Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 167 - pubb. 01/07/2000

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Tribunale Verona, 31 Dicembre 2004. Est. Mirenda.


Omologazione di delibera di assemblea straordinaria – Rifiuto del notaio di chiedere l’iscrizione nel registro delle imprese – Controllo di legittimità e di merito nel procedimento di omologazione.



Nell’ambito del procedimento di omologazione di delibera assembleare si attua un controllo con preminente funzione di verifica della corrispondenza dell’atto con il “tipo legale” corrispondente.
Tale controllo si esplica su un piano di mera legittimità al quale deve restare estranea ogni valutazione di merito, riservata invece alla sede giurisdizionale contenziosa (art. 2377 c.c.).
Deve pertanto ritenersi illegittimo il rifiuto del notaio di dare impulso all’iscrizione nel registro delle imprese della delibera assembleare la quale, oltre a provvedere all’adeguamento dello statuto sociale alle nuove disposizioni contenute nei d.l. 5 e 6/2003, operi modifiche allo statuto per le quali siano prescritti più alti quorum deliberativi. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


IL GIUDICE

sciogliendo la riserva che precede, osserva:

L'istante, nella veste di presidente e amministratore delegato della società Alfa s.p.a., chiede l'omologazione della delibera di assemblea straordinaria tenutasi il 29 settembre 2004 (avente ad oggetto " modifiche di alcuni articoli dello statuto sociale per adeguamento nuove disposizioni contenute nei dd.ll. 5/6 del 17 gennaio 2003 "), avendo il notaio ritenuto di non poter dare impulso all'iscrizione della delibera presso il Registro delle Imprese, stante il mancato rispetto del quorum deliberativo di cui al quarto comma dell'articolo 11 del vecchio statuto, per il quale "le deliberazioni dell'assemblea straordinaria sono valide se approvate, fin prima e seconda convocazione, col voto favorevole del 81% del capitale sociale".

Nella fattispecie è pacifico che la deliberazione della cui omologazione si tratta è stata adottata con maggioranza dell'86,65% dei votanti, pari a 76,72 % del capitale sociale e, con il 13,35% di voti contrari, pari all'11,880 % del capitale sociale.

Di qui il puntuale rilievo del notaio il quale - nel comunicare al Consiglio di Amministrazione ex articolo 2436 cod. civ. il diniego di cui sopra - ha ritenuto inapplicabile alla fattispecie il disposto dell'articolo 223 bis comma III delle disposizioni di attuazione del codice civile, sulla premessa che non si tratterebbe di modifiche destinate al mero adattamento dello statuto alle norme inderogabili introdotte dalla nuova disciplina societaria ovvero all’inserimento di clausole miranti a disapplicare norme derogabili della nuova disciplina.

L'attenzione del notaio si concentra, in particolare, sulle modifiche apportate agli artt. 3, 4, 8, 9, 10, 21 dello statuto, a mezzo delle quali viene ampliato in modo significativo l'oggetto sociale, viene ridotta la durata della società, viene introdotto un regolamento per i lavori dell'assemblea, si dispone la mera facoltatività della comunicazione "personale" ai soci dell'avviso di convocazione d’assemblea, si dispone, infine, lo spostamento della data di chiusura dell'esercizio sociale.

Osserva il notaio, in senso ostativo, che alcuna norma imperativa del d. lgs. n. 6/2000 impone siffatte modificazioni (della cui astratta utilità peraltro egli conviene) sì che egli, nel riscontrare il difetto delle maggioranze statutarie all'uopo previste,"... non ritiene adempiute le condizioni stabilite dalla legge per l'iscrizione nel Registro delle Imprese delle deliberazioni assunte dall'assemblea straordinaria dei soci della società Alfa s.p.a. " in data 29 settembre 2004”.

A fronte di tali rilievi la società ricorrente, con ampia motivazione, insiste per l'omologazione della delibera e per la conseguente iscrizione presso il Registro delle Imprese.

Ciò premesso in fatto, il Tribunale, sciogliendo la riserva, osserva quanto segue:

il ricorso fondato.

È ben vero, come osserva il notaio, che nella fattispecie in esame non ricorrono le ipotesi di legge di cui all'articolo 223 bis disp. att. C.c., che legittimano le modificazioni statutarie con le maggioranze ivi contemplate. E’ parimenti vero, poi, che la delibera in questione avrebbe dovuto essere adottata con le superiori maggioranze statutarie.

Sennonché, come bene rileva la difesa dell’istante, il vizio evidenziato dal notaio a fondamento del rifiuto sfugge al controllo di legittimità formale proprio dell’omologazione.

Non è questa la sede per ripercorrere l’annosa (e tutt’ora non composta) questione dei limiti allo screening degli atti societari, sia esso quello del notaio chiamato a “formare” l’atto costitutivo di una società di capitali (ovvero, in via gradata, a verbalizzare il documento impetrante la deliberazione di modificazione statutaria) ovvero del tribunale in sede di omologa eventuale ex art. 2436 c.c.

Per quanto qui interessa, anche laddove si volesse seguire la tesi che equipara – quanto a rilevanza istituzionale - l'attuale intervento notarile all’abrogata omologazione giudiziale (per l'effetto di riconoscere al notaio i medesimi poteri di sindacato degli atti societari già assegnati al tribunale in sede di volontaria giurisdizione, prima della riforma della legge n. 340/2000), si avrebbe in ogni caso riguardo ad un controllo di mera legittimità al quale deve restare naturalmente estranea ogni valutazione di merito, riservata alla sede giurisdizionale contenziosa.

Vi è ampia convergenza in dottrina – ancorché con diversità di accenti – nel riconoscere al controllo omologatorio la preminente funzione di verifica della congruità dell’atto collettivo con il "tipo legale" corrispondente, al fine di porre lo schema legale al riparo da snaturamenti volontaristici (e sempre che, oramai, dopo la riforma introdotta con il d.lgs. n.6/2003, sia possibile intravedere un tipo legale “rigido”, del che ragionevolmente si dubita da più parti).

In tal senso va inteso il disposto dell'articolo 2436 cod. civ. lì dove prescrive - ai fini della richiesta di iscrizione nel Registro delle imprese - la sola verifica "delle condizioni richieste dalla legge" e non già – è il caso di sottolinearlo ai fini che ci occupano – di quelle fissate nello “statuto” (diversamente da quanto prevede, ad es. l’art. 2377 c.c. per l’annullabilità).

Già questo primo rilievo dimostra come sia inammissibile - in sede di omologa - il sindacato della delibera per contrasto con lo strumento regolamentare della vita sociale, ovviamente laddove quest’ultimo non sia pleonasticamente riproduttivo della disciplina legale cogente. E, invero, è del tutto evidente, per un verso, che il contenuto della delibera modificativa sarà sempre, per definizione, “difforme” dallo statuto e, per l’altro, che di “conflitto” si potrà logicamente parlare – come si è acutamente osservato – solo in relazione alla eventuale violazione dell’iter deliberativo fissato dallo statuto (ossia del procedimento decisionale), per reagire al quale soccorrerà, tuttavia, il solo rimedio impugnatorio dell’art. 2377 c.c.

Ad uguale conclusione conducono, secondo ampia analisi dottrinaria, anche gli articoli 47 e 28 della Legge Notarile che, ancora una volta, chiamano il notaio ad indagare sulla volontà empirica delle parti al solo scopo di tradurre – se ed in quanto possibile – quella manifestazione di autonomia privata nel corrispondente schema legale, con un processo di adeguamento tecnico del linguaggio negoziale a quello ordinamentale (nel che si riassume plasticamente il concetto di omologazione: omos/logos).

L’indagine notarile prescinderà, poi, da ogni accertamento sui motivi dei contraenti così come sugli eventuali vizi dell’atto costitutivo o della deliberazione sociale, purchè alla loro formalizzazione/verbalizzazione non ostino espressi divieti derivanti da norme imperative e/o di ordine pubblico tali da condurre alla nullità assoluta dell’atto collettivo (sul punto cfr., da ultimo, Cass. 1 febbraio 2001 n. 1394, secondo cui: l’articolo 28 della Legge Notarile n. 89/1913, vietando al Notaio di ricevere atti “espressamente proibiti” dalla legge, intende riferirsi a tutti gli atti affetti da vizi che diano luogo a nullità assoluta, senza che rilevi sul punto la distinzione tra norme proibitive e precettive e la differenza tra nullità espressa e non espressa o tra nullità formale e sostanziale).

Ed ancora, nel medesimo senso depone il quinto comma dell'articolo 32 della legge n.340/ 2000 che, nel fissare in capo al notaio le sanzioni della pena amministrativa e della sospensione con riferimento rispettivamente alle carenze documentali e di formalizzazione dell’atto, richiede espressamente che "risultino manifestamente inesistenti le condizioni richieste dalla legge", dal che si evince, con lettura tesa a ricostruire dalla sanzione il precetto, il dovere del notaio di non dar corso all’attività che gli è propria in presenza di una radicale inesistenza delle condizioni legittimanti l’atto.

Si è, così, opportunamente precisato, in negativo:

· che il controllo omologativo sull'atto costitutivo o sullo statuto non investe il profilo della validità dell'atto

· non concerne l'accertamento di eventuali vizi comportanti le "nullità" emendabili di cui all’art. 2379 c.c. (ovvero l’"annullabilità" dell’art.2377 c.c.)

· non si incentra sulla valutazione dell'attività di soggetti che lo hanno posto in essere, non ha come oggetto un comportamento negoziale

e, in positivo:

che esso trova il suo fondamento “…nell'esigenza di verificare la (globale) legalità di un determinato schema societario (la società omologanda), misurato sul modello tipologico astrattamente predisposto dal legislatore".

Il procedimento di controllo della legalità formale dell’atto collettivo, sia esso quello del notaio o quello eventuale del tribunale, dà quindi luogo ad una mera verifica della sussistenza delle condizioni minime per l'identificazione del "tipo legale", finalizzata ad evitare che l'autonomia privata possa snaturarne le linee essenziali concettualmente destinate alla tutela dell’interesse dell’impresa, dei soci di minoranza o dei terzi.

Tali condizioni, è bene precisarlo, non coincidono di per sé con l'assenza di cause di nullità e/o annullabilità dell'atto medesimo per due ordini di ragioni:

· perché la verifica del tipo legale si pone come un ex ante rispetto all’accertamento dei vizi ridetti, dei quali è obiettivamente possibile discettare (in sede contenziosa) solo in relazione ad un atto che, seppur viziato, possegga le caratteristiche minime dello schema legale tipizzato;

· perché i vizi di nullità/annullabilità non mettono in discussione il tipo legale, lo schema tipico dell’atto collegiale, come è fatto inequivocamente chiaro dalla disciplina degli artt. 2377 e 2379 c.c. che assicura pur sempre tendenziale stabilità all’atto viziato (con l’eccezione - tanto residuale quanto estrema - della nullità assoluta della deliberazione che modifichi l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili, alla quale vanno aggiunte le ipotesi, in parte simmetriche, di nullità dell’atto costitutivo ex art.2332) attraverso pesanti limitazioni al diritto (potestativo) di farle valere in forza di precise restrizioni incidenti: a) sulla legittimazione attiva per la proposizione della relativa azione costitutiva; b) sul termine per proporla; c) sulla portata dell’intervento sanzionatorio del giudice (ovvero sostituivo-correttivo dell’assemblea ex art. 2377, penultimo comma, c.c.), mediante la previsione dell’espressa salvezza dei diritti del terzo di buona fede per gli atti compiuti in esecuzione della deliberazione rispettivamente annullata o modificata. L’effetto ordinamentale è evidente: una volta decorso il termine di 90 gg. (per i casi “aperti” di annullabilità) ovvero triennale (per il numerus clausus delle nullità) anche le parti viziate della delibera conserveranno definitiva validità ed operatività, a dimostrazione di come esse siano ritenute meritevoli di tutela dall'ordinamento.

L'inquadramento che precede consente di affrontare il punto di diritto evidenziato dal notaio con il rifiuto di richiedere l'iscrizione della delibera in esame.

Nessuna delle clausole modificative evidenziate dal notaio dà luogo ad una ipotesi di “nullità assoluta” o comunque di radicale inesistenza delle condizioni volute dalla legge per dar luogo al tipo legale richiesto dalle parti.

A ben vedere dette clausole ( ampliamento dell’oggetto sociale; riduzione della durata della società; introduzione di un regolamento per i lavori dell'assemblea; mera facoltatività della comunicazione "personale" ai soci dell'avviso di convocazione d’assemblea; spostamento della data di chiusura dell'esercizio sociale) si rivelano, sotto il profilo contenutistico, del tutto lecite quando non coerenti con l'obiettivo di assicurare maggiore certezza nella “governance” della società, seconda la ratio ispiratrice della riforma societaria.

Esclusa dunque l’illiceità, la loro illegittimità deriva piuttosto, come bene ha osservato il notaio, dal mancato rispetto delle norme procedimentali fissate dallo statuto per la loro adozione e, specificatamente, di quella che prevede un superiore quorum deliberativo.

Emerge, pertanto, con assoluta evidenza che si ha riguardo a violazioni di norme statutarie per le quali l'articolo 2377 codice civile prevede espressamente la sola sanzione della annullabilità ad impulso di parte, esclusa ogni rilevabilità ex officio.

Si osserva, allora, che l'omologa non è rimedio impugnatorio sì che essa non può mai invadere la sfera soggettiva del socio dissenziente al quale solo, alla luce della norma teste richiamata, compete l’esclusivo diritto potestativo di far valere – ove lo ritenga - il vizio, in guisa tale da provocare l’intervento repressivo del giudice (in sede contenziosa).

Per converso, il socio dissenziente, con valutazione insindacabile fondata sul discrezionale apprezzamento, ben potrebbe ritenere di non reagire all’atto illegittimo, favorendone la definitiva stabilizzazione.

In tal senso si è ripetutamente pronunciata la giurisprudenza (così, ad es., Trib. Messina 13 ottobre 1993, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 474, e Dir. fallim., 1994, II, 1001, con nota di CINTIOLI; Trib. Melfi 7 maggio 1992, Foro it., Rep. 1993, voce Banca, credito e risparmio, n. 107, e Impresa, 1993, 37, con nota di MANZONE; Trib. Piacenza 25 maggio 1992, Foro it., Rep. 1992, voce Società, n. 478, e Società, 1992, 1115; App. Milano 9 maggio 1991, Foro it., 1992, I, 1015; v. anche Trib. Milano 20.11.2003 , in Giur. It. 2004 , 1459 e App. Torino 24.8.2000, in Foro it., 2001, I, 696, secondo cui “ … non ogni vizio comportante invalidità della deliberazione risulta sindacabile da parte del giudice dell’omologazione nell’ambito dell’esercizio del suo potere di controllo della legalità formale e sostanziale dell’atto” posto che “…i vizi comportanti mera annullabilità della deliberazione (ex art. 2377 c.c.) non sarebbero rilevabili in sede di controllo omologatorio …omissis…alla luce della natura non pienamente giurisdizionale dei poteri esercitati in tale contesto, inidoneo pertanto all’esame di vizi devoluti alla specifica sede contenziosa disciplinata dagli art. 2377 e 2378 c.c.” e che “…anche volendo ammettere l’estensione del controllo omologatorio a quei vizi comportanti invalidità dell’atto, suscettibili di essere fatti valere nel giudizio di impugnazione nei termini e secondo le modalità dell’art. 2377 c.c. (e non solo quindi alle più gravi ipotesi di nullità assoluta ex art. 2379 c.c. per illiceità o impossibilità dell’oggetto della deliberazione), il sindacato del giudice dell’omologazione non può giungere sino al controllo del rispetto di prescrizioni poste a tutela di interessi riconosciuti dall’ordinamento esclusivamente in capo a specifici soggetti” sicchè “…in sede di omologazione il giudice non (può ndr.) che limitarsi a verificare la conformità dell’atto alla legge in funzione dell’interesse pubblico al regolare svolgimento della vita societaria, all’ordinato espletamento dei compiti assegnati agli organi sociali e al rispetto dello schema voluto dalla legge per l’esercizio dell’attività del tipo societario considerato, senza poter rilevare la configurabilità di vizi che non comportino lesione di tali superiori interessi, ma che colpiscano eventualmente la sfera di interessi specifica di singoli soggetti”).

Va dunque ritenuta la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per la chiesta omologazione e va quindi accolto il ricorso come in dispositivo.

P.Q.M.

visto l’art. 2436 c.c., ordina l’iscrizione nel Registro delle Imprese della delibera dell’assemblea straordinaria della s.p.a. Alfa del 29.9.2004, di cui al verbale rep. n. 86722, racc. n. 27704 del notaio *** di Verona.

Così deciso, nella Camera di Consiglio del 31.12.2004