Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 18088 - pubb. 01/07/2010

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Cassazione civile, sez. I, 20 Agosto 1997, n. 7764. Est. Losavio.


Provvedimenti in materia fallimentare - Rigetto del reclamo proposto dal fallito davanti al tribunale avverso il provvedimento del giudice delegato di rigetto dell'istanza di sospensione della vendita - Ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. - Ammissibilità



Il decreto del Tribunale che rigetta il reclamo proposto dal fallito, ai sensi dell'art. 26 legge fall., avverso il provvedimento del giudice delegato con il quale era stata rigettata l'istanza di sospensione della vendita all'incanto di beni compresi nell'attivo del fallimento è ricorribile per cassazione a norma dell'art. 111 Cost. Tale decreto infatti, pronunziato nell'ambito della giurisdizione esecutiva del processo fallimentare, decide una controversia del tutto analoga all'opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 cod. proc. civ., con la conseguenza della sua ricorribilità a norma dell'art. 111 Cost. e della legittimazione del fallito come soggetto passivo all'esecuzione concorsuale. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Nicola LIPARI - Presidente -

Dott. Giovanni LOSAVIO - Rel. Consigliere -

Dott. Alberto PIGNATARO - Consigliere -

Dott. Giuseppe SALMÈ - Consigliere -

Dott. Renato RORDORF - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:

MANNINO PIETRO, VELLA GIUSEPPA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA RIMINI 14, presso l'avvocato F. LORENTI, rappresentati e difesi dall'avvocato GIOVAMBATTISTA FRENI, giusta delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

CATANIA NINO nella qualità di curatore del fallimento di MANNINO Pietro e VELLA Giuseppa.

- intimato -

avverso il decreto del Tribunale di TRAPANI, depositato il 17/09/94;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/12/96 dal Relatore Consigliere Dott. Giovanni LOSAVIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio BUONAJUTO che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Trapani, con decreto 5 maggio-17 settembre 1994, rigettava il reclamo proposto dai falliti Mannino Pietro e Vella Giuseppa - a norma dell'art. 26 legge fallimentare - contro i provvedimenti dati il 21 marzo 1994 dal giudice delegato al loro fallimento, con i quali era stata rigettata l'istanza di sospensione della vendita all'incanto di beni immobili compresi nell'attivo ed era stata disposta l'aggiudicazione provvisoria di alcuni lotti relativi a quei beni. Giudicava il Tribunale infondata la questione attinente alla determinazione del prezzo, poiché la vendita in questione era stata preceduta da "altri incanti andati deserti", sicché era stato dimostrato che il valore dei beni "nel mercato immobiliare locale" era inferiore a quello di stima e correttamente era stata disposta la riduzione del prezzo base dell'incanto; aggiungeva che la pubblicità adottata era stata corretta e conforme alla consolidata prassi dell'ufficio delle esecuzioni immobiliari e rilevava infine che la dedotta erronea indicazione dell'ubicazione di taluni lotti doveva ritenersi irrilevante poiché il reclamo riguardava l'aggiudicazione di altri diversi lotti. Contro questo decreto hanno proposto ricorso in cassazione Mannino Pietro e Vella Giuseppa deducendo tre motivi di impugnazione. Non si è costituito in giudizio il curatore del fallimento.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la nullità del provvedimento impugnato, a norma dell'art. 135 c.p.c. (e con riferimento all'art. 360, n. 4, stesso codice) asserendo che nella specie non sarebbe applicabile il disposto di cui all'art. 132, secondo comma, c.p.c., poiché la morte del presidente del collegio si è verificata il 6 luglio 1994, "successivamente quindi alla data di emissione del decreto" e perciò, privo della sottoscrizione del presidente, il decreto impugnato sarebbe "assolutamente nullo". Si deve premettere all'esame di ogni mezzo di censura che i falliti Pietro Mannino e Giuseppa Vella hanno impugnato il decreto pronunciato dal Tribunale - a norma dell'art. 26 legge fallimentare - su reclamo contro il provvedimento del giudice delegato che, nel procedimento di vendita immobiliare con incanto, aveva aggiudicato taluni "lotti" all'unico offerente: sicché deve riconoscersi che il decreto qui impugnato, pronunciato nell'ambito della giurisdizione esecutiva del processo fallimentare, decide una controversia del tutto analoga alla opposizione agli atti esecutivi di cui all'art.617 c.p.c. con funzione perciò non dissimile dal provvedimento conclusivo - "sentenza non impugnabile" - previsto nel consecutivo art. 618.

Con la conseguenza che il decreto del Tribunale che decide della "regolarità formale" dell'"atto" di aggiudicazione è per certo ricorribile in cassazione a norma dell'art. 111 Costituzione, dovendo riconoscersi legittimazione al riguardo al fallito come soggetto passivo della esecuzione concorsuale.

Il ricorso qui proposto è dunque ammissibile.

Palesemente infondato è il primo motivo di impugnazione, ricorrendo nella fattispecie la ipotesi prevista dal terzo comma dell'art. 132 c.p.c. incontrovertibilmente applicabile pure in tema di decreto, sostituendo la sottoscrizione del componente più anziano del collegio quella del presidente "impedito". Non può dubitarsi peraltro che l'"impedimento" nella specie - la morte del presidente - si sia verificato (il 6 luglio, rispetto all'udienza in camera di consiglio tenuta il 5 maggio precedente) in tempo successivo alla deliberazione del provvedimento, avvenuta lo stesso 5 maggio come è attestato in calce al decreto, prima delle sottoscrizioni dei due giudici componenti del Collegio.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione degli artt. 108 legge fallimentare e 568 c.p.c., lamentando la inadeguatezza dei prezzi indicati come base dell'incanto, con riferimento ad una stima che si afferma non attendibile (depositata il 23 aprile 1992 dall'esperto nominato circa sei anni prima il 30 giugno 1986), poiché riflette valori non aggiornati. Il motivo così prospettato è inammissibile per una duplice ragione. La critica infatti è diretta non già al provvedimento di aggiudicazione, bensì alla ordinanza che ha disposto la vendita all'incanto e ne ha determinato il "prezzo base"" a norma dell'art.568 c.p.c., adottata dal giudice delegato il 21 gennaio 1994 e non fatta oggetto di reclamo da parte dei falliti; per altro la determinazione del "giusto prezzo" implica valutazioni eminentemente di merito sottratte per certo al sindacato di legittimità, specie se limitato - come nella specie - al controllo di stretta legalità configurato nell'art. 111 Cost. 3. Inammissibile per la stessa prima ragione è anche il terzo motivo con il quale i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 576 e 490 c.p.c. e rilevano che l'ordinanza di vendita 21 gennaio 1994 non ha indicato il termine che "deve decorrere tra il compimento delle forme di pubblicità e l'incanto" a norma del numero 4 del citato art. 576, e l'omissione di tale indicazione avrebbe comportato l'invalidità della aggiudicazione.

Prospettano peraltro i ricorrenti la rilevanza dell'errore contenuto nella stessa ordinanza circa la ubicazione di taluni dei lotti posti in vendita (pur se diversi da quelli aggiudicati), giacché esso avrebbe comportato una inesatta percezione dei termini complessivi dell'incanto, disposto unitariamente per l'intero compendio immobiliare; indicano infine un ulteriore vizio della ordinanza, poiché come risultava dai manifesti affissi, annuncianti l'incanto, il termine ultimo per la presentazione delle offerte era fatto coincidere con una giornata festiva. Si tratta all'evidenza di censure diretta alla ordinanza di vendita che non fu tempestivamente impugnata con il gravame di rito di cui all'art. 617 c.p.c., sicché gli asseriti vizi con esse denunciati, indipendentemente dalla valutazione della loro rilevanza, non possono dare fondamento alla opposizione rivolta al consecutivo "atto di esecuzione" - l'aggiudicazione - nello sviluppo del procedimento espropriativo. 4. Il ricorso - dunque - affidato a motivi in parte infondati e in parte inammissibili, deve essere rigettato. Poiché il curatore del fallimento intimato non ha svolto difese in questo giudizio di legittimità, non v'è luogo a provvedere in ordine alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Roma, 12 dicembre 1996.