Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 15606 - pubb. 01/07/2010

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Cassazione civile, sez. III, 17 Dicembre 1991, n. 13562. Est. Iannotta.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Liquidazione dell'attivo - Vendita di immobili - Espropriazione in corso - Intervento del curatore del fallimento del debitore - Assegnazione, al curatore, della somma ricavata dalla vendita del bene espropriato - Ordinanza del giudice dell'esecuzione immobiliare - Atto del procedimento esecutivo - Configurabilità - Opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. - Proponibilità



L'ordinanza del giudice dell'esecuzione immobiliare, che assegna al curatore del fallimento del debitore, intervenuto nel procedimento esecutivo individuale, ai sensi dell'art. 107 legge fallimentare, la somma ricavata dalla vendita del bene espropriato, perché sia ripartita nell'ambito della procedura concorsuale, non configura atto di distribuzione di detta somma, ne' implica una verifica sulla sussistenza ed entità dei crediti o su eventuali prelazioni, ma integra atto del procedimento esecutivo, contro il quale l'opposizione può essere pertanto proposta solo nelle forme e nei termini previsti dall'art. 617 cod. proc. civ.. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
SEZIONE III

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Franco BILE Presidente
" Antonio IANNOTTA Rel. Consigliere
" Aldo PAPA "
" Ugo FAVARA "
" Paolo VITTORIA "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
ISTITUTO BANCARIO SAN PAOLO DI TORINO - ISTITUTO DI CREDITO DI DIRITTO PUBBLICO - con sede centrale in Torino - Piazza S. Carlo n. 156 in persona del suo Direttore Generale Prof. Zefferino Franco elett. dom. in Roma Lungotevere della Navi n. 30, c-o lo studio dell'avv. Piero De Benedetti Bonaiuto che lo rapp.ta e lo difende unitamente all'avv. Gianni Scagliarini giusta procura speciale per Notar Luigi Fissore Luigi di Cerignola del 29.8.86 rep. n. 126015. Ricorrente
contro
FALLIMENTO AZIENDA AGRICOLA GINEPRI DI MINGHETTI ETTORE E GUIDI ANTONIO SOCIETÀ SEMPLICE nonché di MINGHETTI GABRIELLA, BINASSI ADDOLORATA, MINGHETTI ETTORE, IMPRESE ANTONIO GUIDI, STELLA GUERRINA, AZIENDA AGRICOLA FARNETO E AZIENDA AGRICOLA GINEPRI, SOC. SEMPLICE tutti quali soci di fatto del già fallito Berandi Gastone in persona del curatore Dott. Fabio Cauli - elett. dom. in Roma Viale Castro Pretorio n. 25, c-o lo studio dell'avv. Vincenzo Mesiano che li rapp.ta e difende unitamente all'avv. Federico Carpi giusta procura in calce al controricorso.
Controricorrente
Visto il ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Bologna del 22.4-22.5.86 (R.G. 970-86).
Udito il Cons. Rel. dr. Iannotta Antonio nella pubblica udienza dell'11.1.91.
Sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. dr. Martinelli che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'Istituto Bancario S. Paolo di Torino, creditore procedente a carico della società Azienda agricola Ginepri, con ricorso del 13.12.1984, proponeva opposizione avverso l'ordinanza 7.12.1984 del giudice dell'esecuzione immobiliare che aveva assegnato il ricavato della vendita di alcuni immobili (eseguita all'incanto il 26.10.1984) al curatore del fallimento della stessa società debitrice, dichiarato dal Tribunale di Bologna il 29.10.1984.
Precisato che al provvedimento del 7.12.1984 il giudice dell'esecuzione era pervenuto dopo che il curatore fallimentare, intervenuto nella procedura, aveva rinunciato all'iniziale richiesta di sospensione dell'esecuzione individuale e di inefficacia dell'ordinanza di aggiudicazione provvisoria degli immobili, il predetto Istituto Bancario contestava la legittimità del suindicato provvedimento sia nella forma che nel contenuto.
Radicatosi il contraddittorio, la curatela del fallimento resisteva all'opposizione che il Tribunale di Bologna dichiarava inammissibile per tardività sul rilievo chela stessa dovesse essere qualificata come opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. e non come controversia in sede di distribuzione ex art. 512 c.p.c.. Osservava in particolare il Tribunale che il provvedimento del giudice dell'esecuzione, impropriamente definito di assegnazione, non aveva alcuna funzione satisfattiva sia perché lo stesso giudice non aveva ancora formato un piano di graduazione e di riparto, sia perché si era limitato ad individuare nella procedura concorsuale la sede funzionalmente competente ad attuare la verificazione e la graduazione dei crediti anche in presenza di un'azione esecutiva promossa da un Istituto di credito fondiario. In definitiva, secondo il Tribunale, non di assegnazione si trattava, ma di semplice trasferimento del prezzo ricavato dalla vendita alla massa fallimentare per le ulteriori operazioni.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l'Istituto Bancario S. Paolo di Torino sulla base di due motivi.
Ha resistito con controricorso il fallimento della
società-semplice Azienda agricola Ginepri e dei relativi soci. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo viene denunciata la violazione degli artt. 101, 615 e 617 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 e 4 stesso codice dell'art. 111 della Costituzione. Ad avviso del ricorrente il curatore del fallimento era intervento nella procedura con un'opposizione di terzo e all'udienza del 7.12.1984 aveva rinunciato alla stessa. In quella sede il giudice dell'esecuzione non avrebbe potuto assumere alcun provvedimento di assegnazione, fungendo da giudice istruttore del giudizio di opposizione di terzo e non essendo il curatore ritualmente intervenuto nella procedura espropriativa in corso. Conseguentemente il provvedimento emesso da detto giudice sarebbe stato abnorme ed impugnabile oltre il termine di decadenza di cui all'art. 617 c.p.c. anche per violazione del principio del contraddittorio.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 510 e 512 c.p.c. e dell'art. 111 della Costituzione sostenendo che, in ogni caso, l'ordinanza emessa dal giudice dell'esecuzione avrebbe attribuito un diritto di prelazione (o assegnazione) al fallimento. Erroneamente quindi il Tribunale di Bologna avrebbe negato l'esistenza di una controversia tra le parti ex art. 512 c.p.c.. Il ricorrente confuta inoltre l'argomentazione del Tribunale che ravvisa nel trasferimento alla massa fallimentare del presso ricavato dalla vendita immobiliare un fenomeno analogo alla traslatio iudicii, ed assume che la cosiddetta devoluzione del giudizio di espropriazione sarebbe contraddetto dall'esistenza di una procedura per espropriazione immobiliare in corso per gli altri lotti del complesso immobiliare pignorato.
I due motivi, che per l'evidente connessione delle censure possono essere trattate congiuntamente, sono privi di fondamento. È da rilevare, che per l'evidente connessione delle censure possono essere trattate congiuntamente, sono privi di fondamento. È da rilevare anzitutto che, contrariamente all'assunto del ricorrente, non vi è alcun elemento che induca a ritenere che il curatore fallimentare, intervenuto nella procedura esecutiva, abbia spiegato un'opposizione di terzo. Il suo intervento si colloca invece nell'ambito della previsione dell'art. 107 della Legge Fallimentare che, in relazione all'espropriazione immobiliare in corso alla data del fallimento e con specifico riferimento al procedimento di distribuzione del prezzo, prevede appunto detto intervento. Circa poi la ritualità dell'intervento stesso, è chiaro che eventuali vizi al riguardo erano destinati a riflettersi sulla legittimità del provvedimento in concreto emesso dal giudice dell'esecuzione senza per questo degradarlo a provvedimento abnorme;
tanto più che con l'ordinanza in oggetto, come esattamente rilevato dal Tribunale di Bologna, il giudice dell'esecuzione non dispose alcuna concreta assegnazione del ricavato della vendita, ma si limitò al rimettere al curatore l'importo relativo affinché fosse distribuito in sede fallimentare.
Potrà discutersi nel merito in ordine alle regole secondo le quali deve avvenire la ripartizione del prezzo nell'ipotesi di espropriazione immobiliare promossa da un Istituto di Credito Fondiario e di successiva dichiarazione di fallimento dell'esecutato - avuto riguardo ai diversi orientamenti dottrinali sul punto - ma è innegabile che nel caso in esame il giudice dell'esecuzione individuale, nel devolvere il prezzo ottenuto dalla vendita immobiliare al fallimento, reputò che il relativo riparto non potesse attuarsi fuori della procedura concorsuale. In tal modo provvedendo detto giudice non diede corso alla fase strettamente satisfattiva dell'esecuzione individuale, non intese cioè soddisfare questo o quel credito e neppure attribuire al fallimento un diritto di prelazione. Anche il riferimento, non del tutto appropriato, fatto dalla sentenza impugnata alla traslatio iudicii, è nel senso dell'interpretazione del provvedimento del giudice dell'esecuzione come semplice trasferimento alla curatela del ricavato della vendita per la successiva distribuzione secondo le regole della liquidazione fallimentare, senza alcuna diretta verifica della sussistenza o dell'ammontare di uno o più crediti o della sussistenza e dell'operatività di diritti di prelazione ex art. 512 c.p.c..
L'ordinanza in questione si qualifica quindi come atto esecutivo, in quanto esplicazione della funzione propria del giudice dell'esecuzione immobiliare, e, come tale, poteva formare oggetto di opposizione nei modi e nei termini di cui all'articolo 617 c.p.c.. La sentenza impugnata che, sulla base di siffatta individuazione del mezzo esperibile e del concreto contenuto dell'opposizione spiegata dall'Istituto Bancario S. Paolo di Torino, ha qualificato l'opposizione stessa come opposizione agli atti esecutivi, giudicandola poi tardiva ed inammissibile perché promossa con ricorso del 13.12.1984 contro il provvedimento datato 7.12.1984, risulta, alla luce dei rilievi svolti innanzi, giuridicamente corretta e si sottrae pertanto alle censure del ricorrente. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna dell'Istituto Bancario S. Paolo di Torino al pagamento delle spese processuali che vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a pagare, in favore del resistente fallimento, le spese del presente giudizio liquidate in Lire 49.300 per esborsi ed in L. 1.800.000 per onorario di avvocato.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della III Sezione Civile della Corte di Cassazione l'11.1.1991.