Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 18103 - pubb. 01/07/2010

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Cassazione civile, sez. I, 12 Novembre 1993, n. 11187. Est. Bibolini.


Fallimento - Liquidazione dell'attivo - Vendita di immobili - Modalità - Offerta di un prezzo notevolmente inferiore a quello giusto - Vendita immobiliare - Sospensione - Ammissibilità - Limiti



In tema di liquidazione dell'attivo fallimentare, il potere del giudice di sospendere la vendita immobiliare, ex art. 108 comma terzo legge fall., quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, e di continuare il procedimento in atto ad un diverso prezzo base ovvero di iniziare un nuovo procedimento di vendita, anche di tipo differente, può essere esercitato, pure nelle vendite immobiliari senza incanto, anche dopo il provvedimento di aggiudicazione ed il pagamento del prezzo, fino a quando non venga emesso il decreto di trasferimento del bene. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Enzo BENEFORTI Presidente

" Pietro PANNELLA Consigliere

" Salvatore NARDINO "

" Rosario DE MUSIS "

" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

S.R.L. SAN FRANCESCO, con sede in Trapani, in persona dell'Amministratore unico e legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Flaminia n. 160, presso lo studio dell'Avv. Pietro Carlino, rappresentata e difesa, in virtù di procura a margine del ricorso, dall'Avv. Bartolo Bellet.

Ricorrente

contro

BANCO DI SICILIA, sezione Credito Fondiario, in persona del suo vice presidente e legale rappresentante Dott. Guido Savagnone, rappresentato e difeso dall'Avv. Franco Voltaggio Lucchesi nel cui studio in Roma, via Fontanella Borghese n. 72, è elettivamente domiciliato, giusta procura speciale per Not. Ugo Serio di Palermo in data 28 dicembre 1990 rep. n. 28567.

Controricorrente

e

FALLIMENTO DELLA S.P.A. PUNTA FANFALO, in persona del curatore in carica;

Intimato

avverso il provvedimento pronunciato in sede di reclamo dal Tribunale di Trapani in data 22 ottobre 1990;

udita la relazione del consigliere Gian Carlo Bibolini;

sentiti gli Avv.ti P. Carlino con delega e F. Voltaggio, i quali hanno rispettivamente chiesto l'accoglimento ed il rigetto del ricorso;

sentito il P.M. dott. Antonio Martone il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L'oggetto fondamentale della controversia, anche in sede di legittimità, corrisponde al quesito se il potere del giudice delegato al fallimento, ex art. 108 L.F. nel caso di vendita immobiliare, sia esercitabile, ancorché prima del decreto di trasferimento, dopo il provvedimento di aggiudicazione ed il pagamento del prezzo.

In fatto si rileva che con ordinanza in data 20 gennaio 1990 il giudice delegato al fallimento della s.p.a. Punta Fanfalo aveva disposto la vendita senza incanto, in unico lotto, del complesso turistico-alberghiero della società fallita, prevedendo che le offerte avrebbero dovuto essere depositate in Cancelleria entro le ore 12 del 16 marzo 1990 al prezzo base di lire cinque miliardi. All'udienza del 16 marzo 1990 compariva la s.r.l. San Francesco che, confermando l'offerta scritta tempestivamente depositata, chiedeva l'aggiudicazione del complesso.

Sul rigetto dell'offerta da parte del giudice delegato, provvedeva in sede di reclamo il Tribunale di Trapani, il quale, con decreto 2 luglio 1990, annullava il provvedimento del G.D. e, ritenuta la ritualità dell'offerta della s.r.l. San Francesco, aggiudicava alla stessa il complesso immobiliare per il prezzo di L. 5.000.000.000, da corrispondere ratealmente secondo la previsione dell'ordinanza di vendita, fermo restando l'obbligo dell'aggiudicataria di versare con immediatezza le somme previste a titolo di cauzione e di ammontare approssimativo delle spese di vendita, nonché le rate già scadute. In adempimento la società aggiudicataria depositava l'importo di L. 2.500.000.000.

Con successivo decreto in data 20 luglio 1990 il giudice delegato, nella dichiarata applicazione dell'art. 108 L.F., in presenza dell'offerta in aumento del Banco di Sicilia per L. 5.850.000.000 (superiore di oltre 1-6 rispetto al prezzo di aggiudicazione) effettuata il 9 luglio 1990 e puntualizzata il successivo giorno 19, sospendeva la vendita, ordinava la restituzione delle somme versate dall'aggiudicataria, disponendo che si procedesse a gara tra l'aggiudicataria e l'offerente in aumento.

Anche questo decreto veniva reclamato ed il Tribunale di Trapani, con decreto 22 ottobre 1990 rigettava l'impugnativa ritenendo che, in presenza di un'offerta notevolmente superiore al prezzo di aggiudicazione, tale da comportare l'ingiustizia del prezzo di aggiudicazione, la sospensione dell'art. 108, 3 comma L.F. fosse consentita anche dopo l'aggiudicazione, purché prima del decreto di trasferimento, e ciò in coerenza con la giurisprudenza della Corte di Cassazione cui dichiarava di uniformarsi "ratione autoritaris". Avverso detto decreto proponeva ricorso per cassazione la s.r.l. San Francesco deducendo un unico motivo; si costituiva con controricorso il Banco di Sicilia che depositava anche memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l'unico, ed articolato, motivo di ricorso la s.r.l. San Francesco deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 108 R.D. 16 marzo 1942 n. 267 oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 n. 2 e 3 c.p.c.. In particolare la ricorrente lamenta:

A) che l'art. 108, 3 comma L.F. fa riferimento ad un prezzo "offerto", e non vi è più offerta di prezzo quando, a seguito di aggiudicazione, l'aggiudicatario abbia eseguito gli esborsi pecuniari su di lui incombenti a seguito dell'aggiudicazione stessa;

B) che non può superare il dato facendo riferimento ad elementi pubblicistici della procedura concorsuale, in quanto non appare conforme a legge sacrificare alla mera utilità economica dei creditori concorsuali le posizioni giuridiche dei terzi che con gli organi della procedura siano entrati in rapporto;

C) che, nella specie, si era proceduto a vendita senza incanto ex art. 574 c.p.c. nel cui ambito l'offerta avanzata era stata accettata rendendo definitiva la vendita, che non poteva essere più sospesa;

D) che non poteva il giudice delegato indire una nuova gara tra i due offerenti, posto che la San Francesco, la cui offerta era stata accettata, non poteva più essere considerata "offerente", introducendo una procedura equivalente all'aumento di sesto che, pacificamente, non è estensibile alla vendita senza incanto;

E) Il Tribunale non ha motivato la "notevole ingiustizia "del prezzo di aggiudicazione, non sussistente per il semplice fatto del sopravvenire di un'offerta maggiore.

I motivi da A) a D) più propriamente attinenti al tema specifico della controversia sopra enunciato, contrastano decisamente con un indirizzo, che può ritenersi consolidato, della giurisprudenza di questa Corte (v. cass. 23 maggio 1979 n. 2791; 14 gennaio 1981 n. 322; 2 aprile 1985 n. 2259; 31 marzo 1989 n. 1580; 27 febbraio 1992 n. 2420), secondo cui l'esercizio del potere previsto dall'art. 108 L.F. (non riportabile alle sospensioni ex artt. 295, 298 e 628 c.p.c. ma implicante un ampio potere di revoca cui consegue il potere di continuare il procedimento in atto a diverso prezzo base, ovvero un nuovo inizio del procedimento di vendita anche tipologicamente diverso rispetto a quello già in atto) trova preclusione, anche nelle vendite immobiliari senza incanto, solo nel decreto di trasferimento del bene.

La tesi prospettata dalla ricorrente ripropone argomentazioni interpretative che questa Corte, con risalenti e costanti pronunce a decisamente superato, senza che emergono nuovi motivi meritevoli di singolare contestazione.

Dando, pertanto, continuità all'indirizzo giurisprudenziale di questa Corte come sopra citato, si ritiene di dovere rigettare il ricorso su punto

Il motivo sub E), per contro, non è proponibile con ricorso per cassazione nella specie.

Ed invero, il ricorso per cassazione avverso il provvedimento emesso dal Tribunale in sede di reclamo ex art. 26 L.F., non è soggetto a gravame, secondo il disposto dell'art. 23 L.F.. Il ricorso per cassazione, pertanto, avverso detto decreto, non avviene a norma, e secondo le ipotesi dell'art. 360 c.p.c., ma in base all'art. 111 Cost., che non da copertura a qualsiasi motivo previsto dall'art. 360 c.p.c., ma solo alle situazioni riconducibili alla violazione di legge. In quest'ambito è deducibile la carenza assoluta di motivazione o la motivazione solo apparente, non già il vizio motivazionale.

Nel caso di specie, il Tribunale di Trapani, dichiarando di adeguarsi, sia pure esclusivamente "ratione auctoritatis", ai precedenti giurisprudenziali di questa Corte, ne richiamava espressamente i tratti fondamentali, che faceva propri, ritenendo sostanzialmente di essere in presenza di un'offerta notevolmente superiore, tale da comprovare la "ingiustizia" del prezzo di aggiudicazione.

La motivazione, quindi, sul punto esiste, ne' è qualificabile solo come apparente. L'eventuale inadeguatezza della motivazione sul punto, per contro, non è deducibile in base alla disciplina dell'art. 111 Cost.. In virtù delle osservazioni svolte, ritiene la Corte di dovere rigettare il ricorso.

La soccombenza regge l'obbligo della rifusione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in L. 90.000 liquidando gli onorari in L. 6.000.000.

Roma 8 giugno 1993.