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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 17824 - pubb. 01/07/2010.

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Cassazione civile, sez. IV, lavoro, 03 Maggio 1996. Est. Vigolo.

Liquidazione coatta amministrativa - Senza cessione di portafoglio - Di impresa autorizzata all'esercizio della responsabilità civile per i danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore - Disciplina ex art. 10 D.L.. n. 857 del 1976 - Risoluzione "ope legis" dei rapporti di lavoro - Carattere automatico - Riassunzione da parte del commissario liquidatore - Forma scritta e autorizzazione ex art. 206 legge fall. - Necessità - Esclusione - Fattispecie relativa ad impugnativa di licenziamento intimato dopo riassunzione non formale


La liquidazione coatta amministrativa di impresa autorizzata all'esercizio dell'assicurazione della responsabilità civile per i danni causati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, senza cessione del portafoglio, ai sensi dell'art. 10 del D.L. 23 dicembre 1976 n. 857, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 1977 n. 39, determina la risoluzione automatica dei rapporti di lavoro col personale dipendente, in deroga al principio di cui all'art. 2119 cod. civ.. La successiva riassunzione dei lavoratori per l'assolvimento dei compiti inerenti alla liquidazione è atto a forma libera, non essendo prevista la forma scritta, ne' l'autorizzazione dell'autorità di vigilanza, ai sensi dell'art. 206 legge fall., e quindi può avvenire anche per fatti concludenti. (Nella specie il giudice di merito aveva rigettato l'impugnativa del licenziamento intimato al lavoratore che assumeva di avere continuato a prestare la sua opera dopo la sottoposizione della società a liquidazione coatta, per la ritenuta impossibilità di una valida nuova costituzione del rapporto senza l'adozione di atti formali. La S.C., nel cassare con rinvio la sentenza impugnata, ha indicato la necessità di accertare, in vista dell'eventuale applicazione dell'art. 18 legge n. 300 del 1970, oltre alla prestazione lavorativa successivamente al decreto di liquidazione, anche, in relazione alla contestazione esistente sul punto, se il rapporto fosse ancora in essere alla data di tale decreto). (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Francesco MOLLICA Presidente

" Francesco TORIELLO Consigliere

" Bruno D'ANGELO "

" Fernando LUPI "

" Luciano VIGOLO Rel. "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

DI BELLA LUCIANO, elettivamente domiciliato in ROMA C.SO VITTORIO EMANUELE II 326, presso l'Avvocato RENATO SCOGNAMIGLIO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

Ricorrente

contro

SANREMO ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA MONTI PARIOLI 12, presso l'Avvocato GREGORIO IANNOTTA, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

Controricorrente

avverso la sentenza n. 8144-94 del Tribunale di ROMA, depositata il 25-05-94; n.r.g. 21227-94. udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25-01-96 dal Consigliere Relatore Dott. Luciano VIGOLO;

udito l'Avvocato Iannotta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ALESSANDRO CARNEVALI che ha concluso per l'accoglimento del terzo motivo e per il rigetto degli altri.

FATTO

Con atto depositato il 24 febbraio 1990, il sig. Di Bella Luciano ricorreva al Pretore - giudice del lavoro di Roma chiedendo nei confronti della propria datrice di lavoro s.p.a. Sanremo in liquidazione coatta amministrativa che fosse dichiarato inefficace, invalido, illegittimo e nullo il licenziamento ex adverso intimatogli verbalmente l'11 settembre 1989; e che fosse ordinata la propria reintegrazione nel posto di lavoro con condanna della società al pagamento delle retribuzioni dalla data del licenziamento a quella della reintegrazione ed al risarcimento del danno, oltre al pagamento di stipendi maturati e accessori di legge.

Deduceva che aveva lavorato alle dipendenze della Sanremo fino al 31 agosto 1989 quale funzionario di settimo livello; - che nel giugno 1989 (recte: con d.m. 19 luglio 1989 in G.U. 22 luglio 1989) la società era stata posta in liquidazione coatta amministrativa ed egli aveva svolto nei mesi di giugno e luglio 1989 l'attività assegnatagli; - che nel mese di agosto aveva fruito delle ferie; - che alla ripresa del servizio, nel settembre, egli aveva appreso da colleghi che risultava licenziato; - che, su sua richiesta, un funzionario, per conto del commissario liquidatore, il giorno 11 settembre 1989 gli aveva verbalmente comunicato il licenziamento, da lui impugnato con raccomandata del 13 settembre 1989. Costituendosi in giudizio, la soc. Sanremo opponeva che alla data del decreto di liquidazione coatta amministrativa il Di Bella non era più' alle proprie dipendenze in quanto il rapporto di lavoro era cessato ii 23 giugno precedente, con relativa comunicazione all'ufficio del lavoro e, addirittura, con percezione da parte del lavoratore delle retribuzioni sino ad allora maturate e del trattamento di fine rapporto, senza alcuna riserva e con cessazione delle prestazioni lavorative; la domanda era dunque inammissibile anche per mancata impugnazione del licenziamento nel termine di sessanta giorni dal 23 giugno 1989. Subordinatamente, la società Sanremo opponeva che comunque la domanda avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile ed infondata in quanto, in conseguenza della liquidazione coatta amministrativa si era determinata la risoluzione ope legis di tutti i rapporti di lavoro, con riassunzione (ai minimi retributivi della contrattazione collettiva) dei dipendenti il cui rapporto era tuttora in vigore al momento del decreto di liquidazione coatta, ma non del Di Bella col quale il rapporto non era più' in essere. In ogni caso, costui avrebbe dovuto proporre, anziché domanda di reintegrazione, quella, diversa, di riassunzione ex art.10 della legge n. 39 del 1977. Del pari inammissibili erano le domande dirette al pagamento di somme da parte della procedura ed al riconoscimento di pretese creditorie le quali avrebbero potuto essere proposte dinanzi al giudice civile ordinario, nelle forme previste dalla legge fallimentare, solo dopo il deposito dello stato passivo. Il Pretore, con sentenza in data 5 dicembre 1990, rigettava la domanda e condannava il ricorrente nelle spese.

Su appello del Di Bella, il Tribunale di Roma - Sezione del lavoro, con sentenza in data 16 marzo -25 maggio 1994 riformava la sentenza del Pretore solo in punto di spese, dichiarandole compensate per entrambi i gradi.

Affermava il Tribunale che - a norma dell'art. 10 del d. l. 23 dicembre 1976, n. 857 (concernente: Modifica della disciplina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1977, n. 39 - nell'ipotesi di messa in liquidazione coatta amministrativa di società esercente l'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile, il rapporto di lavoro viene meno ope legis, in deroga alla disposizione generale di cui all'art. 2119 c.civ., come denota la previsione da parte dell'art. 10 cit. della "riassunzione" dei dipendenti dell'impresa di assicurazione, da retribuire, peraltro, solo con i minimi previsti dalla contrattazione collettiva di categoria in relazione alle mansioni espletate. Identica ratio, del resto, presiederebbe, secondo il giudice di appello, all'art. 5 del d.l. 26 settembre 1978, n. 576 (concernente: Agevolazioni al trasferimento del portafoglio e del personale delle imprese di assicurazione poste in liquidazione coatta amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 1978, n. 738, laddove esso dispone che "i rapporti di lavoro del personale dipendente dall'impresa posta in liquidazione coatta amministrativa sono risoluti di diritto alla data di pubblicazione del decreto" che promuove la liquidazione coatta, ma con obbligo di riassunzione da parte dell'impresa cessionaria del portafoglio. La diversità rispetto alla generale disciplina di cui all'art. 2119 c.civ si giustificherebbe con il fatto che, nel caso di liquidazione coatta amministrativa di società da assicurazione per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, si avrebbe cessazione della attività si prevede infatti la cessione del portafoglio ad altra impresa assicurativa o al Comitato del Fondo di garanzia per le vittime della strada ed un limite temporale ex art. 8 d.l. 857-1976 e 83 d.p.r. 13 febbraio 1959, n. 499 ("Approvazione del testo unico delle leggi sull'esercizio delle assicurazioni private") per la copertura dei rischi, rispettivamente, dei contratti r.c.a. e degli altri contratti.

Pertanto, secondo il Tribunale, non era concettualmente concepibile che il Di Bella fosse stato licenziato nel settembre quando già il rapporto si era risolto ex lege con la messa in liquidazione (nel luglio) della società. L'eventuale, successivo svolgimento di fatto di attività lavorativa non avrebbe potuto dar luogo ad un rapporto lavorativo valido nei confronti della procedura di liquidazione coatta amministrativa - in ragione degli oneri che ad essa sarebbero derivati e dei controlli preventivi e successivi cui era soggetto l'operato del Commissario - senza l'adozione di atti formali da parte di essa. Lo svolgimento di attività di fatto avrebbe potuto dar luogo solo ad indebito arricchimento della stessa società, se svolta invito vel prohibente domino, e le connesse richieste di natura economica non erano proponibili se non in sede concorsuale.

La vis attractiva del foro fallimentare si sarebbe estesa anche alle domande che si fossero volute riconnettere ad un eventuale licenziamento in data 23 giugno 1989, posto che da questo non poteva derivare la reintegrazione nel posto di lavoro per la intervenuta successiva risoluzione de iure dello stesso, ma solo pretese creditorie da far valere in sede di ammissione allo stato passivo della procedura non essendo stata chiesta pronuncia con efficacia di giudicato su di una domanda (sorretta da uno specifico interesse) distinta da quella diretta al riconoscimento di siffatte pretese. Per la cassazione della sentenza del Tribunale ricorre il Di Bella affidandosi a tre motivi illustrati con memoria.

Resiste con controricorso la Sanremo Assicurazioni s.p.a., in liquidazione coatta amministrativa.

DIRITTO

Col primo motivo di ricorso il Di Bella deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 12 disposiz. sulla legge in generale, dell'art. 2119 c.civ., dell'art. 10 del d.l. 23 dicembre 1976, n.857, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1977, n.39, e dell'art. 5 del d.l. 26 settembre 1978, n. 576, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 1978, n. 738, nonché carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine ad un punto essenziale della controversia ritualmente prospettato dalla parte. Sostiene che le disposizioni della legge n. 738-1978 (in quanto legge speciale) non potevano costituire criterio interpretativo della precedente legge n. 39-1977, pure essa legge speciale: questa doveva essere, invece, interpretata alla stregua dei principi generali dell'ordinamento o del settore e, in particolare, dell'art. 2119 c.civ., in presenza del quale sarebbe occorsa una esplicita disposizione, che invece manca, per affermare che i rapporti di lavoro in essere al momento dell'apertura della liquidazione coatta amministrativa venivano automaticamente risolti. Tale previsione esiste bensì nella successiva legge n. 738 del 1978, nel contesto radicalmente diverso della liquidazione coatta amministrativa con cessione del portafoglio ad altra società, obbligata a riassumere (obbligo non sussistente, secondo il Di Bella, per l'art. 10 del d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1977, n. 39).

Il motivo è infondato.

È pacifico che la soc. Sanremo è stata posta in liquidazione coatta amministrativa senza cessione del portafoglio, ai sensi del d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1977, n. 39, il quale prevede (art. 10, comma primo) che per l'assolvimento dei compiti di liquidazione dei danni anteriori alla pubblicazione del decreto che ha disposto la liquidazione coatta, nonché (entro precisi limiti temporali) di quelli verificatisi successivamente, il commissario liquidatore "provvede a riassumere" il personale "già" dipendente dall'impresa posta in liquidazione; il comma secondo dell'art. 10 cit. dispone poi che "il personale predetto è retribuito con i minimi previsti nei contratti collettivi di categoria in relazione alle mansioni espletate". Il senso "fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse" (art. 12 disp. sulla legge in generale) non lascia dubbi sulla volontà del legislatore di disporre la risoluzione ope legis dei rapporti di lavoro in essere al momento della emanazione del decreto che dispone la liquidazione coatta amministrativa dell'impresa esercente l'assicurazione per la responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli e di natanti: che quello fosse il senso reso palese dalle parole "riassumere" e "già dipendente" si evince anche dalla circostanza che nel rapporto che si instaura con la società in liquidazione coatta, la retribuzione deve essere quella corrispondente ai minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva.

Non sono, dunque, pertinenti le critiche del ricorrente secondo cui a simili conclusioni il giudice di secondo grado sarebbe pervenuto estendendo indebitamente, alle disposizioni appena richiamate, principi che sarebbero stati introdotti solo con il successivo d.l. 26 settembre 1978, n. 576, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 1978, n. 738. È, invece, vero che l'art. 5 del successivo testo legislativo costituisce, come ritenuto dal giudice di appello, il naturale sviluppo di una tendenza legislativa già espressasi in quello precedente. Del resto, si tratta di tendenza di salvaguardia dell'occupazione analoga a quella resasi nello stesso periodo evidente anche nel d.l. 30 marzo 1978, n.80 (Norme per agevolare la mobilità dei lavoratori e norme in materia di cassa integrazione guadagni) convertito, con modificazioni, nella legge 26 maggio 1978, n. 215, secondo il quale la dichiarazione di crisi aziendale emessa anteriormente alla entrata in vigore dello stesso decreto opera i medesimi effetti della disdetta indicata nell'art. 2112 c.civ., mentre in caso di attuazione di accordi, successivi all'entrata in vigore della legge di conversione, per il trasferimento dell'azienda in crisi, dalla dichiarazione di crisi aziendale analogamente consegue, nei confronti dei lavoratori che passano alle dipendenze dell'acquirente, la inoperatività delle disposizioni di cui al primo comma dello stesso art. 2112 c.civ. (salve le condizioni di maggior favore per i lavoratori stabilite negli accordi sindacali).

Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2126 c.civ., degli artt. 194 segg. l. fall., dell'art. 10 del d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1977, n. 39 e dell'art. 5 del d.l. 26 settembre 1978, n. 576, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 1978, n. 738 ed inoltre carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine a punto essenziale della controversia. Afferma che il Tribunale non ha indicato le norme dalle quali deriverebbero per il commissario liquidatore vincoli, nella assunzione di dipendenti, addirittura superiori a quelli propri della pubblica amministrazione: in particolare, non avrebbe potuto essere esteso in via analogica il divieto contenuto nell'art. 5, ult. parte del d.l. 26 settembre 1978, n. 576, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 1978, n. 738, concernente solo i soggetti che non fossero già stati dipendenti della società. Il motivo è fondato nei sensi delle considerazioni che seguono. Il Tribunale, dopo avere affermato che il rapporto di lavoro si sarebbe comunque risolto alla data del decreto che disponeva la liquidazione coatta amministrativa, avrebbe dovuto accertare - in presenza dell'impugnativa di licenziamento che si assumeva intimato oralmente in epoca successiva a tale data - se al momento del dedotto licenziamento fosse stato in essere un rapporto di lavoro col Di Bella per effetto di eventuale riassunzione ai sensi dell'art. 10 del d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1977, n. 39. Per contro, il giudice di appello ha ritenuto assorbente l'osservazione che da una eventuale riassunzione non formalizzata, non sarebbero sortiti altro che gli effetti dell'arricchimento senza causa e quindi pretese non proponibili se non in sede concorsuale.

Assume la società resistente, in assonanza con la pronuncia impugnata, che l'esigenza giuridica di "formalizzazione" della riassunzione eventualmente disposta nascerebbe, anzitutto, dai limiti di valore cui sarebbero soggetti gli atti che il commissario liquidatore può porre in essere senza la autorizzazione della autorità che vigila sulla liquidazione; in secondo luogo sorgerebbe dallo stesso meccanismo di cui agli artt. 10 e 11 della legge n. 39 del 1977 (NDR: D.L. 23.12.1976, n. 857 artt. 10 e 11).

Rileva, peraltro, la Corte che l'art. 206 della legge fallimentare pone limiti di valore non per tutti gli atti propri del liquidatore, ma solo per quelli previsti dall'art. 35 della legge medesima (riduzione di crediti, transazioni, compromessi, rinunzie alle liti, ricognizioni di diritti di terzi, ed altri in materia di garanzie ed in materia ereditaria), tra i quali non rientra la assunzione di lavoratori. Disposizione del tutto analoga vige nella materia (pure richiamata dalla controricorrente) di liquidazione di società cooperative (art. 4 legge 17 luglio 1975, n. 400). Per quanto, in particolare, concerne la "riassunzione" di lavoratori a norma degli artt. 10 e 11 del d.l. 23 dicembre 1976, n.857, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1977, n.39, depone in senso contrario alla necessità di autorizzazione la considerazione che si tratta di atti dovuti del commissario liquidatore, predeterminati dalla legge e previsti di norma (in conformità al disposto dell'art. 80, quarto comma, d.p.r. 13 febbraio 1959, n. 449) nello stesso decreto che autorizza a procedere alla liquidazione dei danni ai sensi dell'art. 9 del citato decreto legge.

Vigendo, dunque, nel nostro ordinamento il generale principio della libertà di forma degli atti di diritto privato, non si vede, in assenza di una specifica disposizione che vincoli ad una forma determinata, la ragione per cui la "riassunzione" del lavoratore "già" dipendente della società prima del decreto di liquidazione coatta, debba avvenire in modo "formale": quanto ai controlli cui il Tribunale si è riferito ed in particolare per quelli attinenti al diritto del lavoratore ad essere "riassunto", essi ben possono svolgersi sulla scorta delle scritture obbligatorie, in particolare dei libri matricola e paga dell'azienda, o altrimenti. L'eventuale violazione degli obblighi connessi alla riassunzione da parte del Commissario liquidatore potranno essere fonte di sua responsabilità, ma non certo di danno per il lavoratore che abbia fatto affidamento sulla prosecuzione di fatto delle proprie prestazioni anche dopo il decreto di liquidazione coatta amministrativa.

E poiché il Di Bella ha impugnato il licenziamento che assume intimatogli dopo tale decreto, appare carente, anzitutto sul piano della correttezza del sillogismo, la motivazione del giudice di appello, secondo cui, risoltosi ex lege il rapporto di lavoro originario, era precluso ogni accertamento sul punto se il preteso, successivo recesso datoriale fosse stato legittimo o meno (e ancor prima sul punto se si fosse instaurato un rapporto di lavoro a seguito di avvenuta "riassunzione") e circa l'eventuale diritto del lavoratore alla richiesta reintegrazione nel posto di lavoro. Il giudice di appello avrebbe invece dovuto indagare sulla ricorrenza dei presupposti di fatto necessari, a norma dell'art. 10 del d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 1977, n. 39, perché la riassunzione, prima, e, in secondo luogo, la reintegrazione nel posto di lavoro potessero attuarsi: ai fini della riassunzione ex art. 10 del d.l. ult.cit. era, in particolare, necessario accertare se il rapporto di lavoro del Di Bella fosse ancora in essere al momento della liquidazione coatta amministrativa e quali fossero al momento le mansioni del lavoratore. Col terzo motivo del ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. e degli artt. 208 e segg. 1. fall., nonché carenza e contraddittorietà della motivazione su punto decisivo della controversia, sostenendo che il Tribunale avrebbe dovuto pronunciarsi quanto meno sulla legittimità-efficacia del licenziamento asseritamente intimato in data 23 giugno 1989 in quanto la questione appariva pregiudiziale rispetto all'eventuale diritto del Di Bella alla riassunzione. Nel ricorso introduttivo, infatti, costui aveva domandato che fosse dichiarato inefficace, invalido e nullo e pertanto fosse annullato il licenziamento intimatogli ed aveva chiarito in appello (senza alcuna modifica della domanda) che - nella prospettiva difensiva di controparte - la riassunzione non era stata attuata perché all'apertura della procedura concorsuale egli non risultava più in servizio, mentre presupposto per far valere il diritto alla riassunzione era l'accertamento della persistenza del rapporto. La sussistenza di un interesse ad una pronuncia sul licenziamento intimato prima della messa in liquidazione coatta amministrativa della società: era reso palese anche dalla circostanza che il diverso giudizio promosso per l'accertamento del proprio diritto alla riassunzione era stato sospeso in attesa che si formasse il giudicato nella presente controversia e, nell'altro giudizio, il mancato esame della questione della inefficacia-invalidità del fantomatico licenziamento del 23 giugno 1989 potrebbe dar corpo addirittura ad una eccezione di giudicato sfavorevole. Pertanto, previo annullamento della decisione impugnata, la questione avrebbe dovuto essere rimessa ad altro giudice o decisa ex art. 384 c.p.c. da questa stessa Corte non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto. Il motivo è infondato ed in parte assorbito dalle considerazioni svolte trattando del motivo precedente.

Posto che il Tribunale aveva ritenuto che la pretesa "riassunzione" non era avvenuta in modo formalmente valido e che comunque lo svolgimento di fatto di attività lavorativa in attuazione di negozio nullo o annullabile non avrebbe potuto dar luogo a pretese azionabili al di fuori della procedura concorsuale, e fermo quanto dalla Corte appena argomentato a tale proposito, per il Collegio di merito restava logicamente preclusa qualsiasi indagine in ordine alla esistenza ed alla validità ed efficacia di un atto di recesso datoriale (oltretutto contestato dal Di Bella nella sua stessa verificazione storica) anteriore alla messa in liquidazione coatta della società ed in relazione alla sussistenza o meno del diritto del lavoratore alla "riassunzione". Del resto, nel ricorso introduttivo il Di Bella aveva impugnato il licenziamento del settembre ed alcuna pronuncia con efficacia di giudicato aveva sollecitato in relazione al licenziamento, asseritamente del giugno, ex adverso oppostogli, ne' siffatta pronuncia avrebbe potuto chiedere per la prima volta in appello.

Questa Corte ha già avuto occasione di rilevare che in caso di liquidazione coatta amministrativa di una impresa di assicurazione per la responsabilità civile per i danni causati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti e di conseguente cessione del portafoglio ad altra impresa, nei giudizi in cui si controverta del diritto del personale alla riassunzione da parte dell'impresa cessionaria in rapporti di lavoro distinti dai precedenti, la cui esistenza costituisce un mero presupposto di fatto del diritto alla nuova assunzione, l'accertamento dell'indicato presupposto costituisce oggetto non di una autonoma domanda ma di una semplice questione pregiudiziale di merito che, non sussistendo necessità ex lege di pronuncia con efficacia di giudicato e in mancanza di esplicita domanda in tal senso (soggetta alle preclusioni stabilite dall'art. 416 c.p.c.) ad opera della parte a ciò legittimata da uno specifico interesse, è suscettibile di cognizione in via incidentale da parte del giudice (ordinario) competente in ordine alla controversia relativa al diritto alla nuova assunzione (Cass. 3 Febbraio 1984, n. 840). Sotto il profilo processuale, il principio appena enunciato non sembra soffrire deroga per il caso, diverso per altri riflessi, della liquidazione coatta amministrativa senza cessione del portafoglio, all'esame di questo Collegio. Conclusivamente, assorbito ogni altro profilo di censura, la sentenza del Tribunale deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve essere rimessa ad altro giudice di eguale grado, designato in dispositivo, il quale, previ gli accertamenti di fatto necessari secondo le considerazioni sopra svolte, giudicherà attenendosi al seguente principio di diritto:

La liquidazione coatta amministrativa di impresa autorizzata all'esercizio dell'assicurazione per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, senza cessione del portafoglio, ai sensi dell'art. 10 del d.l. 23 dicembre 7976, n. 857, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1977, n. 39, determina la risoluzione automatica dei rapporti di lavoro col personale dipendente, in deroga al principio di cui all'art. 2119 c.civ.. La successiva riassunzione dei lavoratori per l'assolvimento dei compiti inerenti alla liquidazione ad opera del commissario liquidatore è atto a forma libera non essendo prevista, in particolare, la forma scritta; ne consegue che, ove il dipendente non risulti licenziato prima del decreto che pone l'impresa in liquidazione coatta amministrativa e risulti aver prestato la propria opera anche successivamente a tale decreto, può essere ordinata la di lui reintegrazione nel posto di lavoro, in caso di successivo licenziamento nullo, qualora concorrano i presupposti di cui all'art. 18 legge 20 maggio 1970, n. 300. A detto giudice è altresì opportuno rimettere la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso per quanto di ragione e respinge gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa anche per le spese al Tribunale di Latina

Così deciso in Roma, addì 25 gennaio 1996.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 3 MAGGIO 1996