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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 15603 - pubb. 01/07/2010.

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Cassazione civile, sez. I, 18 Aprile 1994. Est. De Musis.

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Liquidazione dell'attivo - Vendita di mobili - Vendita a trattativa privata - Autorizzazione del giudice delegato - Reclamo al Tribunale fallimentare - Ammissibilità - Mezzi esperibili avverso i provvedimenti del giudice della esecuzione - Esclusione


Il provvedimento col quale il giudice delegato autorizza la vendita di beni mobili a trattativa privata, ancorché revocabile da parte dello stesso giudice, in quanto idoneo ad incidere su diritti soggettivi connessi alla regolarità procedurale della liquidazione dell'attivo, è suscettibile di reclamo al tribunale fallimentare ex art. 26 legge Fall. e non è impugnabile con i mezzi esperibili avverso i provvedimenti del giudice dell'esecuzione previsti dal codice di procedura civile, atteso che il rinvio operato dall'art. 106 Legge Fall. riguarda esclusivamente le norme di detto codice che disciplinano il procedimento di vendita. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Vincenzo SALAFIA Presidente
" Pellegrino SENOFONTE Consigliere
" Alfredo ROCCHI "
" Rosario DE MUSIS Rel. "
" Giancarlo BIBOLINI "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
RICCI GAETANO elettivamente domiciliato in Roma, piazza Oderico da Pordenone n. 9 (studio Argentino) presso gli avv.ti Salvatore Amato e Mario Altamura che lo rappresentano e difendono per delega a margine del ricorso.
Ricorrente
contro
MARZIANTONIO RICCARDO n.q. di curatore del fallimento Edilcapri di Ricci Gaetano & C. S.a.s.;
S.P.A. PAR. FIN.;
S.P.A. LA COSTRUENDA.
Intimati
Avverso il provvedimento del Tribunale di Napoli, dep. il 2.8.1990. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18.10.1993 dal Cons. Rel. Dott. De Musis.
Udito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen.le dott. Paolo Dettori che ha concluso per l'accoglimento del primo e secondo motivo, assorbimento degli altri.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con provvedimento del 18.7.1990 il giudice delegato al fallimento della s.a.s. "Edilcapri" e del suo socio accomandatario Gaetano Ricci autorizzò il curatore a vendere alla S.p.A. "Par.Fin", per il prezzo di L. 888.500.000, n. 1700 azioni della società fallita. Avverso il provvedimento, eseguito dal curatore il 19.7.1990, il Ricci, in tale stessa data, propose reclamo, che il Tribunale di Napoli, con decreto del 2.8.1990, dichiarò inammissibile in base al rilievo che, applicandosi, ai sensi dell'art. 105 della legge fallimentare, alla vendita di beni immobili - oggetto del provvedimento impugnato - le disposizioni del codice di procedura civile relative al processo di esecuzione, ed essendo i provvedimenti del giudice dell'esecuzione revocabili finché non siano stati eseguiti, avverso il provvedimento impugnato erano esperibili i "rimedi specifici previsti dall'ordinamento".
Ha proposto ricorso per cassazione il soccombente; non si sono costituiti gli intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso, proposto ai sensi dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione, è ammissibile.
Il decreto con il quale il Tribunale fallimentare pronunzia sul reclamo avverso provvedimenti del giudice delegato in materia di liquidazione dell'attivo, difatti, ha natura decisoria su diritti soggettivi, e, in quanto dichiarato dalla legge non impugnabile, è suscettibile del menzionato ricorso per cassazione (Cass. 1.4.1992 n. 3916; 27.3.1992 n. 3792; 27.2.1992 n. 2420)..
Con i primi due e con il quarto motivo di ricorso si deduce che il Tribunale, dichiarando inammissibile il reclamo avverso il decreto con il quale il giudice delegato aveva autorizzato il curatore a vendere le azioni della società fallità, e ciò in base al rilievo che, applicandosi alla vendita di cose mobili fallimentari le disposizioni del codice di procedura civile relative al processo di esecuzione, il decreto era revocabile e quindi avverso di esso erano esperibili "i rimedi specifici previsti dall'ordinamento", è incorso, rispettivamente:
a) in violazione e falsa applicazione degli artt. 23, 26, 105 e 106 della legge fallimentare: 1) perché il decreto, in quanto adottato ai sensi dell'art. 106, costituisce provvedimento emesso a norma dell'art. 25, ultimo comma, e quindi è reclamabile al Tribunale ai sensi del successivo art. 26; 2) perché contro i provvedimenti del giudice delegato è ammesso reclamo al Tribunale ai sensi dell'art. 23;
b) in violazione e falsa applicazione degli artt. 487 C.P.C. e 26, 105 e 106 della legge fallimentare: 1) perché la revocabilità è prevista dall'art. 487 C.P.C. per le ordinanze e non pure per i decreti; 2) perché lo stesso articolo vieta la revoca dell'ordinanza già eseguita e il decreto del giudice delegato, in quanto è esecutivo nonostante reclamo, ai sensi dell'art. 26, non può essere revocato;
c) in vizio di motivazione perché ha fatto riferimento ai "rimedi specifici previsti dall'ordinamento" senza individuare ne' i primi ne' il secondo.
I motivi, che per la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati per le seguenti considerazioni. Va premesso che il contesto della motivazione evidenzia che il Tribunale ha inteso confermare che il decreto del giudice delegato, essendo modificabile e revocabile dallo stesso giudice, non era reclamabile e revocabile dallo stesso giudice, non era reclamabile, ma suscettibile invece solo delle impugnazioni previste, avverso i provvedimenti del giudice dell'esecuzione, dal codice di procedura civile (art. 617).
La questione decisa dal Tribunale è stata affrontata da questa Corte, la quale, rilevando che il provvedimento con cui si dispone la vendita incide sui diritti soggettivi di coloro che sono interessati al relativo procedimento, ha affermato che, benché il potere di revoca di detto provvedimento competa la giudice delegato e non anche al Tribunale, purtuttavia a questo compete il potere di decidere, ex art. 26 della legge fallimentare, sul reclamo avverso l'indicato provvedimento, soprattutto quando esso incida negativamente su diritti connessi alla regolarità procedurale della liquidazione dell'attivo (Cass., 3.4.1991 n. 3482).
Non v'è motivo per discostarsi da tale orientamento, al quale possono aggiungersi le seguenti considerazioni.
Il combinato disposto degli artt. 23 e 36 della legge fallimentare - secondo i quali, rispettivamente "il Tribunale decide sui reclami contro i decreti del giudice delegato" e "contro i decreti del giudice delegato, salvo disposizione contraria, è ammesso reclamo al Tribunale" - evidenzia che questo rimedio è di natura (tendenzialmente) generale e può ritenersi precluso soltanto da un'espressa previsione contenuta nella legge fallimentare. Che la preclusione, in particolare, non possa provenire dalla disciplina processuale ordinaria dei rimedi esperibili avverso i provvedimenti del giudice dell'esecuzione, si evince dalla portata dell'art. 106 della legge fallimentare.
Questo sancisce che "alle vendite dei beni mobili o immobili del fallimento si applicano le disposizioni del codice di procedura civile relativamente al processo di esecuzione, in quanto compatibili con le disposizioni delle sezioni seguenti".
Che il rinvio abbia ad oggetto solamente le disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il procedimento di vendita si desume dalla dizione "alle vendite di", la quale esprime letteralmente e chiaramente il procedimento che si conclude con la vendita.
E tale conclusione trova conferma nella prescrizione che le norme richiamate debbono essere compatibili con specifiche norme fallimentari ("disposizioni delle sezioni seguenti") le quali disciplinano soltanto alcune modalità della vendita. E tale conclusione trova conferma nella prescrizione che le norme richiamate debbono essere compatibili con specifiche norme fallimentari ("disposizioni delle sezioni seguenti") le quali disciplinano soltanto alcune modalità della vendita. Deve pertanto ritenersi che il rinvio non comprende le disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano le impugnazioni dei provvedimenti del giudice dell'esecuzione. La sentenza impugnata dev'essere pertanto cassata e la causa va rinviata ad altro giudice, il quale si atterrà al seguente principio: il decreto del giudice delegato che autorizza la vendita di beni immobili è reclamabile al Tribunale ai sensi dell'art. 26 della legge fallimentare.
L'accoglimento degli esaminati motivi assorbe l'esame del terzo, con il quale, per la ipotesi di ritenuta applicabilità dell'art. 487 C.P.C., si denunzia la incostituzionalità, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'ultimo comma dell'art. 26 della legge fallimentare, in quanto dispone che il ricorso al Tribunale non sospende l'esecuzione del decreto del giudice delegato.

P.Q.M.
Accoglie il primo, secondo e il quarto motivo del ricorso e dichiara assorbito il terzo; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Napoli, Sezione Fallimentare, il quale provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Così deciso il 18.10.1993.