agosto 2006, n. 28/E, si applicano a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data del 4 luglio 2006, anche per le quote di ammortamento relative ai fabbricati costruiti o acquistati nel corso dei periodi di imposta precedenti.

3.5. Dal tenore letterale della disposizione contenuta nell'art. 36, in esame risulta evidente che l'ambito oggettivo di applicazione della norma è circoscritto al calcolo delle quote di ammortamento dei fabbricati strumentali ammortizzabili, dovendosi escludere che la disciplina possa applicarsi agli immobili merce ed agli immobili non strumentali. A tale riguardo, la circolare 19 gennaio 2007, n. 1/E, al paragrafo 7.2, precisa che la disposizione si riferisce agli immobili strumentali che rientrano nella nozione di fabbricato, ai sensi dell'art. 25 t.u.i.r., ossia agli immobili situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto edilizio urbano, nonchè a quelli situati fuori dal territorio dello Stato aventi carattere similare.

3.6. Ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili, il costo dei fabbricati strumentali deve essere assunto al netto del costo delle aree occupate dalla costruzione, con la conseguenza che l'ammortamento del fabbricato strumentale è deducibile, mentre il valore del terreno non è ammortizzabile.

Le novità introdotte dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 7, non hanno, quindi, riguardato la nozione di bene ammortizzabile, che è rimasta invariata, essendo esclusi dai beni ammortizzabili i terreni perchè suscettibili di una utilizzazione temporalmente illimitata.

La regola generale di non ammortizzabilità dei terreni non si pone, d'altro canto, in contrasto con la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 10225 del 26 aprile 2017, i cui principi vanno circoscritti alla particolare fattispecie esaminata di un terreno costituente area di sedime di distribuzione di carburante, individuato quale "caso eccezionale in cui sia ipotizzabile un deperimento (fisico ed economico) del terreno nel corso del suo utilizzo pluriennale al servizio dell'impresa, tale da escludere la normale durata illimitata della vita utile del bene", e ciò perchè i terreni sui quali insistono gli impianti di distribuzione di carburante subiscono, a causa del loro specifico utilizzo, una peculiare ed inquinante mineralizzazione da idrocarburi, che la legge impone di eliminare, una volta dismesso l'impianto, mediante particolari operazioni di smantellamento, rimozione e bonifica demineralizzante.

3.7. Tanto premesso, il D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 7-bis, estende le disposizioni in materia di indeducibilità degli ammortamenti riferibili al valore dei terreni incorporati nei fabbricati strumentali anche ai fabbricati in locazione finanziaria, come previsto dalla Circolare 21 novembre 2006, n. 34/E, nella quale si legge che "l'irrilevanza fiscale della quota di ammortamento riferibile al terreno è applicabile anche alla quota capitale dei canoni di fabbricati strumentali acquistati in locazione finanziaria".

In sostanza, la norma esplicita a livello normativo il fatto che, essendo il leasing un contratto di finanziamento per l'acquisizione di un bene, il trattamento di parziale "non ammortizzabilità fiscale" del costo sostenuto per l'acquisto di un fabbricato - perchè riconducibile, in via analitica o forfettaria, al costo delle aree sottostanti - trova applicazione anche nel caso in cui detto acquisto venga perfezionato mediante leasing.

Ciò comporta che, ferma restando la deducibilità della quota interessi dei canoni di leasing (salvo eventuali limitazioni previste dal t.u.i.r. in materia di deducibilità di interessi passivi), il comma 7-bis sancisce l'indeducibilità dal reddito d'impresa della parte della quota capitale dei canoni ascrivibile, non al fabbricato, ma all'area sottostante sui cui il fabbricato insiste, con la precisazione che ai fini della determinazione di tale parte della quota capitale dei canoni deve aversi riguardo a quanto stabilito dal comma 7.

3.8. Al fine di determinare la quota del canone di locazione finanziaria deducibile, occorre dunque scomporre il canone di leasing distinguendo la componente riferita alla quota interessi, deducibile ex art. 96 t.u.i.r., e quella riferita alla quota capitale, sulla quale deve essere calcolata l'incidenza della quota riferibile al terreno (ossia quella non deducibile).

3.9. Con riguardo al maxi-canone iniziale previsto nel contratto di leasing, secondo la giurisprudenza, ormai risalente di questa Corte (Cass., sez. 5, 5/06/2002, n. 8139; Cass., sez. 5, 2/08/2000, n. 10147), ai fini dell'Irpeg sui redditi di impresa e con riguardo ai costi per beni conseguiti in locazione finanziaria, i canoni corrisposti anticipatamente non erano interamente contabilizzabili nell'esercizio di competenza.

Si riteneva, in particolare, pur in mancanza di una norma espressa, che non fosse consentito all'imprenditore computare tra i costi dell'esercizio un canone iniziale, relativo al contratto di leasing, maggiorato rispetto ai successivi, atteso che, essendo quello di leasing un negozio in cui la periodicità delle prestazioni si correla alla utilizzazione frazionata del bene nei singoli esercizi, la maggiorazione del canone stesso anticipava nel tempo le spese di competenza degli esercizi successivi, nei quali i correlativi ricavi venivano prodotti (Cass., sez. 1, 5/08/1997, n. 7209).

3.10. Dal 1995 in poi tale sistema di locazione finanziaria ha subito una radicale trasformazione, a seguito dell'innovazione introdotta al riguardo dalla L. n. 549 del 1995 (cd. finanziaria del 1996), il cui art. 3, commi 103, lett. c) e art. 109, ha riformulato il testo dell'art. 67 t.u.i.r. (poi divenuto art. 102, comma 7), prevedendo nella prima parte che "Per i beni concessi in locazione finanziaria le quote di ammortamento sono determinate in ciascun esercizio nella misura risultante dal relativo piano di ammortamento finanziario e non è ammesso l'ammortamento anticipato".

3.11. La modifica normativa ha comportato, sul piano contabile, che la rilevazione del leasing non viene più effettuata in base al cd. metodo patrimoniale, basato sulla forma giuridica del contratto, ma con il cd. metodo finanziario, previsto dal principio contabile internazionale IAS 17, che riflette la sostanza economica dell'operazione.

La differenza tra i due metodi sta nel fatto che con quello patrimoniale l'operazione di leasing è considerata alla stregua di una locazione di beni, nella quale i canoni corrisposti dal locatario sono imputati a conto economico, mentre con il cd. metodo finanziario l'operazione è considerata come un finanziamento per l'acquisto di un bene strumentale (Cass., sez. 5, 29/11/2017, n. 28575).

3.12. Ne discende, come precisato da questa Corte, che l'iniziale maxi-canone normalmente previsto nei contratti di leasing finanziario ha, come i canoni successivi, natura di credito implicito a tali contratti, che, essendo "riferibile al primo periodo di validità del contratto" deve essere "imputato tra i ricavi in detto periodo". In contropartita tra i costi andrà rilevata una quota di ammortamento di pari importo, con l'effetto che il valore del bene da ammortizzare negli esercizi successivi risulterà decurtato dell'intero maxi-canone in questione (Cass., sez. 5, 29/11/2017, n. 28575).

Deve, quindi, ribadirsi che, ai fini dell'Ires sui redditi d'impresa e con riguardo ai costi deducibili per beni conseguiti in locazione finanziaria, a seguito della modifica normativa prevista dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi 103, lett. c), e art. 109, il cd. "maxi-canone", corrisposto con il pagamento della prima rata, va contabilizzato interamente nell'esercizio di competenza (Cass., sez. 5, 7/03/2014, n. 5349; Cass., sez. 5, 29/04/2011, n. 9561; Cass., sez. 5, 27/02/2015, n. 4043).

La sentenza impugnata, affermando che il valore da attribuire alla parte della quota capitale riferibile all'area (ossia quella non deducibile) va calcolato considerando i canoni di competenza dell'esercizio, tra i quali va ricompresa anche la quota del maxi-canone anticipato, non si pone in linea con i principi su esposti e va, pertanto, sotto tale profilo, cassata.

4. Con il terzo motivo del ricorso incidentale (indicato con la lett. D), la contribuente censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5.

Sostiene che in applicazione del principio di diretta derivazione dal bilancio d'esercizio i soggetti individuati dal citato art. 5 determinano il valore della produzione netta facendo esclusivo riferimento alla rappresentazione di bilancio, dettata dall'art. 2425 c.c., e che tale criterio è inderogabile, con la conseguenza che laddove l'ammortamento o la quota di canone leasing sia correttamente appostata in voci rilevanti ai fini dell'Irap, la deduzione deve essere riconosciuta.

Ad avviso della contribuente, la diversa interpretazione fornita dall'Agenzia delle entrate e recepita dalla C.T.R., secondo cui le disposizioni limitative della deducibilità (sia delle quote di ammortamento dei terreni sui quali insistono i fabbricati strumentali, sia della parte di quota capitale del leasing del terreno) sono applicabili anche ai fini Irap, non è rispettosa del principio di derivazione e del dettato della legge.

4.1. Il motivo è fondato.

4.2. La Circolare dell'Agenzia delle entrate 16 luglio 2009, n. 36/E, al paragrafo 1.3), partendo dal tenore letterale della L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, commi 7 e 7-bis, che fa generico riferimento alle "quote di ammortamento deducibili", interpreta la norma nel senso che l'indeducibilità del valore delle aree sottostanti o di pertinenza di fabbricai strumentali debba operare anche ai fini della determinazione del valore della produzione netta ai fini Irap.

In considerazione della previsione contenuta nel D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 7-bis, che estende l'irrilevanza fiscale delle quote di ammortamento dei terreni anche a quella parte della quota capitale dei canoni di fabbricati strumentali acquisiti in locazione finanziaria, riferibile ai terreni medesimi, il documento di prassi n. 38/E del 23 giugno 2010, indica come la quota di canone riferibile al terreno pertinenziale debba essere considerata indeducibile anche nella determinazione della base imponibile Irap.

4.3. L'interpretazione fornita dall'Agenzia delle entrate e seguita dalla Commissione tributaria regionale nella decisione impugnata non risulta in linea con il principio di derivazione dal bilancio di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5, comma 5, come modificato dalla L. n. 244 del 2007 (cd. legge finanziaria 2008), secondo cui, per i soggetti Ires, diversi dalle banche e dalle imprese di assicurazione, la base imponibile Irap risulta dalla differenza tra il valore della produzione ed i costi della produzione - esclusi alcuni - come risultanti dal conto economico civilistico redatto ai sensi dell'art. 2425 c.c., comma 1, lett. A e B.

In particolare, l'art. 5, comma 1, dispone che, nell'ambito dei costi di produzione, non si deve tenere conto di alcune voci risultanti dal conto economico, ossia delle voci 9), 10, lett. c) e d), 12 e 13 di cui all'art. 2425 c.c. (ossia dei costi per il personale, delle svalutazioni delle immobilizzazioni e svalutazione dei crediti compresi nell'attivo circolante e delle disponibilità liquide, degli accantonamenti per rischi e di altri accantonamenti); il successivo comma 3, primo periodo, apportando alcune correzioni al principio di derivazione, indica una serie di componenti negativi che in ogni caso non si considerano deducibili, ossia le spese per il personale dipendente ed assimilato, i cd. compensi occasionali, i compensi agli amministratori o ai collaboratori a progetto, i compensi per prestazioni assimilati al lavoro dipendente, gli utili spettanti agli associati in partecipazione, il cui apporto è costituito esclusivamente dal lavoro, la quota interessi dei canoni di locazione finanziaria, desunta dal contratto, le perdite su crediti e l'ICI.

La L. n. 244 del 2007 ha, in tal modo, introdotto una netta separazione fra le regole valide per la determinazione dell'Ires e quelle valide al fine della determinazione della base imponibile Irap e l'assenza di un espresso richiamo alle disposizioni di cui al D.L. n. 223 del 2006, impone di ritenere che laddove la quota di canone di leasing sia stata correttamente appostata in voci rilevanti ai fini Irap, in virtù del principio di derivazione ed in applicazione dei principi contabili, la deduzione debba essere riconosciuta, per l'ammontare stanziato nella relativa voce del conto economico, ad eccezione della quota di interessi passivi ad essi relativa, desunta dal contratto, che è invece indeducibile per espressa previsione normativa.

5. Con il quarto motivo del ricorso incidentale (indicato in controricorso con la lett. E), deducendo "omessa motivazione circa la deduzione della quota di ammortamento relativa alla rivalutazione degli immobili", sostiene che il comportamento assunto, in applicazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 15, risulta anch'esso ispirato al principio di diretta derivazione dal bilancio d'esercizio, in applicazione del quale ha ritenuto di uniformarsi all'indirizzo secondo il quale, essendo l'ammortamento del maggior valore degli immobili strumentali correttamente appostato in voci rilevanti ai fini dell'Irap, la deduzione doveva essere riconosciuta.

Lamenta che i giudici regionali non si sono pronunciati sulla questione, limitandosi a ritenere infondata la censura sollevata in ragione della applicabilità dei limiti di deducibilità previsti ai fini dell'Ires.

5.1. Il motivo è inammissibile.

5.2. Infatti, l'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. n. 134 del 2012, ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente l'omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., sez. 2, 14/06/2017, n. 14802; Cass., sez. 6-5, 4/10/2017, n. 23238).

La doglianza in esame, in quanto dedotta con riferimento all'omessa valutazione delle argomentazioni difensive esposte a sostegno della deducibilità, ai fini Irap, della quota di ammortamento stanziata sul maggior valore degli immobili in seguito alla rivalutazione operata ai sensi del D.L. n. 185 del 2008, art. 15, non concerne l'omesso esame di un fatto in senso storico naturalistico e non è, pertanto, riconducibile nel parametro di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato.

6. Con il quinto motivo del ricorso incidentale (indicato in controricorso con la lett. F) la contribuente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 109 t.u.i.r., comma 5, (D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 75).

Premettendo che l'Agenzia delle entrate ha contestato la deducibilità del costo afferente all'attività di consulenza resa dalla Valefin s.p.a. per carenza del requisito di inerenza, lamenta che erroneamente la C.T.R. ha ritenuto non offerta la prova dell'attività di consulenza.

Fa rilevare che la scelta di affidare, con regolare contratto e per una pluralità di annualità, alla Valefin s.p.a. l'amministrazione del consistente patrimonio immobiliare di cui era proprietaria trovava giustificazione nell'opportunità di beneficiare dell'integrazione sinergica tra società appartenenti allo stesso gruppo di interesse e che gli ottimi risultati conseguiti negli anni comprovavano la validità di tale obiettivo.

L'attività di valorizzazione del patrimonio era stata svolta a partire dal 2005, prevalentemente dalla Valefin s.p.a., in particolare da quando aveva incorporato il patrimonio della società Fime Immobiliare s.r.l., che aveva comportato una importante implementazione del ramo immobiliare; in concreto le attività affidate alla Valefin erano consistite in monitoraggio costante degli incassi derivanti dalla locazione degli immobili, nella verifica mensile delle disponibilità finanziarie necessarie per garantire l'assolvimento degli impegni periodici predeterminati, nella gestione dei rapporti con i condomini, nell'autorizzazione dei pagamenti, nella rendicontazione dello stato di avanzamento lavori, nella stipula dei rinnovi dei contratti di locazione, nelle transazioni e definizioni dei piani di rientro; pertanto, le contestazioni mosse dall'Agenzia delle entrate banalizzavano la complessità delle attività di gestione del patrimonio immobiliare svolte dalla Valefin s.p.a.

Secondo la ricorrente, la C.T.R. avrebbe omesso di esaminare il materiale istruttorio offerto e di considerare che l'onere probatorio ricadeva sull'Agenzia delle entrate, che, invece, si era mossa sulla base di presunzioni prive dei requisiti della precisione, gravità e concordanza.

6.1. La censura è infondata.

6.2. L'apprezzamento svolto dai giudici di appello, che hanno ritenuto non offerta la prova della effettività ed inerenza del costo, non può ritenersi scalfito dalle generiche deduzioni svolte dalla contribuente con il mezzo in esame e risulta conforme all'indirizzo giurisprudenziale di questa Corte.

Infatti, in tema di imposte sui redditi delle società, il principio dell'inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d'impresa (e non dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5, ora del medesimo D.P.R., art. 109, comma 5, riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all'esercizio dell'attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico, e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perchè il giudizio sull'inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo.

Peraltro, l'onere di provare e documentare l'imponibile maturato e dunque l'esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto d'impresa, grava sul contribuente (Cass., sez. 5, 21/11/2019, n. 30366; Cass., sez. 5, 17/07/2018, n. 18904; Cass., sez. 5, 11/01/2018, n. 450).

6.3. Nel caso in esame, la C.T.R. ha ritenuto che tale onere non sia stato assolto ed ha anzi sottolineato che i legami esistenti tra la Zeta Gas e la Valefin s.p.a., partecipate dagli stessi soggetti, l'entità del costo sostenuto (circa Euro 200.000,00), molto elevato in proporzione alle rendite annue del patrimonio immobiliare, la mancanza di documentazione, ad eccezione del contratto e delle fatture, atte a dimostrare lo svolgimento dell'attività di consulenza, il vantaggio fiscale conseguito dalla Valefin s.p.a., che, in assenza dei ricavi dichiarati, non sarebbe riuscita a superare il test di operatività previsto per le società di comodo, costituiscono elementi che evidenziano in modo chiaro la fittizietà del rapporto, esclusivamente finalizzato a consentire "la gestione del carico fiscale tra le società".

A fronte dell'accertamento svolto dai giudici di merito e delle specifiche e puntuali contestazioni mosse dall'Amministrazione, la società, sulla quale incombeva l'onere della prova dell'inerenza dei costi (Cass., sez.5, 25/02/2010, n. 4554; Cass., sez. 5, 16/11/2011, n. 24065; Cass., sez. 5, 26/04/2017, n. 10269; Cass., sez. 5, 30/05/2018, n. 13588; Cass., sez. 5, 21/11/2019, n. 30366), non ha offerto elementi di prova di segno contrario, cosicchè deve escludersi, non solo la violazione dell'art. 109 t.u.i.r., comma 5, ma anche la violazione dell'art. 2697 c.c., che è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove, come nel caso di specie, oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass., sez. 3, 29/05/2018, n. 13395; Cass., sez. 6-3, 23/10/2018, n. 26769).

7. Con il sesto motivo del ricorso incidentale (indicato in controricorso con la lett. G), la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10.

Poichè l'Ufficio, in relazione all'attività di locazione commerciale, dalla quale derivavano sia operazioni imponibili sia operazioni esenti, aveva contestato l'errato calcolo del pro-rata e la indebita detrazione I.V.A. sugli acquisti, aveva eccepito nei gradi del giudizio di merito che le operazioni fatturate con esenzioni I.V.A. avevano riguardato consistenze immobiliari, a destinazione abitativa, assolutamente marginali, inquadrabili nell'ambito di attività estranea a quella tipica dell'impresa, in quanto relative ad immobili non destinati a permanere stabilmente nel patrimonio aziendale come investimento primario; con riguardo, inoltre, alla locazione di (OMISSIS), aveva fatto rilevare che non si trattava di contratto di locazione immobiliare puro, ma di una diversa tipologia contrattuale concretizzante un contratto di servizio, poichè erano stati messi a disposizione del conduttore anche spazi comuni e altre prestazioni (segreteria, portierato, centralino, pulizia).

7.1. Il motivo è infondato.

7.2. Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 5, stabilendo i criteri di determinazione della percentuale di indetraibilità (cd. pro rata), prevede che ai contribuenti che esercitino sia attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione, sia attività che danno luogo ad operazioni esenti ai sensi dell'art. 10, il diritto alla detrazione dell'imposta è applicabile in misura proporzionale alla prima categoria di operazioni. La percentuale di detrazione si calcola secondo i criteri indicati al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19-bis, comma 1, in base al rapporto tra l'ammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione nel periodo di imposta, effettuate nell'anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti nel medesimo periodo.

Nel calcolo della percentuale di detrazione di cui al comma 1, non si tiene, invece, conto delle operazioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19-bis, comma 2, tra le quali vi sono le operazioni "accessorie alle operazioni imponibili", il cui ammontare viene sterilizzato (e non computato) ai fini del calcolo della suddetta percentuale.

7.3. Al fine di verificare se le operazioni oggetto di contestazione costituiscano proventi di un'attività strumentale ed accessoria, tale da non concorrere al calcolo del pro-rata di deduzione, occorre avere riguardo a quelli derivanti da un'attività svolta in modo assolutamente occasionale e, quindi, estranea a quella propria di impresa del contribuente e la occasionalità va accertata in concreto e non sulla base di una mera previsione statutaria (Cass., sez. 5, 14/03/2013, n. 5970), secondo parametri di regolarità causale rispetto al fine produttivo (Cass., sez. 5, 7/05/2008, n. 11085; Cass., sez. 5, 13/11/2013, n. 25475).

La Corte di Giustizia, al riguardo, ha precisato che "Un'attività economica deve essere qualificata come "accessoria", ai sensi della sesta Dir., art. 19, paragrafo 2, qualora essa non costituisca il prolungamento diretto, permanente e necessario dell'attività imponibile dell'impresa e non implichi un impiego significativo di beni e di servizi per i quali l'IVA è dovuta (...). Pertanto, si deve constatare che la composizione della cifra d'affari del soggetto passivo costituisce un elemento rilevante per determinare se talune operazioni debbano essere considerate come "accessorie", ai sensi della sesta Direttiva, art. 19, paragrafo 2, seconda frase, ma che si deve altresì tener conto, a tal fine, del rapporto tra dette operazioni e le attività imponibili di tale soggetto passivo nonchè, eventualmente, dell'impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali l'IVA è dovuta" (Corte di Giustizia del 14 dicembre 2016, in causa C378/15, Mercedes Benz Italia s.p.a., punti 48-49).

7.4. Questa Corte, alla stregua della giurisprudenza comunitaria, ha avuto modo di affermare, con principio a cui intende darsi continuità, che "In tema di IVA, per verificare se una determinata operazione attiva rientri o meno nell'attività propria di una società, ai fini dell'inclusione nel calcolo della percentuale d'imposta detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti (cosiddetto pro rata), occorre avere riguardo, non già all'attività previamente definita dall'atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall'impresa, atteso che, ai fini dell'imposta, rileva il volume d'affari del contribuente, costituito dall'ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuate e, quindi, l'attività in concreto esercitata" (Cass., sez. 5, 24/03/2017, n. 7654; Cass., sez. 5, 16/03/2018, n. 6486; Cass., sez. 5, 29/03/2019, n. 8813; Cass., sez. 5, 31/01/2019, n. 2902; Cass., sez. 6-5, 25/06/2020, n. 12689).

7.5. Nel caso in esame, la Commissione regionale, facendo buon governo dei su esposti principi, ha accertato, nel ricostruire la fattispecie concreta, che i cespiti a destinazione abitativa, diversamente da quanto dedotto dalla contribuente, non sono estranei all'obiettivo dalla stessa perseguito di espansione dell'attività svolta nel settore immobiliare, finalizzata a favorire l'accesso al credito, trattandosi di immobili destinati a permanere stabilmente nel patrimonio aziendale come investimento primario, ed ha pertanto negato che si tratti di operazioni imponibili marginali rispetto all'attività tipica dell'impresa, tali da non concorrere nel calcolo del pro-rata.

Con riguardo, poi, al contratto concluso dalla contribuente con la Energas, condividendo le conclusioni a cui erano pervenuti i giudici della Commissione provinciale, la C.T.R. ha qualificato il contratto come "di locazione" e non come contratto di servizio, dando rilevanza al tenore letterale delle espressioni utilizzate dagli stessi contraenti, ma soprattutto considerando che le altre prestazioni previste in contratto - quali portineria, pulizia - risultavano accessorie rispetto alla messa a disposizione del godimento temporaneo del locale, sicchè il canone pattuito si giustificava con riferimento alla qualità ed ubicazione del cespite, piuttosto che rispetto alle ulteriori prestazioni accessorie nello stesso previste, che erano meramente funzionali alla messa di disposizione degli spazi e non costituivano servizi aggiuntivi non strettamente connessi alla locazione.

Trattasi di accertamento in fatto svolto dai giudici di merito, con motivazione adeguata ed esaustiva, non scrutinabile in questa sede.

8. In conclusione, va accolto il ricorso principale e vanno accolti il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale, rigettati il primo, il quinto e ed il sesto motivo del ricorso incidentale e dichiarato inammissibile il quarto motivo del ricorso incidentale. La sentenza deve, quindi, essere cassata con rinvio alla competente Commissione tributaria regionale, per il riesame in ordine alle censure accolte, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

accoglie il ricorso principale; accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale; rigetta il primo, il quinto ed il sesto motivo del ricorso incidentale; dichiara inammissibile il quarto motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 dicembre 2020.

Provvedimento depositato in Cancelleria il 15 marzo 2021.