Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1178 - pubb. 09/04/2008

Piccolo imprenditore e presunzione di fallibilità

Tribunale Salerno, 07 Aprile 2008. Est. Jachia.


Fallimento – Limiti dimensionali dell’impresa fissati nell'art. 1 l. fall. – Presunzione di superamento – Applicabilità ai piccoli imprenditori – Esclusione.



L’attuale formulazione dell’art. 1 della legge fallimentare esclude che per la individuazione delle imprese fallibili sia necessario raccordarsi anche con la disposizione di cui all’art. 2083 cod. civ., essendo sufficiente il superamento di uno dei requisiti dimensionali previsti dal secondo comma. Non si può tuttavia dimenticare che il legislatore delegante aveva autorizzato soltanto l'estensione delle aree di esenzione del fallimento (e non la loro soppressione) sicchè il giudice deve sempre verificare in concreto che l'imprenditore non sia nè un ente pubblico né un piccolo imprenditore. Conseguentemente coloro che appartengono ad una delle categorie civilistiche descritte dall'art. 2083 c.c. sono sottratti al regime delle presunzioni, e possono quindi essere dichiarati falliti solo se, in concreto, si sia acquisita nei loro confronti la prova di una dimensione superiore ai parametri di cui al secondo comma della legge fallimentare. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato




Il Tribunale di Salerno

4ª Sezione Civile 

in Camera di Consiglio, quale collegio fallimentare, nelle persone dei Magistrati:

Dott. ssa               Alessandra Chianese                    Presidente

Dott.                    Giorgio Jachia                             Giudice Est.

Dott.                    Guerino Iannicelli                         Giudice

pronuncia il seguente

DECRETO

DI RIGETTO Del RICORSO

PER LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO

proposto nei confronti di:

1) CC.FF.,  omissis , titolare dell’omonima ditta individuale

resistente non costituitosi

da

2) V srl

ricorrente

Svolgimento del processo

non costituzione in giudizio

visto l'unico ricorso per la dichiarazione di fallimento dell’indicato resistente contraddistinto dal n. 354/07 e viste le relate di notifica dalle quali emerge che: a) nella propria sede (quella indicata nella visura CERVED in via Mare senza indicazione del numero civico) la ditta individuale risultava non individuabile; nella propria residenza (quella indicata nel certificato di residenza del Comune di Salerno in via Fiumee risultante anche nelle fatture) il titolare della ditta individuale, CC.FF., non era reperito sicché l'ufficiale giudiziario dava atto di aver proceduto ad affissione presso la casa comunale;

competenza

ritenuto che questo Tribunale sia competente ai sensi dell’art. 9 del  R.D. 16.3.1942 n. 267 poiché sia la sede legale che quella effettiva, ove sono pervenute le merci, pali, acquistati presso il ricorrente, dell’impresa si trovano nel circondario di questo giudice;

rito 2008

ritenuto che ai sensi delle disposizioni transitorie introdotte con il decreto legislativo n. 169/07 le nuove norme introdotte dapprima con il decreto legislativo n. 5/06 e poi dal decreto legislativo n. 169/07 siano applicabili nel testo complessivamente vigente dopo l’entrata in vigore del correttivo a tutti i ricorsi prefallimentari pendenti dal 1 gennaio 2008 sicché non ha rilievo il fatto che il ricorso fosse stato presentato prima dell'entrata in vigore dell'ultimo decreto legislativo;

accertamento del credito

dato atto che, risultando depositati dal creditore copia di un decreto ingiuntivo con condanna al pagamento di € 28.340,40 oltre € 978,00 per onorari e spese nello stesso indicati oltre interessi da calcolarsi dal dicembre 2005, le fatture ed i documenti di trasporto in originale con firma del destinatario, è agevole ritenere provata la sussistenza di un credito in uno alla sua entità superiore ad € 30.000,00 soglia fissata dall'art. 15 u.c., legge fallimentare, rito 2008;

ritenuto che non si possano rilevare di ufficio eventuali vizi della notifica del decreto ingiuntivo, in quanto coperti dal giudicato del medesimo;

presupposto oggettivo

rilevato, in generale, che il riscontro della sussistenza dello stato di insolvenza si concreti in un giudizio di probabilità, avente per oggetto la capacità finanziaria del debitore a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, in relazione al quale il Giudice è tenuto a descrivere, nella motivazione, gli elementi esaminati;

ritenuto che nel caso concreto l'assoluta impossibilità ad adempiere alle proprie obbligazioni con mezzi ordinari (Cfr., Corte Cass., Sez. 1, Sentenza n. 19611/2004) si evinca non solo dall'esito negativo del verbale di pignoramento mobiliare ma anche dalle notificazioni in atti con esito altrettanto negativo comprovanti la cessazione dell'attività, la chiusura della sede sociale e l'irreperibilità dell'imprenditore;

ritenuto che in questo caso lo stato di insolvenza non emerga soltanto dall'unico inadempimento ma anche dal riscontro di ulteriori sintomi individuabili nella cessazione dell’attività, nell'abbandono della sede, nel perdurare nel tempo dell'inadempimento e nell'esito assolutamente negativo della ricerca compiuta di beni da pignorare;

Presupposto soggettivo

rilevanza

Ritenuto opportuno, in una delle due prime decisioni attinenti imprenditori commerciali individuali non costituitosi in un giudizio prefallimentare con istruttoria affidata esclusivamente alle parti, salva l'acquisizione, compiuta di ufficio, della visura dell'anagrafe tributaria, dare atto in forma diretta alle parti, dell'interpretazione assunta;

le modifiche normative

ritenuto opportuno precisare, preliminarmente, che la normativa da applicare, in tema di presupposto soggettivo per l'applicazione della disciplina fallimentare per i ricorsi volti ad ottenere la dichiarazione di fallimento di un debitore esaminati dopo il 1 gennaio 2008, deriva dall'innesto nella legge fallimentare di due testi legislativi i quali, in maniera scoordinata e confliggente, hanno dapprima "riformato" il tessuto normativo dell'articolo 1 L.F e poi lo hanno "corretto";

ricordato che il teste storico del primo comma dell'art. 1 l. fall. vigente al momento della riforma era il seguente:

"Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento, sul concordato preventivo e sull'amministrazione controllata gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori. Sono considerati piccoli imprenditori"

ricordato inoltre che le norme che hanno riformato una prima volta, nel corso della parte terminale della quattordicesima legislatura, l'articolo 1 L.F. siano individuabili nel seguente primo gruppo di testi:

A1) art. 2 della legge 14 maggio 2005, n. 80, legge non solo di conversione in legge del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge con modificazioni dalla Legge 14 maggio 2005, n. 80, di conferimento di “Deleghe al Governo per la … riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali" ed in particolare attributiva del potere di adottare un decreto legislativo con l'osservanza del principio di "semplificare la disciplina attraverso l'estensione dei soggetti esonerati dall'applicabilità dell'istituto …";

A2) art. 1 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, pubb. in Gazz. Uff. n. 91 del 16 gennaio 2006, con il quale si è sostituito il previgente articolo 1 L.Fall. con il seguente testo:

Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori.

Ai fini del primo comma, non sono piccoli imprenditori gli esercenti un’attività commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente:

a) hanno effettuato investimenti nell’azienda per un capitale di valore superiore a euro trecentomila;

b) hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro duecentomila.

ricordato che le norme che hanno "corretto" il tiro della riforma del presupposto soggettivo per l'applicazione della legge fallimentare siano individuabili nel seguente secondo gruppo di testi:

B1) comma 3 dell’art. 1 della Legge 12 luglio 2006, n. 228 conferente nel corso della quindicesima legislatura da parte di nuovo parlamento ad nuovo governo una delega "correttiva" riproducente la prima delega con le seguenti parole:

“All'articolo 1 della legge 14 maggio 2005, n. 80, dopo il comma 5 è inserito il seguente: 5-bis. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo adottato nell'esercizio della delega di cui al comma 5, il Governo può adottare disposizioni correttive e integrative, nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi di cui al comma 6 e con la procedura di cui al medesimo comma 5”

B2) art. 1 del decreto legislativo n. 169 del 12 settembre 2007  sostitutivo dell'articolo 1 l. fall. con il quale si è sostituito il previgente articolo 1 L.Fall. con il seguente testo:

"Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.

Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:

a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;

b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;

c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.".

relazione illustrativa al correttivo

ritenuto opportuno rileggere anche la seguente parte della reazione illustrativa al decreto legislativo correttivo:

"L’articolo 1 del presente decreto legislativo, reca disposizioni correttive del Titolo I della legge fallimentare.  Il primo comma sostituisce l’articolo 1 della legge fallimentare e, al fine di definire in maniera più chiara e precisa l’area della fallibilità, introduce sostanziali novità in materia di presupposto soggettivo del fallimento. Le modifiche tengono conto del fatto che, l’eccessiva riduzione dell’area della fallibilità venutasi a determinare a seguito della novella del 2006, spesso ha impedito di assoggettare al fallimento ed alle conseguenti sanzioni penali imprenditori di rilevanti dimensioni con elevati livelli di indebitamento, danneggiando, in tal modo, sia i numerosi creditori insoddisfatti, che il sistema economico in generale. Quindi, la necessità di eliminare, pur sempre nel rispetto della delega iniziale, gli eccessi della riduzione dell’area della fallibilità, ha consigliato l’introduzione, nell’ambito dei presupposti soggettivi, del nuovo criterio dell’ammontare dell’indebitamento complessivo dell’imprenditore. Più in dettaglio, va evidenziato il fatto che, per delimitare l’area dei soggetti esonerati dal fallimento, non viene più utilizzata la nozione di piccolo imprenditore commerciale, ma vengono indicati direttamente una serie di requisiti dimensionali massimi che gli imprenditori commerciali (resta quindi ferma l’esonero dalle procedure concorsuali di tutti gli imprenditori agricoli, piccoli e medio grandi) devono possedere congiuntamente per non essere assoggettati alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo. In questo modo, si superano i contrasti interpretativi sorti in ordine all’individuazione dei criteri di qualificazione delle nozioni di piccolo imprenditore (art. 2083 del cod. civ.), da una parte, e di imprenditore non piccolo (art. 1. L.F.), dall’altra: concetti entrambi contemplati dall’articolo 1 della legge fallimentare, come modificato dal decreto legislativo n. 5 del 2006.

Con le introducende disposizioni, la non fallibilità dell’imprenditore commerciale viene ancorata alla sussistenza congiunta non solo dei due requisiti attualmente previsti (che comunque vengono meglio precisati: attivo patrimoniale, da una parte, e ricavi lordi annui, dall’altra), ma anche del nuovo parametro della esposizione debitoria complessiva - comprensiva, sia dei debiti scaduti, che di quelli non scaduti ­non superiore a cinquecentomila euro. Inoltre, il parametro alquanto vago e di incerta definizione dell’ammontare degli “investimenti” viene sostituito con quello dell’”attivo patrimoniale”, il quale consente di far riferimento alla precisa elencazione contenuta nell’art. 2424 c.c.. Viene inoltre precisato che, l’attivo patrimoniale complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila da prendere in considerazione è soltanto quello relativo agli ultimi tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento. L’indicazione degli ultimi tre esercizi anteriori alla presentazione del ricorso o della richiesta di fallimento serve a delimitare nel tempo il campo di indagine del tribunale, evitando difformità di prassi applicative, in coerenza con la disposizione dell’articolo 14, che fa obbligo al debitore che chiede il proprio fallimento di depositare presso la cancelleria <>. Anche il criterio dei ricavi lordi viene meglio precisato e reso più rigido, in quanto, una volta eliminato il concetto di media dei ricavi degli ultimi tre esercizi, si richiede che, in nessuno dei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento, l’imprenditore abbia realizzato ricavi lordi annui superiore ad euro duecentomila. Di notevole importanza, poiché supera i gravi problemi interpretativi emersi in materia di distribuzione dell’onere della prova del presupposto soggettivo del fallimento, è la disposizione volta a precisare che grava sul debitore l’onere di fornire la prova dei requisiti di non fallibilità, intesi come fatti impeditivi della dichiarazione di fallimento. E’ quindi onere dell’imprenditore fallendo dimostrare di non aver superato (nel periodo di riferimento) alcuno dei tre parametri dimensionali previsti dalla norma in esame. Si evita, così, di “premiare” con la non fallibilità quegli imprenditori che scelgono di non difendersi in sede di istruttoria prefallimentare o che non deposito la documentazione contabile dalla quale sarebbe possibile rilevare i dati necessari per verificare la sussistenza dei parametri dimensionali. In tale modo, qualora gli elementi probatori, dedotti dalle parti o acquisiti d’ufficio, non sono sufficienti a fornire la prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità, l’imprenditore, permanendo l’incertezza sulla sussistenza o meno dei requisiti soggettivi di esenzione dal fallimento, resta assoggettato alla procedura fallimentare".

la tesi del fallimento automatico

dato atto che, così operando, con il nuovo ordito, si è, con ogni evidenza, espunto l'istituto del piccolo imprenditore dal testo della legge fallimentare;

ricordato che, ponendo l'accanto su due delle modifiche dell'art. 1 l. fall -  l'introduzione dell'espressione "… i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti …" e la soppressione di ogni riferimento all'esclusione dei piccoli imprenditori era, nei primi commenti - in dottrina è prevalsa l'opinione:

a) che a seguito del correttivo vi sia una espansione dell'area della fallibilità;

b) che in ogni caso dubbio o non documentato si debba dichiarare il fallimento;

c) che il legislatore delegato abbia, con le modifiche apportate all'articolo 1 l. fall., per così dire dato una risposta negativa a quelle tesi dottrinarie e giurisprudenziali secondo le quali l'imprenditore fallibile vigente il testo riformato era da ricercare al contempo attraverso l'esclusione dei piccoli imprenditori derivante da un lato dal primo comma dell'art. 1 legge fall. e dagli artt. 2083 e 2221 c.c. e dall'altro attraverso la nozione di imprenditore "non piccolo" formulata dal secondo comma dell'art. 1 l. fall. testo 2006;

ricordato che secondo questi autori la nuova normativa avrebbe previsto la generalizzata estensione del fallimento a tutti gli imprenditori commerciali che siano rimasti contumaci "in senso lato", a tutti gli imprenditori o irreperibili o non comparsi all'udienza ex art. 15 l. fall. ;

metodo interpretativo della nuova legge

rilevato, tuttavia, che, l'istituto del piccolo imprenditore resta, comunque, anche dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo correttivo n. 169/07  rinvenibile appunto negli artt. 2083 e 2221 c.c., nei quali lo si contempla ancora come meccanismo di esclusione dalle fallimento e dalle  altre procedure concorsuali, in uno al riferimento  agli enti pubblici;

ritenuto opportuno ricordare che, mancando una loro abrogazione espressa si dovrebbe, applicando l’art. 15 delle preleggi, inferire la sussistenza di una abrogazione tacita di norme del codice civile dall'asserita incompatibilità con il nuovo art. 1 l. fall.;

ritenuto, appunto, che l'abrogazione tacita del'art, 2221 c.c. si potrebbe avere soltanto se, (vedasi Cass. Civ. n .2502 del 21/02/2001) “… lo “ius superveniens” intervenie a regolare il medesimo rapporto disciplinato dalla legge precedente e quando fra le due disposizioni sussista una tale contraddizione da renderne impossibile la contemporanea operatività, nel senso che l'applicazione e l'osservazione dell'una implicherebbe necessariamente disapplicazione o inosservanza dell'altra”;

ritenuto che, prima di accogliere interpretazioni fondate su una asserita abrogazione implicita di alcune delle più importanti norme del codice civile - peraltro regolanti il "piccolo imprenditore" anche a tanti altri fini sicché al più si tratterebbe di una abrogazione tacita parziale -  occorra procedere ad una attenta attività interpretativa, la quale dovrà tenere conto soprattutto di quanto indicato nella legge delega, nonchè, ovviamente, di quanto comunicato dal legislatore nella relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 169/07;

i limiti derivanti dalla legge delega

ritenuto che sia indispensabile, a questo punto, rileggere la legge delega, laddove nella prima riga prevede l'estensione dei soggetti esonerati dall'applicabilità dell'istituto, alla luce della formulazione allora vigente dell'art. 1 della legge fallimentare laddove individuava i soggetti già esonerati negli enti pubblici e i piccoli imprenditori;

ritenuto evidente, quindi, che se il Parlamento, quale legislatore delegante, aveva conferito al Governo, quale legislatore delegato, soltanto il potere di  estendere i soggetti esonerati dall'applicabilità dell'istituto, i quali erano all'epoca gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori, il Governo, sempre quale legislatore delegato,:

a)  non aveva il potere di assoggettare né gli enti pubblici né i piccoli imprenditori al fallimento;

b) non aveva il potere di estendere l'area della correlativa punizione penale;

ritenuto che, compiendo un ragionamento volutamente enfatizzato, sarebbe stata del tutto fuori delega la norma contenuta in un ipotetico articolo 1 bis (del decreto legislativo attuativo di  tale delega) in cui si affermasse che si presume che non sia ente pubblico l'imprenditore contumace perché il legislatore delegato non aveva il potere di estendere l'area della fallibilità agli enti pubblici, perché il legislatore delegato non aveva il potere di intaccare le aree di esenzione;

ritenuto che, conseguentemente, il giudice debba sempre accertare in concreto che l'imprenditore resistente non sia un ente pubblico;

la tematica del superamento dei limiti della legge delega nel rito intermedio

ricordato che, come già sopra in parte ricordato, già vigente il rito intermedio 2006 si era posto in dottrina lo stesso tema del superamento dei limiti della legge delega;

ritenuto opportuno rileggere l'opinione di un autore secondo il quale una interpretazione letterale della norma vigente dal 16 luglio 2006 al 1 gennaio 2008 avrebbe potuto far credere che fossero assoggettati alle procedure concorsuali tutti gli imprenditori commerciali «non piccoli», ed inoltre i piccoli imprenditori (commerciali) che superino «anche alternativamente» i limiti dimensionali previsti dalla legge;

ricordato che tale autore, infatti, segnalava che tale interpretazione avrebbe esteso l’area della fallibilità rispetto alla legge pre-riforma, ove secondo la giurisprudenza erano estranei all’area di applicabilità della disciplina delle procedure concorsuali tutti i piccoli imprenditori;

ricordato, appunto, che secondo tale autore, una lettura siffatta delle norme vigenti nel rito intermedio, risultava in contrasto con il principio indicato all’art. 1, 6° co., lett. a), n. 1, della legge delega n. 80 del 2005, il quale richiedeva al legislatore delegato di estendere i «soggetti esonerati dalla applicabilità dell’istituto» del fallimento;

ricordato che secondo tale corrente interpretativa, vigente appunto il rito intermedio, il mancato superamento di entrambe le soglie comportava la qualificazione di piccolo imprenditore, e dunque l’esonero dalla soggezione al fallimento;

la tematica del superamento dei limiti della legge delega nel rito 2008

rilevato che secondo una ulteriore corrente di pensiero i parametri fissati dalla "legge riformata e corretta" conterrebbero come il più il meno – anche le imprese le cui dimensioni si giudicherebbero “piccole”, secondo i criteri fissati dall’art. 2083 del Codice civile; e che con ciò, allora, senza escludere il piccolo imprenditore dall’area di non-fallibilità, si è anzi realizzata quella “estensione dei soggetti esonerati” che la legge delega auspicava rispetto alla disciplina previgente;

ripresa ora l'opinione sopra ricordata secondo la quale la nuova normativa avrebbe previsto la generalizzata estensione del fallimento a tutti gli imprenditori commerciali che siano rimasti contumaci "in senso lato", a tutti gli imprenditori o irreperibili o non comparsi all'udienza ex art. 15 l. fall. al fine di far rilevare che tale estensione potrebbe riguardare anche piccoli imprenditori impossibilitati (ex nunc, peraltro) a rappresentare l'effettiva entità della propria azienda in quanto privi di scritture contabili in quanti privi di una contabilità essendo esentati civilisticamente dall'obbligo della tenuta delle scritture contabili;

ricordato che appunto altri autori osservano che l'individuazione di una presunzione di fallibilità lascerebbe aperta la possibilità che l’imprenditore, pur obiettivamente “piccolo” che per le più diverse ragioni non riesca a comparire o comunque a dimostrare il possesso congiunto di tutti e   tre i requisiti previsti per l’esenzione (tanto più perché, proprio ritenendosi piccolo, non avrà tenuto scritture contabili, da cui, come visto, prevalentemente si attingono le informazioni rilevanti) potrebbe, nonostante la sua “piccolezza”, essere dichiarato comunque fallito;

ricordato che in un provvedimento di rigetto di un ricorso prefallimentare emesso prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo correttivo dal Tribunale di Bologna, decreto 20/02/2007, (edito in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/516.htm,) si osserva anche: "L’imprenditore fallisce quando è "insolvente" e "non piccolo", ma ove anche dichiarasse contra se di essere tale, non per questo il giudizio dovrebbe senz’altro fondarsi su quella sua "ammissione" (in tema di "diritti indisponibili", cfr. Cass. 11170/2004, Cass.1170/97, ecc.); anzi, il Tribunale sarebbe pacificamente tenuto a rigettare l’istanza di fallimento – anche "in proprio" – una volta riconosciuto che le relative affermazioni fossero difformi dalla realtà dei fatti";

rilevato che in tale autorevole precedente si afferma anche che "… sono inammissibili …  le ipotesi di regole che pretendano di far gravare sul debitore il rischio di una probatio semiplena, sanzionando altresì il suo silenzio …";

ambito della presunzione di cui all'art. 1 l. fall. rito 2008

ritenuto che, alla luce di tutte queste considerazioni si possa giungere ad una interpretazione conforme alla legge delega della presunzione fissata nel nuovo articolo 1 della legge fallimentare "non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento … gli imprenditori … che dimostrino il possesso congiunto .", si possa pervenire ad una selezione delle imprese fallibili conforme a quella delegata;

ritenuto che, non essendo conforme, per tutte le pregresse considerazioni,  l'automatica dichiarazione di fallimento dei piccoli imprenditori "contumaci" in quanto, così operando, si perverrebbe ad una estensione dell'area della fallibilità anche ai piccoli imprenditori, non autorizzata dal legislatore delegante così come non è autorizzata per gli enti pubblici mancando la delega a sopprimere (anche in minima parte) le aree di esenzione previgenti;

ritenuto che conseguentemente nel regime fallimentare 2008 prima di applicare la regola distributiva dell'onere della prova, per i casi nei quali sia dubbio il superamento delle tre soglie, si debba procedere alla verifica della sussistenza della qualifica di imprenditore non pubblico e non piccolo atteso che non gravano sul debitore la prova della "natura commerciale", "non pubblica" e "civilisticamente non piccola " dell'impresa convenuta;

selezione imprese fallibili

ritenuto che al termine di questa esposizione sia evidente che il legislatore delegante non ha attribuito al delegato il potere di estendere la fallibilità (e la conseguente punibilità) né agli enti pubblici né ai piccoli imprenditori;

ritenuto peraltro che questa impostazione interpretativa consenta di non dichiarare il fallimento di quei creditori non costituitisi privi dei requisiti dimensionali minimi;

ritenuto che la legge delegata debba leggersi alla luce della delega che imponeva di estendere l'area della non fallibilità e non di restringerla;

ritenuto che l'abrogazione nel primo comma dell'articolo 1 della legge fallimentare dell'esclusione dalla fallibilità dei piccoli imprenditori, non possa comportare una implicita abrogazione degli articoli 2083 e 2221 c.c., né una  estensione dell'area della fallibilità,

ritenuto che quindi, come prima, le piccole imprese non possano essere dichiarate fallite neppure se non comparse perché l'accertamento della natura non pubblica e non piccola debba essere sempre compiuta, anche di ufficio dal giudice;

ritenuto che certamente nella norma vigente sia stato escluso dal primo comma il riferimento al piccolo imprenditore per superare il contrasto tra da una parte l'art. 2083 e l'art. 2221 c.c. e dall'altro l'articolo 1 della legge fallimentare;

ritenuto conclusivamente che non possano essere assoggettate al fallimento:

a) "l'impresa quantitativamente esclusa" caratterizzata dalla prova della compresenza dei tre requisiti descritti dal secondo comma dell'art. 1 l. fall. rito 2008 gravante sul debitore;

b) gli enti pubblici;

c) i piccoli imprenditori individuabili, ai fini della legge fallimentare, in coloro che, appartenendo ad una delle categorie civilistiche descritte dall'art. 2083 c.c. sono sottratti al regime delle presunzioni, e quindi possono essere dichiarati falliti solo se, in concreto, si sia acquisita nei loro confronti la prova di una dimensione superiore ai parametri di cui al secondo comma della legge fallimentare;

rigetto

ritenuto conseguentemente che qualora emerga dagli atti la natura civilistica di piccolo imprenditore, come nel caso concreto dell'odierno debitore, essendo vietata dalla legge delega la presunzione della non compresenza dei tre requisiti di non fallibilità, si debba, verificare l'eventuale superamento di uno dei tre parametri alla luce "…. degli elementi probatori, dedotti dalle parti o acquisiti d’ufficio   ;

ritenuto che nel caso concreto, quindi, si debba compiere un analitico esame dei dati acquisiti nella istruttoria prefallimentare, al fine di verificare l'eventuale sufficienza degli elementi già acquisiti al fine di verificare la necessità di ulteriori acquisizioni di ufficio;

rilevato, procedendo ad una attenta disamina della documentazione depositata dalle parti (solo ricorrente, in questo specifico caso) e di quella acquisita di ufficio (in questo specifico caso, solo visura anagrafe tributaria), che emergano i seguenti elementi:

a) apertura partita IVA in data 20 maggio 2005;

b) iscrizione al cerved il 19 gennaio 2006 come piccola impresa;

c) inesistenza della prova di ulteriori protesti e di ulteriori debiti;

d)  ricezione della merce oggetto della fornitura;

e) emersione del solo credito vantato dal ricorrente;

f) dichiarazione di reddito fiscale pari a zero nel 2005;

g) mancato deposito dichiarazione 2006;

ritenuto che tali elementi siano sufficienti a descrivere la natura di piccola impresa commerciale in capo al debitore, ad escludere quindi l'applicabilità (perché contraria alla legge delega) della presunzione di non sussistenza dei tre requisiti quantitativi (descritti nel secondo comma dell'art. 1 l. fall.) in capo al debitore;

ritenuto inoltre che tali elementi siano sufficienti ad escludere che tale piccolo imprenditore abbia avuto una organizzazione imprenditoriale tale da accumulare oltre € 500.000,00 di debiti, da conseguire un attivo patrimoniale maggiore ad euro trecentomila o da aver realizzato ricavi lordi  superiori ad euro duecentomila;

P.Q.M.

Il Tribunale,

1)               rigetta il ricorso;

2)               autorizza la restituzione dei documenti allegati.

Così deciso nella Camera di Consiglio del giorno 4 aprile 2008

Il Giudice Relatore ed Estensore

Dr. Giorgio Jachia

Il Presidente

Dottoressa Alessandra Chianese

Depositato il 7 aprile 2008


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