Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19727 - pubb. 22/05/2018

Intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali, mancato esercizio del diritto di opzione e azione individuale del terzo ex art. 2395 c.c.

Cassazione civile, sez. I, 14 Febbraio 2018, n. 3656. Est. Loredana Nazzicone.


Società di capitali – Amministratori – Responsabilità – Azione del terzo danneggiato – Partecipazioni sociali – Intestazione fiduciaria – Fiduciante – Legittimazione



In caso di intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali, il fiduciante, il quale lamenti che la definitiva uscita dalla società del fiduciario, a seguito del mancato esercizio del diritto di opzione, sia dipesa dalla falsità della situazione patrimoniale, redatta dagli amministratori e sottoposta all’assemblea per l’abbattimento e la ricostituzione del capitale sociale, ex art. 2447 c.c., è legittimato ad esperire l’azione individuale del terzo di cui all’art. 2395 c.c. per il risarcimento del danno a lui direttamente cagionato dalla lesione al diritto al ritrasferimento della partecipazione sociale. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria - Presidente -

Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -

Dott. VALITUTTI Antonio - Consigliere -

Dott. NAZZICONE Loredana - rel. Consigliere -

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

 

La sentenza della Corte d'appello di Napoli del 24 maggio 2012 ha respinto l'impugnazione avverso la decisione di primo grado, la quale aveva disatteso le domande proposte da D.P.* contro V.C., volte alla condanna della medesima, amministratrice unica della (*) s.p.a., al risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 2395 cod. civ. o, in subordine, dell'art. 2043 cod. civ., nella misura di almeno Euro 4.000.000,00, dall'attore patito in seguito al mancato esercizio del diritto d'opzione in occasione della ricostituzione del capitale sociale (pari a Lire 300.000.000) azzerato per perdite (pari a Lire 300.502.074) ex art. 2447 cod. civ. dall'assemblea del 27 marzo 1995, ma sulla base di una situazione patrimoniale non rispondente al vero, con conseguente perdita della partecipazione sociale, pari al 40% del capitale della società, peraltro dal medesimo già intestata fiduciariamente a C.V.

Lamentava l'attore come, a seguito di indagini penali, era emersa la falsità della situazione patrimoniale redatta ai fini dell'operazione sul capitale ex art. 2447 cod. civ. (ciò, a causa di condotte di mala gestio dell'amministratore, fra cui l'acquisto di un immobile personale, pagato con denaro sociale per Lire 270.000.000, senza la relativa appostazione in bilancio del credito per la restituzione, nonchè la sottrazione integrale della contabilità relativa agli anni dal 1990 al 1993), della quale mancavano dunque i presupposti di legge.

La corte territoriale ha ritenuto il D.P. privo della legittimazione ad agire, sia quale socio, sia come terzo, per il risarcimento del danno patito a causa della perdita della partecipazione sociale, di cui era titolare sostanziale, avendo egli ceduto a titolo fiduciario ad altro soggetto il proprio pacchetto azionario sin dal 18 giugno 1993: trattandosi di mandato senza rappresentanza, è applicabile l'art. 1705 cod. civ., onde le azioni proposte non rientrano nel novero di quelle che la norma attribuisce al mandante. Ciò dal momento che nella interposizione reale il fiduciario assume la veste di socio, con i diritti e gli obblighi connessi.

Neppure la legittimazione del D.P. può discendere dalla circostanza che, al momento dell'introduzione del giudizio, l'intestazione fiduciaria fosse venuta meno per effetto della deliberazione assembleare di azzeramento del capitale e del mancato esercizio del diritto d'opzione del capitale in aumento: dopo la perdita delle azioni, infatti, è residuato un "potenziale di diritti" riconducibili alla pregressa titolarità azionaria, come il diritto di impugnare le deliberazioni assembleari o di esercitare le azioni sociali o individuali di responsabilità. Ciò esclude possa ritenersi realizzato lo scopo del patto fiduciario e cessato il rapporto di mandato da esso derivante, restando il fiduciario l'unico soggetto legittimato ad agire, in nome proprio anche se per conto e nell'interesse del fiduciante, inducendo a tale conclusione la disciplina del mandato senza rappresentanza, improntata alla tutela dei terzi.

Nè l'art. 1705 cod. civ., con il correlato quadro di limitati poteri del mandante, opera solo nell'ambito dei rapporti contrattuali e non in quelli extracontrattuali, quale l'azione ex art. 2395 cod. civ.: anzi, la prima disposizione ha natura eccezionale e non attribuisce al mandante azioni che non attengano all'azione finalizzata al soddisfacimento dei crediti direttamente derivanti dalle obbligazioni assunte dal terzo contraente nei confronti del mandatario, onde in essa non può trovare titolo l'azione intrapresa. L'art. 1705 cod. civ. fissa il principio di prevalenza della titolarità formale e della inesistenza di rapporti mandante-terzo, a tutela dell'affidamento di coloro che entrano in rapporti contrattuali col mandatario. La conclusione non è smentita dagli artt. 1706 e 1707 cod. civ., che non sono l'espressione di un principio generale di prevalenza della titolarità sostanziale dei diritti, ma semplicemente rafforzano la tutela del mandante, evitando interposizioni inutili, dal momento che, in dette ipotesi, la salvaguardia dell'affidamento dei terzi è garantita dai principi in tema di circolazione dei beni ed opponibilità degli atti.

Del resto, l'attribuzione, nel caso delle società fiduciarie, dell'azione ex art. 2395 cod. civ. ai fiducianti, reputati effettivi proprietari delle azioni, deriva dalle leggi speciali regolanti detti enti.

Quanto all'azione proposta ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., l'attore non è legittimato nè come socio, per le stesse ragioni esposte, dal momento che si tratta della generale fattispecie in cui si inquadra pure l'art. 2395 cod. civ., nè come terzo danneggiato, perchè allora nessuna lesione diretta è stata cagionata al suo patrimonio, posto che la perdita della partecipazione sociale non lo riguarda. In ogni caso, in ordine all'azione generale ex art. 2043 cod. civ., il danno lamentato la perdita della partecipazione sociale - discende non dalla condotta illegittima dell'amministratore che espose una falsa situazione patrimoniale, ma dal mancato esercizio da parte del fiduciante stesso, attraverso il fiduciario, del diritto d'opzione.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione D.P.*, sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso l'intimata.

Le parti hanno depositato le memorie di cui all'art. 378 cod. proc. civ.

 

Motivi della decisione

1. - Con il primo motivo, il ricorrente deduce l'insufficiente e contraddittoria motivazione, posto che l'intestazione fiduciaria delle azioni si configura come fattispecie assai più ampia del mero rapporto di mandato e non ogni profilo, inerente l'esercizio dei diritti connessi, si risolve nell'applicazione del secondo comma dell'art. 1705 cod. civ.

Con il secondo motivo, deduce la violazione o la falsa applicazione dell'art. 1705 cod. civ., la quale tutela l'interesse del mandante a non disvelarsi, piuttosto che i terzi, mentre l'intestazione è destinata a permanere solo sino a quando lo scopo del patto fiduciario sia stato realizzato, onde la corte del merito ha errato a ritenere che la permanenza dello scopo fiduciario fosse desumibile dal fatto che residuavano alcuni poteri in capo al socio nei confronti del terzo, dopo l'azzeramento del capitale sociale.

Con il terzo motivo, lamenta l'insufficiente e contraddittoria motivazione, nonchè la violazione o falsa applicazione degli artt. 1705 ss. cod. civ., per non avere la sentenza impugnata considerato che la norma non limita i poteri del mandante quanto alle azioni extracontrattuali, dal momento che essa disciplina, invece, essenzialmente la sfera dei rapporti contrattuali del mandatario con i terzi, ove prevale la titolarità formale (mentre, poi, anche sul piano contrattuale emerge l'intento legislativo di tutela della titolarità sostanziale, che prevale nei confronti dei terzi, ex artt. 1706 e 1707 cod. civ.) ed in materia di intestazione di azioni alla società fiduciaria è stato affermato dalla S.C. il principio dell'identificazione dei fiducianti quali effettivi proprietari dei beni (proprio in forza degli artt. 1706 e 1707 cod. civ.) con titolarità dell'azione di cui all'art. 2395 cod. civ. in capo ai medesimi.

Con il quarto motivo, deduce la violazione o falsa applicazione dell'art. 2043 cod. civ., oltre all'insufficiente e contraddittoria motivazione, perchè la corte del merito ha ritenuto inapplicabile detta disposizione da parte dell'interponente anche quale terzo, negando che, ove manchi la formale partecipazione sociale, possa esistere tutela ai sensi della norma, come pure dell'art. 2395 cod. civ.; mentre la prima disposizione, in quanto disciplinante il genus, torna ad essere applicabile, ove non si ravvisino i presupposti della responsabilità sub species. Nè è corretta l'esclusione del nesso causale con la condotta di falsa rappresentazione in bilancio da parte dell'amministratore unico, per il mancato esercizio del diritto di opzione, posto che causa causae est causa causati, ed anzi costituisce ipotesi tipica di danno diretto al patrimonio personale del socio il caso in cui egli, ingannato dalle informazioni di un bilancio falso, abbia acquistato azioni di valore nullo, il quale può ben coesistere con altro danno diretto al patrimonio sociale; occorre, altresì, considerare che solo anni dopo l'assunzione della deliberazione, all'esito delle indagini penali svolte, sono emersi gli illeciti commessi dalla V.

2. - I motivi possono essere congiuntamente trattati, in quanto pongono la medesima questione: se, in presenza d'intestazione fiduciaria della partecipazione sociale, sussista in capo al fiduciante la titolarità dell'azione di responsabilità contro gli amministratori, ai sensi dell'art. 2395 cod. civ., per il danno diretto che egli lamenti di avere subìto a seguito dell'uscita dalla società dopo l'azzeramento del capitale sociale ex art. 2447 cod. civ., deliberato dall'assemblea sulla base di una situazione patrimoniale falsa redatta dagli amministratori e recante perdite insussistenti.

Si tratta di questione afferente la mera legitimatio ad causam, quale astratta titolarità di una situazione giuridica idonea ad abilitare un soggetto a promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, mediante la deduzione di fatti idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione della parte; laddove, invece, l'effettiva titolarità della situazione giuridica sostanziale attiene al merito (fra le tante, Cass. 12 agosto 2016, n. 17092).

Il diritto al risarcimento del danno, che il fiduciante vanta nel presente giudizio contro l'amministratore della società, è stato dunque dal medesimo correlato alla perdita della propria quota di partecipazione nella (*) S.p.A., e commisurato al valore nominale della stessa.

Assume in particolare il ricorrente come, a causa della non rispondenza al vero della situazione patrimoniale presentata dall'organo amministrativo all'assemblea dei soci, chiamata a deliberare l'abbattimento e la ricostituzione del capitale, interamente perduto a causa di perdite falsamente rappresentate, ai sensi dell'art. 2447 cod. civ., l'assemblea deliberò l'azzeramento del capitale, onde le azioni in propria titolarità furono annullate, senza che il fiduciario esercitasse, per suo conto, il diritto di opzione, proprio in conseguenza di quella condotta illecita.

Solo vari anni dopo, nel 2003, in seguito alle indagini penali svolte dalla procura presso il Tribunale di Napoli, egli apprese che l'operazione sul capitale era illegittima e che non ricorrevano i presupposti dell'art. 2447 cod. civ., in quanto la situazione patrimoniale recava perdite inesistenti, in mancanza delle quali l'assemblea non avrebbe potuto azzerare il capitale ed egli non avrebbe perso l'intera partecipazione sociale.

A fronte di tale prospettazione, i giudici di merito hanno in limine negato la legittimazione attiva, senza esaminare il merito della pretesa, in ragione dell'esistenza di un'intestazione fiduciaria della partecipazione sociale ad altro soggetto.

Tale decisione, tuttavia, non rispetta i principi che governano la materia, onde i motivi sono fondati, nei limiti di seguito esposti.

3. - L'art. 2395 cod. civ., come questa Corte ha ripetutamente affermato, si caratterizza con riguardo alle conseguenze che il comportamento illegittimo degli amministratori determina nel patrimonio del socio o del terzo: "se il danno costituisce solo il riflesso di quello arrecato al patrimonio sociale (..) si è al di fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 2395 cod. civ., poichè detta disposizione richiede che il danno causato dagli amministratori abbia investito direttamente, vale a dire in via immediata, il patrimonio del socio e del terzo" (così Cass. 28 marzo 1996, n. 2850; nello stesso senso, fra le altre, Cass. 25 ottobre 2016, n. 21517; 8 settembre 2015, n. 17794; 20 giugno 2014, n. 14121; 10 aprile 2014, n. 8458).

Momento frequente di emersione di tale responsabilità è proprio il caso in cui la falsità del bilancio abbia indotto il soggetto ad investire o disinvestire nella partecipazione sociale (Cass. 12 giugno 2007, n. 13766), ad acquistare (Cass. 8 settembre 2015, n. 17794) oppure a vendere beni alla società (Cass. 2 giugno 1989, n. 2685), confidando nella completezza e veridicità delle informazioni fornite dal bilancio, onde il danno abbia trovato causa appunto nella falsa rappresentazione della situazione finanziaria e patrimoniale della società.

L'art. 2395 cod. civ., in tal modo, funge da "chiusura del sistema", permettendo il ristoro di tutti i danni diretti che qualsiasi terzo abbia subito a causa della condotta degli amministratori di società.

Del tutto affine a tali ipotesi è quella in esame, in cui il socio sostanziale lamenta non di aver venduto la propria partecipazione sociale, ma di non aver esercitato, a mezzo del suo fiduciario, il diritto d'opzione, con la conseguente definitiva uscita dalla società, a causa della falsa situazione patrimoniale redatta dall'amministratore.

Consistendo, pertanto, la peculiarità della situazione all'esame nell'esistenza di un'intestazione fiduciaria delle azioni, di essa occorre occuparsi.

4. - Nel diritto comune dei contratti, l'intestazione fiduciaria è descritta come la situazione in cui il trasferimento del bene in favore del fiduciario viene limitato dall'obbligo inter partes al ritrasferimento, in ciò esplicandosi il contenuto del pactum fiduciae, laddove manca, in detta figura, qualsiasi intento liberale, e la posizione di titolarità creata si palesa "soltanto provvisoria e strumentale al ritrasferimento a vantaggio del fiduciante" (Cass. 14 luglio 2015, n. 14695, in tema di immobili; 29 febbraio 2012, n. 3134, sull'azienda, ed altre). Si afferma pure frequentemente che il negozio fiduciario rientra nella categoria dei negozi indiretti, caratterizzati dal fatto di realizzare un determinato effetto giuridico non in via diretta, in quanto il negozio, che è realmente voluto dalle parti, viene posto in essere in vista di un fine pratico diverso da quello suo tipico (Cass. 2 aprile 2009, n. 8024, in tema di immobili).

Anche con specifico riguardo all'intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali la vicenda è ricostruita da massima tralaticia quale collegamento di due negozi, parimenti voluti, l'uno di carattere esterno ed efficace verso i terzi, l'altro inter partes ed obbligatorio, diretto a modificare il risultato finale del primo, nell'ambito dell'istituto della interposizione reale di persona, per effetto della quale l'interposto acquista (diversamente dal caso d'interposizione fittizia o simulata) la titolarità della quota, pur essendo, in virtù di un rapporto interno con l'interponente di natura obbligatoria, tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto in precedenza con il fiduciante, ed a ritrasferirgliela ad una scadenza concordata, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario (Cass. 21 marzo 2016, n. 5507; 8 settembre 2015, n. 17785; 6 maggio 2005, n. 9402; 27 novembre 1999, n. 13261).

Vi è, di particolare, che l'intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali attiene ad un bene che rappresenta una posizione complessa, quale nucleo di situazioni soggettive attive e passive: la quale tantomeno si presta ad essere inquadrata nel comune mandato uno actu o in quello volto all'esecuzione di più negozi giuridici (art. 1703 cod. civ.), richiedendosi invece, da un lato, sotto il profilo dominicale, l'intestazione della res, e, dall'altro lato, un'attività continuativa da parte del fiduciario, spesso non prevedibile ex ante, nell'ambito della vita societaria che si svolge nel tempo.

Dal momento pertanto che, nel contratto in questione, la causa non risiede nè nel trasferimento del bene, nè nella sostituzione al mandante ai fini del compimento di specifici atti, ma nella combinazione dei due momenti allo scopo della cd. spersonalizzazione della proprietà, opportuna ne risulta la qualificazione - piuttosto che come collegamento negoziale di più atti che restano distinti - come contratto unitario, avente una causa propria, pur nell'ambito del genus dell'agire per conto altrui: attesa la stretta ed indissolubile connessione tra le varie pattuizioni nelle quali il contratto formalmente si scompone, onde unitaria ne è la causa (e ciò consentirà, altresì, la ricostruzione di un nesso funzionale specifico alla luce del complessivo regolamento d'interessi perseguito, mediante l'individuazione della causa concreta).

Resta, peraltro, un'interposizione reale di persona, nella quale l'intestazione delle partecipazioni al fiduciario è strumentale, essendo tipica dell'istituto non la conflittualità, ma la convergenza delle posizioni, ogni decisione venendo di necessità assunta nell'interesse essenziale del fiduciante.

La ricostruzione alternativa, pur da taluno proposta, la quale intende delimitare gli effetti dell'intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali, individuando in capo al fiduciante la titolarità dell'investimento ed in capo al fiduciario una mera detenzione autorizzata - con il corollario di dovere, di volta in volta, stabilire se un certo diritto collegato alla qualità di socio spetti all'uno o all'altro soggetto - invero non convince: sia per la mancanza di appiglio normativo, quale si constata invece nelle vicende della intestazione professionale a società fiduciaria (godendo, infatti, quest'ultima di una disciplina ad hoc: Cass. 27 febbraio 2015, n. 4049; 26 settembre 2013, n. 22099; 21 maggio 1999, n. 4943), sia per l'incertezza del diritto che ne deriverebbe, in ispregio a quello che è forse il principale valore di una regolamentazione giuridica dei fenomeni economici. In sostanza, quella soluzione è forse suscettibile di creare più problemi di quanti ne risolva, senza che il richiamo, del resto usuale in presenza di aporie teoriche, alla regolamentazione spontanea degli interessati costituisca un ausilio.

5. - Una volta azzerato per perdite ex art. 2447 cod. civ. il capitale sociale, viene meno il bene costituito dalle azioni, sia come quota rappresentativa di una percentuale del capitale della società, sia quale oggetto del contratto di intestazione fiduciaria e dell'obbligo di ritrasferimento, che nel medesimo trova titolo, gravante sul fiduciario in favore del fiduciante.

Ne deriva che l'azzeramento del capitale sociale comporta, sotto il profilo esterno, Io scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio, e, nel rapporto interno, l'impossibilità per il fiduciario di ritrasferire al fiduciante la partecipazione sociale.

Peraltro, pur dopo l'azzeramento del capitale sociale, nella titolarità di colui che rivestiva la qualità di socio residuano alcune situazioni giuridiche soggettive.

In primo luogo, in capo al socio permane il diritto di opzione, ai sensi dell'art. 2441 cod. civ., quale entità economicamente valutabile (Cass. 12 luglio 2007, n. 15614; 9 dicembre 1992, n. 13019; 13 gennaio 987, n. 133).

Parimenti, egli è titolare del diritto d'impugnare la deliberazione sociale che reputi viziata, sia con l'azione di nullità (Cass. 26 settembre 2016, n. 18845; 25 settembre 2013, n. 21889), sia con quella di annullamento, la quale gli compete anche se il venir meno della qualità sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta: dato che, essendo l'azione "diretta proprio al ripristino della qualità di socio dell'attore, sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all'art. 24 Cost., comma 1, ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l'attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti" (Cass. 7 novembre 2008, n. 26842).

Ancora, il socio, per necessità o per scelta, può decidere - non di esercitare l'opzione sottoscrivendo il capitale ricostituito o di impugnare la deliberazione, ma - di esperire una tutela obbligatoria alternativa contro la società, chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito a causa dell'illegittima deliberazione (al riguardo, si veda già Cass. 13 gennaio 1987, n. 133; e la riforma, com'è noto, ha ampliato tali ipotesi, in parte preesistenti: v. art. 2377 c.c., commi 4 e 8; art. 2378 c.c., comma 2; art. 2379-ter c.c., comma 3; artt. 2500-bis; 2504-quater; 2506-ter cod. civ.).

Tutte queste azioni spettano dunque al fiduciario, in quanto formalmente socio.

Nè ha errato la corte del merito allorchè ha ritenuto che l'azione individuale del socio, ai sensi dell'art. 2395 cod. civ., per la perdita della partecipazione sociale, cagionata dal fatto illecito degli amministratori, rientri parimenti nella titolarità del fiduciario, quale intestatario reale della quota.

6. - Tuttavia, la sentenza impugnata non ha correttamente interpretato il sistema normativo, laddove ha escluso che competa, invece, al fiduciante l'azione, parimenti contemplata dall'art. 2395 cod. civ., spettante al terzo direttamente danneggiato dal fatto illecito imputato dell'amministratore.

Si è detto che, nel caso in esame, il fiduciante lamenta come, per fatto dell'organo amministrativo, sia definitivamente venuto meno il bene partecipazione sociale, che il fiduciario era obbligato a ritrasferirgli. L'azione esperita va, dunque, ricondotta nell'ambito della categoria generale della "lesione aquiliana del credito": figura da tempo affermatasi, la quale ricomprende peraltro casi eterogenei, in cui l'ingiustizia del danno coincida con la lesione di una situazione soggettiva relativa.

Secondo un consolidato principio, invero, esiste "un dovere di rispetto dell'altrui sfera giuridica che porta a qualificare come "ingiusto", ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., il danno arrecato al creditore da un "terzo" che con il suo comportamento doloso o colposo abbia pregiudicato l'adempimento del debitore" (Cass. 3 dicembre 2002, n. 17110): non trovando ciò più ostacolo nel carattere relativo del diritto, "in considerazione della nozione ampia ormai generalmente accolta di danno ingiusto come comprensivo di qualsiasi lesione dell'interesse che sta alla base di un diritto, in tutta la sua estensione; trova, in tal modo, protezione non solo l'interesse rivolto a soddisfare il diritto (che, nel caso di diritti di credito, è attivabile direttamente nei confronti del debitore della prestazione oggetto del diritto), ma altresì l'interesse alla realizzazione di tutte le condizioni necessarie perchè il soddisfacimento del diritto sia possibile, interesse tutelabile nei confronti di chiunque illecitamente impedisca tale realizzazione" (Cass. 27 luglio 1998, n. 7337).

La nozione è stata storicamente riferita proprio ai casi in cui il fatto del terzo cagiona l'impossibilità definitiva della prestazione da parte del debitore, incidendo sulla cosa dedotta in obbligazione, la quale viene distrutta da un soggetto, terzo rispetto al rapporto obbligatorio, rapporto che si estingue a causa del fatto del terzo (sin da Cass. 13 giugno 1978, n. 2938); ad essa si aggiungono i casi, in cui l'impossibilità della prestazione cagionata dalla condotta del terzo sia solo temporanea, onde l'obbligazione non si estingue, oppure i casi di induzione all'inadempimento, pur essi tutelati dall'istituto (cfr. già Cass. 8 gennaio 1999, n. 108; 14 luglio 1987, n. 6132; 20 ottobre 1983, n. 6160; sez. un., 24 giugno 1972, n. 2135; sez. un., 24 giugno 1972, n. 1008).

Del pari, nel caso in esame, in cui si assume che il ritrasferimento del pacchetto azionario al fiduciante, annullato a causa dell'operazione sul capitale indotta dal fatto illecito gestorio, sia rimasto definitivamente precluso, è conseguente la sussunzione nella fattispecie della disposizione speciale di cui all'art. 2395 cod. civ., la quale espressamente individua anche il fatto degli amministratori che abbiano leso le ragioni del terzo.

Una volta scomparso, in virtù dell'abbattimento del capitale a sua volta indotto dalla redazione di un bilancio falso, il bene oggetto dell'intestazione fiduciaria - la partecipazione sociale - sorge così in capo al fiduciante il diritto di vedersi rimborsato il relativo valore, ove il perimento della res sia dipeso dal fatto illecito altrui: sia esso, poi, dello stesso fiduciario, oppure di un soggetto terzo, qual è l'amministratore della società.

Nessun rischio, inoltre, di un doppio risarcimento: posto che, laddove il fiduciario abbia agito vantaggiosamente con l'azione di caducazione della deliberazione, facendo venir meno l'azzeramento del capitale e l'annullamento delle azioni, o con l'azione risarcitoria alternativa contro la società, oppure con l'azione individuale del socio ex art. 2395 cod. civ., ottenendo allora il tantundem, nessun danno verosimilmente residuerà nel patrimonio del fiduciante, che nel primo caso è rimesso nella situazione qua ante e negli altri è il destinatario finale dei frutti della vittoriosa azione intrapresa: onde, in definitiva, il fiduciante non sarà più in grado di dimostrare di avere subito un danno diretto da lesione del credito in conseguenza della condotta gestoria illecita.

Giova, infine, precisare che il danno patito dal fiduciante non è necessariamente commisurato al valore nominale del pacchetto azionario preesistente all'operazione sul capitale, ma corrisponde al valore delle azioni, da accertare al momento dell'azzeramento illegittimo e secondo gli ordinari metodi economici, diretti ed indiretti, di valutazione delle partecipazioni sociali.

7. - In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa innanzi alla Corte d'appello di Napoli, in diversa composizione, per il prosieguo del giudizio, cui applicherà il seguente principio di diritto:

"In tema di intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali, il fiduciante, il quale lamenti che il mancato esercizio del diritto di opzione, con la conseguente definitiva uscita dalla società, sia dipeso dalla falsità della situazione patrimoniale, redatta dagli amministratori e sottoposta all'assemblea ai fini dell'abbattimento e della ricostituzione del capitale ex art. 2447 cod. civ., è legittimato attivo all'azione individuale del terzo, di cui all'art. 2395 cod. civ., per il risarcimento del danno a lui direttamente cagionato dalla lesione al diritto al ritrasferimento della partecipazione sociale".

Alla corte territoriale si demanda la liquidazione delle spese di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese di legittimità, innanzi alla Cote d'appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2018.