ilcaso.it
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 16829 - pubb. 01/07/2010.

.


Tribunale di Roma, 08 Luglio 2016. .

Società di capitali – Recesso del socio – Conflitto tra società e socio – Ricorso al procedimento di determinazione giudiziale del valore della quota – Ammissibilità


Non appare condivisibile l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale, qualora sussista un conflitto tra la società e il socio sul diritto di quest'ultimo di recedere, non è ammissibile ricorrere al procedimento di determinazione giudiziale del valore della quota previsto dall'art. 2473 c.c., in quanto procedimento avente natura di volontaria giurisdizione (così App. Torino, 18 ottobre 2010. Trib.  Salerno, 13 ottobre 2009).

La circostanza che il giudizio introdotto dalla richiesta del socio di nomina dell'esperto per la valutazione della partecipazione del recedente si svolga in sede di volontaria giurisdizione non implica l'impossibilità, per l'organo giudicante, di valutare incidentalmente la legittimità del recesso medesimo, né tale valutazione è impedita dalla circostanza che gli amministratori non abbiano proceduto alla preventiva, rispetto alla deliberazione che giustifica il recesso, determinazione del valore della liquidazione delle azioni (Trib. Roma, 30 aprile 2014). Sostenere, al contrario, che il socio che intenda recedere dalla società non possa intraprendere la speciale procedura di cui all'ultimo comma della disposizione codicistica richiamata ove manchi la preventiva determinazione del valore delle azioni da parte degli amministratori, significherebbe mortificare eccessivamente la posizione soggettiva vantata dal recedente e procrastinare il soddisfacimento del diritto soggettivo ad una corretta determinazione del valore della propria liquidazione.

Più precisamente, sostenere che, in mancanza della preventiva determinazione degli amministratori, non potendosi configurare alcuna contestazione in senso proprio, non potrebbe ricorrersi al tribunale per la designazione dell'esperto bensì percorrere la strada dell'impugnativa della delibera (come invece richiesto da una parte della dottrina e della giurisprudenza), costituisce un rimedio che non tutelerebbe i soci che non possiedono una partecipazione legittimante per l'impugnativa (art. 2377, terzo comma, c.c.) i quali, dunque, rimarrebbero del tutto privi di tutela. D'altra parte, appare del tutto evidente come l'inadempimento della società (attraverso i propri amministratori) all’obbligo di determinare il valore della partecipazione non può ridondare a vantaggio della stessa società ed aggravare la posizione del socio recedente, da una parte precludendogli la possibilità di richiedere, in sede di volontaria giurisdizione, la nomina dell'esperto e, dall'altra, imponendogli di intraprendere una strada assai più gravosa come quella costituita da un ordinario giudizio di cognizione.

Al contrario, deve ritenersi che la posizione del socio recedente possa essere tutelata in modo più soddisfacente non già attraverso l'asserita previa impugnativa della delibera, ma attraverso il ricorso al tribunale ai sensi dell'art. 2437, sesto comma, c.c.: tale rimedio può essere, dunque richiesto non solo in caso di contestazione in senso tecnico (ossia in caso di contrasto positivamente ingenerato da una scorretta determinazione operata dall'organo amministrativo), ma anche nelle ipotesi di totale (asserito) inadempimento degli amministratori. Ove, cioè, questi non ottemperino all'obbligo di determinare il valore di liquidazione delle azioni si verifica, comunque, una situazione di conflitto obiettivo tra l'interesse del socio ad esercitare il diritto di recesso ed il comportamento inerte serbato dagli amministratori che, sostanzialmente, equivale alla contestazione del diritto di recesso del socio stesso (in questi termini, Trib. Roma, 13 dicembre 2007; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 15 gennaio 2008). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)