La Responsabilità del Medico


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 7914 - pubb. 10/10/2012

“Diritto a non nascere se non sano”; nascita indesiderata e diritto del minore malformato al risarcimento

Cassazione civile, sez. III, 02 Ottobre 2012, n. 16754. Est. Travaglino.


Omessa diagnosi di malformazione del feto – Conseguente nascita indesiderata – Lesione dell'autodeterminazione della gestante – Sussiste.

Omessa diagnosi di malformazione del feto – Conseguente nascita indesiderata – Lesione dell'autodeterminazione della gestante – Propagazione delle conseguenze dell'illecito anche ai fratelli e sorelle – Sussiste.

Nascituro – Diritto al risarcimento qualora il consenso informato circa il rischio di malformazioni prenatali sarebbe stato funzionale soltanto alla interruzione di gravidanza da parte della donna – Esclusione a partire da Cass. Civ. n. 14488/2004 confermata da Cass. Civ. 10741/2009 – Revirement – “Diritto a non nascere se non sano” come locuzione equivoca.



In tema di responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata, l'inadempimento del medico rileva in quanto impedisce alla donna di compiere la scelta di interrompere la gravidanza. Infatti la legge, in presenza di determinati presupposti, consente alla donna di evitare il pregiudizio che da quella condizione del figlio deriverebbe al proprio stato di salute e rende corrispondente a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza se informata di gravi malformazioni del feto. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

L’indagine sulla platea dei soggetti aventi diritto al risarcimento del danno in caso di nascita indesiderata, non può non essere estesa, oltre che al padre anche ai fratelli e alle sorelle del neonato, dei quali non può non presumersi l’attitudine a subire un serio danno non patrimoniale, anche a prescindere dagli eventuali risvolti e delle inevitabili esigenze assistenziali destinate ad insorgere, secondo l’id quod plerumque accidit, alla morte dei genitori. Danno intanto consistente, tra l’altro nella inevitabile, minor disponibilità dei genitori nei loro confronti, in ragione del maggior tempo necessariamente dedicato al figlio affetto da handicap, nonché nella diminuita possibilità di godere di un rapporto parentale con i genitori stessi costantemente caratterizzato da serenità e distensione; le quali appaiono invece non sempre compatibili con lo stato d’animo che ne informerà il quotidiano per la condizione del figlio meno fortunato; consci - entrambi i genitori - che il vivere una vita malformata è di per sé una condizione esistenziale di potenziale sofferenza, pur senza che questo incida affatto sull’orizzonte di incondizionata accoglienza dovuta ad ogni essere umano che si affaccia alla vita qual che sia la concreta situazione in cui si trova - principio cardine non di una sola, specifica morale, ma di una stessa ed universale Etica (e bioetica) della persona, caratterizzata dalla insostituibile centralità della coscienza individuale. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Va riconosciuto al neonato/soggetto di diritto/giuridicamente capace (art. 1 c.c.) il diritto a chiedere il risarcimento dal momento in cui è nato. In caso di cd. nascita indesiderata, la domanda risarcitoria avanzata personalmente dal bambino malformato trova il suo fondamento negli artt. 2, 3, 29, 30 e 32 della Costituzione. Il vulnus lamentato da parte del minore malformato, difatti, non è la malformazione in sé considerata - non è, in altri termini, l’infermità intesa in senso naturalistico (o secondo i dettami della scienza medica), bensì lo stato funzionale di infermità, la condizione evolutiva della vita handicappata intese come proiezione dinamica dell’esistenza che non è semplice somma algebrica della vita e dell’handicap, ma sintesi di vita ed handicap, sintesi generatrice di una vita handicappata. Non è a discorrersi, pertanto, di non meritevolezza di una vita handicappata, ma una vita che merita di essere vissuta meno disagevolmente, attribuendo direttamente al soggetto che di tale condizione di disagio è personalmente portatore il dovuto importo risarcitorio, senza mediazioni di terzi, quand’anche fossero i genitori, ipoteticamente liberi di utilizzare il risarcimento a loro riconosciuto ai più disparati fini. Conseguentemente, risulta innegabile come l’esercizio del diritto al risarcimento da parte del minore in proprio non sia in alcun modo riconducibile ad un impersonale “non nascere”, ma si riconnetta, personalmente e soggettivamente, a quella singola, puntuale e irripetibile vicenda umana che riguarda quel determinato (e altrettanto irripetibile) soggetto che, invocando un risarcimento, fa istanza al giudice di piena attuazione del dettato costituzionale dianzi evocato, onde essere messo in condizione di poter vivere meno disagevolmente, anelando ad una meno incompleta realizzazione dei suoi diritti di individuo singolo e di parte sociale scolpiti nell’art. 2 della Costituzione. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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