Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 17826 - pubb. 01/07/2010

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Cassazione civile, sez. I, 10 Dicembre 1994, n. 10571. Est. Bibolini.


Liquidazione coatta amministrativa - Liquidazione - Organi- Commissario liquidatore - Operazioni, poteri e responsabilità - Poteri - Azione di responsabilità contro gli amministratori ed i controllori dell'impresa - Società di assicurazioni - Assoggettamento a liquidazione coatta amministrativa - Azione di responsabilità nei confronti dei sindaci - Proposizione da parte del commissario liquidatore - Ammissibilità



Il commissario liquidatore è legittimato a proporre l'azione di responsabilità nei confronti dei sindaci di una società di assicurazioni sottoposta a liquidazione coatta amministrativa, non potendosi ritenere che l'art. 86 del D.P.R. 13 febbraio 1959 n. 449 (T.U. delle leggi sull'esercizio delle assicurazioni private) - che espressamente tale potere conferisce al Commissario solo contro gli amministratori - abbia inteso precludere l'azione di responsabilità verso i sindaci in pendenza della procedura concorsuale, ed essendo in contrasto con la logica del sistema concorsuale rendere arbitra l'assemblea dei soci, o i singoli creditori, dell'esperibilità di detta azione. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Enzo BENEFORTI Presidente

" Giuseppe BORRÈ Consigliere

" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "

" Vincenzo PROTO "

" Ugo VITRONE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

1) COLLETTI NICOLA;

2) CAVALIERI LUIGI FILIPPO;

elettivamente domiciliati in Roma, Corso Trieste n. 42 presso l'Avv. Vincenzo Castiglione Humani, che li rappresenta e difende per mandato a margine del ricorso introduttivo;

Ricorrenti

contro

COMPAGNIA MEDITERRANEA DI ASSICURAZIONI S.P.A.., in liquidazione coatta amministrativa, in persona del Commissario liquidatore Prof. Avv. Ludovico Pazzaglia, rappresentata e difesa dall'Avv. Renato Scognamiglio, elettivamente domiciliata presso lo studio di questi in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n. 326, per delega a margine del controricorso;

Controricorrente

avverso la sentenza N. 1937-90 della Corte d'Appello di Roma depositata in data 21 maggio 1990;

udita la relazione del consigliere Gian Carlo Bibolini;

sentito l'Avv. Scognamiglio il quale, per la parte controricorrente, ha chiesto il rigetto del ricorso;

sentito il P.M. dott. PAOLO DETTORI il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Giunge per la seconda volta in sede di legittimità un settore di un processo di più ampia portata promosso per azione di responsabilità dal Commissario liquidatore della s.p.a. Compagnia Mediterranea di Assicurazioni contro gli amministratori ed i sindaci della predetta società, ed avente ad oggetto, nella presente fase, solo due questioni essenziali, oltre a quelle sulle spese di giudizio, e, cioè:

1) la legittimazione del Commissario liquidatore della liquidazione coatta amministrativa di una società di assicurazioni, a promuovere azione di responsabilità contro i sindaci della società, ché tali erano stati i due attuali ricorrenti;

2) l'intervenuta prescrizione, o non, dell'azione, in relazione ad eventuali atti interruttivi del termine prescrizionale ed ai criteri per individuare detti atti con efficacia interruttiva. Giova ricordare al fine, secondo quanto emerge dall'esposizione in fatto della sentenza n. 1937-90 della C.A. di Roma, quanto segue:

a) in data 17 settembre 1964 la s.p.a. Compagnia Mediterranea di Assicurazioni veniva posta in liquidazione coatta amministrativa;

b) Con atto notificato il 21 ed il 26 giugno 1972, il Commissario liquidatore della predetta procedura conveniva davanti al tribunale di Roma 18 persone (tra cui gli attuali ricorrenti), nei cui confronti promuoveva azione di responsabilità ex artt. 2392 e ss e 2407 c.c., sostenendo che tutti i predetti, succedutisi nel tempo quali componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, avevano causato, quanto meno per colpa, il dissesto della società.

Tra gli altri si costituivano in causa i signori Dr. Nicola Colletti e Dr. Filippo Cavalieri, sindaci della società, i quali eccepivano l'inammissibilità e la prescrizione dell'azione. Il Tribunale di Roma, pronunciando con sentenza 25 luglio 1977, dichiarava l'inammissibilità della domanda nei confronti di tre convenuti e la prescrizione nei confronti di altri due, rimettendo al definitivo la decisione nei confronti degli altri convenuti (tra cui gli attuali controricorrenti).

Nel giudizio di appello promosso dal liquidatore e da altri soggetti, si costituivano i dottori Colletti e Cavalieri con appello incidentale, chiedendo l'affermazione della carenza di legittimazione attiva del Commissario liquidatore nonché la prescrizione dell'azione nei loro confronti.

La Corte di Roma, con sentenza 9 marzo 1983, dichiarava l'inammissibilità dell'appello proposto dalla procedura, appello incidentale che avrebbe dovuto essere proposto entro il termine di legge corrente dalla notifica di altra impugnazione ritenuta principale, affermando che la risoluzione di detta questione precludeva qualsiasi altra indagine.

Su ricorso del Commissario, e ricorso incidentale dei dottori Nicola Colletti e Luigi Filippo Cavalieri sulla base di due motivi, questa Corte, con sentenza 18 gennaio 1988, dopo avere rigettato il ricorso del Commissario, accoglieva il primo motivo di ricorso incidentale dei predetti, rigettando il secondo.

Con citazione in riassunzione notificato il 23 giugno 1988 i dott.ri Nicola Colletti e Luigi Filippo Cavalieri convenivano davanti alla Corte di Roma, quale giudice del rinvio, ancora la Compagnia Mediterranea chiedendo che, in conformità delle statuizioni della Corte di legittimità, fossero esaminate le eccezioni di prescrizione e di carenza di legittimazione attiva.

Nel contraddittorio della società di assicurazioni pronunciava la Corte di Roma con la sentenza n. 1937-90, oggetto del presente ricorso, dichiarando prescritta l'azione in relazione ad una delle operazioni addebitate (convenzione con lo EAM), e rigettando nel resto le eccezioni proposte, con compensazione tra le parti delle spese delle tre fasi di giudizio.

In particolare, la motivazione della Corte del merito, si articolava nel seguente ordine logico, sulle questioni principali proposte:

A) CARENZA DI LEGITTIMAZIONE ATTIVA

Gli appellanti incidentali avevano fondato la tesi della carenza di legittimazione attiva da parte del Commissario Liquidatore sulla base di due situazioni tra di loro correlate, e cioè:

1) il testo dell'art. 86 del D.P.R. 13 febbraio 1959 n. 449 (T.U. sulle assicurazioni private), che prevede espressamente l'esercizio dell'azione di responsabilità da parte del Commissario nei confronti degli amministratori, ma no ha alcuna previsione nei confronti dei sindaci;

2) la ragione dell'esclusione della legittimazione del Commissario all'esperimento di detta azione nei confronti dei sindaci, che si dovrebbe ricercare nel fatto che, essendo esperibile l'azione nei confronti degli organi di controllo, tra gli organi di controllo vi sarebbe anche l'autorità ministeriale titolare della vigilanza sulle società di assicurazioni nonché, per l'art. 206 L.F., del potere di autorizzare l'esercizio di detta azione, per assurdo, contro sè stessa.

La Corte romana riteneva non concludente l'argomento principale traibile dalla lettera del ricordato art. 86, che non precludeva l'azione nei confronti dei sindaci, ma solo di essa non faceva espressa menzione, per cui, in tesi, dovrebbe richiamarsi la disciplina generale degli artt. 2293 e 2394 in relazione all'art.2407 c.c. e, quanto alla legittimazione, quella dell'art. 206 L.F., non espressamente derogata dal T.U. sulle assicurazioni private, quale legge speciale.

Detta Corte, inoltre, riteneva non giustificata la motivazione offerta dagli appellanti sul secondo punto, in virtù della differenza tra organi di vigilanza, ed organi di controllo della società, nei confronti dei quali soltanto l'azione di responsabilità sarebbe esercitabile.

La Corte di Roma, infine, trovava definitiva riprova della situazione ritenuta, nel fatto che il secondo comma del ricordato art. 86 T.U., dichiarando applicabili le disposizioni penali di cui al titolo VI della L.F., non pone alcuna esclusione nei confronti dei sindaci.

B) ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE.

Premesso che nella specie è applicabile la prescrizione quinquennale dell'art. 2949 c.c., e che il termine iniziale del decorso prescrizionale coincide con la data delle operazioni assertivamente contrarie a legge o all'atto costitutivo e produttive di pregiudizio; che al caso non trova applicazione la disciplina dell'art. 2941 n. 7 c.c. (sospensione della prescrizione nelle persone giuridiche); tanto premesso e ritenuto che le situazioni oggetto di addebito erano tre (operazione EAM del 1954, transazione con i Lloyds di Londra del 1961 ed operazione immobiliare-finanziaria relativa ad una località in Prati di Papa del 1962), la Corte di Roma riteneva che la prescrizione fosse maturata in relazione alla prima operazione, mentre costituissero valide situazioni interruttive, per le altre due, un atto di costituzione in mora notificato nel 1965 nonché la successiva costituzione di parte civile avvenuta nel 1969 nel processo penale, oltre alla promozione della presente causa con citazione notificata il 21-26 giugno 1972. Valido l'atto di contestazione e di costituzione in mora del 1965 perché, pur non determinando esattamente le ragioni della responsabilità, essendo all'epoca ancora in corso accertamenti, era inequivoco nell'indicare gli addebiti mossi e nel manifestare volontà risarcitoria; valida la costituzione di parte civile perché, pur essendo stati prosciolti in istruttoria gli attuali controricorrenti, le contestazioni penali riguardavano gli stessi fatti oggetto delle ragioni di danno prospettate con l'atto di citazione originario.

Avverso detta decisione proponevano ricorso per cassazione il Prof. Dr. Nicola Colletti ed il Dr. Luigi Filippo Cavalieri, sulla base di tre motivi, integrati da memoria; si costituiva con controricorso, integrato da memoria, il Commissario Liquidatore della s.p.a. COMPAGNIA MEDITERRANEA DI ASSICURAZIONI.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ) CARENZA DI LEGITTIMAZIONE ATTIVA.

Con il primo mezzo di cassazione i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 132 n. 4 c.p.c., 118 Disp. Att. c.p.c.; 206 e 194 L.F., 86, 206, 80-4, 61-1, 65, 28 69, 70, 71, 72, 105-110, 80, 56, 57, 61, 17, 22, 18, 30, 31, 42 103 ed altri connessi T.U. Assicurazioni private (D.P.R. 13 febbraio 1959 n. 449); art. 12 Disp. Prel. c.c.; artt. 1367, 2393, 2394 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3, 4, 5 c.p.c.. I ricorrenti ripropongono la tesi svolta nei gradi di merito del giudizio, fondandola essenzialmente su due disposizioni normative e, cioè:

l'art. 206 L.F.;

l'art. 86 del T.U. sulle Assicurazioni private.

L'art. 206 citato è norma di carattere generale in materia concorsuale, e consente al liquidatore l'esercizio dell'azione di responsabilità, non solo contro gli amministratori, ma anche verso gli "organi di controllo" previa autorizzazione dell'autorità di vigilanza.

L'art. 86 citato nel legittimare il Commissario liquidatore all'azione di responsabilità, prevede come destinatari di detta azione solo gli amministratori.

Esso, quindi, si porrebbe come norma speciale rispetto alla norma generale e dovrebbe trovare applicazione. L'affermazione diversa della Corte di merito sarebbe un "assioma paralogistico". Confermerebbe detta interpretazione l'art. 194 L.F., che richiama la disciplina del titolo V , "salvo che leggi speciali dispongano diversamente", e la diversa disposizione sarebbe, per il caso di specie, il ricordato art. 86 T.U.. Confermerebbe detta interpretazione il fatto che il T.U. sulle assicurazioni private è successivo rispetto alla legge fallimentare e quindi abrogante le disposizioni con esso incompatibili.

La ragione della disciplina speciale in materia di liquidazione coatta delle società di assicurazioni si troverebbe nel fatto che gli organi di controllo, nei cui confronti l'azione di responsabilità sarebbe esperibile, sono di due tipi; i sindaci e l'organo ministeriale di vigilanza. La vigilanza, infatti null'altro sarebbe, in tesi, che un "controllo vigilante" e quindi più accentuato. Poiché l'organo di vigilanza delle assicurazioni è anche organo di vigilanza delle procedure liquidative che deve autorizzare le azioni di responsabilità, se si ammettesse la legittimazione del liquidatore ad esperire l'azione nei confronti degli organi di controllo, si avrebbe l'assurda situazione per cui l'organo ministeriale dovrebbe autorizzare l'azione contro sè stesso.

Ciò non significherebbe l'impossibilità di esercitare l'azione di responsabilità nei confronti dei sindaci in caso di liquidazione coatta amministrativa di società di assicurazioni; significherebbe solo che il liquidatore non ne ha la legittimazione.

Per l'azione ex art. 2407 e 2394 c.c., quindi, sarebbero legittimati i creditori sociali; per l'azione ex art. 2407 e 2393 c.c. l'azione dovrebbe essere deliberata dall'assemblea della società che, nella liquidazione coatta del tipo di società in esame, non cessa completamente dalle funzioni.

Non rileverebbe la considerazione della Corte del merito relativa al richiamo delle situazioni penali della L.F., volta che per l'esercizio dell'azione penale non si richiede, ovviamente, autorizzazione dell'organo di vigilanza e non si pone il contrasto che starebbe alla base della disciplina speciale per la promozione dell'azione di responsabilità verso i sindaci.

Il tema dedotto in controversia, ed emerso dal dibattito tra le parti, attiene alla legittimazione del Commissario liquidatore di proporre l'azione di responsabilità nei confronti dei sindaci di una società di assicurazioni sottoposta a liquidazione coatta amministrativa.

Il quesito deve trovare risposta nella correlazione tra l'art.2407 c.c. che richiama gli artt. 2393 e 2394 c.c.; l'art. 206 L.F.

che a sua volta richiama gli artt. 2393 e 2394 c.c.; l'art. 86 T.U. della Legge sull'esercizio delle assicurazioni private appr. con D.P.R. 13 febbraio 1959 n. 449. L'art. 86 del T.U. citato conferisce espressamente al Commissario liquidatore il potere di esercitare l'azione di responsabilità contro gli amministratori, senza fare alcuna menzione all'azione analoga contro i sindaci della società sottoposta a liquidazione coatta di diritto speciale, e ciò in contrasto con la norma dell'art. 206 L.F. che, per la procedura generale di liquidazione coatta, espressamente abilita il Commissario liquidatore all'esercizio di detta azione sia contro gli amministratori, sia contro "i componenti degli organi di controllo" dell'impresa in liquidazione, a norma degli artt. 2393 e 2394 c.c.. Ove si consideri che, in base al dettato dell'art. 194 L.F., le disposizioni del titolo V della L.F. costituiscono la disciplina generale applicabile a tutte le procedure di liquidazione coatta amministrativa, ancorché previste da leggi speciali, salva diversa disposizione delle singole leggi speciali, e che detta incidenza è ribadita, per la liquidazione coatta delle società di assicurazioni, dall'art. 80 comma 2 e dall'art 82 del T.U. D.P.R. n. 449-59 (nella parte in cui richiamano l'osservanza delle disposizioni sulla liquidazione coatta amministrativa del R.D. 16 marzo 1942 n. 267), occorre valutare se l'omessa previsione nell'art. 86 citato dell'azione di responsabilità verso i sindaci, abbia significato preclusivo, ovvero ad esso debba riconoscersi il carattere di semplice omissione, non impeditiva dell'applicazione della disciplina generale dell'amministrazione straordinaria. Si rileva ulteriormente che il T.U. sulle assicurazioni private, redatto in base alla legge di delega 11 aprile 1955 n. 294, riproduce la speciale disciplina gian' prevista dall'art. 49 del R.D.L. 29 aprile 1923 n. 966 convertito nella L. 17 aprile 1925 n. 473, e che l'art. 194 comma 2 L.F., richiamato espressamente dall'art. 82 del T.U. in esame, pur dichiarando l'abrogazione delle disposizioni delle leggi speciali precedenti incompatibili con le disposizioni fondamentali della liquidazione coatta amministrativa, non richiama l'art. 206 tra le norme implicanti abrogazione di precedenti norme con essa incompatibili.

Poiché l'art. 86 citato non restringe, nella sua espressione lessicale, l'esercizio dell'azione di responsabilità da parte del Commissario liquidatore, ai "soli" amministratori, ma si limita ad una previsione espressa di detta legittimazione, e ad una non considerazione della parallela azione contro i sindaci, rendendo non chiaro il senso della norma nella sua letteralità, occorre, in base ai criteri interpretativi dell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, superare il dato lessicale inquadrando il senso della norma in una logica di sistema.

L'equivocità, infatti, del dato letterale dell'art. 86 sul punto sottoposto ad esame, nasce dal significato non univoco di due situazioni, e cioè:

a) dal fatto che la norma dell'art. 86 nel T.U. del 1959, risalente al 1923, non fosse stata abrogata dall'art. 194 L.F. e, quindi, nella sua letteralità, era ancora vigente al momento dell'emissione del T.U. sulle assicurazioni private;

b) dal fatto che il citato T.U. non era a sua volta abrogativo, ex art. 194 L.F., delle disposizioni dell'art. 206 (a meno che non si interpreti l'art. 86 nel senso della preclusione dell'azione nei confronti dei sindaci, ma questo è l'oggetto dell'indagine) a norma dell'art. 15 delle Disposizioni preliminari al C.C., in quanto non si ravvisa alcuna delle tre ipotesi fondamentali di abrogazione, non essendovi un'espressa previsione abrogativa da parte del legislatore del 1959; non individuandosi una nuova ed intera regolamentazione della liquidazione coatta delle società di assicurazioni, volta che, come già ricordato, l'art. 80 e l'art. 86 comma 2 del T.U. 1959 richiamano, per quanto non espressamente regolato, la disciplina della legge fallimentare; non essendovi, infine, incompatibilità del testo lessicale dell'art. 86 del T.U. con la disciplina dell'art. 206 L.F..

Valutando, quindi, quale significato abbia, nel testo dell'art. 86 T.U. indicato, l'omessa considerazione espressa (accanto all'esperibilità dell'azione di responsabilità contro gli amministratori), dell'azione contro i sindaci, si rileva che, le disposizioni generali del codice civile (art. 2407 comma 2 che richiama gli artt. 2393 e 2394 c.c.), pongono i componenti dell'organo gestorio e quelli dell'organo di controllo in situazione di solidarietà passiva per i danni arrecati alla società ed ai creditori. Si tratta di solidarietà derivante dall'unicità della prestazione risarcitoria, ancorché si verta in un'ipotesi di solidarietà diseguale, in quanto all'unicità della prestazione si perviene dalla violazione di obblighi diversi e di diversa natura, atti peraltro alla determinazione di un unico evento pregiudizievole nei confronti della società e dei creditori.

In linea di astratta ipotesi, l'omessa considerazione dell'azione in esame può significare alternativamente:

1) che l'azione di responsabilità verso i sindaci non è esercitabile nella pendenza della liquidazione coatta amministrativa;

2) che l'azione non è esercitabile da parte del liquidatore, ma alla proposizione sarebbe legittimato altro soggetto. 3) che entrambe le azioni sono unitariamente esercitabili da parte del Commissario, avendo la legge speciale richiamato la disciplina base delle azioni di responsabilità nell'ambito societario (quelle regolate espressamente dagli artt. 2393 e 2394 per gli amministratori), con significato estensivo alle altre ipotesi che a detta disciplina base facciano riferimento (l'art. 2407 che per i sindaci richiama espressamente gli artt. 2393 e 2394 c.c.). La prima ipotesi, esclusa anche dai ricorrenti, è decisamente contraria alla logica del sistema. Non avrebbe significato alcuno, infatti, escludere un'azione nei confronti dei componenti di uno degli organi in ipotesi responsabili di pregiudizio patrimoniale incidente sulla situazione dei soci e dei creditori sociali (azione diretta ad acquisire nuova liquidità a favore, tra l'altro, dei creditori), proprio in presenza di una procedura concorsuale che, seppure non integrata dagli stessi presupposti del fallimento, ha pur sempre la funzione precipua della tutela dei terzi che fossero entrati in rapporti con la società in liquidazione. Poiché il presupposto della procedura è pur sempre una deficienza patrimoniale (ancorché si possa tradurre, secondo l'art. 71 richiamato dall'art. 80 del T.U., nella mancanza di copertura della riserva matematica) e la funzione è quella della reintegrazione del patrimonio per ricreare capienza alle situazioni creditorie dei terzi, sarebbe non coerente con i presupposti e con la funzione dell'istituto privarlo di uno dei mezzi di reintegrazione patrimoniale a favore di coloro che con la loro condotta, in ipotesi, al patrimonio abbiano creato pregiudizio.

Poiché, inoltre, la responsabilità degli amministratori e dei sindaci è solidale (art. 2407 comma 2 c.c.), in quanto conseguenza di distinte azioni ed omissioni postesi come cause efficienti della supposta situazione di pregiudizio, non esiste ragione alcuna per ipotizzare che l'azione sia esperibile, secondo le generali disposizioni del codice civile sulle società per azioni, quando il pregiudizio non sia tanto grave da determinare la messa in liquidazione della società, e precludere l'esercizio della stessa azione quando, o abbia determinato una situazione di insolvenza, ovvero si inserisca in una situazione deficitaria tale da determinare la procedura concorsuale in esame.

Non, quindi, inammissibilità dell'azione di responsabilità contro gli organi di controllo in presenza di una liquidazione coatta amministrativa.

Occorre, ora, valutare se la sistematica consenta l'ipotesi indicata sub. 2), secondo l'indicazione dei ricorrenti, e cioè: azione di responsabilità esercitata dal Commissario liquidatore contro gli amministratori della società; azione contro i sindaci esercitata da altro soggetto.

La ricostruzione della logica strutturale di questa ipotesi richiede che si risponda a due quesiti, e cioè:

a) quale sia la ragione della sostenuta distinzione sul piano della legittimazione attiva;

b) chi, in definitiva, avrebbe la legittimazione ad esperire l'azione, qualora del relativo potere fosse privato il Commissario liquidatore.

La risposta al primo quesito sul piano sistematico viene suggerita dalla ricorrente equiparando, nell'azione di responsabilità, gli organi di controllo (i sindaci) agli organi di vigilanza (di vigilanza durante la vita della società) i quali sono anche gli organi di vigilanza della procedura concorsuale in atto, cui compete l'autorizzazione dell'azione di responsabilità, in base alla previsione dell'art. 206 comma 1 L.F..

Ad evitare, quindi che, in situazione di conflitto di interessi, l'organo ministeriale di vigilanza sulla procedura (coincidente con l'organo di vigilanza sulla società) debba essere posto nella situazione di autorizzare un'azione di responsabilità contro sè stesso, la legge avrebbe sottratto alla legittimazione del Commissario liquidatore, ed alla procedura autorizzativa cui egli è sottoposto nel proporre azioni giudiziali, la proponibilità dell'azione di responsabilità contro gli organi di controllo. Peraltro, l'interpretazione proposta dalla ricorrente finisce per "dimostrare troppo", giungendo ad un'interpretazione sostanzialmente abrogante, nella sua totalità, della disciplina dell'art. 206 L.F. per la parte che attiene all'azione contro "i componenti degli organi di controllo". Basti considerare che la coincidenza tra l'organo cui è rimesso il potere autorizzativo dell'art. 206 c.c. e l'organo di vigilanza durante la vita della società, è caratteristica frequente, se non comune, per le imprese soggette alla liquidazione coatta amministrativa, sia di diritto speciale, sia soprattutto secondo la disciplina generale degli artt. 194 e ss L.F.. Da questa considerazione deve trarsi una conclusione del tutto opposta a quella proposta dai ricorrenti, dovendosi ritenere che l'art. 206 L.F., nel momento in cui sottopone all'autorizzazione dell'autorità di vigilanza sulla liquidazione (ancorché coincidente con l'autorità che controlla dall'esterno l'attività sociale) la proposizione dell'azione contro "gli organi di controllo dell'impresa", abbia inteso riferire l'azione di responsabilità agli organi di controllo interni, secondo la disciplina generale dell'art.2407 c.c. (i sindaci) e non agli organi esterni di vigilanza.

Non vi è quindi una ragione specifica e sistematica per cui, mentre l'azione di responsabilità contro i sindaci sia esperibile in linea generale nelle liquidazioni coatte amministrative di imprese soggette ad organi amministrativi di vigilanza, lo stesso tipo di controllo esterno debba costituire preclusione all'esercizio di detta azione ad opera del commissario nella liquidazione delle società che esercitino l'attività assicurativa.

La riprova dell'esattezza dell'interpretazione estensiva dell'azione commissariale anche contro i sindaci, si rinviene nella impossibilità di riportare alla sistematica della procedura concorsuale, sia pure speciale, l'individuazione di un organo o un soggetto che detta azione possa decidere ed esperire, una volta che, seguendo le stesse indicazioni dei ricorrenti, la procedura cui la società di assicurazioni sia sottoposta non sia ritenuta preclusiva in maniera assoluta dell'esperibilità di detta azione. Individuare nell'assemblea l'organo deliberante, significherebbe anche individuare nel titolare dell'organo societario amministrativo esterno il soggetto cui è demandata la legittimazione processuale attiva (certamente non può configurarsi il commissario quale organo esecutivo delle delibere dell'assemblea), e ciò per l'acquisizione di somme, a titolo risarcitorio, che dovrebbero comunque confluire nella massa attiva della procedura sotto il controllo e l'azione del commissario. Se è pur vero che gli organi societari non si estinguono con la sottoposizione della società alla procedura concorsuale speciale (così come non si estinguono nel fallimento), ciò è previsto unicamente in relazione alle situazioni che nelle procedure concorsuali espressamente a detti organi vengano deferite, quale la proposizione del concordato. Si tratta di attività, in sostanza, nelle quali l'interesse e l'iniziativa della società come parte emerge ed assume rilievo giuridico in contrapposizione, o in semplice riferimento, a quella della concorsualità sistematizzata. Ciò, peraltro, non solo non si verifica nell'ipotesi dell'azione contro i sindaci in cui nessuna previsione normativa espressa di diritto concorsuale riserva agli organi societari la decisione e la proposizione dell'azione, ma la tesi darebbe rilievo ad una linea di interessi (quella della società tramite i suoi organi), rendendoli arbitri di un'azione il cui vantaggio dovrebbe essere essenzialmente a favore della massa, secondo linee di interessi che nella procedura concorsuale sono sottoposti al controllo commissariale e che, invece, nell'ipotesi prospettata, a detto controllo ed ai fini cui esso istituzionalmente è diretto, si sottrarrebbero.

È antitetico alla logica del sistema concorsuale ipotizzare che la stessa assemblea che nella vita della società ha espresso sia gli amministratori sia i sindaci virtualmente responsabili (senza averli revocati e sostituiti), si sottragga al controllo degli organi della procedura e divenga arbitra nel deliberare, o non, azioni di responsabilità il cui esito dovrebbe comunque confluire nell'amministrazione del commissario ed a vantaggio dei soggetti che il commissario stesso rappresenta istituzionalmente. Durante l'ordinario operare delle società, la delibera di azione di responsabilità da parte della società verso gli amministratori, determina la revoca d'ufficio degli amministratori (art. 2393 comma 3 c.c.) ed implica che i nuovi amministratori esperiscano detta azione.

Nella sottoposizione della società a liquidazione coatta, il nuovo organo cui è deferita l'attività gestoria, ancorché liquidativa, è proprio il commissario che integra l'unico organo non in conflitto di interessi cui è deferito l'esperimento delle azioni volte alla reintegrazione patrimoniale lesa. Nè, esclusi gli amministratori ed il commissario, si potrebbe immaginare un organo societario esterno ad Hoc che detta azione possa esperire in attuazione della delibera assembleare.

D'altronde è erroneo, secondo la proposta, scindere l'azione ex art. 2393 da quella ex art. 2394 c.c., ipotizzando che quest'ultima, nel caso di responsabilità dei sindaci, debba essere proposta dai singoli creditori. L'universalità soggettiva ed oggettiva della procedura concorsuale, individua un unitario centro di interessi la cui tutela, anche in sede di azione giudiziale, è deferita all'organo della procedura stessa ad essa deputato (il Commissario) secondo il principio della par condicio creditorum, che non possono essere derogati dall'iniziativa singolare di ciascun creditore. Ove si tenga conto che la responsabilità ex art. 2394 ha ad oggetto la mancata conservazione ed integrità del patrimonio sociale ed è esperibile quando il patrimonio risulti insufficiente alla soddisfazione dei creditori, ben si vede come l'azione relativa coinvolga la totalità dei creditori concorrenti secondo il criterio generale della par condicio, e la ricostituzione del patrimonio depauperato non può essere lasciato all'iniziativa, che potrebbe essere anche manchevole, dei singoli.

Non potendosi, quindi, ritenere da un lato che la previsione dell'art. 86 del T.U. sulle Assicurazioni Private abbia inteso precludere l'azione di responsabilità verso i sindaci in pendenza della procedura concorsuale di società di assicurazione, ed essendo in contrasto con la logica del sistema concorsuale rendere arbitra l'assemblea dei soci, o l'iniziativa del singolo creditore, dell'esperibilità di detta azione i cui effetti dovrebbero comunque riflettersi sul centro di interessi di cui l'ente esponenziale è il commissario, deve ritenersi che anche nella liquidazione coatta delle società di assicurazione l'azione in esame sia esperibile da parte del Commissario. L'art. 86 citato, che detta azione espressamente non prevede, "minus dixit quan voluit", avendo semplicemente fatto riferimento alla disciplina di responsabilità tipica (quella degli amministratori) che trova la più completa regolamentazione nel codice civile e che, nei suoi elementi oggettivi, costituisce la base disciplinare della responsabilità solidale degli organi di controllo (richiamata dall'art. 2407 c.c.), senza che per questo dalla legge possa trarsi una volontà derogante alla generale disciplina prevista dalla normativa generale della liquidazione coatta amministrativa delle imprese.

Sotto il profilo illustrato, il primo motivo di ricorso non merita accoglimento.

II ) PRESCRIZIONE.

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 2493-1 e ult, 1219-1, 1218 c.c., 132 n. 4 c.p.c.; 118 Disp. Att. c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3, 4 e 5 c.p.c.. I ricorrenti rilevano che i criteri cui la sentenza ha ritenuto di uniformare il suo giudizio sono esatti, ma contestano la motivazione in ordine al carattere interruttivo sia dell'atto notificato nel 1965, sia della costituzione di parte civile nel giudizio penale. Sotto il primo profilo viene rilevata dai ricorrenti una contraddittorietà di motivazione nell'affermazione che l'atto del 1967, pur non determinando esattamente le ragioni di responsabilità, sarebbe inequivoco nell'indicare gli addebiti (pagg. 16 e 17 sentenza). In tesi l'atto non solo non dichiarerebbe esattamente gli addebiti, ma non li dichiarerebbe affatto, non dicendo quali fossero i pretesi fatti fonte di responsabilità. Detti fatti sarebbero stati successivamente dedotti solo nell'atto di citazione del 1972, ormai fuori del termine prescrizionale.

Analoghi sarebbero gli effetti della costituzione di parte civile. Poiché gli attuali ricorrenti nel giudizio penale vennero prosciolti, all'insussistenza dei reati di bancarotta addebitati dovrebbe corrispondere l'insussistenza dei danni conseguenti ai reati stessi. La costituzione di parte civile avrebbe potuto interrompere la prescrizione dei danni derivanti dai reati, non da fatti di responsabilità contrattuale per inadempienza rispetto a funzioni di ufficio per cui oggi è causa.

Tanto premesso in ordine alla doglianza proposta, si rileva che i fatti interruttivi, come tali ritenuti dalla Corte del merito, sono due ed entrambi necessari per evitare la maturazione del termine prescrizionale.

Per quanto attiene alla costituzione di parte civile in un procedimento per bancarotta (reato dal quale gli attuali ricorrenti non subirono condanna), i rilievi dei ricorrenti non meritano accoglimento. È pacifico, infatti, che la costituzione di parte civile nel processo penale è in astratto atto idoneo ad avere effetto interruttivo della prescrizione fino alla definizione del processo con sentenza irrevocabile (Cass. 20 giugno 1978 n. 3036; sent. n. 5616-80); è altresì vero, peraltro, che non ogni domanda ha effetto interruttivo, ma solo quella con cui l'attore chiede il riconoscimento e la tutela del diritto, del quale poi si eccepisce la prescrizione, per cui nel caso della costituzione di parte civile deve riconoscersi effetto interruttivo rigorosamente circoscritto alla pretesa risarcitoria per illecito e non anche alle eventuali azioni contrattuali insorgenti dal rapporto ivi dedotto (Cass. sent. n. 1277-86).

Nella specie, peraltro, il giudice del merito, con accertamento di fatto non impugnabile in sede di legittimità, ha già rilevato che i fatti oggetto dell'addebito come reato, sono gli stessi posti a base della domanda civile risarcitoria. Giova, ancora, ricordare, che l'omesso controllo da parte dei sindaci, i quali non hanno evitato il depauperamento del patrimonio sociale, ancorché non abbia assunto rilievo sotto la qualifica della contestata bancarotta, può comunque assumere rilevanza nell'ambito di una pretesa risarcitoria che su quegli stessi fatti, e su quello stesso evento pregiudizievole, si fondi. Infine, ove si consideri che l'azione del Commissario cumula in sè sia quella dell'art. 2393 sia quella dell'art. 2394 c.c.; ove si consideri, inoltre, che fra i creditori sociali lesi ed i sindaci non sussiste alcun rapporto negoziale, per cui non si verte in una situazione di responsabilità contrattuale, ma di "responsabilità legale" che trarrebbe origine dalla addotta violazione delle regole imposte dalla legge a tutela (diretta o indiretta) dei creditori;

ciò premesso, è erroneo individuare nella domanda proposta in sede civilistica un'azione contrattuale. Di conseguenza ritiene questa Corte che la costituzione di parte civile abbia valido effetto interruttivo della prescrizione nella presente causa. Diversa è, invece, la soluzione in relazione al diverso fatto interruttivo, individuato nella costituzione in mora degli attuali ricorrenti. Ritenendo che il legislatore, con la previsione dell'art.2943 comma 4 c.c., abbia attribuito efficacia interruttiva a qualsiasi intimazione formulata dal titolare nei confronti del soggetto passivo del rapporto che richieda un comportamento idoneo a rendere possibile l'attuazione del diritto, occorre individuare quale grado di precisione aveva la richiesta del Commissario agli attuali ricorrenti perché essi si rendessero conto della natura della pretesa e della sua fondatezza. Indubbiamente l'accertamento dell'esistenza, o non, di atti validamente interruttivi della prescrizione estintiva costituisce un'indagine di fatto riservata all'apprezzamento del giudice del merito, ed è insindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici e se svolta con motivazione completa, percepibile e controllabile. (V. Cass. sent. n. 688-85). Nella specie, peraltro, proprio i vizi logici di motivazione, di cui si dolgono i ricorrenti, hanno il carattere della fondatezza. Sussiste, infatti, un'apparente contraddizione logica tra l'affermare che all'epoca della richiesta non erano state determinate "le ragioni di responsabilità, dato che all'epoca esse erano ancora in corso accertamento per la complessità dell'operazione di verifica", e pur tuttavia sostenere che sussisteva inequivocità nell'indicazione degli addebiti mossi e nella volontà di ottenere la reintegrazione dei danni arrecati. Poiché la pretesa interruttiva, quale atto di costituzione in mora, deve pur riflettere una causa petendi ed un petitum, riesce difficile comprendere come situazioni non ancora accertate potessero pur tuttavia dare luogo ad una richiesta sufficientemente precisa da potere comportare l'adempimento ad opera dei supposti responsabili, senza che la motivazione individui, rendendoli quindi controllabili, quali fossero i dati del rapporto esplicitati nella richiesta, idonei per sufficiente precisione a costituire valida costituzione in mora e, per quanto in questa sede interessi, valido atto interruttivo del decorso prescrizionale in atto. Sul punto, quindi, la motivazione della Corte del merito è in parte contraddittoria ed in parte carente. Sotto tale profilo, accogliendosi il motivo di ricorso per quanto di ragione, la situazione deve essere riproposta all'esame della Corte di Roma che dovrà puntualizzare quali elementi della richiesta rendevano la stessa sufficientemente precisa in relazione alla causa petendi ed al petitum, tale da consentire l'adempimento ad opera dei supposti responsabili.

III ) SPESE.

Secondo i ricorrenti l'accoglimento del ricorso comporta la cassazione della disposizione sulle spese, perché pronunci il giudice del rinvio. Il mezzo di cassazione, che pone in questione meramente consequenziale, pienamente assorbita dalla pronuncia sul ricorso, qualifica come inammissibile il motivo, pur lasciando aperta la questione delle spese, nella sua completezza al giudice del rinvio, al quale viene demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie per quanto di ragione il secondo motivo del ricorso e rigetta gli altri; cassa e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma.

Roma 13 aprile 1994.