Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 15531 - pubb. 01/07/2010

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Cassazione civile, sez. I, 09 Settembre 1995, n. 9506. Est. Bibolini.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Cessazione - Chiusura del fallimento - Casi di chiusura - Chiusura per estinzione dei crediti ammessi al passivo - Pendenza di procedimento per opposizione ad insinuazione tardiva di credito - Irrilevanza



La pendenza di un procedimento per insinuazione tardiva di un credito alla cui ammissione la curatela si sia opposta (art. 101 legge fall.) non impedisce la chiusura del fallimento per estinzione dei crediti ammessi al passivo, ex art. 118 comma 2 legge fall., nemmeno in caso di soddisfazione stragiudiziale dei creditori ammessi, atteso che l'insinuazione tardiva, ai sensi dell'art. 112 legge fall., non ha carattere sospensivo ne' dei riparti non satisfattivi ne' del riparto finale satisfattivo, al quale va equiparata l'ipotesi della soddisfazione stragiudiziale emergente a livello della procedura concorsuale con le rinunzie e le dichiarazioni dei creditori ammessi. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Renato SGROI Presidente
" Giovanni OLLA Consigliere
" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "
" Luigi ROVELLI "
" Simonetta SOTGIU "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
FALLIMENTO DELLA S.P.A. CEMENTERIE UMBRE, in persona del curatore, giusta autorizzazione del giudice delegato in data 27 maggio 1992, rappresentato e difeso dall'avv.to Mario Marchetti presso lo studio del quale in Roma, via Acherusio n. 8, è elettivamente domiciliato, giusta delega a margine del ricorso introduttivo;
Ricorrente
contro
FALLIMENTO DELLA S.P.A. CEMENTERIE RIUNITE, in persona del curatore Laura del Bufalo con studio in Roma, via Tacito n. 23;
Intimato
S.P.A. CEMENTERIE RIUNITE, con sede in Roma, in persona del suo legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Dario Di Gravio presso il cui studio in Roma, via Anapo n. 29, ha eletto domicilio, giusta delega in calce al controricorso con ricorso incidentale condizionato;
Intimato
e sul ricorso incidentale condizionato n. 7632-92, proposto da
S.P.A. CEMENTERIE RIUNITE, con sede in Roma, in persona del suo legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Dario Di Gravio presso il cui studio in Roma, via Anapo n. 29, ha eletto domicilio, giusta delega in calce al controricorso con ricorso incidentale condizionato;
Controricorrente e ricorrente incidentale condizionato contro
FALLIMENTO DELLA S.P.A. CEMENTERIE UMBRE, in persona del curatore, giusta autorizzazione del giudice delegato in data 27 maggio 1992, rappresentato e difeso dall'Avv. Mario Marchetti presso lo studio del quale in Roma, via Acherusio n. 8, è elettivamente domiciliato, giusta delega a margine del ricorso introduttivo;
Intimato
e contro
FALLIMENTO DELLA S.P.S. CEMENTERIE RIUNITE, in persona del curatore Avv. Laura del Bufalo con studio in Roma, via Tacito n. 23;
Intimato
avverso il decreto pronunciato dalla Corte d'Appello di Roma in data 18 marzo 1992;
udita la relazione del consigliere Gian Carlo Bibolini;
sentito l'Avv. Di Gravio il quale ha chiesto il rigetto del ricorso principale e, in subordine, l'accoglimento di quello incidentale;
sentito il P.M. Dott. FRANCESCO AMIRANTE il quale ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'assorbimento di quello incidentale;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'oggetto del presente giudizio attiene alla possibilità di chiudere un fallimento (nella specie per estinzione dei crediti ammessi al passivo ex art. 118 n. 2 L.F.), in pendenza di u procedimento per insinuazione tardiva di un credito ex art. 101 L.F., credito alla cui ammissione al passivo la curatela si era opposta. In fatto si rileva:
a) il Tribunale di Roma aveva dichiarato il fallimento della s.p.a. CEMENTERIE RIUNITE, con sentenza 20-21 settembre 1985;
b) con ricorso in data 1 aprile 1987 la curatela del fallimento della s.p.a. CEMENTERIE UMBRE chiedeva l'ammissione, ex art. 101 L.F., di un proprio credito per L. 1.723.828.536, trovando l'opposizione della curatela del fallimento CEMENTERIE RIUNITE, la quale si costituiva in giudizio;
c) con decreto in data 7 gennaio 1992, essendo ancora pendente la controversia di cui al punto b), il fallimento delle CEMENTERIE RIUNITE era dichiarato chiuso per integrale estinzione del passivo ammesso (art. 118 n. 2 L.F.);
d) in data 22 gennaio 1992 la curatela del fallimento delle CEMENTERIE UMBRE, proponeva apposizione alla chiusura con reclamo ex art. 119 L.F. alla Corte d'Appello di Roma;
e) sul reclamo la Corte romana provvedeva con decreto 18 marzo 1992 di rigetto. In particolare della Corte, pur ritenendo ammissibile il reclamo, cui il ricorrente era legittimato in quanto portatore di un interesse suscettivo, in astratto, di essere fatto valere nella procedura concorsuale, lo rigettava nel merito, negando in linea di principio che fosse preclusiva alla chiusura del fallimento la pendenza di una domanda tardiva di credito, essendo prevalente l'interesse generale alla speditezza che caratterizza la procedura concorsuale e che ne impone la chiusura una volta esauriti gli adempimenti istituzionali. Riteneva, in questa linea logica, la Corte di Roma che nella specie, mentre il diritto della reclamante non era ancora accertato. Certo e tutelabile era l'interesse del fallito alla sollecita chiusura della procedura, chiusura cui erano connesse situazioni rilevanti.
Avverso il decreto proponeva ricorso per cassazione, ex art. n. 111 comma 2 Cost., la curatela del fallimento della s.p.a. CEMENTERIE UMBRE, sulla base di due motivi; depositava controricorso, nonché ricorso incidentale condizionato la s.p.a. CEMENTERIE RIUNITE. MOTIVI DELLA DECISIONE
In linea pregiudiziale la controricorrente chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso in quanto, essendo il fallimento stato chiuso a norma dell'art. 118 n. 2 L.F.. è mancato nei motivi di ricorso la devoluzione diretta a mettere in dubbio la corretta applicazione dell'art. 118 n. 2 L.F..
L'eccezione non merita accoglimento in quanto il ricorrente, contestando che il fallimento potesse chiudersi indipendentemente dalla forma, e sostenendo la necessità che la cessazione della procedura debba seguire la definizione della controversia inerente alla sussistenza del credito da lui vantato (e, in caso di accertamento positivo, debba seguire l'ulteriore liquidazione di beni al fine di soddisfare il creditore tardivo, ora contestato), ha chiaramente dedotto in controversia proprio l'illegittimità della chiusura, illegittimità coinvolgente specificamente il tipo di chiusura attuato nel caso di specie ex art. 118 n. 2 L.F.. Egli, in sostanza, non contesta che i creditori ammessi possono essere soddisfatti integralmente o con riparti ovvero in via stragiudiziale, secondo le varie ipotesi previste dall'art. 118 n. 2 L.F.; contesta, per contro, che i beni patrimoniali residui, una volta soddisfatti i creditori ammessi, debbano essere restituiti alla fallita sostenendo, invece, la loro destinazione in sede concorsuale alla soddisfazione dei creditori in corso di accertamento; situazione che verrebbe pregiudicata dalla chiusura del fallimento, ritenendo egli non equivalente la tutela offerta dalla possibile esecuzione singolare sugli stessi beni, rispetto a quella concorsuale. Nè il ricorrente, quale creditore tardivo la cui situazione giuridica era in corso di accertamento, era legittimato all'impugnazione di altri atti del procedimento anteriori alla chiusura, soprattutto ove si consideri che nella specie la soddisfazione integrale dei creditori in allora ammessi al passivo, non è avvenuta (se bene si è compresa l'esposizione in fatto del provvedimento impugnato e degli atti di parte) mediante liquidazione e riparto, ma in via stragiudiziale.
I ).
Con il primo mezzo di cassazione la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione di norme, ex art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 24 Cost., 52 e 101 L.F., 2741 e 2907 c.c.. Rilevato che l'art. 101 L.F. consente l'insinuazione tardiva con l'unico limite temporale della chiusura del fallimento (limite nella specie rispettato, in quanto il ricorso per insinuazione risaliva al 1987 e la chiusura avvenne nel 1992), il ricorrente sostiene il suo diritto, una volta proposta l'insinuazione tardiva, di ottenere una utile pronuncia del magistrato legittimamente adito, quanto meno ex art. 24 della Costituzione, con ciò prospettando indirettamente il divieto alla chiusura che detta pronuncia precluderebbe. Ciò soprattutto considerando che il protrarsi della causa per il riconoscimento del credito da insinuare, una volta tempestivamente proposta l'azione, non è necessariamente ascrivibile a colui che vanta il credito sottoposto ad accertamento.
Nè sarebbe fondato, in tesi, richiamare l'interesse generale alla sollecitudine della procedura concorsuale, anche nella fase di chiusura, volta che in quella fase (una volta soddisfatti gli altri creditori ammessi) gli interessi contrapposti sono quelli del creditore, o aspirante tale, e quelli del fallito, e l'interesse del fallito non può prevalere su quello di chi si afferma creditore, in quanto la procedura concorsuale ha come propria finalità istituzionale proprio la tutela dei creditori.
Non sarebbe sufficiente, inoltre, rilevare che, essendo stati soddisfatti tutti gli altri creditori ed essendo stato restituito alla società, ritornata in bonis, l'intero suo patrimonio, il creditore potrebbe comunque procedere con azione esecutiva ordinaria;
basterebbe rilevare, in senso contrario, che il creditore verrebbe comunque privato di tutte quelle forme speciali di tutela (art. 64, 65 e 67 L.F.) che sono proprie della procedura concorsuale, e che non attengono al giudizio ordinario.
Tale essendo il punto fondamentale del mezzo di cassazione in esame, si rileva innanzi tutto che la ricorrente non si duole ne' di eventuali avvenuti riparti, ne' espressamente del mancato accantonamento delle somme necessarie alla soddisfazione delle sue ragioni, se riconosciute, per potersi procedere alla chiusura del fallimento a norma dell'art. 118 n. 2 L.F.; Essa si duole puramente e semplicemente della chiusura della procedura concorsuale, in presenza di entità patrimoniali attive da porre nella libera disponibilità della società fallita e seguito dell'integrale soddisfazione dei creditori ammessi al passivo, sostenendo la necessità che la procedura stessa debba rimanere aperta fino alla definizione giudiziale dell'insinuazione tardiva del suo vantato credito, al fine di potere partecipare, se riconosciuto il credito, all'ulteriore liquidazione e riparto dell'attivo residuo.
I presupposti da cui trae fonte la richiesta sono:
a) la proponibilità dell'insinuazione ex art. 101 L.F. fino alla chiusura del fallimento;
b) il diritto dell'opponente di ottenere, una volta proposta l'azione giudiziale, una pronuncia sul merito munita di efficacia;
c) l'insussistenza di una tutelabile ragione di rapidità nella chiusura del fallimento in quanto, una volta soddisfatti i creditori ammessi, gli unici interessi in contrasto rimarrebbero quelli del creditore, o supposto tale, e quelli della società fallita. Nell'alternativa, la stessa funzione istituzionale della procedura concorsuale, dovrebbe portare alla tutela della prima situazione rispetto alla posizione della seconda.
I tre punti base dell'organizzazione logica offerta dalla ricorrente a fondamento della propria pretesa, si collegano a presupposti non del tutto esatti (comunque non esaminati nella loro completezza sistematica), ed omettono di tenere adeguatamente conto dei limiti inerenti al mezzo da essa scelto per la verificazione della situazione giuridica addotta (l'insinuazione tardiva). Ed invero, secondo la prevalente interpretazione della dottrina e della giurisprudenza, il legislatore ha regolato la procedura fallimentare in maniera tale da soddisfare le esigenze pubblicistiche di speditezza proprie di tale istituto che coincidono, del resto, con l'interezza della massa dei creditori, ma alle quali non è estraneo l'interesse del fallito, sia nel caso dell'imprenditore individuale in virtù delle incapacità che lo coinvolgono in quanto fallito, sia in quello della società commerciale, in virtù dell'incidenza del fallimento, e dei vari tipi di chiusura, sulla vicenda societaria. La razionalizzazione del fallimento, volta a realizzare la speditezza della sua esecuzione, si realizza mediante la suddivisione in una serie di subprocedimenti (diretti rispettivamente all'acquisizione dell'attivo, all'accertamento del passivo, alla liquidazione ed infine al riparto dell'attivo liquidato, cui consegue la chiusura), da realizzarsi in sequenza, di modo che ciascuna fase, secondo uno schema fondamentale, trovi la sua possibilità di attuazione, dalla chiusura di quella precedente.
La razionalizzazione della struttura concorsuale richiede, di conseguenza, la concentrazione delle componenti di ciascuna fase al fine di attuarne il massimo di definizione prima di dare attuazione a quella successiva.
Così, il mezzo ordinario per la costituzione della massa passiva concorrente è il procedimento della verificazione dei crediti, secondo la struttura delineata dagli artt. da 93 a 97 L.F., con la quale, mediante il contraddittorio di tutti i concorrenti, si perviene ad un unico provvedimento complesso di definizione dello stato passivo.
Rispetto a chi tempestivamente sottoponga la situazione giuridica vantata alla verificazione, il creditore che procede con tardività all'adempimento è posto in una situazione di pregiudizio possibile e di rischio.
l primo rischio attiene al tempo consentito per proporre la domanda ex art. 101 L.F., termine che, contrariamente all'opinione espressa dalla ricorrente, non persiste necessariamente fino alla chiusura del fallimento, ma, secondo il dettato del predetto articolo, scade con l'esaurimento di tutte le ripartizioni dell'attivo fallimentare e coincide con lo scadere del termine per impugnare il riparto finale dell'attivo. Da ciò nasce in linea di principio il rischio di incapienza del creditore tardivo, non potendo egli partecipare ai riparti, siano essi parziali o finale, verificatisi prima della sua domanda. Questo principio, inoltre, è riconfermato ed ampliato dall'art., 112 L.F. che esclude il creditore tardivo dai riparti anteriori, non solo alla sua domanda, ma alla ammissione al passivo del suo credito. Egli assume, in definitiva, il doppio rischio della tardività della domanda e della durata del processo tardivamente iniziato, processo che non blocca i riparti, parziali o finale, verificatisi nel corso della sua pendenza, ne' le sue ragioni possono essere salvaguardate mediante il sistema degli accantonamenti, sia nei riparti parziali, sia in quello finale, che non concernono il creditore che abbia tardivamente proposto la domanda di riconoscimento del suo credito ed il suo carattere concorsuale al fine di divenire concorrente.
Sia che il sistema così delineato in linea di principio si debba condurre alla stessa struttura del fallimento, come processo a fasi pregiudiziali, ciascuna preclusiva di quella successiva che è, a sua volta, attuativa della precedente (per cui la liquidazione dell'attivo e la ripartizione non possono iniziare senza che sia completata la verifica del passivo ordinaria, e la chiusura deve seguire, come fase finale, al semplice verificarsi di una delle MOTIVI DELLA DECISIONE
ipotesi normativamente previste), sia che il carattere sanzionatorio della norma sia da ricondurre alla volontà legislativa di imprimere alle operazioni fallimentari una sollecitudine processuale eccezionale, ponendo a carico del ritardatario colpevole una sanzione che incide sul suo diritto sostanziale (sia pure di solo fatto), certo è che il creditore tardivo assume il rischio dell'incapienza dovuta anche alla durata del processo di accertamento del suo credito che non è idonea a paralizzare, in via di principio, il normale flusso delle operazioni della procedura fino alla sua chiusura. Che tale sia il criterio generale cui si uniforma la struttura del procedimento concorsuale nel fallimento, emerge anche dal sistema delle eccezioni dalla legge previste, allorché lo stesso art. 112 L.F., separa la posizione dei creditori chirografari tardivi, dai tardivi privilegiati e dalla tardività colpevole (anche per i crediti chirografari); situazioni nelle quali il creditore conserva il diritto alla partecipazione al riparto, anche recuperando le quote che sarebbero spettate nei precedenti riparti. Anche in queste ipotesi persiste un rischio; il rischio, vale a dire, che l'attivo non ripartito non sia capiente e non dia copertura alle spettanze che risulterebbero dai precedenti riparti; un rischio, peraltro, inferiore a quello cui è in linea generale soggetto il creditore che abbia chiesto tardivamente la sua ammissione.
Tali essendo i criteri cui uniformare l'indagine nei casi di fallimento chiuso con riparto finale, occorre chiarire se, e quali, tra detti limiti siano applicabili nel caso di soddisfazione integrale dei creditori stessi; se, in particolare. possa, o non, individuarsi un'estinzione o un pagamento dei crediti ammessi (sia co il riparto concorsuale, sia in un'eventuale fase stragiudiziale) atta a determinare la chiusura del fallimento secondo la disciplina prevista dall'art. 118 n. 2 L.F., allorché la precedente fase (quella della formazione della massa passiva concorrente) non sia ancora del tutto conclusa per la pendenza delle domande tardive di insinuazione presentate nei termini consentiti. Si tratta, in sostanza di valutare se quel rischio che la legge pone a carico di chi non rispetti i termini brevi per la presentazione delle domande atte alla formazione dello stato passivo, si realizzi, non solo nel caso di riparto finale inidoneo a soddisfare integralmente i creditori tempestivamente ammessi, ma anche nel caso in cui la soddisfazione integrale sussista, e risulti un'eccedenza di attivo che, in mancanza di ulteriori "crediti ammessi" da soddisfare, dovrebbe essere rimesso nella disponibilità della fallita. Il punto di riferimento letterale dell'art. 118 n. 2 L.F. è ai "crediti ammessi"; sono i "crediti ammessi" che, in quanto soddisfatti integralmente (o con riparto o in altra forma) determinano, ed impongono agli organi della procedura, la chiusura del fallimento, secondo la fattispecie in esame.
Il riferimento ai "crediti ammessi", peraltro, in linea astratta e di prima approssimazione, può assumere un duplice, ed alternativo, significato, e cioè:
a) o si ritengono "crediti ammessi" atti al fine solo quelli che tali risultino dopo che si sia dato tempo e luogo per l'integrale soluzione delle situazioni controverse pendenti, per cui la pendenza di controversie giudiziali relative all'accertamento dei crediti sarebbe impeditiva della chiusura del fallimento e preclusiva della possibilità di considerare, ai fini dell'art. 118 n. 2 L.F., soddisfatti i crediti ammessi;
b) oppure assume valore per la chiusura la soddisfazione dei crediti che, in una fase qualsiasi successiva alla definitività dello stato passivo, risultino ammessi al passivo.
La soluzione del problema, nell'alternativa proposta, non può trovarsi nella letteralità della norma richiamata, ma nella sistematica della procedura concorsuale relativa ai tempi ed ai modi di conduzione del suo iter, di cui le varie forme di chiusura (compresa quella in esame), costituiscono espressione finale. Questa Corte con pronunce abbastanza recenti ha dato una traccia sistematica completa e coerente, nella quale la posizione del creditore tardivo ha trovato la sua collocazione, con riferimento sia al limite temporale di proponibilità della domanda, sia all'incidenza della pendenza di una domanda di insinuazione tardiva in relazione ai riparti parziali o finali ed ai possibili accantonamenti, sia infine specificamente in relazione all'ipotesi di chiusura ex art. 118 n. 2 L.F. (Cass. 17 dicembre 1990 n. 11961;
Cass. 1 marzo 1991 n. 2186; Cass. 6 maggio 1991 n. 4988). Dando adesione e continuità a detto indirizzo, si rileva innanzi tutto che nessuna differenza può sussistere tra l'ipotesi in cui la chiusura avvenga previo riparto finale che soddisfi integralmente i creditori ammessi, e quella verificatasi con soddisfazione stragiudiziale che emerga a livello di procedura concorsuale con le rinunzie e le dichiarazioni dei creditori ammessi. Con la previsione, infatti, dell'ipotesi in cui i crediti ammessi "siano in altro modo estinti" la legge (l'art. 118 n. 2 L.F.) ha voluto sia favorire le situazioni estintive diverse dal pagamento, sia soprattutto favorire l'emersione di disponibilità e possibilità, anche da parte di terzi, che altrimenti resterebbero occulte e non si tradurrebbero in un vantaggio per i creditori. Separare le due ipotesi (che nella lettera della legge sono accomunate) nel regime della chiusura del fallimento, e supporre che nel secondo caso sussista un regime più favorevole ai creditori tardivi (di cui sia necessario attendere l'ammissione), significherebbe in definitiva, non favorire i creditori tardivi a scapito del fallito, ma favorire i tardivi a scapito dei creditori ammessi, le cui possibilità di avvalersi di mezzi satisfattivi stragiudiziali è di norma condizionata alla possibilità di sfruttare attualmente, ed in presenza di condizioni favorevoli in atto, dette possibilità che alla chiusura attuale del fallimento sono intimamente connesse; significherebbe fare sfuggire possibilità attuali per i creditori ammessi, a tutela di una mera possibilità futura del creditore tardivo. Questa impostazione sarebbe contraria alla stessa ratio della previsione delle ipotesi satisfattive alternative nell'art. 118 n. 2 L.F..
Equiparate, quindi, nel regime le varie possibilità estintive delle situazioni giuridiche dei creditori ammessi, per cui identico deve essere il regime di chiusura sia nel caso di soddisfazione avvenuta fuori della procedura concorsuale, sia di quella realizzata mediante riparto finale del fallimento, l'unica differenza emergente, e da valutare ai fini delle possibilità di chiusura, è quella tra il riparto finale che non soddisfi interamente i creditori ammessi, e quello che invece dia ad essi soddisfazione con eventuali avanzi patrimoniali. Si tratta di valutare, in definitiva, se nel caso della soddisfazione integrale degli ammessi mediante riparto, sussista rispetto ai creditori tardivi una diversità di regime, nel senso che nel secondo caso al riparto pienamente satisfattivo degli ammessi non possa seguire la chiusura del fallimento, se non dopo l'attesa dell'esito delle controversie relative ai creditori tardivi i quali, se ammessi, imporrebbero un'ulteriore liquidazione di attivo ed un ulteriore riparto; riparto che in tale caso per i tardivi potrebbe anche non essere pienamente satisfattivo (partecipando essi solo alla distribuzione dell'attivo residuo dopo la loro ammissione), imponendo, quindi, sempre in tale caso, una forma di chiusura diversa da quella dell'art. 118 n. 2 L.F.. D'altronde la forma di chiusura del fallimento non costituisce una semplice alternativa a carattere meramente descrittivo, facendo emergere la legge, nel caso dell'art. 118 n. 2 L.F., un apprezzamento favorevole a favore dell'insolvente che si riflette nella possibilità dell'immediata riabilitazione (art. 143 n. 1 L.F.), senza l'attesa dei cinque anni di buona condotta.
Impostata così la questione, tre sono gli indici che delineano il regime sistematico dei creditori tardivi in relazione al regime di chiusura:
A) la correlazione tra il dettato dell'art. 112 L.F., secondo cui i creditori ammessi a norma dell'art. 101 L.F. concorrono solo sulle ripartizioni posteriori "alla loro ammissione" e quello dell'art. 118 n. 2 L.F. secondo cui è causa di chiusura del fallimento la soddisfazione integrale dei creditori ammessi";
B) la previsione degli accantonamenti;
C) le diverse possibilità satisfattive tra i creditori privilegiati e quelli chirografari tardivi incolpevoli, da un lato, ed i tardivi per scelta, dall'altro.
In ordine alla situazione sub a) l'articolazione dell'art. 112 nella parte citata, è tale da far si che, in via di normalità, non sia la pendenza di una domanda tardiva a determinare il ritmo dei riparti, parziali o finali, ma al contrario siano altri gli elementi che determinano la cadenza dei riparti (liquidità acquisita, uno stato passivo definitivo con creditori ammessi, creditori tardivi già ammessi definitivamente al passivo) alla quale il ritmo procedurale della domanda tardiva ed il suo esito deve adeguarsi. In tale senso si era in precedenza parlato del rischio insito alla tardività della richiesta di riconoscimento del credito. Se ciò è vero per il regime generale delle insinuazioni tardive delineato dall'art. 112 L.F., non vi è ragione di ritenere che diverso debba essere il significato dell'espressione "credito ammesso" utilizzata dall'art. 118 n. 2 L.F.. Non è quindi, ancora, la pendenza di un accertamento e seguito di domanda tardiva di ammissione di un credito che determina la cadenza del riparto interamente satisfattivo (e, per l'equiparazione già delineata, delle soddisfazioni avvenute al di fuori della procedura concorsuale ed in essa documentalmente emerse), ma detto riparto segue criteri indipendenti dall'accertamento tardivo in corso e consegue alla soddisfazione integrale delle situazioni definite nel momento della loro soddisfazione integrale, escludendo quelle non definite, salve le ipotesi di accantonamento di cui al capo seguente.
Il regime generale della tardività di insinuazione, quale delineata dall'art. 112 L.F., trova la corrispondente logica in tutte le fasi di attuazione, siano esse il riparto parziale non interamente satisfattivo, siano esse il riparto satisfattivo della totalità dei creditori ammessi, sia essa infine la soddisfazione avvenuta con modalità ed interventi esterni alla procedura concorsuale in atto. D'altra parte, una volta che si sia realizzata una delle ipotesi di chiusura disciplinate dall'art. 118 L.F., nessuna possibilità di proroga della procedura in atto è prevista dal sistema concorsuale sistematizzato; nessun potere discrezionale è conferito agli organi della procedura per il differimento della dichiarazione di chiusura. La corrispondenza del regime ora delineato alla struttura del fallimento, emerge anche dalla contrapposizione di detto sistema con quello del concordato fallimentare, In questo tipo di procedura vige il diverso principio per cui il concordato "è obbligatorio per tutti i crediti anteriori all'apertura del fallimento", nel duplice senso che essi subiscono l'effetto istintivo della falcidia concordataria indipendentemente dalla loro preventiva ammissione, ed hanno diritto alla soddisfazione nella percentuale concordataria una volta che la sussistenza del credito venga accertata o con giudizio ordinario nei confronti del fallito, o con riassunzione della insinuazione tardiva in corso nei confronti dello stesso. Pur tuttavia anche in tale ipotesi essi assumono in parte il rischio della loro tardività, perché non sono titolari del diritto di voto nel concordato (diritto invece riconosciuto a quelli ammessi con riserva o provvisoriamente ex art. 127 L.F.) ne' influiscono sul calcolo delle maggioranze se la loro ammissione è successiva alla data finale fissata per la votazione (art. 128 L.F.).
La contrapposizione dei regimi dimostra che quando il legislatore intese garantire soddisfazione ai creditori le cui situazioni siano contestate (siano essi autori, o non, di un'insinuazione tardiva), previde espressamente detta possibilità disponendo (art. 136 comma 2 L.F.) gli accantonamenti per tutti i crediti contestati. L'accantonamento è, infatti, il sistema normale cui il legislatore delle procedure concorsuali ricorre (e con ciò si tratta la situazione sopra indicata sub b), quando intende che le situazioni di diritto sostanziale non vengono pregiudicate nelle loro aspettative di soddisfazione concorsuale da contestazioni in atto ed a causa di procedimenti accertativi in corso.
L'ampia norma dell'art. 136 comma 2 L.F. per il concordato fallimentare, non trova altrettanto ampiezza di riscontro nel fallimento, nel quale le ipotesi di accantonamento sono tassativamente indicate, e tra esse non è compreso il creditore che tardivamente abbia insinuato il suo credito ed il cui accertamento sia in corso al momento di un riparto, parziale o finale che esso sia.
Il regime degli accantonamenti, in corso di procedura o finali, cui l'insinuante tardivo è estraneo, costituisce ulteriore e precisa dimostrazione del fatto che, secondo il sistema concorsuale del fallimento, la tardività comporta il rischio dell'esecuzione del riparto e dalla soddisfazione extraprocedura con riflesso sul perdurare della stessa, fermi restando i suoi diritti e le possibilità satisfattive sul patrimonio residuo del fallito dopo la chiusura del fallimento.
Convalida, infine detto indirizzo anche la distinzione di regime (situazione sopra indicata sub c) tra le diverse qualificazioni della tardività nell'insinuazione.
L'art. 112, infatti, che costituisce le sedes materiae del regime delle insinuazioni tardive nel fallimento, pone per i crediti privilegiati un'espressa eccezione al principio per cui i creditori tardivi partecipano solo alle ripartizioni successive alla loro ammissione, con l'espressione "salvi i diritti di prelazione". Altra eccezione è posta per i tardivi non colpevoli.
Essi, infatti, possono ritrarre, dalle disponibilità residue esistenti dopo l'ammissione, la stessa soddisfazione ottenuta dai pari grado nei riparti precedenti, sempre che l'entità residua detta capienza consenta (è escluso, quindi, che l'ammissione del tardivo chirografario incolpevole possa comportare la restituzione di parte della liquidità ricevuta dai pari grado che abbiano avuta maggiore soddisfazione nei riparti anteriori).
Il fatto che una qualche salvezza della possibilità di capienza satisfattiva sul patrimonio acquisito alla procedura e nel corso della stessa procedura concorsuale persista per i tardivi incolpevoli e privilegiati, significa che per i tardivi che non abbiano alcuna delle due qualifiche ora indicate, detta possibilità non è salvaguardata nell'ambito della procedura concorsuale, ferma restando la possibilità di fare valere le rispettive ragioni con esecuzione ordinaria sull'eventuale residuo attivo patrimoniale. Gli organi della procedura, in sostanza, non sono tenuti ad aspettare i creditori attendisti, i quali intendano regolare il loro intervento nel fallimento in base a valutazioni di convenienza, a seguito della constatazione delle entità patrimoniali acquisite nella disponibilità concorsuale, e del concorso, anche di privilegiati, su quel patrimonio. Un atteggiamento attendista regolato da ragionevoli ragioni di convenienza è indubbiamente legittimo, ma chi non intende affrontare il rischio di un intervento tempestivo (rischio di inutilità in caso di scarsa capienza per i concorrenti), deve affrontare il rischio alternativo della mancata partecipazione ai riparti anteriori alla sua ammissione, siano essi riparti parziali o finali, siano essi riparti a soddisfazione piena o altrimenti determinanti l'estinzione dei creditori ammessi. Ipotizzare, nel sistema della legge, da un lato l'estinzione dei crediti ammessi quale causa di chiusura del fallimento e sostenere, d'altro lato (secondo la tesi del ricorrente), che alla soddisfazione integrale degli ammessi debba seguire l'attesa delle pronunce sulle insinuazioni tardive in corso (dall'esito e dalla soddisfazione eventualmente non integrale delle quali potrebbe derivare il mutamento della formula di chiusura, che non ha carattere solamente descrittivo), porrebbe in evidenza una contraddizione non riscontrabile nel sistema normativo strutturato per fasi successive MOTIVI DELLA DECISIONE
del procedimento. Tra estinzione dei crediti e chiusura del fallimento sussiste una consequenzialità diretta che non consente di individuare una fase processuale intermedia.
La soluzione del problema, quindi, sollevato dalla ricorrente non deve ricercarsi nello spazio temporale tra estinzione dei crediti in quel momento ammessi e la chiusura del fallimento, ma deve collocarsi nella stessa fase di estinzione dei crediti. Ci si deve, in sostanza, domandare se possa sussistere estinzione dei crediti secondo il dettato dell'art. 118 n. 2 L.F. in presenza di insinuazioni tardive non definite, ovvero perché possa esservi soddisfazione integrale dei crediti ammessi, debba attendersi l'ammissione eventuale delle insinuazioni tardive.
La risposta al quesito è stata negativa per i riparti finali non satisfattivi; identica risposta richiede il riparto finale satisfattivo (cui si deve equiparare l'estinzione per fatti esterni alla procedura in base alle ragioni già esposte), volta che la tardività dell'insinuazione non ha carattere sospensivo di alcun riparto fallimentare.
Nè può sostenersi che un sistema così delineato violi il diritto di fare valere giudizialmente la proprie ragioni da parte del creditore, nonché il principio della domanda giudiziale, quale delineato dall'art. 94 L.F., estensibile anche alle domande ex art. 101 L.F..
La tutela dei diritti è assicurata a tutti i creditori nella forma dell'art. 93 e ss L.F.; l'alternativa della tardività, in un sistema normativamente delineato è una scelta consapevole del creditore che assume, di conseguenza, i rischi che dal sistema normativa emergono.
Il principio della domanda giudiziale non viene comunque violato. Basti rilevare che l'accertamento promosso ex art. 101 L.F., una volta chiuso il fallimento ed interrotto il processo, può ben essere riassunto nei confronti del fallito in bonis e costituire titolo per la promozione di un'azione esecutiva ordinaria sull'eventuale (questo è il caso) eccedenza patrimoniale, la cui conservazione può essere assicurata dai normali provvedimenti cautelari.
Le svolte ragioni consentono il rigetto del primo motivo di ricorso per cassazione.
II )
Con il secondo mezzo la curatela ricorrente deduce l'insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 N. 5 c.p.c., in relazione agli artt. 52, 101 e 112 L.F..
Rileva il ricorrente il contrasto logico tra l'asserita legittimazione a proporre reclamo ed il rigetto dello stesso. Rileva, inoltre, la carenza motivazionale in ordine alla prevalenza data all'interesse della fallita alla chiusura rispetto a quello del creditore all'insinuazione; detta prevalenza sarebbe stata affermata apoditticamente, ma non giustificata con adeguati motivi. Una volta negato il diritto, fatto valere con il primo mezzo, si appalesa l'inadeguatezza dell'argomentazione conseguente del ricorrente sul piano della motivazione, la cui infondatezza trova giustificazione nelle stesse ragioni addotte in relazione al primo mezzo, che hanno avuto, sia pure sintetico, ma non illogico, riflesso nel provvedimento impugnato.
Vi è solo da puntualizzare che non può sussistere contrasto tra la riconosciuta legittimazione al reclamo ed il rigetto dello stesso nel merito, in quanto le linee della legittimazione attiva al mezzo di impugnazione e dell'esame del merito della doglianza operano su piani logici distinti, fondandosi la prima sull'ipotesi enunciata dalla parte e la seconda sulla fondatezza di fatto e giuridica delle situazioni in concreto addotte.
RICORSO n. 7632-92.
Il ricorso incidentale, svolto sulla base di un unico motivo e condizionato all'esito del ricorso principale, rimane assorbito dal rigetto precedentemente motivato.
La particolarità della fattispecie e la indubbia difficoltà delle questioni proposte, costituiscono idonea giustificazione per la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Roma 17 novembre 1994.