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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 18903 - pubb. 10/01/2017.

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Cassazione civile, sez. I, 02 Aprile 1996. Est. Bibolini.

Prova civile - Confessione - Stragiudiziale - Alla parte - Giudizio promosso dal curatore per l'adempimento di obbligazioni assunte dal convenuto verso il fallito - Quietanza rilasciata dal creditore successivamente fallito - Produzione in giudizio - Effetti di confessione stragiudiziale - Ammissibilità - Esclusione - Valore probatorio


Gli effetti di una dichiarazione avente valore di confessione stragiudiziale si producono se e nei limiti in cui essa sia fatta valere nella controversia in cui sono parti, anche in senso processuale, gli stessi soggetti, rispettivamente, autore e destinatario della dichiarazione. Pertanto, nel giudizio promosso dal curatore del fallimento del creditore per ottenere l'adempimento di obbligazioni assunte dal convenuto verso il fallito, la quietanza, che il debitore assuma essergli stata rilasciata all'atto del pagamento del creditore (successivamente fallito), non può produrre, nei confronti del curatore, gli effetti di confessione stragiudiziale, perché il curatore, pur trovandosi rispetto al rapporto sostanziale dedotto in giudizio nella stessa posizione assunta dal fallito, è una parte processuale diversa da questi, con la conseguenza che l'indicata quietanza è priva di effetti vincolanti e rappresenta solo un documento probatorio dell'avvenuto pagamento, liberamente valutabile dal giudice del merito, al pari di ogni altra prova acquisita al processo. (massima ufficiale)

Il testo integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Mario CORDA Presidente

" Gian Carlo BIBOLINI Rel. Consigliere

" Antonio CATALANO "

" Giuseppe SALMÈ "

" Luigi MACIOCE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

S.D.F. ITALMONTAGGI in persona dei soci e legali rappresentanti Tomeo Antonio e Quarin Nevio, e quest'ultimi anche in proprio rappresentati e difesi dall'Avv. Danilo Facca, elettivamente domiciliati in Roma, Via Anastasio 11 n. 80, presso l'avv.to Littorio di Nardo giusta delega a margine del ricorso introduttivo.

Ricorrente

contro

FALLIMENTO DI TURCHETTO MARIO, in persona del curatore;

Intimato

avverso la sentenza n. 162-92 pronunciata dalla Corte d'Appello di Trieste in data 3 aprile 1992;

udita la relazione del consigliere Gian Carlo Bibolini;

sentito l'Avv. Falla il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

sentito il P.M. Dott. Giovani Lo Cascio il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTO

La domanda proposta dal fallimento di Mario Turchetto avverso la s.d.f. Italmontaggi e volta ad ottenere la condanna al pagamento della somma di L. 37.391.561, oltre ad accessori, a titolo di pagamento di lavori di carpenteria eseguiti dal fallito, era accolta dal Tribunale di Pordenone con sentenza in data 9 dicembre 1989. In particolare il Tribunale adito non dava rilievo alle attestazioni di "pagato" esistenti sulle fatture, ritenendo che le quietanze non fossero opponibili, con efficacia, di confessione stragiudiziale, al curatore.

Su appello della s.d.f. Italmontaggi, ed appello incidentale della curatela, pronunciava la Corte d'Appello di Trieste che, con sentenza n. 162-92, confermava la pronuncia di primo grado in ordine alla condanna al pagamento, riconoscendo inoltre alla curatela (era l'oggetto dell'appello incidentale) anche un maggior danno ragguagliato alla svalutazione monetaria.

In particolare la Corte del merito motivava:

A) rilevato che la quietanza costituisce una confessione stragiudiziale, e che la confessione integra, a norma dell'art. 2735 C.C., una prova legale, riteneva la Corte d'Appello che autore della confessione potesse essere solo la parte del rapporto sostanziale che fosse anche parte processuale. Il curatore, in causa, non rappresenta nè il debitore fallito, ne' i creditori, per cui esso costituisce parte processuale distinta da quella del rapporto sostanziale, e ad esso non è opponibile la confessione stragiudiziale come prova legale, neppure quando esercita un diritto già maturato in testa al fallito.

B) La quietanza a saldo costituisce solo un documento apprezzabile da parte del giudice al pari degli altri elementi probatori emersi nel processo. La Corte d'Appello ritenne, inoltre, non verosimile che il pagamento fosse avvenuto, perché non esisteva alcun altro fatto processuale a conferma ed essendo fatto anomalo che del pagamento non vi fosse traccia nella contabilità della fallita, ne' in quella della debitrice che non aveva fatto produzione di libri contabili o altri elementi documentali inerenti all'azienda.

C) Ritenne, infine, la Corte del merito inammissibile la prova testimoniale dedotta, per il limite di valore degli artt. 2721 e 2726 C.C., e ciò in quanto la qualità delle parti e l'ammontare dei singoli pagamenti non consentiva di superare il limite di valore dell'art. 2721 cc., anche considerata la genericità del capitolo dedotto.

D) In accoglimento dell'appello incidentale, sul presupposto della qualifica imprenditoriale del creditore e del notorio fenomeno inflattivo, la Corte d'Appello riconosceva il maggior danno ragguagliato alla svalutazione monetaria, danno che assorbiva gli interessi a tasso legale.

Avverso detta decisione proponeva ricorso per cassazione la s.d.f. Italamontaggi sulla base di tre motivi, integrati da memoria; non depositava controricorso la curatela fallimentare.

DIRITTO

I ) Con il primo mezzo di cassazione è dedotta la violazione dell'art. 2730 C.C. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.. Ritiene la ricorrente erronea la posizione espressa dalla Corte del merito, secondo cui, a differenza della confessione giudiziale, la confessione stragiudiziale costituirebbe situazione liberamente valutabile da parte del giudice.

Infatti, il curatore non è altro, in tesi, che il successore nei rapporti patrimoniali instaurati dal fallito, per cui rispetto ad esso non esiste alcuna differenza tra confessione stragiudiziale e giudiziale.

La questione sollevata con il primo mezzo di cassazione ha già costituito oggetto di pronunce specifiche di questa Corte (Cass. 28 gennaio 186 n. 544, 10 marzo 1994 n. 2339), orientate in senso difforme da quello prospettato dalla ricorrente, e coerenti all'indirizzo, per contro, seguito dalla Corte del merito, con la sentenza impugnata.

A detto indirizzo si ritiene di dovere dare adesione e continuità, non emergendo dalla prospettazione della ricorrente argomenti nuovi, meritevoli di autonoma e diversa considerazione. La stessa situazione di successione del curatore al fallito nei rapporti patrimoniali di diritto sostanziale, cui la ricorrente vorrebbe collegare l'opponibilità al fallimento (come prova legale) di fatti aventi carattere di confessione stragiudiziale (la quietanza), non tiene conto della posizione processuale che al curatore compete nella causa da lui stesso promossa per ottenere sentenza di condanna al pagamento di un credito, già maturato dal fallito.

La questione, infatti, dei rapporti tra fallito e curatore nell'esercizio processuale dei diritti già maturati prima dell'inizio della procedura concorsuale, non deve essere impostata e risolta in termini di incapacità del primo e di integrazione della capacità da parte del secondo che ne assuma la rappresentante; al contrario la questione si configura e deve risolversi in termini di legittimazione processuale.

Ed invero, l'art. 43 L.F. trasferisce sul piano processuale gli effetti sostanziali conseguenti per il fallito all'inizio della procedura concorsuale. Alla perdita della disponibilità sostanziale del proprio patrimonio da parte del fallito, consegue la perdita della legittimazione processuale a tutelare in prima persona i propri diritti, che non integra perdita di capacità processuale, volta che la sostituzione del curatore è funzionale alla procedura. La particolarità della sostituzione processuale da parte del curatore, come conseguenza della perdita della legittimazione processuale attiva e passiva da parte del fallito, non si modella sul piano della rappresentanza processuale ne' del fallito ne' dei creditori, ma individua nel curatore una posizione processuale come organo del fallimento, che è parte in causa per un diritto altrui, in nome proprio ed in virtù della funzione da lui svolta nella procedura. Nè il tipo di sostituzione processuale integrata dal curatore che agisca giudizialmente per la individuazione e l'acquisizione del patrimonio sul quale esercitare il concorso, si identifica con la figura dell'art. 2900 C.C., nella quale l'agente è soggetto a tutte le eccezioni, anche processuali, opponibili al debitore surrogato.

Nelle attività volte all'acquisizione dell'attivo fallimentare, speculari rispetto a quelle dirette all'individuazione della massa attiva concorrente, il curatore opera processualmente nell'esplicazione della sua funzione; nell'esplicazione, vale a dire, di quella funzione di interesse generale che nel fallimento si individua e che distingue la posizione della curatela, quale organo operativo della procedura, sia della posizione del fallito che da quella di ogni singolo creditore concorrente, per cui divengono a lui non opponibili le situazioni sostanziali e processuali che non siano opponibili ai terzi, rispetto alla situazione sostanziale controversa.

In questa autonoma configurazione di sostituzione processuale, al curatore che agisce in nome proprio non è opponibile la confessione stragiudiziale proveniente dal fallito, come prova legale. La decisione della Corte del merito che a questo indirizzo si è uniformata non merita censura.

II ) Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell'art. 132 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. e contemporanea violazione dell'art. 2721 e 2726 C.C. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.. Si duole la ricorrente che la Corte d'Appello non abbia evidenziato che si verteva in un rapporto tra imprenditori, rispetto al quale si è sempre ritenuta la possibilità della prova testimoniale anche quando non sia ammissibile tra privati. La Corte del merito non ha inoltre tenuto conto del fatto che si trattava di più pagamenti, ciascuno dei quali di non rilevante importo. La ricorrente contesta poi la addotta genericità del capitolo di prova, in quanto la precisione del capitolo non deve necessariamente descrivere le modalità del pagamento.

La soluzione adottata in relazione al primo mezzo di cassazione, comporta il rigetto del secondo che è essenzialmente fondato sulla qualifica imprenditoriale delle parti. In effetti le parti processuali (che ai fini dell'ammissibilità della prova assume rilievo la posizione delle parti processuali), della cui qualità occorre tenere conto ai fini degli artt. 2726 e 2821 C.C., sono individuate nella specie con riferimento alla posizione della curatela, che, in sè non è imprenditore commerciale ne' successore processuale di un imprenditore. Proprio la funzione della curatela nel processo, che la distingue dalla qualifica imprenditoriale del creditore, è stata tenuta presente dalla Corte del merito per escludere l'ammissibilità della prova per testi.

Sotto questo profilo la motivazione della corte del merito, che è completa con il riferimento alle situazioni di fatto e di diritto rilevanti in causa, non è suscettibile di doglianza, ne' sotto il profilo della carenza motivazionale, ne' sotto quello della violazione di legge.

III ) Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione di legge in tema di rivalutazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. e difetto di motivazione ex art. 132 cpc in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.. La ricorrente in particolare si riferisce ad una violazione di legge aggiungendo: "che per vero non sappiamo indicare visti i vari principi applicati da questa Corte in tema di rivalutazione". Si duole, inoltre, sul piano della motivazione, lamentando che la Corte d'Appello ha parlato di "svalutazione" mentre al creditore compete il maggior danno oltre l'interesse legale.

Ancorché la doglianza contenuta nel motivo in esame non sia espressa in termini di assoluta chiarezza, essa sembra il frutto di una lettura parziale della motivazione della sentenza sul punto, con accentuazione di alcuni aspetti terminologici senza tentare di cogliere il senso delle espressioni usate dalla Corte del merito. Ed invero, nella sia pure sintetica motivazione, la Corte d'Appello ha chiaramente individuato la fattispecie oggetto di valutazione (quella dell'art. 1224 comma 2 C.C.), con il riferimento al "maggior danno" rispetto all'entità degli interessi, secondo il dettato della norma ora richiamata, precisando che nel maggior danno rimangono "ivi assorbiti gli interessi".

Appare chiaro, quindi, che di fronte ad un credito di valuta (quale era il pagamento di una somma costituente corrispettivo di prestazioni), la Corte del merito, in accoglimento di espresso motivo di appello incidentale, ha ritenuto di dovere riconoscere, oltre agli interessi, il maggior danno previsto dal secondo comma dell'art. 1224 C.C., puntualizzando la non cumulabilità di detta voce di pregiudizio con gli interessi stessi.

A detta norma la Corte d'Appello ha dato esatta applicazione richiamando sia la qualità imprenditoriale del creditore nel corso dei rapporti di diritto sostanziale intercorsi con il debitore, sia il fatto notorio del diminuito potere di acquisto del denaro nel tempo di ritardo nel pagamento, provvedendo alla determinazione del maggior danno, in via presuntiva, in misura equivalente al tasso di inflazione risultante dagli indici ISTAT.

Nè può sostenersi che la qualifica imprenditoriale sia situazione inidonea a sorreggere la prova presuntiva del pregiudizio in esame. Al contrario, è fatto notorio che la funzione dell'impresa (ad eccezione di quelle che esercitano attività meramente finanziaria) si traduce nel costante investimento di liquidità (suscettiva di perdere potere di acquisto per effetto del fenomeno inflattivo) in beni e servizi atti alla conservazione del valore nel tempo, secondo cicli economici costanti propri di ciascuno impresa. Questo è il fenomeno che, al di là dell'andamento economico della singola impresa, individua la propensione costante dell'impresa all'investimento in beni strumentali o di impiego, e denota nell'impresa un'organizzazione di produzione e scambio atta tendenzialmente alla costante conservazione dei valori in periodo inflattivo. Ciò costituisce elemento presuntivo che, sulla base dello "id quod prelumque accidit" nella realtà dell'impresa, è sufficiente a sorreggere la prova del pregiudizio in presenza di fenomeno inflazionistico che, se superiore al tasso legale di interesse, deve essere riconosciuto ovvero, in alternativa, che una volta riconosciuto assorbe in sè l'interesse legale. Su tale base anche l'ultimo mezzo di cassazione deve essere rigettato. Non avendo l'intimato svolto attività processuale, esiste preclusione alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Roma 16 gennaio 1996.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 2 APRILE 1996