Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 17646 - pubb. 30/01/2017

Diritto del creditore tardivo di partecipare ai riparti

Cassazione civile, sez. I, 01 Marzo 1991, n. 2186. Est. Bibolini.


Fallimento - Accertamento al passivo - Ammissione al passivo - Dichiarazioni tardive - Posizione del creditore



Il creditore ammesso tardivamente al passivo del fallimento (art. 101 legge fall.) può partecipare solo ai piani di riparto dell'attivo dichiarati esecutivi dopo la definitiva ammissione del credito, ed unicamente nei limiti della disponibilità residua esistente in tali riparti e per la percentuale che i creditori di pari grado ricevono nello stesso riparto, senza che, in presenza di crediti che siano in corso di accertamento, debba procedersi ad accantonamenti - e senza quindi debba provvedersi alla sospensione del riparto finale in attesa della previa definizione delle relative controversie - non essendo tali accantonamenti normativamente previsti, ne' essendo consentita l'applicazione analogica od estensiva dell'art. 113 legge fall. con un risultato interpretativo non contrastante con gli artt. 24 e 3 Cost.. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Italo BOLOGNA Presidente

" Antonio RUGGIERO Consigliere

" Giancarlo BIBOLINI Rel. "

" Giovanni OLLA "

" M. Gabriella LUCCIOLI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

CASSA DI RISPARMIO DI VENEZIA in persona del Pres. elett.te dom.to in Roma V. F.S. Nitti 3 c-o lo Studio Musco, rapp.to e difeso dagli avv.ti Franco Musco, Carlo Ottolenghi e Gianfranco Ivancich giusta delega in atti.

Ricorrente

contro

FALLIMENTO DI BALDISSERA PIERINO in persona del curatore dott. Nerio De Bortoli giusta delega in atti

Intimato

avverso il decreto del Tribunale di Venezia del 31.10-5.11.1985;

Udita la rel. svolta dal Cons. Dr. Giancarlo Bibolini;

Udito il P.M. Dr. Mario Di Renzo che ha concluso per l'accoglimento del I motivo e assorbimento degli altri motivo del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 24 agosto 1985 il curatore del fallimento di Pierino Baldissera depositava il piano di ripartizione finale, nel quale prendeva il pagamento integrale dei creditori privilegiati e quello in percentuale (18,22%) dei chirografari.

Il 29 agosto 1985 la Cassa di Risparmio di Venezia, quale ente gestore dell'esattoria consorziale, depositava dichiarazione tardiva di credito ex art. 101 L.F., per complessive L. 3.877.480, in relazione ad un ruolo straordinario emesso dallo Ufficio II.DD. di Venezia, sugli accertamenti notificati al curatore il 29-6-1985; il Giudice delegato con decreto fissava l'udienza del 22-11-1985 per la comparizione delle parti.

Dopo la proposizione del ricorso ex art. 101 L.F., l'esattoria depositava osservazioni al progetto di riparto chiedendo che non si proseguisse nell'esecuzione del progetto, o quanto meno che si procedesse ad accantonamenti in relazione agli importi oggetto della sua domanda.

Con decreto 16 ottobre 1985 il Giudice Delegato, disattese le osservazioni dell'esattoria, dichiarava esecutivo il progetto di riparto finale, mandando al curatore di dare luogo ai pagamenti. Avverso tale decreto la Cassa di Risparmio proponeva reclamo, ex art. 26 L.F., al Tribunale di Venezia, chiedendo che il Tribunale stesso, in principalità, disponesse di soprassedere dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo ed in subordine disponesse gli opportuni accantonamenti.

Con decreto in data 5-11-1985 il tribunale di Venezia rigettava il reclamo, osservando che la proponibilità delle dichiarazioni tardive di credito fino all'esaurimento delle ripartizioni dell'attivo fallimentare, non comportava tout court il diritto del creditore di partecipare al concorso nell'ipotesi in cui il progetto di riparto finale fosse già stato depositato in Cancelleria, comportando solo l'obbligo da parte del giudice di pronunciarsi, all'udienza fissata anche in caso di esaurimento delle ripartizioni dell'attivo in considerazione del fatto che la dichiarazione tardiva produce gli effetti della domanda giudiziale ex art. 94 L.F.; ciò in tesi conseguiva dalla disciplina dell'art. 112 L.F. secondo cui i crediti ammessi a norma dell'art. 101 L.F., concorrono soltanto alle ripartizioni posteriori alla loro ammissione.

Aggiungeva il Tribunale che, anche a volere interpretare la norma nel senso che possano concorrere non solo i creditori tardivi le cui domande siano già state verificate, ma anche quelli le cui domande siano pendenti o sub judice, non avrebbe potuto trovare accoglimento la pretesa del reclamante volta che, alla data del deposito del progetto del riparto finale, la dichiarazione tardiva non era stata ancora presentata, sicché essa non poteva essere considerata sub judice.

Avverso detto provvedimento proponeva ricorso per cassazione la Cassa di Risparmio di Venezia deducendo due motivi; l'intimato non si costituiva con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo, la banca ricorrente deduce la violazione degli artt. 101, 110, 112 e 113 L.F. in relazione all'art. 360 C.P.C. censurando criticamente il decreto Tribunale di Venezia sotto diversi profili, così riassumibili:

a) il termine utile per proporre l'insinuazione tardiva di credito non corrisponderebbe con il deposito dello stato passivo, ma con il decorso del termine per reclamare avverso il decreto di esecutività dello stato passivo, o, quanto meno, con il decreto di definitività dello stato passivo stesso.

b) La possibilità richiesta di ammissione tardiva di crediti non avrebbe effetto soltanto processuale, ma anche sostanziale. In virtù dell'art. 94 L.F. che ricollega alla istanza di ammissione al passivo, anche se tardiva, gli effetti della domanda giudiziale ed in conseguenza del principio che la domanda giudiziale neutralizza il periodo del giudizio a favore della parte che abbia ragione facendo retroagire al momento della domanda gli effetti della pronuncia, dovrebbe dedursi che l'ammissibilità della domanda ex art. 101 L.F., comporti la partecipazione del creditore al riparto in corso, con la conseguenza o della sospensione della procedura di riparto, ovvero degli accantonamenti.

In questo senso dovrebbe essere interpretato, in tesi, l'art. 112 L.F. che consente la partecipazione del creditore tardivo ai riparti successivi alla sua ammissione. Errerebbe, quindi, la Corte di Venezia ritenendo (ipotesi subordinata e concessiva formulata) che, anche ammettendo che debbano partecipare al riparto i crediti tardivi per cui ci sia giudizio in corso, nella specie ciò non sarebbe consentito perché al momento del deposito dello stato passivo l'instanza non era stata presentata, in quanto, per ciò che è stato detto sub a), non il momento di deposito del piano di riparto giocherebbe, ma quello della definitività dello stesso, con il quale gli organi della procedura sono privati della disponibilità delle somme liquidate, per finalità perfettamente coincidenti con l'esecuzione del riparto, nella specie finale.

c) In base alla disciplina dell'art. 113 L.F., estensivamente o analogicamente interpretato, sarebbero parti del procedimento i soggetti che avessero presentato domanda di ammissione al passivo come emergerebbe dalle previsioni di accantonamento per i creditori residenti all'estero, per quelli ammessi con riserva, per quelli ammessi condizionatamente, ed in relazione al richiamo dell'art. 117, 2 L.F.. Non vi sarebbe ragione di ritenere la tassatività di detta elencazione, per cui la stessa disciplina dovrebbe essere estensibile anche all'insinuato ex art. 101 L.F., per identità di ratio. se così non fosse, si porrebbe una questione di illegittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, perché l'art. 113, nell'ammettere gli accantonamenti per crediti non verificati (nel senso dei crediti ancora in fase di accertamento) e nello escluderlo per altra categoria in analoga situazione (i tardivi), imporrebbe un'inammissibile disparità di trattamento su situazioni identiche, e con violazione della piena tutela giudiziale dei diritti di una categoria di creditori (quelli tardivi). Con il secondo mezzo, l'esattore deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 117 e 118 L.F. con riferimento all'art. 360 c.p.c., sostenendo, in particolare, che dagli artt. 117 e 118 L.F., si trarrebbe il principio secondo cui non può procedersi alla ripartizione finale dell'attivo ed alla chiusura del fallimento, se preventivamente non si siano definiti i giudizi pendenti ed in particolare in pendenza di opposizione allo stato passivo, perché il riparto deve avvenire sulla base di uno stato passivo definitivo, e non è definitivo lo stato passivo quando siano pendenti accertamenti (qual'è quello dell'art. 101 L.F.) sulla sussistenza e l'ammontare di crediti.

Avrebbe errato, quindi, il Giudice Delegato nel dichiarare esecutivo lo Stato passivo, pur in pendenza del giudizio ex art. 101, ritualmente proposto prima della esecutività dello stesso. I due messi di ricorso, nella loro articolazione, richiedono una trattazione congiunta, sia perché essi presuppongono chiarimenti di premessa e sistematici comuni, sia perché i vari richiami normativi confluiscono tutti nella soluzione di un'unica questione, essenzialmente ancorata all'interpretazione dell'art. 112 del R.D. 16-3-1942 n. 267. La questione fondamentale proposta nella controversia in atto, attiene essenzialmente all'incidenza, sulla ripartizione finale dell'attivo, della proposizione di una domanda di ammissione al passivo di un credito, o meglio di accertamento di un credito concorsuale, formulata secondo le modalità ed i termini dell'art. 101 L.F..

Si tratta, sostanzialmente, di valutare quali siano gli effetti della proposizione di detta domanda e quale sia, di conseguenza, la condotta vincolante gli organi dell'Ufficio fallimentare, di fronte alla possibile instaurazione della fase finale del fallimento (di cui il riparto finale è componente essenziale), allorché vi sia la pendenza di un giudizio volto all'accertamento di un credito concorsuale, tardivamente promosso a norma dell'art. 101 L.F.. Secondo la tesi sostenuta dalla ricorrente, la semplice proposizione di una domanda tardiva di ammissione del credito, darebbe diritto al creditore concorsuale di ottenere provvedimenti di salvaguardia della futura e possibile posizione di creditore concorrente, traendo argomento e sostegno della tesi sia dalla disciplina dell'art. 94 L.F., che ricollega alla domanda di ammissione (e quindi anche a quella tardiva) gli effetti della domanda giudiziale, sia dalla disciplina degli artt. 117 e 118 L.F., dai quali si trarrebbe il principio di improcedibilità della ripartizione finale e della chiusura del fallimento, senza la preventiva definizione dei giudizi pendenti, tra i quali dovrebbe essere annoverato quello relativo alla domanda tardiva di accertamento del credito concorsuale.

Le modalità tecniche, poi, cui si dovrebbe fare ricorso per soddisfare il preteso diritto del creditore tardivo, sarebbero da individuare o nella sospensione delle operazioni di riparto, ovvero ricorrendo agli accantonamenti, che un'interpretazione estensiva o analogica dell'art. 113 L.F. renderebbe possibili. Per risolvere la questione proposta occorre, innanzi tutto, prendere le mosse dalla funzione del procedimento di accertamento dei crediti nel fallimento, e dal dato testuale dell'art. 112 L.F. Le operazioni di ripartizione dell'attivo liquidato, in via ordinaria e generale concernono i crediti "ammessi". Si tratta di un principio di carattere generale che emerge chiaramente dalla lettera dell'art. 111, 1 co., n. 2 e 3 L.F., riferentesi rispettivamente ai crediti "ammessi" con prelazione, ovvero i crediti chirografari, che partecipano al riparto in proporzione dell'ammontare "per cui ciascuno di essi fu ammesso", e che deriva latamente dalla sistematica procedimentale della concorsualità sistematizzata. La naturale concorsualità del processo di fallimento, pur evidenziando un interesse pubblico al suo svolgimento ed alla sua conclusione, tanto che può instaurarsi e svolgersi per il solo impulso dell'ufficio fallimentare, rimane pur sempre un processo collettivo destinato a regolare interessi privati, talché in mancanza di domande di ammissione al passivo nei termini fissati nella sentenza dichiarativa di fallimento, il procedimento deve chiudersi (art. 118 n. 1 L.F.). L'accertamento della sussistenza di crediti concorrenti, quindi, non solo è una condizione essenziale perché il procedimento fallimentare prosegua nelle successive fasi della liquidazione e del riparto, ma è condizione per l'assunzione, da parte degli stessi creditori, della qualità di parti formali e sostanziali del procedimento, con la corrispondente attribuzione di poteri e di facoltà. Solo con l'ammissione i creditori passano da una posizione generica di concorsualità, ad una posizione di concreta concorrenza e, in quanto tali, divengono titolari dell'azione esecutiva fallimentare e diretti destinatari dei risultati del processo fallimentare in senso giuridico ed economico. Solo nell'accertamento del credito, quindi il creditore trova il suo titolo per la partecipazione alla distribuzione dell'attivo, titolo esecutivo speciale del singolo creditore, destinato a conferire pro quota contenuto al titolo esecutivo generale costituito dalla sentenza dichiarativa del fallimento.

Proprio in virtù dell'essenzialità dell'accertamento dei crediti concorrenti, nell'unitario procedimento fallimentare si individua una fase, integrante un subprocedimento, destinata a detta funzione, la cui conclusione, con la dichiarazione di esecutività dello stato passivo, condiziona l'instaurazione delle successive fasi, detta essenzialità della fase di accertamento, determina la struttura del fallimento come procedura a fasi pregiudiziali, per cui la liquidazione e la ripartizione dell'attivo non possono avere inizio senza che sia completata la verifica del passivo, con l'emanazione del decreto previsto dall'art. 97 L.F.. Si pone, così, un'esigenza di ordine e di sviluppo del procedimento di fallimento, ordine e sviluppo che, peraltro, è impostato sulla base di un diagramma fondamentale caratterizzato dall'unitarietà del procedimento di accertamento dei creditori, regolato in via ordinaria dagli artt. da 92 a 97 L.F.. Questo schema fondamentale, impostato a fasi procedimentali ordinarie successive, condiziona e regola i ritmi di svolgimento del processo esecutivo fallimentare, volta che il decreto dell'art. 97 L.F. condiziona l'inizio della liquidazione dell'attivo (art. 104 L.F.) ed inoltre consente la predisposizione dei progetti di ripartizione, che l'art. 110 L.F. prevede con cadenza bimestrale a partire dalla data di esecutività dello stato passivo. L'ordine schematico, quindi, ed i ritmi temporali della procedura fallimentare, sono improntati in via ordinaria su una pregiudizialità del procedimento di accertamento del passivo, inteso però come procedimento complesso ed unitario, avente momento conclusivo nel decreto di esecutività dello stato passivo ex art. 97 L.F..

In questo schema di base, peraltro, non rientrano i crediti il cui accertamento non si esaurisca con il decreto dell'art. 97 L.F., o perché l'iniziativa tempestiva del creditore (nel termine previsto dalla sentenza dichiarativa di fallimento ed in quello ulteriore derivante dall'art. 96 L.F.) non ha avuto iniziale accoglimento definitivo (ipotesi di opposizione allo stato passivo per esclusione ovvero per ammissione con riserva ex art. 98 L.F.), o perché il provvedimento di ammissione è stato oggetto di impugnazione da parte di altri creditori (art. 100 L.F.), o perché l'ammissione è stata oggetto di revocazione (art. 102 L.F.), ovvero perché lo stesso creditore ha proposto la domanda tardivamente in modo da non potere essere verificato nel termine dell'adunanza all'uopo fissata. Anche questi crediti, pur esulando dallo schema procedurale cui sono improntate le fasi ed i ritmi temporali della procedura fallimentare, possono divenire crediti concorrenti, in virtù di espresse previsioni normative che, peraltro, esulando dalla struttura procedurale di base cui è improntato il procedimento fallimentare, hanno il carattere dell'eccezionalità, con ovvie conseguenze sul piano della disciplina interpretativa delle norme stesse. A questi principi corrisponde, per i creditori tardivi, la disciplina dell'art. 112 L.F.. Anche per essi si applica il principio generale per cui la partecipazione al riparto richiede la acquisizione della qualifica di creditore concorrente, con l'accertamento definitivo del credito, e ciò è chiaramente espresso dalla lettera della norma in esame, laddove si prevede che i creditori tardivi possano partecipare solo alle ripartizioni posteriori alla loro "ammissione".

Per stabilire, quindi, se ed a quale riparto possa partecipare un creditore tardivo, occorre stabilire un parametro temporale tra provvedimento di ammissione definitivo (sia esso il decreto dell'art. 101 comma 3 L.F., sa esso la sentenza costituente giudicato) ed il riparto. Poiché, peraltro, il subprocedimento di riparto si articola in varie fasi, il punto di riferimento, ai fini della presente disamina, deve avvenire con il provvedimento (artt. 110 e 117, u.cpv. L.F.) di esecutività del piano di riparto che priva l'ufficio fallimentare della disponibilità delle somme derivanti dalla liquidazione dell'attivo, e ciò analogamente a quanto stabilito, da questa Corte nella determinazione del termine ultimo di proponibilità della domanda tardiva di credito (v. Cass. sent. 2-3-1988 n. 2201). Ovvia è quindi la conseguenza, derivante dalla stessa lettera dell'art. 112 L.F. e dal sistema del procedimento fallimentare in cui esso si inserisce, che il creditore tardivo può essere partecipe solo dei riparti dichiarati esecutivi in data successiva al provvedimento definitivo della sua ammissione al passivo. Si tratta, ora, di valutare se la semplice proposizione di una domanda di accertamento ex art. 101 L.F. debba incidere sui ritmi attuativi del procedimento di riparto, come previsti dall'art. 110 L.F., e ciò mediante (secondo una delle due ipotesi prospettate), accantonamenti che consentano di differire le possibilità satisfattive del creditore concorsuale, ma non ancora concorrente per tardività, anche in data posteriore all'esecutività del riparto, mediante l'inclusione nel riparto stesso di accantonamenti a specifica destinazione condizionati, peraltro, al fatto della successiva ammissione.

Sul punto si evidenziano due situazioni significative:

a) nessuna norma espressa prevede accantonamenti a favore dei proponenti domanda ex art. 101 L.F.;

b) nella disciplina dell'art. 112 L.F., è insita un'espressa previsione di possibile sacrificio delle ragioni dei creditori tardivi, quando partecipino al riparto, proprio ed unicamente come conseguenza della loro tardività.

Su questo secondo punto, che appare essenziale nella valutazione del sistema normativo, basti considerare le modalità con cui un creditore, tardivamente ammesso, può partecipare ai successivi riparti. Egli innanzi tutto partecipa solo sulle somme che residuano come disponibili nel riparto successivo alla sua ammissione, senza che esista la possibilità di ottenere, dai creditori partecipi dei precedenti riparti, la restituzione degli importi per la reintegrazione della capienza a favore del tardivamente ammesso, ostandovi sia la previsione dell'ultima parte dell'art. 112 L.F. relativa ai creditori tardivi senza loro colpa, sia la preclusione derivante dall'esecutività dei precedenti riparti, sia la limitazione da parte del legislatore della possibilità di restituzione ai soli casi di revocazione di crediti ammessi (art. 102 e 114 L.F.).

Nei limiti delle disponibilità residue, i creditori tardivi, di domanda e di ammissione, possono percepire solo la percentuale che i creditori di pari grado percepiscono nello stesso riparto, con esclusione, quindi, delle percentuali che i creditori tempestivi possano avere acquisito in precedenti riparti. Solo i creditori muniti di titolo di prelazione ovvero tardivi per causa a loro non imputabile ed accertata nel provvedimento di ammissione, possono percepire le quote che sarebbero loro spettate nei precedenti riparti, sempre che, però, le disponibilità residue del riparto cui essi partecipano, diano capienza a dette ragioni estensive. In conclusione, secondo la sistematica dell'art. 112 L.F., anche quando partecipano ad un riparto, i creditori tardivi possono subire comunque un pregiudizio determinato innanzi tutto dai limiti di capienza della residua somma disponibile (limite di disponibilità e di capienza determinabile solo al momento del riparto cui i tardivi partecipano); inoltre, se essi non sono ne' privilegiati ne' tardivi senza loro colpa accertata, possono subire il secondo pregiudizio determinato dal limite di partecipazione nella percentuale che in quel riparto acquisiscono i creditori tempestivi di pari grado, con perdita delle eventuali percentuali precedentemente assegnate. In ciò sta la differenza di regime, chiaramente delineato dall'art. 112 L.F., tra i creditori tardivi, per loro scelta o per loro colpa, da una parte, ed i creditori tardivi nella richiesta di accertamento e di ammissione, senza loro colpa ovvero per quelli muniti di titolo di prelazione riconosciuto, d'altra parte.

Con ciò appare evidente che ad un sistema di tale genere è estranea qualsiasi ipotesi di precedenti accantonamenti (che la ricorrente vorrebbe fare decorrere dal momento stesso della proposizione della domanda tardiva), la cui funzione sarebbe quella di integrare la disponibile a loro favore dei riparti cui essi possano partecipare, per eliminare quel pregiudizio che la stessa disciplina dell'art. 112 L.F., invece, con le limitazioni di partecipazione già illustrate, ipotizza e delinea, creando su di esso la distinzione tra i poteri di partecipazione dei concorrenti tempestivi rispetto ai tardivi, ed inoltre dei tardivi per loro colpa o scelta, rispetto ai tardivi senza loro colpa ovvero a quelli muniti di titolo di prelazione.

La sistematica della Legge Fallimentare, come sopra delineata, inoltre, convalida l'opinione già cennata secondo cui le ipotesi di accantonamento, in quanto deroganti i principi generali che reggono il processo fallimentare, hanno il carattere della eccezionalità e, quindi, della tassatività, con esclusione di qualsiasi possibilità di interpretazione analogica.

Ciò sia detto pur sempre rilevare che, per un'interpretazione analogica, farebbe difetto, comunque, il presupposto dell'identica ragione giustificatrice tra il credito tardivamente ammesso e quelli per i quali l'art. 113, in relazione agli artt. 100 e 102 L.F., prevede gli accantonamenti vincolanti o possibili, volta che tutti i crediti per i quali l'accantonamento è previsto (salva l'ipotesi dell'art. 113 n. 1 per la quale, come si vedrà, il legislatore valorizza una situazione particolare, di generale tutela nel nostro ordinamento processuale) sono già stati oggetti di verifica con una valutazione preventiva del giudice delegato sulla ragionale previsione di una loro futura posizione di creditori concorrenti. Detta previsione, invece, è estranea alle pretese di un insinuante tardivo, che potrebbero essere anche meramente strumentali e per il quale un accantonamento preventivo, sulla base della sola domanda di ammissione, potrebbe essere fonte di pregiudizio per gli altri creditori concorrenti, i quali vedrebbero inutilmente differite le loro possibilità satisfattive a seguito della riduzione delle somme per loro disponibili, come conseguenza di accantonamenti, determinate da situazioni meramente eventuali.

In definitiva, i ritmi estremamente solleciti che il legislatore impone all'ufficio fallimentare, unicamente con riferimento alla definitività dello stato passivo (si ricordi la cadenza bimestrale dei progetti di riparto con decorrenza dal decreto di definitività dello stato passivo), e non alla definitività degli accertamenti di tutti i crediti concorsuali, costituisce una forma di tutela essenziale delle ragioni della massa dei creditori, oltre che dei vari interessi comunque connessi alla sussistenza della procedura fallimentare (non escluso l'interesse del fallito, per le situazioni di incapacità che lo colpiscono in pendenza di procedura o con riferimento alla pendenza della procedura), tutela che si estende a quelle situazioni che in quanto verificate, siano già state oggetto di una valutazione preventiva favorevole, tale da fare ritenere la ragionevolezza dell'accantonamento in relazione alle finalità della procedura. Per quanto attiene ai creditore residenti all'estero, poi, l'accantonamento ha una ragione specifica, espressa nella limitazione del fatto che il progetto di riparto avvenga prima della scadenza del termine prorogato dal giudice delegato (di presentazione della domanda di ammissione ex art. 92 comma 2 L.F.), ed esprime una situazione di coerenza del sistema, volta che per essi il termine tempestivo della domanda è proprio quello determinato dal giudice delegato ex art. 92 L.F., e l'eventuale esclusione dai riparti in pendenza del termine, confliggerebbe proprio con i principi del sistema già indicati.

Nessuna di dette ragioni, per contro, pare estensibile al creditore che proponga domanda tardiva di accertamento del suo credito.

Vi è, infine, un terzo argomento, di carattere storico-sistematico, che depone in senso sfavorevole all'applicazione analogica dell'art. 113 L.F. ai creditori tardivi.

Il precedente Codice di Commercio, all'art. 812, già conosceva la tecnica dell'accantonamento (chiamata riserva), prevista per tutti i creditori per i quali non vi fosse l'ammissione definitiva, per cui l'accantonamento e la contestazione dei crediti erano fatti legali con principio generalizzato e la "riserva" restava finché la contestazione non fosse stata eliminata. Il legislatore del R.D. 16-3-42 n. 267, ha adottato un criterio generale decisamente diverso, creando una serie analitica di casi di accantonamento obbligatori o facoltativi, ed ha spezzato la correlazione necessaria tra accantonamento e contestazione del credito; il che lascia logicamente supporre che le ipotesi di accantonamento previste siano tassative. Sotto altro profilo, neppure può farsi luogo ad un'interpretazione estensiva dell'art. 113 L.F., volta che presupposto di un'interpretazione di tale genere è che una situazione non abbia un'espressa regolamentazione normativa, mentre nel caso di specie l'art. 112 L.F. regola le modalità di partecipazione ai riparti dei creditori tardivi, e le regola con criteri che, come rilevato, sono in quanto tali preclusivi del ricorso alla figura dell'accantonamento preventivo. Nè diversa e più favorevole soluzione può darsi alla tesi dell'esattoria, ricorrendo, non all'accantonamento, ma alla sospensione del riparto, per consentire capienza al credito quando sarà accertato, ricreando, mediante lo spostamento temporale di uno dei due fattori in esame, la pregiudizialità dell'accertamento del credito rispetto al riparto.

A questa soluzione la banca ricorrente ritiene di potere pervenire, sia in applicazione dell'art. 94 L.F., sia ricorrendo all'art. 118.

In base al primo aspetto, gli effetti della domanda giudiziale che l'art. 94 L.F. riconosce al ricorso contenente la domanda di ammissione del credito, comporterebbero la retroattività degli effetti del provvedimento finale (l'ammissione) alla data della domanda, e la conseguente salvaguardia a favore del ricorrente nel tempo necessario per l'accertamento giudiziale, tempo che non dovrebbe andare in pregiudizio del creditore, creando i presupposti di una totale o parziale incapienza delle sue ragioni, in misura maggiore rispetto agli altri partecipanti al concorso. In base al secondo aspetto, si rileva che la chiusura del fallimento deve essere differita alla definizione delle controversie pendenti; lo stesso riparto finale, che della fase di chiusura della procedura è componente essenziale, non potrebbe avvenire se non previa definizione di tutte le controversie sui crediti e, tra esse, di quelle inerenti ai creditori la cui ammissione al passivo sia chiesta ex art. 101 L.F..

La prima prospettazione non è accoglibile, non ricollegandosi al momento della proposizione della domanda giudiziale sempre e comunque gli effetti del provvedimento di definizione del singolo processo. Come è stato rilevato in dottrina, esaurendosi l'autorità del provvedimento nell'eliminazione dell'incertezza, i fatti costitutivi del diritto prendono effetto dal momento in cui vennero posti in essere, mentre gli effetti ricollegati all'eliminazione dell'incertezza prendono data dal tempo in cui diviene immutabile il provvedimento. Nel caso in esame, i fatti costitutivi del diritto di credito accertato influiscono solo sulla concorsualità della situazione giuridica soggettiva, mentre dall'eliminazione dall'incertezza sull'esistenza del credito (e quindi dell'accertamento), decorrono gli effetti della concorrenza del creditore. Non vi è, quindi, ai fini specifici della partecipazione al riparto, quella retroattività degli effetti al momento della domanda, la cui supposizione è presupposto della richiesta salvaguardia a favore del creditore tardivamente ricorrente. Sotto la seconda prospettazione, non può non rilevarsi che, di fronte alla disposizione dell'art. 118 n. 2 L.F. (secondo cui la chiusura può verificarsi quando la ripartizione ai creditori raggiunge l'intero ammontare dei "crediti ammessi") ed all'art. 102 c.p.v. (secondo cui il fallimento può chiudersi pur in presenza della contestazione relativa alla revocazione di un credito ammesso), la definizione delle controversie pendenti non è necessariamente un presupposto generalizzato della chiusura del fallimento. Indubbiamente la chiusura del procedimento presuppone la definizione di alcune controversie, come emerge dall'art. 117 L.F., secondo cui, nel riparto finale vengono distribuiti anche gli accantonamenti precedentemente fatti, accantonamenti che, pertanto, non sono destinati a permanere oltre il riparto finale e la cui distribuzione presuppone la definizione delle controversie che all'accantonamento avevano dato luogo.

Il problema, quindi, della sospensione del riparto finale in attesa della definizione delle controversie, si sposta sul problema delle contestazioni che richiedano gli accantonamenti, o li permettano, quando peraltro essi vi siano effettivamente. La situazione non è estensibile alla pendenza del procedimento di accertamento di creditori tardivi volta che, come già rilevato, per essi non vi è previsione di accantonamento, ne' ad essi è estensibile la disciplina dell'art. 113 L.F..

Concludendo, quindi, sulla questione fondamentale prospettata, questa Corte ritiene che il creditore, la cui domanda di ammissione al passivo fallimentare si proponga con la procedura dell'art. 101 L.F., possa partecipare solo ai riparti dichiarati esecutivi con decreto del giudice delegato in periodo successivo a provvedimenti definitivi di ammissione del credito, e nei soli limiti della disponibilità residua esistente nei detti riparti; ritiene, di conseguenza, che, non essendo normativamente previsti accantonamenti obbligatori per i creditori tardivi in corso di accertamento, ne' essendo consentita l'applicazione analogica o estensiva dell'art. 113 L.F., non possa neppure applicarsi il disposto dell'art. 117, 2 comma L.F., relativo alla necessaria definizione delle controversie per crediti che abbiano dato luogo ad accantonamenti, per cui la procedura fallimentare può essere chiusa, con l'esecuzione del riparto finale, pur in presenza di accertamenti di crediti oggetto di tardiva domanda di accertamento.

Il ricorrente assume che l'interpretazione dell'art. 113 L.F. ora sostenuta, sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, consentendo accantonamenti a favore di altre categorie di creditori non ammessi o addirittura non verificati, mentre quella dell'art. 112 sarebbe in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, perché lascerebbe privi di tutela i creditori tardivi.

Non si ritiene, innanzi tutto, che un parametro sul piano dell'eguaglianza possa porsi tra i creditori tardivi con procedimento di accertamento in corso, e le altre categorie di creditori previste dall'art. 113 L.F. per i quali vi sia stata una verificazione, ancorché non un accertamento definitivo. Come già rilevato, la preventiva valutazione del giudice delegato che rende verosimile la concorrenza di detti creditori, crea la differenza e determina la diversità di posizioni iniziali, che giustifica la diversità di disciplina normativa.

Per quanto concerne, poi, l'ipotesi dell'art. 113 n. 1 L.F., con riferimento alla fattispecie dell'art. 92, 2 comma, ultima parte L.F., essa trova giustificazione in una situazione obiettiva (creditori non residenti nella repubblica) che il nostro ordinamento tutela anche con altre disposizioni di natura processuale (art. 163 bis c.p.c.) e la cui ratio non è necessariamente assimilabile, come già posto in evidenza, a quella del creditore tardivo. Si ricorda, in proposito, che secondo l'impostazione di premessa, l'accantonamento è istituto di natura eccezionale nell'ordinamento concorsuale, volto a contemperare le esigenze di estrema rapidità della procedura concorsuale con quelle di singole situazioni che alla speditezza si oppongono. Quand'anche si ritenga che il principio di eguaglianza dell'art. 3 della Costituzione possa porsi anche per norme eccezionali, nel senso che una norma derogatoria eccezionale possa fungere da "tertium comparationis" in rapporto ad altre norme eccezionali, la doglianza può ipotizzarsi, peraltro, solo quando la norma eccezionale sia ingiustificatamente ristretta solo ad alcune delle ipotesi ricomprese nella sua ratio, quando cioè tra caso ricompreso e caso escluso dalla norma eccezionale sussista "eadem ratio". Detta identità di ragione giustificatrice, però, non è riscontrabile tra l'ipotesi in esame e quelle disciplinate dall'art. 113 L.F., soprattutto quando la tardività della proposizione del ricorso ex art. 101 L.F. derivi da fatto o scelta del creditore, e non da situazione ineluttabile. Nella specie il creditore (da considerarsi nella soggettività dell'ente impositore, e non solo nella sua espressione sul piano della riscossione delle imposte), non ha neppure sostenuto che la tardività fosse derivata da situazione a detto soggetto non addebitabile.

Sotto il secondo profilo prospettato, deve rilevarsi che la regolamentazione dell'art. 112 L.F., secondo l'interpretazione datane, si pone come una forma di contemperamento tra la tutela del singolo e quella della massa dei creditori concorrenti. Tutela del singolo che per la tardività della proposizione del ricorso rispetto ai termini ordinari della procedura, ha bisogno di tempo per l'accertamento del suo credito; tutela della massa, che si esprime nella rapidità della liquidazione e delle procedure satisfattive concorsuali.

Nell'alternativa, il legislatore ha reso prioritaria la tutela della massa dei concorrenti, limitando quella dei tardivi ai residui disponibili. Si tratta di una scelta razionale e ragionevole, coerente con il principio fondamentale cui è improntata tutta la procedura fallimentare e che, pur limitando le possibilità satisfattive nel concorso fallimentare a causa dell'iniziativa in controtempo rispetto alla sollecitudine fallimentare, non lo priva della possibilità di azioni ulteriori, sia pure nei limiti dell'art. 120 L.F., ancorché esse non siano nell'aspettativa del tardivo e di fatto costituiscano per lui un pregiudizio.

La logicità e la razionalità della scelta legislativa, poi, appare chiara quando la tardività del ricorso per ammissione del credito dipenda da fatto a scelta del suo titolare, scelta alla quale il legislatore non ha inteso subordinare (nè con la postergazione del riparto, ne' con l'estensione del sistema degli accantonamenti) la soddisfazione delle ragioni dei creditori concorrenti, tempestivi o maggiormente solleciti rispetto al tardivo incapiente. Sotto tutti i profili indicati, quindi, il ricorso non merita accoglimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Roma 10-10-1989.