ilcaso.it
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 14926 - pubb. 04/05/2016.

Polizza vita unit linked: natura, prova dell'investimento nel fondo interno e violazione della normativa italiana da parte di società estera operante in Italia in regime di stabilimento e libera prestazione dei servizi


Tribunale di Torino, 17 Marzo 2016. Est. Ciccarelli.

Polizza vita unit linked - Causa prevalente del negozio - Causa finanziaria - Funzione assistenziale - Esclusione

Polizza vita unit linked - Impiego dei premi per l'acquisto di quote di un fondo interno - Adempimento dell'intermediario - Prova dell'esistenza di un patrimonio separato - Accensione di conto corrente e deposito titoli a nome della banca depositaria con andamento dei titoli

Polizza vita unit linked - Investimento dei premi in strumenti non consentiti dalla normativa italiana in materia di assicurazione sulla vita - Società estera operante in Italia in regime di stabilimento e libera prestazione dei servizi - Violazione della normativa italiana - Esclusione

Polizza vita unit linked - Investimento in fondo interno - Limiti imposti dalla normativa italiana - Tutela degli investitori - Esclusione - Salvaguardia della patrimonialità e stabilità finanziaria delle imprese di assicurazione

Intermediazione finanziaria - Dovere di informazione in ordine all'aumento del livello di rischio - Sussistenza


La polizza vita unit linked si caratterizza – secondo la definizione dell’Isvap – per il fatto che “l’entità del capitale assicurato dipende dall’andamento del valore delle quote di fondi di investimento interni (appositamente costituiti dall’impresa di assicurazione) o da fondi esterni (OICR) in cui vengono investiti i premi versati, dedotti i caricamenti, il costo per la copertura in caso di morte, le eventuali coperture accessorie e le commissioni di gestione”. La nota informativa (doc. 3 CSLP, art. 4) chiarisce che la polizza ha durata pari alla vita intera dell’assicurato e impegna la società, a fronte della corresponsione di un premio unico, alle prestazioni previste in caso di riscatto o in caso di decesso. Come ormai chiarito dalla giurisprudenza (Trib. Torino, 25 luglio 2011), si tratta di un contratto con causa mista atipica, a contenuto prevalentemente finanziario e, in via residuale, assicurativo. In particolare, il fatto che l'entità del capitale o della rendita dipendano dalla maggiore o minore redditività dell'investimento comporta che l'intero rischio dello stesso gravi sull'assicurato, a fronte di un premio e di spese di emissione della polizza che la compagnia emittente percepisce senza alcun rischio. Per questa ragione, la causa prevalente del negozio pare essere quella finanziaria, laddove la polizza vita sembra avere solamente lo scopo di individuare i momenti in cui l'assicuratore dovrà effettuare la prestazione di rimborso alla quale è obbligato (ciò comporta anche, conformemente, del resto, alla prospettazione dell'attrice, l'applicabilità a tali negozi della disciplina di cui al TUF, anche prima delle modifiche legislative introdotte dal decreto legislativo 330 del 2006). È noto, infatti, come l'assetto di interessi presupposto dall'impianto codicistico dell'assicurazione sulla vita sia caratterizzato dal fatto che l'assicuratore assume su di sé tanto il cosiddetto rischio demografico, cioè il rischio attinente alla durata della vita umana (morte o sopravvivenza dell'assicurato), quanto i rischi finanziari correlati al contratto, in quanto garantisce all'assicurato una determinata prestazione a prescindere dai risultati della gestione finanziaria dei premi corrisposti dall'assicurato stesso. Nelle polizze unit linked pare, invece, assente tale funzione previdenziale ed anche, soprattutto, la predefinizione contrattuale del quantum della prestazione dell'assicuratore: in tali contratti (come pure in quello concluso dall'attore) manca qualsiasi forma di garanzia da parte della compagnia, ed il quantum delle prestazioni è determinato solo a posteriori, sulla base dei risultati degli investimenti dei premi: in questo senso, per l'appunto, la prestazione è “linked”. D’altra parte il legislatore ha astrattamente previsto la causa di questi contratti, introducendo nel testo unico della finanza la nozione di prodotto finanziario emesso da imprese di assicurazione (art. 1, lett. w-bis TUF), prodotto che può consistere anche in un puro investimento finanziario. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Nella polizza il cui premio sia stato impiegato per l'acquisto di quote di un fondo interno, per dimostrare l'esistenza dell'oggetto del contratto e l'adempimento dell'intermediario, appare sufficiente l'esistenza di un patrimonio separato e la produzione documentale attestante la specifica accensione di un conto corrente e di un conto deposito titoli a nome della banca depositaria con andamento dei titoli descritto in conformità alla tipologia degli investimenti previsti per il fondo interno prescelto dal cliente (Trib. Torino 28 luglio 2011, conf. da App. Torino 27 febbraio 2013). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Qualora la polizza vita unit linked preveda l'avvertenza in ordine alla possibilità che i premi versati dai clienti possono essere investiti in attivi non consentiti dalla normativa italiana in materia di assicurazione sulla vita e l'intermediario sia un soggetto avente sede in Liechtenstein ed operante in Italia in regime di stabilimento e libera prestazione di servizi, deve escludersi la violazione della normativa italiana (di grado secondario) in ordine ai limiti di investimento del fondo interno, in quanto tale normativa non è applicabile all'intermediario sopraindicato (Trib. Torino 25 luglio 2011 e 3 aprile 2013, conf. da App.Torino 27 febbraio 2013 e 7 febbraio 2014). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

I limiti previsti per le imprese nazionali di assicurazione all'investimento del fondo interno non possono essere invocati per il solo fatto che l'intermediario ha una succursale in Italia, in quanto tali limiti non sono finalizzati alla tutela degli investitori ma alla salvaguardia della patrimonialità e stabilità finanziaria delle imprese di assicurazione, come si evince anche dal fatto che l'imposizione di detti limiti promana dall'ISVAP, autorità di vigilanza sulle assicurazioni, e non dalla Consob. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

L'intermediario ha il dovere di avvertire il cliente dell'aumento del livello di rischio degli strumenti finanziari oggetto dell'investimento qualora detto livello sia inferiore a quello del profilo prescelto. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Il testo integrale