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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1338 - pubb. 08/10/2008.

Potere regolamentare della Consob, riserva relativa di legge e questione di costituzionalità


Tribunale di Roma, 24 Maggio 2007. Est. Antonella Dell'Orfano.

Consob – Potere regolamentare – Natura primaria della normativa – Esclusione.

Art. 41 Cost. – Indirizzamento e coordinamento a fini sociali dell’attività economica – Riserva relativa di legge – Sussistenza – Potere regolamentare della Consob – Sussistenza.

Consob – Potere regolamentare delegato – Proponibilità di questioni di costituzionalità – Esclusione.

Consob – Potere regolamentare in materia finanziaria – Questione di incostituzionalità – Esclusione.


I regolamenti delle Autorità indipendenti, in particolare quelli della Consob, pur quando caratterizzati da un contenuto che sembra avvicinarli alle leggi ordinarie, non possono assurgere al rango primario. La legge ordinaria può invece validamente istituire fonti non primarie non previste in Costituzione ed abilitare queste fonti a “normare” anche in settori coperti da riserva relativa, purché una legge o un atto avente forza di legge stabilisca la disciplina di principio. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Il terzo comma dell’art. 41 Cost, secondo cui “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”, prevede una riserva di legge relativa, che concerne dunque anche la materia della cd. financial economy. Ciò vale in primo luogo ad affermare la piena legittimità, dal punto di vista costituzionale, dell’esercizio di discrezionalità negli atti normativi della Consob e dell’attribuzione a quest’ultima di poteri regolamentari fin dal decreto legge 95/1974 e oggi con il Testo Unico della Finanza. Ove si affermasse che il settore della tutela del risparmio fosse coperto da riserva di legge assoluta, si avrebbe infatti come ovvia conseguenza un mercato finanziario iporegolato o comunque regolato in modo da non rispondere con la dovuta continuità e prontezza alle esigenze della moderna regolazione economica. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Salvo il problema dei regolamenti sostanzialmente indipendenti, non si pongono problemi di legittimità per i regolamenti che, come quelli emanati da Consob in base al TUF, in quanto delegati, sono integrativi del disposto di fonte primaria essendo il meccanismo della “normazione per principi” introdotto dal TUF conforme alla riserva relativa di legge. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del d. lgs. 58/1998 per contrasto con gli artt. 1, 70, 41 comma 3 e 87 Cost. perché la norma attribuirebbe alla Consob poteri normativi ampi e permanenti, senza delimitare in maniera precisa l’oggetto della attribuzione e senza stabilire principi vincolanti a cui attenersi. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Fonti normative, rapporto tra TUF e regolamenti

Profili processuali, altri casi



Oggetto: intermediazione mobiliare.

Conclusioni: All’udienza di discussione del 9.5.2007 venivano precisate le conclusioni che qui si intendono riportate e trascritte.

Svolgimento del processo

Per lo svolgimento del processo ci si riporta, ai sensi dell’art. 16 comma 5 del decreto legislativo 17.1.2003 n. 5, all’atto di citazione, notificato a mezzo servizio postale in data 23.5.2005, alla comparsa di costituzione e risposta della convenuta nonché ci si riporta agli atti depositati dalle parti ai sensi degli artt. 6 e 7 del d. legisl. 5/03.

Motivi della decisione

Devesi preliminarmente dare atto del mancato rinvenimento agli atti del giudizio del documento indicato al n. 2 dell’indice del fascicolo di parte convenuta (estratto del prospetto informativo di quotazione in borsa) prodotto dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio. Non risultando prova dell’involontarietà del mancato rinvenimento del predetto documento, stante il principio della disponibilità delle prove (art. 115 c.p.c.) e l’onere di diligenza di ciascuna parte nel verificare la presenza in atti della documentazione invocata a sostegno della propria posizione, tanto comporta la decisione della presente controversia “allo stato degli atti” (cfr. ex multis Cass. 15188/2000; 10598/2001).

Parte convenuta ha sollevato eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 6 del d.lgs. n. 58/1998 per contrasto con gli artt. 1, 70, 41 comma 3 e 87 Cost. perché la norma attribuirebbe alla Consob poteri normativi ampi e permanenti, senza delimitare in maniera precisa l’oggetto dell’attribuzione e senza stabilire principi vincolanti a cui attenersi.

Le conclusioni cui è giunta la convenuta non sono condivisibili.

Sul punto va osservato che la Carta fondamentale istituisce un “sistema chiuso” di fonti primarie: ne consegue un limite alla potestà della legge ordinaria che, come norma sulla normazione, può sì creare nuove fonti del diritto, ma non può abilitarle alla produzione di norme primarie. La Costituzione ha dunque istituito un sistema aperto di fonti secondarie ma ha reso tassative le fonti primarie: da ciò deriva che la legge non può istituire fonti concorrenziali ed equiordinate a se stessa.

Il corollario è quindi evidente: i regolamenti delle Autorità indipendenti, in particolare quelli della Consob, pur quando caratterizzati da un contenuto che sembra avvicinarli alle leggi ordinarie, non possono assurgere al rango primario. La legge ordinaria invece può validamente istituire fonti non primarie non previste in Costituzione ed abilitare queste fonti a “normare” anche in settori coperti da riserva relativa, purché una legge o un atto avente forza di legge stabilisca la disciplina di principio.

Orbene, non vi è dubbio che il terzo comma dell’art. 41 Cost, secondo cui “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”, prevede una riserva di legge relativa, che concerne dunque anche la materia della cd. financial economy.

Ciò vale in primo luogo ad affermare la piena legittimità, dal punto di vista costituzionale, dell’esercizio di discrezionalità negli atti normativi della Consob e dell’attribuzione a quest’ultima di poteri regolamentari fin dal decreto legge 95/1974 e oggi con il Testo Unico della Finanza. Ove si affermasse che il settore della tutela del risparmio fosse coperto da riserva di legge assoluta, si avrebbe infatti come ovvia conseguenza un mercato finanziario iporegolato o comunque regolato in modo da non rispondere con la dovuta continuità e prontezza alle esigenze della moderna regolazione economica.

Ritiene dunque il Collegio di condividere quanto affermato dalla dottrina più attenta che ha evidenziato come il terzo comma dell’art. 41 costituisca un esempio paradigmatico della più raffinata nozione di “riserva a carattere aperto”, introdotta dalla sentenza 383/1998 della Corte Costituzionale, che focalizza l’attenzione proprio sulla possibilità che la legge demandi ampi spazi di policy making ad atti subordinati.

Ne consegue che, salvo il problema dei regolamenti sostanzialmente indipendenti, non si pongono problemi di legittimità per i regolamenti che, come nel caso si specie, in quanto delegati, sono integrativi del disposto di fonte primaria. Può infatti sostenersi che il meccanismo della “normazione per principi” introdotto dal t.u.f. appaia conforme alla riserva relativa di legge: la fonte primaria, limitandosi a stabilire le linee fondamentali e ad operare gli essenziali bilanciamenti degli interessi, ottempera proprio al dettato costituzionale che le assegna in via esclusiva tale compito. Un analogo meccanismo, d’altra parte, è previsto dal secondo comma dell’art. 42 della Cost. ed anche in quel caso ai poteri “normativi” dei Comuni, e in particolare alla redazione dei Piani Regolatori Generali, sono affidate scelte di dettaglio dei principi stabiliti in via di normazione primaria: un parallelismo, quello tra i “regolamenti” urbanistici e edilizi degli enti territoriali e il rule making della Consob, che – al di là di una sicura forzatura – è stato proposto in dottrina anche per sgombrare il campo da ogni dubbio circa la coerenza del rinvio con la riserva di legge.

Va dunque ritenuta la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata da parte convenuta atteso che la norma censurata (art. 6 t.u.f.) attribuisce alla Consob un potere che, lungi dall’essere illimitato sì da sconfinare in una valutazione di fattori riservata al legislatore, è inserito in un contesto di scelte normative sostanziali ben definite, a tutela del pubblico risparmio, tali da circoscrivere il potere dell’organismo amministrativo di controllo secondo limiti e indirizzi ascrivibili al legislatore.

Nel merito la domanda degli attori è fondata nei limiti di cui infra.

In primo luogo deve osservarsi che nella fattispecie non si è dinanzi ad una sollecitazione al pubblico investimento ma ad un collocamento di titoli finanziari (obbligazioni Giacomelli Sport Finance 8,375%) mediante contratti di vendita ai singoli investitori, nell’ambito di una prestazione di servizio di investimento.

Trattasi infatti di operazione effettuata nel mercato delle cosiddette euro-obbligazioni, la cui emissione è realizzata, di norma, come avvenuto nel caso in esame, attraverso un sindacato di collocamento ed è rivolta ad investitori istituzionali, risultando dunque, in tale ultima ipotesi, conseguentemente esentata dall’obbligo del prospetto informativo.

Nella fattispecie si è dunque avuta una vendita a privato risparmiatore, effettuata da una Banca del consorzio o da altro intermediario, che costituisce un’operazione di mercato secondario, distinto dal mercato primario di collocamento: per gli obblighi di prospetto informativo risultano quindi determinanti le modalità attraverso le quali tale vendita viene effettuata. La Banca d’Italia a tal proposito ha precisato che “in relazione alla possibile vendita di euro obbligazioni a investitori privati, in Italia, l’assenza del prospetto informativo impedisce alle banche – sia quelle che sottoscrivono inizialmente i titoli sia quelli che li acquistano dalle banche collocatrici – di sollecitare il pubblico a comprare i valori mobiliari. Le banche possono tuttavia vendere i titoli del proprio portafoglio ai clienti che ne facciano richiesta, nell’ambito di un’attività di negoziazione in conto proprio. La sequenza assunzione a fermo-negoziazione sul mercato secondario non implica violazione dell’obbligo di prospetto. Non sono messi in discussione né la liceità della vendita di titoli sul mercato secondario, neppure nella fase del grey market, né la presenza di attività in qualche modo propositive da parte degli intermediari, a meno che non si ricada nella fattispecie della violazione della normativa sulla sollecitazione all’investimento. Anche nella fase di grey market possono avvenire sia l’iniziale sottoscrizione da parte degli investitori professionali (che li acquistano dalle banche collocatrici facenti parte del consorzio) sia la negoziazione degli stessi con la clientela che ne faccia richiesta. In generale infatti l’analisi delle procedure di collocamento di obbligazioni emesse sull’Euromercato mostra come le banche che prendono parte ai consorzi di collocamento detengano, alla chiusura dello stesso, quote generalmente modeste dei titoli collocati, destinate a ridursi ulteriormente nei mesi successivi. Inoltre, le quantità di titoli nel portafoglio delle altre banche (quelle che li acquistano in qualità di investitori professionali dalle banche collocatrici) tende anch’essa a ridursi, in modo significativo, successivamente alla chiusura del collocamento. Tale comportamento delle banche è in linea con il ruolo prevalente da esse svolte sul mercato obbligazionario, finalizzato a fornire i servizi necessari per favorire lo scambio di fondi tra emittenti e acquirenti” (cfr. Banca d’Italia, Bollettino Economico, novembre 2003).

La Consob, in risposta ad un quesito (97006042/97) ha inoltre sottolineato gli aspetti di uniformità e standardizzazione che caratterizzano un’operazione di offerta al pubblico. Ha infatti precisato che “la sottoscrizione da parte di una banca dell’intera emissione obbligazionaria non costituisce prestazione del servizio di collocamento se la banca non assume impegni in ordine al successivo collocamento sul mercato. La successiva vendita delle obbligazioni alla propria clientela da parte della banca configura una normale attività di negoziazione in contropartita diretta in esecuzione di ordini d’acquisto ricevuti dalla clientela stessa, a condizioni, quindi, diverse a seconda dell’acquirente e del momento dell’operazione. Ove la banca procede invece alla realizzazione di una campagna di offerta con modalità caratterizzate dalla formulazione di proposte standardizzate e, quindi, all’effettuazione di transazioni non negoziate con i clienti, allora l’operazione presenterebbe i connotati dell’offerta al pubblico, con conseguente applicazione della normativa sulla sollecitazione all’investimento”.

Nel caso sub iudice dall’esame degli atti prodotti dalle parti non emerge la prova che vi fu una siffatta pubblica offerta dei titoli oggetto di causa da parte della Banca convenuta (componente del pool di collocamento, cfr. pagg. 38-39 Offering Circular), che erano già comunque nel suo portafoglio e che furono dunque oggetto di singole operazioni di vendita alla propria clientela che interessarono anche gli odierni istanti.

Non sussisteva dunque alcun obbligo per la Banca di consegnare il prospetto informativo di cui all’art. 94 t.u.f.

Nel venire agli ulteriori profili di doglianza degli attori, è opportuno rilevare che la sopra citata Offering Circular, unico documento esterno che possa fornire una completa informativa sui titoli da collocare, rimane nella disponibilità dei membri del consorzio di collocamento e degli investitori istituzionali, che ne facciano richiesta: non è prevista alcuna consegna al risparmiatore e peraltro la formulazione inglese del documento e l’estremo tecnicismo del contenuto ne renderebbero assai ardua una corretta valutazione. Unica fonte di informazione rimane pertanto l’intermediario, a cui viene rimessa in misura più pregnante la valutazione di adeguatezza dell’operazione alle esigenze del risparmiatore.

Punto determinante per la risoluzione della controversia è dato dunque dalla completezza delle informazioni fornite dalla Banca circa la natura, i rischi e le implicazioni della specifica operazione (a norma dell’art. 28 del Regolamento Consob 11522/1998) e dalla diligenza, correttezza, trasparenza nello svolgimento dei servizi di investimento di cui all’art. 21 lett. a) e b) del t.u.f.

Sul punto in primo luogo va rilevato che non trova fondamento la dedotta nullità dei contratti di acquisto per violazione dei suddetti obblighi.

Il t.u.f. infatti disciplina analiticamente i casi di nullità del contratto di intermediazione mobiliare (segnatamente per mancanza di forma scritta e per rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro onere a suo carico ed altresì per analoghe ipotesi in materia di gestione di portafogli di investimento, cfr. art. 23, I e II co. e 24) e pertanto ritenere che la violazione degli obblighi di informazione integri una nullità assoluta – in quanto tale (ex art. 1421 c.c.) rilevabile d’ufficio dal Giudice – equivarrebbe ad introdurre, da parte dell’interprete, una ben più grave ipotesi di nullità non prevista dal legislatore ed oltretutto contraria alla ratio della normativa a protezione dei consumatori qual è quella in esame (potendo siffatta nullità essere sollevata d’ufficio, in ipotesi, anche a svantaggio del cliente); la violazione delle citate disposizioni non integra un vizio genetico, relativo cioè alla fase di conclusione del contratto, bensì un vizio funzionale, che inerisce al contratto ormai perfezionatosi riguardando l’inesatto o mancato adempimento di prestazioni (rispetto agli obblighi di informazione) cui la Banca è tenuta in forza di un vincolo negoziale già sorto, con la conseguenza che la detta violazione – ove accertata – può integrare un’ipotesi di inadempimento contrattuale e non di nullità del contratto.

In ordine alla domanda di risarcimento del danno per inadempimento da parte della Banca agli obblighi informativi cui essa è tenuta ai sensi del più volte citato art. 21 D.lgs. n. 58 e del regolamento Consob n. 11522/1998 nonché per l’esistenza di un non dichiarato conflitto di interessi, si osserva in primo luogo che il citato art. 21 del t.u.f. prevede l’obbligo per le Banche che svolgano servizi di investimento nei confronti del pubblico di “comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati” (lett. a) e di “acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati” (lett. b); in attuazione di tali disposizioni il citato regolamento Consob n. 11522/1998 h dunque previsto all’art. 28, 1° comma, l’obbligo dei soggetti abilitati di “chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio” e di consegnargli il “documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari” nonché, all’art. 28, 2° comma, l’obbligo degli stessi soggetti di fornire all’investitore “informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o di disinvestimento”.

La Banca…(omissis), oltre ad acquisire le più recenti ed affidabili informazioni in ordine alle operazioni richieste dagli attori, avrebbe dunque dovuto dimostrare, quale intermediario finanziario abilitato, di avere chiesto “all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio” (art. 28, 1° comma, regolamento Consob).

Allo stato degli atti non risulta invece che la Banca abbia mai acquisito informazioni in tal senso dai clienti, non essendo stato dimostrato che l’intermediario finanziario, in relazione all’esecuzione degli ordini impartiti dagli istanti, abbia fornito “informazioni adeguate” sulla natura, rischi ed implicazioni della specifica operazione (acquisto delle obbligazioni Giacomelli Sport Finance 8.375%) così da consentire alla propria clientela di effettuare una scelta consapevole (art. 28, 2° comma, regolamento Consob) ed abbia valutato l’“adeguatezza” dell’operazione (per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione: art. 29, comma 1°, regolamento Consob) al profilo ed agli obiettivi di investimento dei clienti e dopo averli eventualmente informati dell’inopportunità di procedere all’operazione ed aver acquisito il relativo assenso scritto (art. 29 reg. interm.).

La Banca ha inteso fornire la prova dell’esatto adempimento degli obblighi in questione deducendo che gli attori avevano dimostrato di non avere una bassa propensione al rischio tanto da essere titolari di titoli tra i più diversificati tra loro e anche caratterizzati da un rischio piuttosto elevato; asseriva inoltre che in quasi tutti i casi sottoposti all’esame del Collegio gli stessi attori avevano dichiarato mediante sottoscrizione della specifica clausola apposta agli ordini di acquisto di essere stati adeguatamente informati della non adeguatezza dell’ordine impartito (cfr. pagg. 14-20 comparsa di risposta).

Tali elementi, forniti a sostegno della prova liberatoria, appaiono del tutto insufficienti a ritenere esattamente adempiuti gli obblighi informativi e di segnalazione della inadeguatezza della operazione.

Premesso che l’eventuale esperienza maturata dall’investitore non esonera comunque la Banca dall’adempimento dei predetti obblighi (non potendo qualificarsi l’investitore per ciò stesso come “operatore qualificato”: art. 31 commi 1 e 2 reg. interm.) ma le consente soltanto di conformare diversamente il contenuto dell’obbligo informativo, non può sostenersi che l’informazione sull’assenza di “rating”, nel caso concreto, doveva comunque ritenersi superflua (idest: non “necessaria” ex art. 28, comma 2° reg. interm.) in considerazione dell’“esperienza” in materia di investimenti finanziari maturata dagli attori; considerato che la verifica della completezza della informazione deve essere commisurata al differente livello di esperienza e di cultura dell’investitore, desumibile dai pregressi investimenti compiuti, dalla diversificazione del portafoglio titoli, dalle capacità patrimoniali, ecc…, appare del tutto evidente che l’indicata qualità non può essere certo essere riconosciuta a nessuno degli istanti alla stregua dei soli indicati elementi noti alla Banca alla data dell’investimento in quanto, se la tipologia dei titoli in possesso degli istanti poteva dimostrare in taluni casi un profilo di rischio non basso, ciò non escludeva però il dovere della Banca di informare sulla tipologia e rischiosità dell’investimento al fine di consentire ai clienti di valutare se assumersi l’ulteriore rischio che effettivamente si sono assunti. Qualsiasi propensione al rischio dell’investitore non esime infatti l’intermediario dal fornire un’informazione precisa sulle caratteristiche delle singole operazioni compiute, avendo ogni investitore diritto ad una informazione puntuale e specifica e riferita a quel singolo tipo di investimento del quale si propone la sottoscrizione.

Ciò che può mutare è dunque soltanto il quomodo dell’assolvimento dei suddetti obblighi informativi: le modalità di acquisizione dal cliente delle informazioni relative alla sua situazione finanziaria od ai suoi obiettivi di investimento nonché le modalità di esplicitazione delle informazioni sull’esistenza di interessi in conflitto, sulle caratteristiche e sull’adeguatezza della specifica operazione richiesta, ben possono infatti variare a seconda che l’intermediario abbia a che fare con un investitore occasionale ovvero con un risparmiatore aduso all’impiego del denaro in valori mobiliari oppure ancora con un esperto speculatore.

E’ significativo inoltre che l’obbligo degli intermediari di valutare l’adeguatezza dell’operazione non viene peraltro meno nemmeno nel caso in cui il cliente abbia rifiutato di fornire le informazioni sulla propria situazione patrimoniale o finanziaria, sugli obiettivi di investimento e sulla propensione al rischio (v. Comunicazione Consob n. DI/30396 del 21.4.2000). Né, del resto, è dimostrato il possesso da parte degli attori di quei requisiti di particolare professionalità nel settore finanziario richiesti dalla (successiva) direttiva del 21.4.2004/39/CE (All. II) ai fini dell’attenuazione del livello di protezione dei risparmiatori e, quindi, degli obblighi informativi in capo agli intermediari.

Manca quindi la prova di un’attività informativa corretta e piena della convenuta a seguito dell’ordine di investimento ricevuto in base alle predette norme, vigenti al tempo degli ordini. L’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522/1998 impone invero alla Banca di non eseguire le operazioni non adeguate al profilo del rischio del cliente, profilo che non risulta sia stato neppure richiesto in occasione degli ordini.

L’adempimento degli obblighi di informazione non può infine neppure desumersi, come afferma la Banca, dall’esistenza della dicitura prestampata che compare in calce agli ordini: “Dichiaro di essere stato da Voi compitamente informato che l’ordine impartitovi si riferisce ad un’operazione non adeguata”.

Premesso che nel caso degli attori … (omissis: alcuni attori, n.d.r.) non vi fu alcuna sottoscrizione della clausola in oggetto, negli altri casi non risulta sia stata comunque “sbarrata” alcuna delle caselle che indicavano lo specifico profilo di inadeguatezza (tipologia, oggetto, frequenza, dimensione).

Ritiene in ogni caso il Collegio che l’adempimento degli obblighi di informazione di cui si discute non possa desumersi dalla mera presenza di clausole prestampate all’interno del modulo utilizzato per gli ordini poiché questi sono elementi neutri che non danno alcuna prova dell’effettiva natura e delle caratteristiche dell’informazione resa al cliente.

La Banca non ha dedotto di aver altrimenti informato i clienti né soprattutto in cosa siano specificamente consistite le informazioni. Sul punto quindi anche le prove dalla stessa genericamente dedotte non sono concludenti.

La Banca infatti lungi dall’essere un semplice esecutore degli ordini di acquisto del cliente, ha l’obbligo di informarlo delle specifiche caratteristiche dell’operazione (affidabilità dei titoli secondo le agenzie dirating e sua eventuale mancanza) e dell’eventuale non adeguatezza delle operazioni.

L’inadempimento della Banca ha quindi concorso in modo determinante alla perdita del capitale investito che gli attori avrebbero potuto evitare qualora fossero stati adeguatamente informati delle caratteristiche specifiche e, di conseguenza, della non-adeguatezza dell’investimento nel titolo in esame, informazioni tanto più necessarie in quanto i titoli in questione erano stati emessi in assenza di rating da parte di agenzie specializzate laddove ilrating misura la capacità dell’emittente di pagare puntualmente le cedole e rimborsare il capitale a scadenza, mancanza che non consente di evidenziare il grado di solvibilità del debitore laddove tale elemento costituisce un dato essenziale onde poter effettuare una scelta consapevole di investimento.

E’ inoltre rilevante considerare il fatto che la Banca era comunque tenuta ad informare il cliente sull’andamento del titolo anche successivamente all’acquisto e ciò non soltanto in base al principio generale di buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) ma anche in base a specifiche disposizioni normative. L’art. 21, lett. b, del t.u.f. (che costituisce norma primaria rispetto al regolamento Consob), nell’imporre agli intermediari di “operare in modo che (i clienti) siano sempre adeguatamente informati”, al fine di consentire ad essi di effettuare “consapevoli scelte di investimento o disinvestimento” (art. 28, 2° comma, del reg. Consob) si riferisce ai servizi di investimento di cui all’art. 1, 5° comma del t.u.f. senza alcuna distinzione tra le varie tipologie di servizi (tra cui rientrano anche le negoziazioni di strumenti finanziari per conto proprio o di terzi). Orbene nessuna informazione ha reso la Banca in merito al fatto che, come dalla stessa allegato, sin dal maggio 2003 il CDA della Giacomelli aveva reso pubblica la situazione di tensione finanziaria in cui versava il Gruppo (cfr. doc 14 fasc. convenuta).

Quanto al dedotto conflitto di interessi, deve rilevarsi che la negoziazione per conto proprio di strumenti finanziari da parte della Banca è attività legittima, regolamentata dall’ordinamento (art. 1, 5° comma, lett. a) D.Lgs n. 58 e 32, 5° comma, regolamento Consob) e, pertanto, non integra di per sé un’attività in conflitto di interessi (la stessa Consob, nella comunicazione n. DAL/97006042 del 9 luglio 1997, ha del resto chiarito che “una ipotesi di conflitto di interessi non può essere individuata a priori in tutti i casi in cui l’intermediario negozia in contropartita diretta con la propria clientela strumenti finanziari”), richiedendosi invece una approfondita valutazione delle peculiarità del caso concreto. In particolare l’ente di vigilanza ha precisato che nell’ipotesi di “ordine di acquisto dello strumento finanziario conferito spontaneamente dal cliente non è configurabile alcun conflitto di interessi, posto che l’intermediario provvede ad eseguire l’ordine del cliente stesso, ponendosi in contropartita diretta nell’operazione” mentre nel caso in cui l’acquisto sia stato in qualche misura “suggerito” al cliente dallo stesso intermediario (ipotesi che ricorre nel caso sottoposto all’esame di questo Tribunale, in difetto di prova contraria) occorre allora valutare “se il suggerimento non sia stato solo finalizzato a realizzare al meglio gli interessi dei clienti ma anche (od unicamente) alla realizzazione di scopi ulteriori e diversi, propri dell’intermediario” (come ad esempio nel caso in cui l’intermediario abbia inteso eliminare rapidamente dal proprio portafoglio titoli presenti in sovrabbondanza).

La soluzione adottata dal legislatore non è dunque quella della previsione di un divieto assoluto di eseguire operazioni in conflitto ma quella di consentire l’esecuzione delle stesse, purché il cliente sia messo in condizione di avere una rappresentazione chiara ed esaustiva dell’esistenza del conflitto (c.d. regola del “disclose or abstain”) e di compiere, conseguentemente, una scelta di investimento consapevole.

A tal fine il conflitto di interessi deve in primo luogo venire esplicitato quanto alla natura ed all’estensione (in tal senso è il richiamo alla trasparenza), tanto da consentire l’equo trattamento del cliente, il quale deve acconsentire per iscritto (o il consenso deve risultare da registrazione su nastro magnetico o altro strumento equivalente), al fine sostanziale di escludere il trattamento deteriore di questi in favore della Banca.

Nel caso di specie, trovandosi l’intermediario in una situazione di conflitto di interesse in ragione del proprio ruolo di collocatore del titolo acquistato dai clienti, non risulta rispettato l’art. 27 del Reg. Consob cit. in difetto di una puntuale e preventiva informativa circa l’esistenza, la natura e l’estensione dell’interesse dell’intermediario stesso nell’operazione de qua.

Nel caso dei contratti sottoscritti da…(omissis: alcuni attori, n.d.r.) non è stato espresso alcun consenso all’esecuzione dell’operazione in conflitto di interessi; negli altri casi, pur risultando esplicitato nella clausola sottoscritta dai clienti che la Banca agiva in una situazione di conflitto di interessi, non risulta tuttavia espressamente indicato che la Banca si trovava, con riferimento alle predette operazioni, nella predetta situazione di conflitto di interessi per essere contemporaneamente Banca emittente e collocatrice dei titoli in oggetto né vi è prova che fu resa una specifica informazione preventiva sulla natura e l’estensione del suo interesse nell’operazione, essendo emerso in sostanza che sia stato reso solo un avviso generico in ordine all’esistenza del conflitto di interesse in questione.

Non è dunque dimostrato che la Banca si sia comportata sul punto con chiarezza e trasparenza. La Banca ha peraltro sostenuto in giudizio che i titoli acquistati fossero sostanzialmente solidi e molto richiesti dal mercato al momento della conclusione degli ordini ma ciò non è decisivo, poiché ciò che rileva è l’informazione fornita al cliente.

Dalla complessiva valutazione degli elementi probatori finora descritti è dato dunque ricavare che l’inadempimento della Banca ai perdetti obblighi di informativa e di agire con trasparenza assume rilievo nella misura in cui abbia prodotto un danno.

L’inadempimento della Banca che gli istanti lamentano e che è stato effettivamente produttivo di danno concerne infatti la mancanza di informazioni sul progressivo indebolimento del valore dei titoli e sulla conseguente probabilità che la loro redditività sarebbe diminuita o azzerata del tutto, in epoca prossima rispettivamente al c.d. “default” della società emittente (luglio 2003).

In tale ordine di concetti, dall’accertata violazione da parte della Banca delle obbligazioni legali sopra indicate è derivato agli attori un pregiudizio consistito nel sostanziale azzeramento del valore delle obbligazioni di cui si discute in conseguenza del notorio tracollo finanziario che interessò la Giacomelli il 9 ottobre 2003, con la dichiarazione con la sentenza del tribunale di Rimini dello stato di insolvenza della Giacomelli. Allo stato non è dunque concretamente prevedibile il rimborso del capitale.

E’ evidente dunque che alla predetta data debba essere individuato il momento di verificazione del danno (coincidendo tale dichiarazione con l’inadempimento definitivo dell’emittente-debitore).

Il debito di natura risarcitoria della banca, non essendovi prova di alcuna corresponsione di cedole nel corso del rapporto (circostanza solo allegata – peraltro anche in via generica, senza alcuna indicazione degli importi – ma non provata dalla convenuta), è pari per ciascun attore alla somma impiegata per l’acquisto dei titoli.

Il debito di cui si discute è di valore. Esso deve essere quindi rivalutato secondo gli indici del costo della vita periodicamente rilevati dall’ISTAT mediante utilizzo di coefficiente di rivalutazione monetaria in base agli indici del costo della vita pubblicati dall’ISTAT pari a 1,0941 per credito dell’anno 2002. Tale è il danno emergente derivato agli attori dagli accertatati inadempimenti.

Alla luce dei principi di diritto affermati, in tema di rivalutazione ed interessi compensativi sulle somme di danaro liquidate per debiti di valore, da Cass. S.U. 17 febbraio 1995, n. 1712, è da precisare: che al creditore di un debito di valore è dovuto il risarcimento del danno derivante da lucro cessante, conseguentemente al ritardo nel pagamento della somma liquidata e rivalutata; che nel liquidare detta parte di danno, anche attraverso l’utilizzazione di presunzioni e mediante il ricorso al fatto notorio, il Giudice può anche ricorrere alla liquidazione di interessi, che possono essere inferiori al tasso legale; che è da escludere la liquidazione automatica degli interessi in misura legale sulla somma rivalutata, perché, in contrasto col principio nominalistico, si finirebbe altrimenti per rivalutare gli interessi stessi.

In quest’ottica di concetti (conformemente a quanto deciso in argomento da questo Tribunale in sentenze successive alla sopra richiamata pronuncia della Suprema Corte), il lucro cessante è costituito dalla differenza fra l’ammontare del debito di valore rivalutato secondo gli indici ISTAT e la somma che sarebbe risultata da un impiego presumibile della somma originariamente dovuta.

In mancanza di specifiche allegazioni sul punto da parte degli attori, è da presumere che le somme sopra indicate (non rivalutate ad oggi), ove tempestivamente restituite dalla convenuta, sarebbero state reimpiegate nell’acquisto di titoli di Stato che, notoriamente, hanno reso, nel periodo trascorso dall’insorgere del credito, il 2% annuo in media. (omissis)

Dal giorno di pubblicazione della sentenza sulle somme di danaro così complessivamente liquidate sono, inoltre, dovuti interessi determinati ai sensi dell’art. 1284 c.c., fino al giorno dell’effettivo pagamento di debito.

In considerazione dell’accoglimento solo delle domande a contenuto risarcitorio, sussiste il presupposto richiesto dall’art. 92,2° comma c.p.c. (soccombenza reciproca) per compensare fra le parti la metà delle spese processuali mentre la Banca, che col suo inadempimento ha dato causa al processo in cui è rimasta parzialmente soccombente, deve essere condannata a rimborsare agli attori la metà delle spese processuali anticipate da controparte nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando, uditi i procuratori delle parti, disattesa ogni altra istanza, eccezione e difesa, così provvede:

- dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del d.lgs. 58/1998;

- rigetta le domande di nullità degli ordini di acquisto per cui è causa;

- condanna la Banca…(omissis), in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento in favore degli attori delle somme come di seguito indicate, oltre interessi in favore di ciascuno come in motivazione:…(omissis);

- compensa per metà le spese di lite che pone per la rimanente parte a carico della convenuta e che liquida in……(omissis).

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della III sezione civile del tribunale, il giorno 15.5.2007.