Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 18895 - pubb. 10/01/2017

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Cassazione civile, sez. I, 05 Luglio 2000, n. 8975. Est. Celentano.


Capacità processuale- Perdita - Eccezione di difetto di legittimazione processuale del fallito - Sollevata dal curatore - Ammissibilità - Sollevata dalla controparte - Esclusione - Fondamento



La perdita della capacità processuale del fallito è stabilita dalla legge nell'interesse esclusivo delle ragioni del fallimento. Ne consegue che il difetto di legittimazione processuale ex art. 43 legge fall. può essere eccepito soltanto dal curatore, e non anche dalla controparte. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Pasquale REALE - Presidente -

Dott. Giammarco CAPPUCCIO - Consigliere -

Dott. Ugo VITRONE - Consigliere -

Dott. Mario Rosario MORELLI - Consigliere -

Dott. Walter CELENTANO - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:

IMPRESA GRANDE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA GERMANICO 197, presso l'avvocato MARONE VINCENZO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato BLANGETTI GIORGIO, giusta delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

FALLIMENTO IMMOBILIARE BELLAVISTA Sas, NALLI GIUSEPPE;

- intimati -

e sul 2^ ricorso n. 07474/98 proposto da:

NALLI GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA SANTIALBERTO MAGNO 9, presso l'avvocato PAOLETTI FABRIZIO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati FERRERI PAOLO EMILIO, FERRERI GIOVANNI MARIA, giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

IMPRESA GRANDE;

- intimata -

avverso la sentenza n. 1474/97 della Corte d'Appello di TORINO, depositata il 29/11/97;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/01/2000 dal Consigliere Dott. Walter CELENTANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Libertino Alberto RUSSO che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Cenni sulla vicenda processuale

Nalli Giuseppe convenne in giudizio l'impresa Livio Grande con domanda di risarcimento del danno. Nell'atto introduttivo del giudizio (citazione del 31.01.1986) l'attore spiegò che in seguito ad una grandinata verificatasi alla fine del settembre 1985 tutte le lastre costituenti la copertura di una villa di sua proprietà, installate dalla ditta Grande, erano rimaste perforate e che per le riparazioni (rifacimento della copertura) egli aveva esborsato la somma di lire 9.403.811.

Si costituì il convenuto e, contrastando la domanda, eccepì:

il contratto stipulato con il Nalli aveva avuto ad oggetto la fornitura del materiale di copertura (che poi era stato installato dalla ditta Monea Giuseppe); il materiale era idoneo allo scopo); le perforazioni erano dovute ad una grandinata di eccezionale intensità; l'azione intentata dal Nalli era prescritta ex art. 1495 comma 30 c.c.; l'attore non aveva precisato la data del fatto così che non poteva essere verificata la tempestività della denuncia dei vizi. Lo stesso convenuto propose, nel corso del giudizio querela di falso avverso il documento sul quale egli aveva redatto l'offerta di fornitura del materiale) fatta al Nalli, relativamente a quella parte in cui si leggeva la frase "garanzia dieci anni".

Dichiarato interrotto per la dichiarazione di fallimento del Nalli, il giudizio fu proseguito dal curatore.

Con sentenza emessa in data 11.10.1994 il Tribunale di Torino così provvide:

accolse la querela e dichiarò falso il documento nella parte impugnata;

giudicò non rinunciata dal convenuto e fondata l'eccezione di prescrizione, per l'avvenuto decorso del termine annuale di prescrizione, ex art. 1495 comma 3^ c.c., decorrente dalla consegna del materiale (luglio 1983), e dunque rigettò la domanda dell'attore.

Proposero appello, con unico atto, tanto la curatela che il Nalli in proprio.

In contraddittorio dell'appellata, la Corte territoriale, con sentenza emessa il 29.11.1997 pronunciò come segue:

dichiarò inammissibile l'appello della curatela perché proposto senza l'autorizzazione del giudice delegato;

accolse l'appello del Natii ritenendo:

a) sulla querela di falso - che la dichiarazione resa dallo stesso, di aver scritto di suo pugno ma su incarico del Grande, la clausola contenente la garanzia decennale non costituiva prova del falso, onde la querela era rimasta priva di fondamento probatorio giacché nessuna prova aveva offerto il proponente; restava dunque valida detta garanzia;

b) sull'eccezione di prescrizione - ne ritenne l'infondatezza, con riferimento alla norma dell'art.1512 c.c. ("garanzia di buon funzionamento") sul rilievo che l'evento dannoso si era verificato alla fine di settembre del 1985 e che la denuncia era stata inoltrata alla controparte il 3 ottobre successivo e ancora in data 9 novembre quindi nei termini previsti dall'art. 1512 c.c.;

La domanda di risarcimento fu dunque esaminata nel merito ed accolta con pronuncia di condanna dell'impresa convenuta al risarcimento del danno nella misura di lire 6.815.000 oltre interessi e rivalutazione monetaria dal 31.01.1986.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione in via principale l'appellata soccombente.

Si è costituito con controricorso il Nalli per resistere all'impugnazione e ha proposto a sua volta ricorso incidentale. Motivi della decisione

Dev'essere disposta, preliminarmente, la riunione dei ricorsi, ai sensi dell'art.335 c.p.c.. Il ricorso principale è articolato in tre motivi, come segue rubricati e svolti.

Il primo motivo denuncia la violazione dell'art. 119 comma 2^ della legge fallimentare in relazione all'appello proposto dal Nalli in proprio.

Si deduce: il fallimento del Nalli era stato chiuso con provvedimento del 10.2.1995 e il suddetto gravame era stato proposto con atto notificato il 24.2.1995 prima che il decreto di chiusura divenisse definitivo con il decorso del termine di quindici giorni, dunque quando il Nalli non aveva ancora riacquistato la capacità processuale - l'atto era dunque giuridicamente inesistente. La censura è infondata.

Deve escludersi, innanzitutto, che nel caso di atto processuale (nella specie, l'atto propositivo del gravame) riferibile all'incapace ricorra un'ipotesi di inesistenza giuridica dell'atto stesso, come il ricorrente deduce. L'indubbia invalidità dell'atto è tale che nel processo è sempre suscettibile di sanatoria (con effetto retroattivo) sia a mezzo di integrazione, sia attraverso la ratifica da parte del soggetto legittimato, o dello stesso incapace allorché sia venuta meno l'incapacità (riferimenti specifici in Cass. n. 756 del 1978 e, per il caso di atto propositivo di impugnazione proposto dal minore che, nel corso del processo, raggiunga la maggiore età, in Cass. n. 3158 del 1979). Decisivo è, tuttavia, che la perdita della capacità processuale del fallito, lungi dall'essere assoluta, è stabilita, invece, dalla legge nell'interesse esclusivo delle ragioni del fallimento; da ciò discende che l'incapacità del soggetto o il difetto di legittimazione processuale ex art. 43 l.f. può essere eccepita soltanto dal curatore, non anche dalla controparte. Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1512 c.c.. La censura è argomentata come segue: erroneamente i giudici dell'appello avevano ritenuto pacifico in causa che l'evento cui il danno risaliva si era verificato alla fine del settembre 1985 facendone discendere la tempestività della denuncia dei vizi inoltrata dal Nalli, laddove il dies a quo del relativo termine di trenta giorni era rimasto incerto ed indeterminato giacché il Nalli medesimo non aveva dato prova alcuna al riguardo.

Anche tale motivo è infondato.

Sul punto che riguarda l'individuazione del dies a quo - il verificarsi dell'evento produttivo del danno che il Nalli aveva lamentato, dal quale prendeva corso il termine di trenta giorni previsto dalla norma dell'art. 1512 c.c. che la Corte di merito ha ritenuto applicabile al caso di specie - la stessa Corte ha posto come "pacifico" in causa che il suddetto evento ebbe a verificarsi "alla fine del mese di settembre 1995". La censura proposta, che da un lato insiste sulla regola di ripartizione dell'onere della prova, dall'altro si attarda nelle ripetizione del contenuto precettivo della norma dell'art. 1512 c.c., deve considerarsi del tutto generica atteso che non sono prospettate circostanze specifiche tali da far emergere l'illogicità o l'apoditticità della motivazione della sentenza in ordine alla circostanza affermata dai giudici dell'appello, che la collocazione temporale dell'evento dannoso "alla fine di settembre 1995" fosse un fatto pacificamente accertato nel processo, in conseguenza o dell'adempimento, da parte del Nalli dell'onere della prova, o del superamento della prova stessa in considerazione del carattere non controverso del fatto. Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2698 e 2734 c.c. nonché l'omessa motivazione. La censura attiene al giudizio in ordine alla querela di falso. Si deduce che il contenuto aggiuntivo della dichiarazione del Nalli circa la paternità sua della scritturazione relativa alla clausola di garanzia decennale autorizzava i giudici dell'appello al più a valutarne l'efficacia probatoria, dandone poi adeguata motivazione, non a farne discendere l'infondatezza della querela di falso in quanto non provata.

La motivazione della sentenza, sul punto, è ricostruibile secondo le enunciazioni testuali che: a) il Nalli aveva ammesso di aver scritto di suo pugno la frase contenente la clausola di garanzia decennale; b) lo stesso Nalli aveva però aggiunto che ciò corrispondeva alla volontà di entrambe le parti, avendo egli scritto di suo pugno su incarico del Grande, c) alla stregua di tali dichiarazioni era da escludersi che la falsità - nel senso della difformità tra l'imputazione formale dell'atto (nel caso di specie il documento contenente l'offerta di fornitura del Grande e da questo sottoscritto) e la volontà di colui al quale la dichiarazione era attribuita nell'atto stesso (il medesimo Grande, nell'impegno per la garanzia decennale) - della scrittura fosse risultata, per ciò solo provata.

Tale motivazione risulta giuridicamente corretta così come corretta è l'attribuzione al querelante (il Grande) dell'onere di una prova della falsità del documento ulteriore (il riempimento del documento fuori dall'intesa delle parti in conseguenza della contestazione della corrispondenza tra il testo ed il suo autore) rispetto alla circostanza che esso querelante non fosse l'autore dello scritto sul punto in questione (v. Cass. n. 4571 del 1983). Anche il terzo motivo, ora esaminato non appare, dunque meritevole di accoglimento.

Il ricorso principale va dunque rigettato.

Dev'essere disaminato il ricorso incidentale nel suo unico motivo di "falsa applicazione dell'art. 1223 c.c. anche in relazione agli artt. 1512 2043 e 2697 nonché insufficiente e contraddittoria motivazione".

La censura investe il capo della sentenza relativo al quantum debeatur.

Si deduce l'ammontare del risarcimento fu determinato "con riferimento ai prezzi di mercato" piuttosto che ai documenti che provavano gli esborsi sostenuti per le riparazioni e che appunto costituivano l'entità del danno emergente.

La censura investe anche, con rapporto di consequenzialità, il regolamento delle spese del giudizio in quanto parzialmente compensate proprio in conseguenza dell'accoglimento della domanda per un importo minore di quello richiesto.

La prima delle suddette censure è infondata.

Salva la necessità di darne adeguata e corretta motivazione il giudizio sulla misura concreta del danno risarcibile non è censurabile in sede di legittimità nemmeno per quanto attiene alla scelta del criterio del quale il giudice di merito abbia ritenuto di avvalersi per far luogo alla relativa liquidazione. Tale scelta costituisce, invero, un apprezzamento di fatto.

Nel caso di specie, nessun vizio logico o errore giuridico (non essendovi stretta e necessaria corrispondenza tra il danno risarcibile, quale giusta reintegrazione patrimoniale del soggetto danneggiato, alla spesa sopportata da quest'ultimo per rimediare alle conseguenze del danno) è rinvenibile nella determinazione dell'entità monetaria del danno risarcibile secondo i "prezzi di mercato" riferiti tanto ai materiali che al lavoro occorrenti per "il rifacimento dell'intera copertura del tetto dell'immobile" (accertato come danno effettivo da risarcire).

Resta da ciò assorbita la censura che attiene al regolamento delle spese.

Anche il ricorso incidentale dev'essere, pertanto, rigettato. Motivi di equità consigliano la compensazione delle spese del presente giudizio.

P. Q. M.

la Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte di Cassazione, il 18 gennaio 2000. Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2000