Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19528 - pubb. 19/04/2018

Diritto di ritenzione, vendita del bene da parte del creditore e obbligo di riparto fallimentare

Cassazione civile, sez. I, 06 Febbraio 2018, n. 2818. Est. Ferro.


Fallimento - Creditori con privilegio o pegno su mobili - Possibilità di vendita da parte del creditore - Esplicazione di autotutela in senso proprio - Esclusione - Fondamento - Conseguenze - Ripartizione con il piano di riparto - Necessità - Rispetto cause di prelazione - Necessità



L'art. 53 l.fall., se pure riconosce ai creditori privilegiati assistiti dal diritto di ritenzione la possibilità di procedere, pendente la procedura concorsuale, alla vendita del bene, non la configura come esplicazione di autotutela in senso proprio, come avviene al di fuori del fallimento, perché tale facoltà presuppone l'accertamento del credito nelle forme dell'insinuazione allo stato passivo e perché assoggetta la vendita del bene gravato dal privilegio all'autorizzazione ed ai criteri direttivi del giudice delegato, a fronte della concorrente legittimazione del curatore; onde il ricavato dalla vendita, quand'anche il bene gravato sia venduto direttamente dal creditore, non viene immediatamente incassato in via autosatisfattiva dal medesimo, ma ripartito attraverso il piano di riparto, nel rispetto dell'ordine delle cause di prelazione. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio - Presidente -

Dott. FERRO Massimo - rel. est. Consigliere -

Dott. TERRUSI Francesco - Consigliere -

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo - Consigliere -

Dott. CAMPESE Eduardo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Rilevato che:

1. C. E. s.r.l. impugna la sentenza App. Milano 20.1.2012, n. 183/2012, R.G.N. 509/2008, che ha respinto il suo appello avverso la sentenza Trib. Milano 3.1.2008 recante condanna della medesima a pagare al FALLIMENTO (x) s.r.l. (FALLIMENTO) la somma di Euro 2.387.302,86 per capitale e 1.355.955,12 per interessi, oltre accessori e parimenti respinto ogni appello anche di IN.SE. INIZIATIVE IMMOBILIARI FINANZIARIE s.r.l. (INSE);

2. la corte ha premesso che a) (x) s.r.l. aveva garantito nel 1993 la sua esposizione debitoria verso Credito Lombardo s.p.a. costituendo in pegno a favore della banca (poi divenuta Monte dei Paschi di Siena s.p.a.) (MPS) un credito vantato verso l'attuale ricorrente (con operazione ripetuta per altro debito) e che la banca stessa avrebbe in prosieguo ceduto a INSE; b) MPS otteneva l'ammissione al passivo con privilegio pignoratizio nel successivo fallimento (del (x)) di (x); c) il fallimento agiva in giudizio (nel 2002) contro C. E. s.r.l., per come risultata debitrice verso la fallita, agendo in subordine per il medesimo petitum ma in surrogatoria di MPS, stante la domanda di ammissione al passivo ma l'inerzia nel coltivare la pretesa di realizzo della garanzia, con costituzione in giudizio adesiva di MPS; d) C. E. s.r.l. eccepiva l'incompetenza territoriale del Tribunale di Milano in favore di quella di C. e l'inesistenza del credito, poichè ceduto ad un terzo ( C.E.), difese poi revocate; e) MPS revocava l'istanza di ammissione al passivo, mentre INSE spiegava intervento volontario negando di avanzare pretese verso il fallimento, nel cui passivo non intendeva insinuarsi e così MPS (che le aveva ceduto il credito ammesso) veniva estromessa dal giudizio; f) C. E. s.r.l. e INSE infine chiedevano dichiararsi cessata la materia del contendere per intervenuto pagamento del creditore pignoratizio, domanda mantenuta nel citato appello;

3. la corte ha statuito che a) il credito di (x) verso C. E. s.r.l. era provato dalla ricognizione cartolare di debito del 1993, mai disconosciuta e che nessuna influenza aveva su di esso la rinuncia al passivo da parte di MPS, che concerneva i crediti vantati da questa banca verso il fallimento, ma non un credito del fallimento verso C. E. s.r.l., cioè un terzo; b) non c'era alcun riscontro di avvenuto pagamento del creditore pignoratizio e se anche ciò fosse stato provato, ne sarebbe conseguita solo la venuta meno della costituzione in garanzia ma non l'estinzione del credito verso il debitore; c) la legittimazione del fallimento ad agire trovava causa sia nell'inerzia di MPS verso il debitore sia nel mancato esperimento della procedura di cui alla L. Fall., art. 3, nè sussistevano prove che l'acquisto dei crediti di MPS verso il fallimento, per come effettuato da INSE, fosse stato fatto anche per conto di C. E. s.r.l., in ogni caso costituendo il pagamento (di INSE) mero corrispettivo di quelli e non attinente al credito del fallimento, dunque potendosene al più predicare la cessione a INSE ma non la estinzione; d) nessun dubbio poteva sorgere sul fatto che (x) non aveva ceduto, nel 1993, il suo credito alla banca ma ne aveva meramente disposto la costituzione in garanzia, conseguendone l'impossibilità di dichiarare la cessazione della materia del contendere, e) quanto alle domande di INSE, la reiezione dell'appello incidentale conseguiva alla novità della deduzione dell'atto costitutivo della garanzia quale pegno irregolare, eccezione in ogni caso infondata, perchè mai sollevata dall'adiuvato prima e, rispettivamente, contrastante con l'atto del 1993, mentre le altre domande erano infondate alla stregua delle difese dell'adiuvata;

4. in quattro complessi motivi le ricorrenti censurano la sentenza in quanto avrebbe a) non deciso sulle domande di INSE, ove esse richiamavano una transazione conclusa con il fallimento e dunque la estinzione del credito; b) errato nel ritenere tuttora persistente l'interesse del fallimento al giudizio, nonostante la desistenza di MPS dall'ammissione al passivo e la configurazione dell'originario atto del 1993 quale costitutivo di pegno irregolare; c) omesso di conferire significatività al comportamento delle parti nel corso del giudizio, univocamente diretto a "permettere la cessione del credito in contestazione"; d) errato nel negare valore di pegno irregolare opponibile alla costituzione di garanzia in esame, con diretta riscossione attribuita a MPS e poi INSE. Ritenuto che:

5. il primo motivo è inammissibile, per plurime carenze, posto che, innanzitutto, la qualificazione dell'intervento di INSE siccome adesivo dipendente, è affermazione non puntualmente contestata, conseguendone che la disamina dell'obbligo di decisione del giudice appare perimetrata dai soli poteri svolgibili dalla parte in tale qualità, in adesione al principio per cui "l'interventore adesivo non ha un'autonoma legittimazione ad impugnare (salvo che l'impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell'intervento o la condanna alle spese imposte a suo carico), sicchè la sua impugnazione è inammissibile, laddove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto di proporre impugnazione ovvero abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole" (Cass. s.u. 5992/2012); in secondo luogo, il ricorso conserva una contestazione supposta assenza di conclusioni della parte INSE - che la corte ha accolto, così apparendo inammissibile una censura, per questa via, ancora della sentenza di primo grado; su ogni domanda esaminabile di INSE, infine, la corte ha preso posizione, anche sulla pretesa rilevanza - esplicitamente esclusa - di eventi esterni al giudizio e al fallimento, non incidenti sulla sorte del credito contestato ove non propri di fatti giuridici opponibili;

6. il secondo motivo è inammissibile, mirando a sostituire con una diversa valutazione a sè favorevole una puntuale ricostruzione fattuale ad essa sfavorevole ed imperniata sulla natura propria di cessione del credito dell'atto del 1993, in antagonismo alla sollevata qualificazione di atto costitutivo di pegno irregolare, già tacciata di tardività e inammissibilità dalla corte; la sentenza ha nettamente escluso che in giudizio si sia formata la prova che l'acquisto da parte di INSE dei crediti insinuati ed ammessi al passivo del fallimento fosse stato eseguito non in proprio, bensì per conto di C. E. s.r.l. e dunque la piena legittimazione ad agire del fallimento residua quale proiezione della titolarità del credito costituito in garanzia per la banca nel 1993, ma non trasferito, nè soddisfatto; nè il comportamento processuale di revoca unilaterale dell'ammissione al passivo da parte della banca sottrae al fallimento detta legittimazione, posto che opera il principio, in caso di pegno regolare, per cui non interessa la rinuncia all'insinuazione finchè il debitore della somma il cui credito è stato costituito in pegno non paghi alla procedura, una volta che la banca, insinuandosi e non chiedendo autorizzazione di sorta, pur abbia preferito cedere il credito garantito da pegno e far intervenire il cessionario (soddisfatto) nel giudizio;

7. in tema va ribadito che "la L. Fall., art. 53, se pure riconosce ai creditori privilegiati assistiti dal diritto di ritenzione la possibilità di procedere, pendente la procedura concorsuale, alla vendita del bene, non la configura come esplicazione di autotutela in senso proprio, come avviene al di fuori del fallimento, perchè richiede l'accertamento del credito nelle forme dell'insinuazione allo stato passivo e perchè assoggetta la vendita del bene gravato dal privilegio all'autorizzazione ed ai criteri direttivi del giudice delegato, a fronte della concorrente legittimazione del curatore; onde il ricavato dalla vendita, quand'anche il bene gravato sia venduto direttamente dal creditore, non viene immediatamente incassato in via autosatisfattiva dal medesimo, ma ripartito attraverso il piano di riparto, nel rispetto dell'ordine delle cause di prelazione." (Cass. 27044/2006);

8. il terzo motivo è inammissibile per difetto di specificità, contrastando inoltre con il principio, parimenti enunciato dalla corte, della inefficacia rispetto alla procedura fallimentare degli atti - pretesamente dispositivi del credito - in difetto di puntuale prova del "consenso del creditore debitamente autorizzato dal giudice delegato", circostanza non surrogabile da condotte indizianti e non formalizzate in corrispondenti provvedimento d'impegno;

9. il quarto motivo è inammissibile, perchè - come anticipato la invocata natura di pegno irregolare della costituzione della garanzia è stata giudicata tardiva, e sulla conseguente inammissibilità la parte non ha sviluppato idonea censura ed al contempo attinente a circostanza non provata, secondo un apprezzamento di fatto non rimeditabile in questa sede; in ogni caso, vale il principio per cui "il creditore assistito da pegno irregolare, a differenza di quello assistito da pegno regolare, non può (per carenza di interesse) e non è tenuto ad insinuarsi nel passivo fallimentare, ai sensi della L. Fall., art. 53, per il soddisfacimento del proprio credito" (Cass. s.u. 202/2001, Cass. 10000/2004, Cass. 12964/2005), criterio che opera altresì quale regola interpretativa della condotta della banca che, insinuandosi, ha pienamente contraddetto la citata qualificazione;

10. ne deriva che il ricorso va rigettato, con condanna alle spese secondo la regola della soccombenza e liquidazione come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 35.200 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2018.