Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 3431 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione Sez. Un. Civili, 05 Luglio 2007, n. 15142. Est. Forte.


Procedimento civile - Riunione e separazione di causa - Trattazione unitaria o riunione di più cause connesse e scindibili - Evento interruttivo riguardante una delle parti di una o più cause connesse - Effetti - Interruzione dell'intero procedimento - Esclusione - Interruzione del solo giudizio di cui é parte il soggetto colpito dall'evento interruttivo - Necessità o automaticità della contestuale separazione del processo interrotto - Esclusione - Potere discrezionale del giudice - Sussistenza.

Procedimento civile - Difensori - Poteri - In genere.



Nel caso di trattazione unitaria o di riunione di più procedimenti relativi a cause connesse e scindibili, che comporta di regola un litisconsorzio facoltativo tra le parti dei singoli procedimenti confluiti in un unico processo, l'evento interruttivo relativo ad una delle parti di una o più delle cause connesse, opera di regola solo in riferimento al procedimento (o ai procedimenti) di cui é parte il soggetto colpito dall'evento. In tal caso non é necessaria o automatica la contestuale separazione del processo interrotto dagli altri riuniti o trattati unitariamente, salvo sempre il potere attribuito al giudice dall'art . 103, comma 2, cod. proc. civ., per cui difettando una tempestiva riassunzione ovvero se questa o la ripresa del procedimento interrotto siano avvenute nei termini dell'art. 305 cod. proc. civ., ma vi sia stata, nelle more della quiescenza da interruzione, attività istruttoria rilevante per la causa interrotta, il giudice potrà, esercitando tale potere, disporre la separazione dagli altri procedimenti di quello colpito da evento interruttivo per il quale - se necessario - potranno eventualmente rinnovarsi tutti gli atti istruttori assunti senza la partecipazione della parte colpita dalla perdita di capacità processuale. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Presidente aggiunto -
Dott. SENESE Salvatore - Presidente di sezione -
Dott. DI NANNI Luigi Francesco - Consigliere -
Dott. TRIOLA Roberto Michele - Consigliere -
Dott. TRIFONE Francesco - Consigliere -
Dott. SALMÈ Giuseppe - Consigliere -
Dott. FORTE Fabrizio - rel. Consigliere -
Dott. MALPICA Emilio - Consigliere -
Dott. LA TERZA Maura - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi riuniti, iscritti ai n.ri 7662 e 8716 del Ruolo Generale degli affari civili del 2003, proposti da:
MAGNOTTI MARIA ANTONIETTA, domiciliata in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentata e difesa, per procura a margine del ricorso iscritto al n. 7662/03, dall'avv. SCOTTI GALLETTA Antonio del foro di Napoli;
- ricorrente -
nonché
D'APOLITO TOMMASO MICHELE, in proprio e quale legale rappresentante delle società a responsabilità limitata D'APOLITO TOMMASO, ITALINVEST e ITAL CHERRIES, elettivamente domiciliato in Roma, Via delle Cave di Pietralata n. 14, presso l'avv. MICHETTI Massimiliano, con gli avv.ti. Stefano Colucci e Nicolina Giuseppina Muccio, che rappresentano e difendono il D'Apolito e le dette società, per procure speciali in atti;
- ricorrenti -
contro
BANCA POPOLARE DELL'IRPINIA s.p.a., con sede in Avellino, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in Roma, Via Baiamonti n. 10, presso l'avv. Di Sabato Franco, che la rappresenta e difende, per procura ai margini dei due distinti controricorsi di replica ai ricorsi delle due richiamate controparti;
- controricorrente -
avverso la sentenza della Corte d'Appello di Napoli, Sezione Quarto Civile n. 335 del 18 gennaio - 1 febbraio 2002;
Udita alla Pubblica udienza del 3 aprile 2007, la relazione del Cons. Dott. Fabrizio Forte;
Uditi l'avv. Scotti Galletta, per la ricorrente Magnotti, e il P.M. Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Avellino, con sentenza del 23 giugno 1999, dichiarava estinto il processo nei quale erano state riunite le distinte opposizioni delle società a responsabilità limitata Italcherries, Italinvest e Tommaso D'Apolito, di quest'ultimo in proprio e di Maria Antonietta Magnotti, al decreto del suo Presidente del 26 gennaio 1996, che aveva loro ingiunto il pagamento alla Banca Popolare dell'Irpinia s.p.a., di L. 2.147.880.775 e accessori. Riunite le cause e sospesa la provvisoria esecuzione dell'ingiunzione, all'udienza del 9 febbraio 1998, il processo era dichiarato interrotto per il sopravvenuto fallimento della Tommaso Michele D'Apolito s.r.l. comunicato, "per delega dell'avv. Muccio", dall'avv. A. De Stefano; con atto del 22 ottobre 1998, la Banca popolare dell'Irpinia aveva chiesto di dichiarare l'estinzione del processo, per violazione del termine di sei mesi di cui all'art. 305 c.p.c., per la riassunzione del giudizio.
La sentenza, emessa dopo la comparizione delle parti e la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., dichiarava inammissibili le eccezioni delle parti sulla nullità della delega all'avv. De Stefano per difetto della forma scritta e estinto tutto il processo, con applicazione dell'art. 653 c.p.c.. Contro tale sentenza proponevano appello i cinque opponenti, assumendo tutti la illegittimità della interruzione dichiarata nonostante la nullità della comunicazione del fallimento della s.r.l. Tommaso D'Apolito, resa in udienza da procuratore diverso dal difensore di questa e privo di delega per iscritto a compiere tale atto e la sola Magnotti deducendo l'erronea estensione dell'interruzione e della estinzione anche al procedimento sorto dalla opposizione di lei, nel quale nessuna delle parti aveva perso la capacità processuale.
Per un evento riferibile ad altra parte opponente e verificatosi in altro procedimento la appellante lamentava la estinzione dichiarata anche del giudizio sorto dalla sua opposizione, che aveva reso esecutivo il decreto ingiuntivo; in subordine sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 299 e 274 c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., qualora tali norme nel diritto vivente dovessero precluderle la prosecuzione della sua azione. In appello, la Banca popolare dell'Irpinia s.p.a. si costituiva e chiedeva il rigetto dei gravami delle controparti, che erano riuniti e decisi con sentenza della Corte d'Appello di Napoli del 1 febbraio 2002, la quale rigettava entrambe le impugnazioni e condannava gli appellanti alle spese del grado.
La Corte ha confermato la pronuncia di primo grado, ritenendo tardiva e inammissibile l'eccezione di nullità della delega per difetto di forma scritta imposta dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 9, e riaffermando che l'interruzione riguardava tutto il processo, con conseguente infondatezza del secondo motivo di gravame della Magnotti.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto separati ricorsi, il primo (n. 7662 del R.G. del 2003) di due motivi, illustrati da più memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c., da Magnotti Maria Antonietta e il secondo (n. 8716 del medesimo R.G.), di un solo motivo, delle ss.rr.ll. Michele D'Apolito, Italcheries, Italinvest e Tommaso Michele D'Apolito in proprio e ha resistito, con distinti controricorsi, la Banca popolare dell'Irpinia s.p.a.. Con ordinanza del 17 luglio 2006 n. 16195, la Sezione Prima Civile di questa Corte, riuniti i due ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c., ha rilevato che, nel giudizio di merito, si è applicato il principio di diritto della giurisprudenza di questa Corte all'epoca uniforme della indivisibilità della interruzione del processo, anche se costituito da più procedimenti relativi a cause connesse trattati unitariamente o riuniti, dando atto che nelle more vi era stata una pronuncia difforme della Sezione Lavoro di questa Corte, che aveva affermato invece la scindibilità della vicenda interruttiva, rilevante nella sola causa di cui è parte il soggetto colpito dall'evento che l'ha determinata.
In ragione del rilevato contrasto tra sezioni semplici il Primo Presidente ha disposto che sulla questione si pronunci questa Corte a sezioni unite, ai sensi dell'art. 374 c.p.c., comma 2. MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo del ricorso della Magnotti e la impugnazione di Tommaso Michele D'Apolito e delle società da lui rappresentate, prospettano la questione pregiudiziale a quella oggetto di contrasto e relativa alla nullità della dichiarazione d'interruzione, il cui superamento solo può consentire l'esame della estensione dell'efficacia di tale vicenda nelle altre cause scindibili e connesse, nelle quali nessuna parte ha perso la capacità processuale (art. 75 c.p.c.).
La indicata pregiudizialità impone l'esame di detto motivo a queste sezioni unite, in deroga all'art. 142 disp. att. c.p.c., nella versione precedente alla novella di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 19, comma 1, lett. a (nello stesso senso S.U. 11 dicembre 2003 n. 18956, 1^ giugno 2004 n. 10478 e 24 aprile 2002 n. 6034). Viene denunciata violazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 9, convertito con modificazioni nella L. 22 gennaio 1934, n. 36, per essere nulla, perché priva di forma scritta, la delega, del difensore della s.r.l. Tommaso D'Apolito avv. Muccio all'avv. De Stefano, che ne ha dichiarato in udienza il fallimento, lamentando la Magnotti pure omessa motivazione su tale punto.
Non è logico affermare che l'eccezione poteva dedursi solo all'udienza ove fu resa la dichiarazione, data l'assenza in essa dell'avv. Muccio, difensore della società fallita ne' è comprensibile la pretesa sanatoria della delega nulla, desunta dalla Corte di merito per la omessa eccezione d'invalidità dell'atto con la prima difesa del difensore sostituito.
La Magnotti aggiunge, inoltre, che la delega non rinvenuta agli atti del processo, era da presumersi orale e quindi inesistente e comunque la sentenza impugnata non motiva nel negare rilievo alla eccezione di nullità della delega nella prima difesa contenuta nella memoria del 18 gennaio 1999 del suo difensore.
2. Correttamente la Corte d'Appello di Napoli afferma, alle pagg. 4 e 5 della sentenza, che "la nullità della delega per mancanza di forma scritta va rilevata dal giudice o opposta dalla controparte solo prima del compimento dell'atto per cui tale delega sia stata conferita" e può allegarsi ex post "purché nella prima istanza o difesa successiva, dalla parte il cui procuratore è stato irritualmente sostituito".
Risultano applicati l'art. 156 c.p.c., comma 3, per il quale "la nullità non può essere pronunciata, se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato" e art. 157 c.p.c., comma 2, che legittima solo "la parte nel cui interesse è stabilito un requisito" ad "opporre la nullità dell'atto per la mancanza del requisito stesso", peraltro "nella prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso".
La Corte d'Appello ha esattamente affermato la inammissibilità delle eccezioni di nullità della delega in applicazione del seguente principio di diritto: "Nell'ipotesi in cui il procuratore costituito venga sostituito per il compimento di singoli atti, la mancanza di delega scritta può essere rilevata d'ufficio o dalla controparte solo prima del compimento degli atti stessi, mentre l'eccezione successiva a tale momento è consentita soltanto alla parte il cui procuratore sia stato, di fatto ed irregolarmente, sostituito, nella prima istanza o difesa successiva alla notizia avuta dell'atto invalido" (Cass. 3 gennaio 2005 n. 29, 16 ottobre 2001 n. 12597, 10 giugno 1999 n. 5736, 18 febbraio 1996 n. 1574, tra molte). Il principio enunciato assorbe ogni problema sul preteso difetto di motivazione in ordine alla mancanza di legittimazione del difensore della Magnotti a eccepire la nullità della delega di un avvocato che non aveva compiuto alcun atto in suo nome.
3. Con il secondo motivo di ricorso, la sola Magnotti deduce violazione degli artt. 299 e 274 c.p.c., in rapporto all'art. 360 c.p.c., sollevando in subordine eccezione di illegittimità costituzionale di tali norme, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. , nella parte in cui non prevedono che l'effetto interruttivo sia limitato, nelle cause riunite, solo a quella o a quelle cui si riferisce l'evento che priva del potere di stare in giudizio una delle parti. Secondo la ricorrente, l'interruzione dell'intero processo per un evento riferibile ad una sola delle parti dei più procedimenti riuniti in primo grado, erroneamente è stata estesa anche alla causa da lei introdotta con la sua opposizione al decreto ingiuntivo, trattandosi di procedimenti scindibili, perché relativi alle più cause sorte dalla richiesta di adempimento di una obbligazione solidale.
La diversa interpretazione, fatta propria dai Giudici di merito, ha comportato che la ricorrente e le altre parti dei più procedimenti riuniti, sono state private del diritto di opporsi al decreto ingiuntivo, per un evento riferibile a un terzo e inerente a un altro procedimento, unito a quello in cui la ricorrente è parte per ragioni di mera opportunità.
La riunione di più procedimenti non impone alla parte di uno di essi di essere assoggettata al regime giuridico degli altri processi riuniti e il rimedio della riassunzione di alcune solo delle cause riunite non rende legittima la lettura delle norme data dai giudici di merito sulla interruzione, che colpisce il processo iniziato autonomamente dalla ricorrente solo perché il giudice lo ha riunito ad una causa connessa (art. 274 c.p.c.), nella quale una parte, diversa dalla ricorrente e dal creditore di questa, è stata colpita dalla perdita di capacità processuale.
4.1. Nel caso di cause contro più persone, connesse per oggetto o titolo ma non interdipendenti, il processo ad esse relativo, unitario all'origine perché iniziato da una sola domanda (art. 43 c.p.c.) o divenuto tale per effetto di riunione disposta dal giudice ex art. 274 c.p.c., è di regola scindibile nelle varie cause che lo compongono (art. 332 c.p.c.) e comporta litisconsorzio facoltativo delle parti evocate in giudizio, ex art. 103 c.p.c..
Nella presente fattispecie, le varie opposizioni dei più obbligati solidali (fideiussori e debitore garantito) al decreto ingiuntivo ottenuto dall'unica creditrice, hanno dato luogo a distinti procedimenti riuniti ex art. 274 c.p.c., ma rimasti autonomi (sull'autonomì a delle cause derivate da obbligazioni in solido, tra molte, Cass. 16 novembre 2006 n. 24425, 20 luglio 2006 n. 15954, 31 gennaio 2006 n. 2133).
In tali tipi di processi, il Giudice può disporre la separazione di uno o più dei procedimenti in essi confluiti, "quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo" (art. 103 cpv. c.p.c.).
Le stesse parti, con i loro poteri dispositivi del giudizio, possono impugnare o meno le distinte statuizioni delle sentenze relative a ciascuna causa connessa, determinando il proseguimento di alcuni dei procedimenti e la definizione di altri; le vicende ordinarie del processo (nascita, pendenza e definizione), in rapporto ai singoli procedimenti relativi a cause connesse in esso confluiti, sono autonome e scindibili e tale divisibilità si ritiene applicabile anche ad alcune delle vicende anomale del processo, come la sospensione e la estinzione.
Per la interruzione si afferma invece che, se l'evento che la provoca colpisce un soggetto che è parte in tutti o in uno soltanto dei procedimenti scindibili, essa si ripercuote comunque su tutto il processo; nel caso di più opposizioni a decreto ingiuntivo, l'affermazione è condivisibile quando l'evento interruttivo si verifichi in riferimento all'unico creditore, che sia parte in tutti i procedimenti connessi, la cui mancanza di capacità di difendersi si riverbera quindi in ciascuno di essi.
Diverso è invece il caso in cui colpito dall'evento interruttivo è una parte di uno o di alcuni dei più procedimenti unitariamente trattati o riuniti; quando ciò accada, sorge la questione dell'efficacia dell'interruzione sui soli procedimenti in cui le parti hanno subito la situazione di minorata difesa dell'art. 299 c.p.c. e segg., o su tutto il processo.
4.2. In rapporto ai procedimenti riuniti ai sensi dell'art. 274 c.p.c., questa Corte ha affermato più volte che "la vicenda interruttiva, ancorché relativa solo alle parti di una delle cause riunite, opera rispetto all'intero procedimento e dunque per tutte le cause in esso confluite, per cui, non essendo ammissibile una interruzione parziale, non è dato distinguere tra i vari rapporti dedotti in giudizio al fine di escludere l'effetto interruttivo per quelli cui risultino estranei i litiganti riguardo ai quali si sono verificati gli eventi che hanno dato causa all'interruzione. Solo quando sì a anche implicitamente disposta la separazione delle cause è possibile, infatti, evitare che l'effetto interruttivo investa tutte le parti del "simultaneus processus" (così, da ultimo, Cass. 16 luglio 2005 n. 15095). Tale orientamento inizia con Cass. 17 luglio 1956 n. 2754, che, per un interventore qualificato parte, affermò che "le cause di interruzione che si verificano rispetto a lui non possono non determinare la interruzione unitaria del processo, anche nei confronti delle altre parti" e prosegue in Cass. 25 settembre 1964 n. 2422, la quale negò l'ammissibilità di una estinzione parziale del processo per essere inammissibile una interruzione parziale, affermandosi poi (Cass. 10 febbraio 1987 n. 1383) che ciò accade "perché non è dato distinguere tra i rapporti dedotti in giudizio, al fine di escludere il fenomeno interruttivo per quelli di cui non fanno parte i litiganti, riguardo ai quali si sono verificati gli eventi che hanno dato causa all'interruzione". Qualche attenuazione alla rigidità delle scelte riportate si è avuta con il riconoscimento del potere delle parti, non colpite dagli eventi di cui all'art. 299 c.p.c. e segg., di riassumere "il solo giudizio riguardante la causa alla quale siano interessate, delimitando a questa la riattivazione del processo e lasciando operare l'estinzione di questo in relazione alle altre vertenze" (così Cass. 14 ottobre 1993 n. 10167); nel caso si verificherebbe, anche in mancanza di "un provvedimento formale...la separazione delle due cause", sancendosi "che il giudizio prosegue solo relativamente alla causa non colpita dall'evento interruttivo", con estinzione del solo procedimento non tempestivamente riassunto di cui è parte il soggetto colpito dall'evento interruttivo (Cass. 2 aprile 1997 n. 2866, cui si ispirano Cass. 21 settembre 2000 n. 12501 e 18 ottobre 2001 n. 12706). Per la riassunzione di uno o di alcuni dei più procedimenti riuniti, si è pronunciata anche la Corte Costituzionale, con l'ordinanza 27 gennaio 1999 n. 18, affermando che essa determina la separazione di tali cause da quelle non riassunte. Questa Corte ha riconosciuto la estinzione di alcuni soltanto di più procedimenti riuniti, in quanto "l'eccezione di estinzione del giudizio, nella specie per inosservanza delle formalità stabilite dall'art. 303 c.p.c., comma 2, può essere sollevata, ai sensi dell'art. 307 c.p.c., u.c., solo dalla parte interessata, e in caso di unico processo con pluralità di cause, essa non può farsi valere da chi non è parte della causa in cui la fattispecie estintiva si ha" (Cass. 27 febbraio 1997 n. 1752).
Da questa ultima sentenza parte della dottrina ha desunto argomenti a favore della c.d. scindibilità o divisibilità della interruzione mentre si è riaffermato in giurisprudenza il solo potere di riassunzione parziale (Cass. 2 marzo 2004 n. 4249) e s'è negata l'estinzione parziale dopo una interruzione totale del processo (Cass. 4 marzo 2004 n. 4412).
In contrasto consapevole con il principio di cui sopra che nega la divisibilità della interruzione del processo, è la sentenza di questa Corte 25 febbraio 2002 n. 2676, secondo la quale, "nel caso di riunione di procedimenti relativi a cause connesse, l'evento interruttivo, che interessa la parte di uno di detti procedimenti, non intacca minimamente l'effettività del contraddittorio rispetto alle parti degli altri procedimenti connessi (e, come tali, scindibili e tra loro autonomi), ne' viene a ledere l'attività difensiva o una efficiente rappresentanza tecnica di dette parti. Ne consegue che, nel caso di specie, l'interruzione del processo deve essere dichiarata limitatamente alla parte colpita dall'evento interruttivo e non in riferimento all'intero processo" (così pure Cass. 13 settembre 2003 n. 13471).
La Corte giunge a tale scelta difforme dai precedenti, considerando l'autonomia dei singoli procedimenti riuniti e mantiene distinta la scindibilità della interruzione dalla separabilità delle cause riunite ai sensi dell'art. 103 c.p.c., comma 2, pur rilevando che la separazione può disporsi, quando il Giudice "ritenga che siano venuti meno i motivi di opportunità che avevano giustificato il simultaneus processus".
In replica a tale orientamento, Cass. 1 ottobre 2002 n. 14102 afferma che la tesi della scindibilità della interruzione, la quale darebbe luogo alla prosecuzione del giudizio per le cause connesse e alla separazione di quello interrotto, in caso di mancata riassunzione nei sei mesi per non essere più conveniente una trattazione unitaria, rischia di violare il contraddittorio verso la parte colpita dallo evento interruttivo; l'assunzione di prove nella prosecuzione delle altre vertenze riunite e durante la quiescenza del processo interrotto, senza la partecipazione della parte priva della capacità di stare in giudizio, fa preferire di nuovo la tesi
dell'indivisibilità della interruzione.
4.3. Nella concreta fattispecie oggetto di questa causa si ha un caso di litisconsorzio facoltativo, per essersi richiesto l'adempimento dell'obbligazione dall'unico creditore con un solo decreto ingiuntivo a più debitori in solido (nello stesso senso, cfr. tutta la giurisprudenza da Cass. 4 marzo 1998 n. 2406 a Cass. 4 dicembre 2006 n. 26852).
Il provvedimento di riunione è stato espressione di un potere discrezionale del giudice che non sarebbe stato censurabile neppure se contenuto in una sentenza (così Cass. 4 ottobre 2004 n. 19840 e 5 agosto 2003 n. 11831); per effetto di esso, il presente processo deve ritenersi unico anche se costituito dalla pluralità dei procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo proposti dagli odierni ricorrenti.
Nel caso di specie, uno solo degli opponenti ha perso in primo grado la capacità processuale per effetto della dichiarazione di fallimento, ma la interruzione si è dichiarata con riferimento al processo intero che è stato dichiarato estinto, come i procedimenti in esso confluiti, per tardiva riassunzione.
4.4. Come chiarito dal giudice delle leggi, la interruzione "è finalizzata esclusivamente alla tutela della parte colpita dall'evento, la quale, anche se costituita, potrebbe essere pregiudicata nel suo diritto di azione o di difesa, dalla prosecuzione del processo" (C. Cost. 18 giugno 2003 n. 249) ed ha quindi la funzione "di consentire alla parte nonostante sia stata colpita da un evento che ne pregiudica, per così dire, l'integrità - di difendersi in giudizio, usufruendo di tutti i poteri e facoltà che la legge le riconosce" (C. Cost. 26 gennaio 2005 n. 109). La normativa prevede un'interruzione automatica del processo nel quale una parte sia stata colpita dalla perdita della capacità di stare in giudizio, che ne determina stasi o quiescenza temporanea, non solo per impedire il compimento di atti istruttori inopponibili a detta parte priva della capacità di difendersi, ma pure per evitare preclusioni o decadenze in suo danno (così C. Cost. 12 dicembre 1967 n. 139).
A tale funzione della vicenda consegue la natura negoziale della dichiarazione dell'evento interruttivo ai sensi dell'art. 300 c.p.c., dal difensore della parte colpita da esso, al quale solo è rimessa la valutazione della opportunità e convenienza di tale comunicazione; ad essa è collegato il rilievo che si da alla "conoscenza" dell'interruzione, invece che al suo mero verificarsi, per il decorso dei termini di prosecuzione o riassunzione di cui all'art. 305 c.p.c.. Come già detto, la Corte Costituzionale, nella ordinanza n. 18 del 1999, ha affermato che "il processo interrotto può essere legittimamente riassunto o proseguito anche solo parzialmente, con riferimento cioè ad una soltanto delle cause scindibili da cui esso è composto, senza che da ciò derivi alcuna limitazione dei diritti delle parti", producendosi solo "l'effetto della separazione in atto di cause scindibili - che già potevano esserlo sin dall'inizio - le quali vengono ad essere in quel momento scisse".
Il Giudice delle leggi, pur non prendendo posizione sulla scindibilità dell'interruzione, interpreta la legge nel senso che, nel caso di più procedimenti riuniti, può comunque verificarsi l'estinzione di uno o più di essi, per effetto di una riassunzione esclusiva nei termini solo di altri giudizi.
4.5. Nel caso di processo unitario scindibile o riunito la interpretazione letterale della legge, in specie delle parole "il processo è interrotto", di cui all'art. 299 c.p.c., è compatibile con un rilievo della vicenda interruttiva solo in riferimento ad uno o ad alcuni dei più procedimenti trattati, cioè a quello o a quelli di cui è parte il soggetto colpito da perdita della capacità processuale.
La norma citata, pure nel caso di procedimenti che in seguito potranno essere oggetto di riunione, regola una interruzione nella fase precedente alla costituzione delle parti e al provvedimento che riunisce le cause, il quale non può aversi prima della udienza per la chiamata delle cause da riunire. Che l'art. 299 c.p.c., si riferisca alle sole parti di una o più delle controversie connesse è chiaro, perché legittima alla ripresa del processo i soli soggetti succeduti a chi ha perso la capacità di stare in giudizio e conferisce il potere di riassumere il giudizio nei loro confronti soltanto per "l'altra parte" della stessa causa.
La locuzione attiene quindi a uno dei procedimenti relativi a cause scindibili che costituiscono il processo unitario ovvero non ancora riunito agli altri, del quale sono nella norma individuate le parti:
quella che ha perso la capacità processuale (art. 75 c.p.c.) e deve essere sostituita da altri soggetti nell'agire o nel difendersi e l'altra legittimata a riassumere il processo nei suoi confronti. Tale interpretazione letterale non è superata allorché l'interruzione si verifichi dopo la costituzione e la riunione, ai sensi dell'art. 300 c.p.c., per effetto della dichiarazione di cui al comma 1, di tale norma; le medesime parole "il processo è interrotto", usate negli artt. 300 e 301 c.p.c., che richiamano l'articolo che li precede, così come il riferimento alla prosecuzione o riassunzione di tale procedimento (artt. 302 e 303 c.p.c.), non possono che leggersi nei medesimi limiti di cui all'art. 299 c.p.c., cioè in rapporto al singolo o ai singoli procedimenti confluenti nel processo unitario o riunito.
Analogo rilievo hanno, sul piano dell'interpretazione letterale, gli artt. 302 e 303 c.p.c., il primo dei quali regola la prosecuzione del processo dai soggetti legittimati in sostituzione della parte incapace, i quali devono ovviamente informare "tutte" le altre parti e non solo quella loro contrapposta nella controversia, della udienza in cui riprenderanno a partecipare al contraddittorio, facendo conoscere a dette parti l'udienza a partire dalla quale saranno loro opponibili le attività istruttorie che si svolgeranno. La parte colpita dall'evento interruttivo o i suoi successori riprendono il procedimento con la costituzione nei modi dell'art. 166 c.p.c., cioè come se fossero comunque convenuti e senza domande in via principale nei confronti delle altre parti, cui notificano il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza, solo se questa non sia fissata per dare notizia della loro partecipazione al processo. L'art. 303 c.p.c., regola la riassunzione del giudizio, a cura della parte non colpita dagli eventi interruttivi, che deve notificare il ricorso in riassunzione (art. 125 disp. att. c.p.c.), con il decreto di fissazione dell'udienza, ai soggetti cui spetta di costituirsi per proseguire il processo (comma 1) e, in caso di morte, entro un'anno da tale evento, con gli estremi della domanda, collettivamente e impersonalmente agli eredi nell'ultimo domicilio del defunto; "alle altre parti" va notificato il decreto di fissazione della udienza e non detto ricorso, come se per esse non vi fosse stata
l'interruzione.
Lo stesso richiamo dell'art. 304 c.p.c., all'art. 298 c.p.c., in ordine agli effetti dell'interruzione, dopo la quale "non possono essere compiuti atti del procedimento", può riferirsi alla singola causa confluita nel processo e non a questo unitariamente considerato o ai più procedimenti riuniti.
Della riassunzione e della ripresa del processo va data notizia alle altre parti perché possano valutare l'opportunità di sollecitare una eventuale separazione, se non disposta dal Giudice, del processo riassunto tardivamente ovvero richiedere la immediata ripresa degli atti istruttori, in caso di riassunzione tempestiva. La lettera della legge è compatibile con la divisibilità della interruzione, che va dichiarata solo nei procedimenti in cui è parte il soggetto colpito dalla perdita di capacità, potendo le altre cause proseguire, salvo il potere del giudice di separare tali procedimenti da quello interrotto.
La interpretazione che precede risulta confermata sul piano sistematico dal rilievo che, come s'è accennato, è ammessa da tutta la giurisprudenza la sospensione o la estinzione parziale di un processo; per tali casi, la lettera delle norme relative a tali istituti che pure si riferisce al "processo sospeso" o "estinto" non ha mai costituito ostacolo per limitare la incidenza di tali vicende del giudizio a uno o più dei procedimenti che convergono nel processo stesso. In quanto la controversia che impone la sospensione sia pregiudiziale ad una sola delle cause, oggetto di uno o di più dei procedimenti riuniti, solo questo o questi dovranno essere sospesi, così come si dichiarerà estinto solo il giudizio di cui sia parte quella "interessata", che l'art. 307 c.p.c., legittima a sollevare la eccezione relativa, "prima di ogni altra sua difesa". In quanto la interruzione è funzionale all'esercizio del diritto di agire o di difendersi, in un processo riunito in cui vi sono più parti, essa opera solo nel procedimento nel quale è attore o convenuto il soggetto colpito dall'evento interruttivo, nel quale solo vi è l'esigenza di impedire il compimento di atti che possano danneggiarlo.
Consegue che, allorché il soggetto che perde la capacità processuale è parte di tutti i procedimenti riuniti o unitariamente trattati ovvero di una causa pregiudiziale alle altre oggetto dei vari giudizi, tutto il processo si interromperà, con valutazione sul punto rimessa al Giudice del merito che peraltro evidenzia che tali situazioni ritenute di ostacolo alla soluzione della scindibilità dell'interruzione hanno un rilievo di mero fatto e non di diritto. La scindibilità della interruzione risulta coerente con la funzione dell'istituto, che riguarda solo una parte e quindi si riflette di regola in una sola delle cause connesse, oggetto di uno dei più procedimenti riuniti, per il quale si pone il problema di impedire il compimento di atti istruttori in assenza della parte che non può difendersi e quello di evitare il verificarsi di preclusioni in suo danno.
4.6. La interruzione costituisce una vicenda anomala del processo come la sospensione e la estinzione e dovrebbe, sul piano sistematico, essere regolata in modo analogo a tali altre fattispecie che si riconosce in genere che sono scindibili e possono quindi incidere solo su alcuni e non su tutti i procedimenti oggetto dell'unico giudizio unitario o riunito. Vi è la sospensione di una o più cause di uno stesso processo (ordd. Cass. 29 novembre 2005 n. 26032, 5 aprile 2005 n. 7079, 19 maggio 2004 n. 9573, 11 ottobre 2002) e la estinzione che colpisce solo uno o più dei procedimenti riuniti, nel quale la parte interessata sollevi la relativa eccezione ai sensi dell'art. 307 c.p.c., u.c. (Cass. 26 aprile 2005 n. 8670, 23 luglio 2003 n. 11455, 11 febbraio 2000 n. 1519 e 4 marzo 1998 n. 2406).
La interruzione, ai sensi dell'art. 304 c.p.c., produce gli stessi effetti della sospensione di cui all'art. 298 c.p.c., e, per tale profilo, non è spiegabile, perché debba essere necessariamente totale e non possa determinare invece stasi o quiescenza di uno o ad alcuni soltanto dei procedimenti riuniti.
Con il decorso dei termini di cui all'art. 305 c.p.c., si determina la estinzione, la quale, quando la interruzione sia avvenuta in toto, il che dovrebbe verificarsi sempre secondo la tesi prevalente già esposta, non darebbe luogo mai a estinzione parziale, che è invece ordinariamente ammessa.
In sostanza, per la giurisprudenza prevalente, la interruzione dovrebbe ritenersi sempre indivisibile o inscindibile, anche se derivante da vicende del processo relative solo ad una delle parti di uno dei più procedimenti riuniti, che dovrebbero ritenersi di conseguenza riferibili solo a questo, come è confermato dall'art. 298 c.p.c., che ha riguardo alla quiescenza dei singoli "procedimenti", pur se "sospeso" è il "processo" ex artt. 295 e 297 c.p.c..
Anche l'art. 307 c.p.c., prevedendo l'operatività di diritto dell'estinzione su eccezione della parte "interessata", riguarda solo il procedimento cui questa partecipa e non gli altri. La interruzione del singolo processo confluito in quello unitario o riunito, nel quale è parte il soggetto colpito dall'evento interruttivo, nessuna lesione comporta del contraddittorio, perché anche l'eventuale compimento di atti istruttori dopo che essa si verifica, non è opponibile alla parte che ha perso la capacità di difendersi.
Comunque ogni eventuale conseguenza violativa del contraddittorio può essere evitata da un'accorta gestione del processo dal giudice che o può separare le cause prima del compimento degli atti istruttori ovvero può rinviare l'assunzione di questi ultimi in una fase successiva al periodo (breve) di cui all'art. 305 c.p.c.. Affermare che l'interruzione di uno dei procedimenti riuniti deve estendersi, come accaduto nel caso, agli altri processi, nei quali non vi è alcuna parte a tutela della quale debba porsi in stato di quiescenza temporanea il giudizio, contrasta con chiari principi di economia processuale.
Più corretto appare dichiarare interrotto il solo procedimento per il quale si è verificato l'evento interruttivo, disponendo eventualmente la separazione di esso dagli altri, allorché la continuazione della riunione possa dar luogo a violazioni del contraddittorio.
La legge non impone una separazione automatica o necessaria e anche per tale profilo non può ritenersi preclusa una interruzione divisibile e relativa al solo procedimento di cui è parte il soggetto colpito dalla perdita della capacità processuale. Una lettura delle norme che comporti l'inscindibilità dell'interruzione e la continuazione della riunione dei processi, anche se questa dovesse ritardare ai sensi dell'art. 103 c.p.c., la risoluzione dei procedimenti di cui sono parti i soggetti che non hanno perduto la capacità processuale ne' sono in contrasto nelle loro cause con coloro che tale capacità hanno avuto ridotta o persa, potrebbe contrastare l'art. 111 Cost., comma 2, novellato e con il principio della ragionevole durata del processo, potendo ritardare la risoluzione degli altri procedimenti in questo confluiti. Inoltre, nella fattispecie, la considerazione unitaria della interruzione e la estinzione conseguente anche dei processi relativi ad altri debitori in solido, con l'effetto di cui all'art. 653 c.p.c., sul decreto ingiuntivo oggetto di opposizione, potrebbe contrastare pure con il lo stesso art. 111 Cost., comma 1, novellato, perché il giusto processo tende a individuare le ragioni e il torto delle parti e non a chiudersi, come è accaduto, sulla base di preclusioni processuali che hanno determinato l'esecutività e definitività del decreto ingiuntivo anche per la Magnotti, che non era parte della causa in cui si è verificato l'evento interruttivo. Il presupposto del carattere temporaneo e limitato della stasi del processo colpito da interruzione, che giustificherebbe il preteso carattere indivisibile dell'istituto e la sua estensione anche ad altri procedimenti, le cui parti non sono state colpite da perdita della capacità processuale, non evita il grave danno che la soluzione comporta per tali parti, che vedono dichiarato estinto il processo relativo alla loro causa, solo per la connessione di questa a quella colpita dalla vicenda interruttiva.
Nel caso di più procedimenti relativi a cause connesse trattati unitariamente, il verificarsi della perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti comporta la interruzione del solo giudizio relativo alla causa di cui è parte il soggetto che tale perdita ha subito, la quale non comporta automaticamente la separazione di tale causa dalle altre ad essa riunite, anche se la stessa può sempre disporsi dal Giudice, ai sensi dell'art. 103 cpv. c.p.c..
Solo nella fase successiva alla pubblicazione della sentenza che conclude un procedimento relativo a più cause scindibili e nel tempo previsto per la impugnazione di questa, fase in cui non vi è un giudice che può adottare eventuali provvedimenti di separazione, il codice di rito prevede, nel caso si abbia la perdita di capacità di una delle parti, una interruzione dei termini per impugnare e un rinnovo di essi, sancendo una proroga espressamente rilevante "per tutte le parti" (art. 328, comma 1 e u.c.), rioperando la c.d. scindibilità delle cause solo dopo il gravame, ex art. 332 c.p.c., come già precisato.
Pertanto, il secondo motivo del ricorso della Magnotti deve essere accolto in applicazione del seguente principio di diritto: "Nel caso di trattazione unitaria o di riunione di più procedimenti relativi a cause connesse e scindibili che comporta di regola un litisconsorzio facoltativo tra le parti dei singoli procedimenti confluiti in un unico processo, qualora si verifichi un evento interruttivo che riguardi una delle parti di una o più delle cause connesse, l'interruzione opera di regola solo in riferimento al procedimento di cui è parte il soggetto colpito dall'evento. Nel caso, non è necessaria o automatica la contestuale separazione del processo interrotto dagli altri riuniti o trattati unitariamente, che non devono subire una stasi temporanea; salvo sempre il potere attribuito al giudice dall'art. 103 c.p.c., comma 2, per il quale, in caso di mancata tempestiva riassunzione ovvero quando questa o la ripresa del procedimento interrotto siano avvenute nei termini dell'art. 305 c.p.c., ma vi sia stata, nelle more della quiescenza da interruzione, attività istruttoria rilevante anche per la causa de qua, detto Giudice potrà disporre la separazione dagli altri procedimenti di quello colpito da evento interruttivo, per il quale sarà necessario potranno eventualmente rinnovarsi tutti gli atti istruttori assunti senza la partecipazione della parte colpita dalla perdita di capacità processuale".
5. Il rigetto del ricorso n. 8716 del Ruolo Generale degli affari civili del 2003 di Tommaso Michele D'Apolito in proprio e quale legale rappresentante delle società a responsabilità limitata Italinvest, Ital Cherries, e Tommaso D'Apolito, comporta la definitività per tali ricorrenti della sentenza impugnata e del rigetto del loro appello avverso la sentenza del Tribunale di Avellino del 23 giugno 1999 e nei confronti della s.p.a. Banca Popolare dell'Irpinia e la conferma delle statuizioni accessorie sulle spese di causa dei gradi di merito tra tali parti, apparendo invece equa, per la presente fase di legittimità, la totale compensazione delle spese tra dette parti.
L'accoglimento del secondo motivo del ricorso della Magnotti, determina invece, soltanto nei riguardi di tale parte e della sua pretesa creditrice, la cassazione della sentenza di appello in relazione al motivo accolto; deve però respingersi la richiesta della ricorrente di rimettere gli atti al Tribunale di Avellino, ai sensi degli artt. 383 e 354 c.p.c., in quanto nel caso non si è avuta in primo grado una sentenza dichiarativa dell'estinzione del processo, ai sensi dell'art. 308 cpv. c.p.c., ne' alcuna perdita di contraddittorio, avendo il Tribunale emesso la sua sentenza dopo aver disposto la comparizione delle parti e concesso a queste i termini di cui all'art. 190 c.p.c., per il deposito delle loro comparse conclusionali.
La pronuncia di primo grado ha deciso inoltre pure in ordine alla validità della interruzione e all'ammissibilità dell'eccezione di nullità della delega all'avvocato che aveva comunicato l'evento interruttivo, dichiarando la estinzione ai sensi dell'art. 307 c.p.c., u.c., per la mancata riassunzione nei termini dell'art. 305 c.p.c., dedotta dalla stessa parte che aveva provveduto a riassumere il processo con la sua prima difesa (così Cass. 15 luglio 1980 n. 4545 e 9 luglio 1987 n. 5976).
Comunque la stessa Corte d'Appello non ha applicato l'art. 130 disp. att. c.p.c., confermando quindi che la estinzione dichiarata dalla sentenza di primo grado non è stata quella di cui all'art. 308 c.p.c., perché nessuna delle parti dinanzi al Tribunale è stata privata dei suoi diritti al contraddittorio, per cui non deve rimettersi la causa al primo giudice ai sensi dell'art. 354 c.p.c., comma 2 (per un caso di estinzione del tipo di quello dell'art. 308 c.p.c., cfr. Cass. 14 dicembre 2006 n. 26832).
Nella fattispecie concreta di vizio processuale della sentenza del Tribunale, consistito nella interruzione e conseguente estinzione estesa anche a procedimenti relativi a cause nelle quali nessuna delle parti era stata colpita dalla perdita di capacità processuale, detto vizio, ai sensi dell'art. 161 c.p.c., è stato correttamente convertito in motivo di appello.
Pertanto deve essere cassata la sentenza impugnata, in relazione al secondo motivo di ricorso della Magnotti e la causa deve rinviarsi ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli, perché, in sede di rinvio, uniformandosi ai principi di diritto enunciati, provveda sul merito della opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla odierna ricorrente e sulle spese dell'intero processo, compresa la presente fase di legittimità, tra detta parte e la Banca creditrice. P.Q.M.
La Corte, sui ricorsi riuniti n. 7662 e 8716 del ruolo degli affari civili del 2003:
a) rigetta il ricorso n. 8716 di Tommaso Michele D'Apolito in proprio e quale legale rappresentante delle s.r.l. Italinvest e Ital Cherries e della s.r.l. Tommaso D'Apolito nei confronti della Banca Popolare dell'Irpinia s.p.a. e compensa le spese di questa fase tra tali parti;
b) rigetta il primo motivo e accoglie il secondo motivo del ricorso n. 7662 di Maria Antonietta Magnotti e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto. Rinvia la causa dinanzi ad altra sezione della Corte d'Appello di Napoli, perché, uniformandosi al principio di diritto di cui in motivazione, decida sulla opposizione della Magnotti al decreto ingiuntivo emesso il 26 gennaio 1996 in favore della Banca Popolare dell'Irpinia, provvedendo pure sulle spese tra tali parti per l'intero giudizio, compresa la presente fase di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 3 aprile 2007. Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2007