Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 11623 - pubb. 10/01/2014

Dichiarazione di fallimento, onere della prova del creditore e poteri istruttori disposti dal tribunale d’ufficio

Cassazione civile, sez. I, 28 Maggio 2010, n. 13086. Est. Maria Rosaria Cultrera.


Dichiarazione di fallimento - Procedimento - In genere - Onere della prova a carico del creditore - Limiti - Poteri officiosi di indagine del tribunale - Sussistenza - Fondamento

Dichiarazione di fallimento - Imprese soggette - Requisiti dimensionali indicati nell'art. 1 r.d. n. 267 del 1942, nel testo modificato dal d.lgs. n. 169 del 2007 - Onere della prova - A carico del debitore - Sussistenza - Qualità di piccolo imprenditore ai sensi dell'art. 2083 cod. civ. - Irrilevanza - Fondamento



In tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento, l'onere, posto a carico del creditore, di provare la sussistenza del proprio credito e la qualità di imprenditore in capo al debitore, non esclude, ai sensi dell'art. 15 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, la sussistenza di spazi residuati di verifica officiosa da parte del tribunale, che può assumere informazioni urgenti, utili al completamento del bagaglio istruttorio e non esclusivamente strumentali all'adozione di un'eventuale misura cautelare, in quanto il procedimento, pur essendo espressione di giurisdizione oggettiva perché incide su diritti soggettivi, consacrando il potere dispositivo delle parti, nel contempo tutela interessi di carattere generale ed ha attenuato, ma senza eliminarlo, il suo carattere inquisitorio. (massima ufficiale)

L'art. 1, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nel testo modificato dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, aderendo al principio di "prossimità della prova", pone a carico del debitore l'onere di provare di essere esente dal fallimento gravandolo della dimostrazione del non superamento congiunto dei parametri dimensionali ivi prescritti, ed escludendo quindi la possibilità di ricorrere al criterio sancito nella norma sostanziale contenuta nell'art. 2083 cod. civ., il cui richiamo da parte dell'art. 2221 cod. civ. (che consacra l'immanenza dello statuto dell'imprenditore commerciale al sistema dell'insolvenza, salve le esenzioni ivi previste), non spiega alcuna rilevanza; il regime concorsuale riformato ha infatti tratteggiato la figura dell'"imprenditore fallibile" affidandola in via esclusiva a parametri soggettivi di tipo quantitativo, i quali prescindono del tutto da quello, canonizzato nel regime civilistico, della prevalenza del lavoro personale rispetto all'organizzazione aziendale fondata sul capitale e sull'altrui lavoro. (massima ufficiale)


Il testo integrale


 


Testo Integrale