Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19749 - pubb. 25/05/2018

Responsabilità della Consob per omessa vigilanza

Cassazione civile, sez. I, 12 Aprile 2018, n. 9067. Est. Di Marzio.


Banca e borsa – Irregolare attività di agente di cambio – Segnalata alla Consob – Tardiva attività ispettiva – Responsabilità per omessa vigilanza – Sussiste



Sulla scia della decisione delle Sezioni Unite (22 luglio 1999, n.500), che ha riconosciuto la risarcibilità ai sensi dell’art. 2043 c.c. del danno causato dall’esercizio illegittimo della funzione pubblica, si colloca l’ormai remoto riconoscimento della responsabilità della Consob, tenuta all’osservanza del principio del neminem laedere, per omissione di controllo.

L’inerzia o il ritardo della Consob non possono mai e in nessun caso trovare giustificazione nella discrezionalità tecnica che connota la sua attività, fermo essendo che la discrezionalità relativa al quomodo della vigilanza non può mai estendersi anche alla scelta radicale tra l’attivarsi o non, soprattutto qualora sussistano gravi indizi di irregolarità.

La Consob è assoggettata ad un vero e proprio obbligo giuridico di impedire o circoscrivere il danno mediante l’esercizio dei propri poteri di vigilanza.

[Nella fattispecie, la Cassazione ha confermato la condanna inflitta alla Consob al risarcimento dei danni subiti da svariati investitori a seguito dell’attività illecita di un agente di cambio, in considerazione del ritardo con cui era stata attuata l’attività ispettiva a seguito della segnalazione di irregolarità.] (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo - Presidente -

Dott. GENOVESE Francesco A. - Consigliere -

Dott. VALITUTTI Antonio - Consigliere -

Dott. DI MARZIO Mauro - rel. Consigliere -

Dott. FRAULINI Paolo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 

Svolgimento del processo

1. - Gli originari attori, in numero di 113, hanno agito nei confronti della Repubblica Italiana e della Consob dinanzi al Tribunale di Roma e, dopo aver riferito di essere stati clienti dello Studio D.X., di cui era titolare un agente di cambio, in un periodo compreso tra il 1990 e l'aprile del 1996, hanno chiesto condanna delle convenute al risarcimento del danno subito per effetto di condotte addebitate sia allo Studio D.X. che alla Sim Professione e Finanza S.p.A., falliti nel 1996, i quali avrebbero distratto a vantaggio proprio e di terzi le somme da essi attori depositate per essere investite, dolendosi per un verso del tardivo recepimento della direttiva CEE n. 93/22 e per altro verso della mancata vigilanza da parte della Consob sull'attività degli intermediari mobiliari citati.

2. - Nel contraddittorio con i convenuti, che hanno resistito, il Tribunale ha rigettato la domanda spiegata nei confronti della Repubblica italiana ed accolto in parte quella proposta nei confronti della Consob, che ha condannato al risarcimento del danno in misura della metà delle somme richieste da ciascun attore, in considerazione della percentuale di ritenuta responsabilità concorsuale su di essa gravante.

3. - Contro la sentenza hanno proposto appello principale la Consob ed incidentale gli originari attori, eccezion fatta per Q.A., Q.A. e Q.M.Y., + ALTRI. Sono rimasti contumaci la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell'economia e delle finanze.

4. - Con sentenza del 5 maggio 2014 la Corte d'appello di Roma ha dichiarato inammissibile l'appello proposto dalla Consob nei confronti di Q.A. e Q.M. e respinto l'appello spiegato dalla stessa Consob nei confronti degli altri appellati ivi indicati, accogliendo per converso l'impugnazione incidentale di questi ultimi e liquidando in loro favore l'intera somma da ciascuno chiesta. A fondamento della decisione la Corte territoriale ha per quanto rileva osservato:

-) che la Consob aveva proposto l'appello nei confronti di Q.A. e Q.M., decedute nel corso del giudizio di primo grado, in violazione dell'onere di indirizzare l'impugnazione nei confronti dei loro eredi, senza che tale onere fosse subordinato alla conoscenza o conoscibilità dell'evento secondo criteri di ordinaria diligenza;

-) che i poteri ispettivi all'epoca attribuiti alla Consob sugli intermediari finanziari, tra i quali rientravano gli agenti di cambio operanti individualmente, erano certamente discrezionali e, tuttavia, detta attività discrezionale trovava un limite nella norma primaria del neminem laedere e nei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buona amministrazione;

-) che per la configurazione della responsabilità della Consob per omessa vigilanza era necessaria l'esistenza di circostanze di fatto, venute a conoscenza della medesima o colposamente ignorate, che imponessero l'espletamento dell'attività ispettiva;

-) che la Consob aveva ragione di dolersi della decisione adottata dal Tribunale soltanto nella parte in cui il primo giudice aveva addebitato ad essa la mancata esecuzione di ispezioni e controlli pur in assenza di circostanze concrete che ne imponessero lo svolgimento, mentre era giustificato l'addebito di un colpevole ritardo dell'inizio dell'attività ispettiva in seguito a notizie, concernenti la creazione di catene di negoziazione, finalizzate a consentire un ingiustificato profitto in favore di determinate controparti, notizie ricevute nel luglio 1994;

-) che, difatti, la Consob aveva atteso un anno e quattro mesi prima di disporre l'esecuzione dell'ispezione nei confronti dello Studio D.X., ispezione che era poi iniziata solo dopo altri sei mesi, sicchè era trascorso nel complesso quasi un biennio, ossia un arco temporale del tutto incompatibile con le esigenze di celerità imposte dai compiti di vigilanza attribuiti alla Commissione;

-) che la Consob era titolare di poteri certamente idonei ad impedire la prosecuzione dell'attività illecita ai danni dei risparmiatori, anche con l'esclusione, adottata soltanto il 22 aprile 1996, dell'agente di cambio dalla borsa e dalle contrattazioni telematiche;

-) che lo Studio D.X., già insolvente dai primi anni 80, aveva continuato ad operare occultando lo stato di insolvenza sino alla dichiarazione di fallimento con la sistematica distrazione delle somme consegnate nel tempo dai clienti per un importo sottratto, anche nell'aprile 1996, in epoca prossima al fallimento, superiore ai 68 miliardi di lire, sicchè una tempestiva azione ispettiva avrebbe consentito di scoprire la gestione illecita dello Studio D.X., il che si desumeva dalla circostanza che l'intervento ispettivo della Consob aveva in effetti portato alla scoperta degli illeciti;

-) che l'appello non meritava accoglimento neppure in relazione alla erroneità dell'accertamento dell'effettiva sussistenza del danno in capo a ciascuno dei risparmiatori, dal momento che essi avevano prodotto fascicoli individuali contenenti la documentazione posta a supporto della domanda, ivi comprese le ricevute rilasciate dallo Studio D.X., sicchè l'appellante avrebbe dovuto argomentare con riferimento a ciascuna posizione sull'idoneità dei numerosissimi documenti prodotti a fornire la prova di cui gli attori erano onerati;

-) che il Tribunale aveva errato nel porre a carico della Consob soltanto la metà delle somme richieste dagli attori, giacchè essi avevano agito per l'intero stante la solidarietà tra la Commissione convenuta e gli altri responsabili degli illeciti.

5. - Per la cassazione della sentenza la Consob ha proposto ricorso per 13 motivi.

A.G. e gli altri controricorrenti indicati nel suo controricorso, come elencati in epigrafe, hanno resistito e proposto ricorso incidentale condizionato per due motivi.

Al ricorso incidentale condizionato la Consob ha replicato con controricorso.

L.G. ha resistito con controricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto difese.

6. - Con sentenza del 15 giugno 2016 la Corte d'appello di Roma ha ritenuto ammissibile la domanda di revocazione proposta dalla Consob contro la citata sentenza della stessa Corte del 5 maggio 2014 e revocato per quanto di ragione la medesima, dando altresì atto della cessazione della materia del contendere tra le parti costituite e condannando la Consob al pagamento, in favore delle stesse, delle somme singolarmente indicate per ognuna di esse, con interessi, rivalutazione e compensazione di spese.

Ha in breve ritenuto la Corte territoriale la sussistenza degli errori revocatori denunciati dalla Consob per il fatto che la sentenza impugnata per revocazione non aveva tenuto conto, nel determinare le somme a ciascuno spettanti, nè della circostanza che essi avevano percepito per effetto di un riparto parziale dell'attivo del Fallimento dell'agente di cambio D.x.G. un importo pari all'1% della sorte capitale del danno preteso, nè della circostanza che la Consob aveva dato esecuzione alla sentenza di primo grado nei confronti della maggior parte degli appellati. Dopodichè la stessa Corte d'appello ha condannato la Consob a pagare agli originari attori ivi indicati le somme spettanti ad ognuno al netto di quanto già liquidato dal Tribunale e dell'1% percepito in sede fallimentare.

7. - Per la cassazione della sentenza la Consob ha proposto ricorso per tre motivi, formulando altresì istanza di riunione dei due ricorsi.

A.G. ed altri cento hanno resistito con controricorso.

Con separato controricorso ha resistito L.G..

Gli altri intimati non hanno spiegato difese.

8. - Hanno depositato memorie Consob e A. ed altri.

 

Motivi della decisione

1. - Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma sintetica.

2. - Il ricorso principale proposto contro la sentenza del 5 maggio 2014, ricorso che si prolunga per 130 pagine, contiene 13 motivi così rubricati:

i) nullità della sentenza per violazione dell'art. 82 c.p.c., art. 163 c.p.c., comma 2, n. 2, artt. 164, 170, 285, 298, 299, 300, 303, 304, 327, 328 e 330 c.p.c., quanto alla erronea declaratoria di inammissibilità dell'appello spiegato dalla Consob nei confronti di Q.M.Y. e Q.A., deceduta nel corso del giudizio di primo grado con evento interruttivo non dichiarato nè notificato dal procuratore costituito. In relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

ii) nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., quanto alla omessa pronuncia sull'appello proposto dalla Consob nei confronti di D.E.. In relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

iii) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 47 e 97 Cost., della L. n. 216 del 1974 e L. n. 1 del 1991, del D.P.R. n. 138 del 1975, del D.Lgs. n. 415 del 1996, della L. n. 402 del 1967, nonchè dell'art. 2043 c.c., dell'art. 40 c.p., comma 2, e dei principi in tema di elemento oggettivo e di nesso di causalità nell'illecito civile omissivo in relazione all'accertamento dell'omissione di vigilanza addebitata alla Consob quale causa concorrente del danno. In relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

iv) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2043 c.c., art. 40 c.p., comma 2, e art. 110 c.p., nonchè dei principi desumibili dall'articolo 2055 c.c. in tema di unicità del fatto dannoso in presenza di serie causali autonome, una delle quali sia costituita dalla commissione di reati di natura appropriativa o distrattiva, in relazione all'accertamento di una condotta omissiva colposa di vigilanza della Consob e della sussistenza del nesso causale tra tale condotta e il danno da reato. In relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

v) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 47 Cost., della L. n. 216 del 1974 e L. n. 1 del 1991, del D.P.R. n. 138 del 1975, del D.L.gs. n. 415 del 1996, della L. n. 402 del 1967, in relazione alla ritenuta, da parte del giudice d'appello, urgenza per la Consob di procedere ad attività ispettiva nei confronti dell'agente di cambio D.x.. In relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

vi) violazione e/o falsa applicazione della L. n. 216 del 1974 e L. n. 1 del 1991, del D.P.R. n. 138 del 1975, del D.lgs. n. 415 del 1996, della L. n. 402 del 1967, e segnatamente del D.P.R. n. 138 del 1975, art. 7 nonchè dell'art. 40 c.p., comma 2, e dei principi in tema di nesso di causalità dell'illecito civile omissivo in relazione alla idoneità dell'intervento ispettivo della Consob ad impedire la prosecuzione dell'attività illecita dell'agente di cambio e la causazione di gran parte del danno. In relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

vii) nullità della sentenza per violazione degli artt. 33, 40, 103, 274, 277 e 279 c.p.c. per aver trattato e deciso come un'unica controversia, con unitario giudizio di accoglimento/rigetto, oltre cento cause distinte e cumulate, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e, in stretta relazione, violazione e falsa applicazione dei canoni fondamentali desumibili dagli artt. 2043 e 2697 c.c. per non aver conseguentemente tenuto conto nel formulare il giudizio dei diversi tempi in cui gli oltre cento attori avevano effettuato i loro versamenti di denaro all'agente di cambio D.x.G., vuoi quanto alla esistenza e alla quantificazione del danno patito da ciascuno degli oltre cento attori vuoi quanto all'onere di prova su ciascuno di essi gravante, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè, ancora in stretta relazione ai superiori motivi, nullità della sentenza per violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, stante il difetto assoluto di motivazione con mancanza grafica, relativamente alla decisione di accoglimento delle domande, autonome e scindibili formulate uno actu, dagli oltre cento attori, in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 4, c.p.c.;

viii) violazione/o falsa applicazione dell'art. 97 Cost., art. 2043 c.c., e art. 40 c.p., comma 2, avuto riguardo alla mancata individuazione del preciso momento a partire dal quale, dopo il luglio 1994, si sarebbe verificata l'omissione colposa della Consob qualificabile come ritardo nell'avvio dell'ispezione presso lo studio dell'agente di cambio D.x.G.. In relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

ix) nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2043, 2697, 1223 c.c. e ss., artt. 2702 c.c. e ss. nonchè della L. n. 216 del 1974 e L. n. 1 del 1991, del D.P.R. n. 138 del 1975, del D.Lgs. n. 415 del 1996 e della L. n. 402 del 1967, quanto all'accertamento e liquidazione del danno asseritamente patito dagli attori. In relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4;

x) violazione/o falsa applicazione degli artt. 2043, 2056 e 1223 c.c. e della L. n. 1 del 1991, art. 15, commi 1 e 3, e art. 19 e del D.M. 30 settembre 1991, art. 2, comma 2, e art. 5, commi 2-3, avuto riguardo alla mancata detrazione, in sede di liquidazione del danno, di un importo pari al credito vantato per indennizzo verso il Fondo Nazionale di Garanzia pari al 25% della perdita patrimoniale subita. In relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

xi) violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2055, 1292, 1294 c.c. per avere la Corte d'appello giudicato che ai fini dell'affermazione della responsabilità passiva risarcitoria della Consob è irrilevante l'esistenza di condebitori solidali, in tal modo omettendo l'accertamento della fattispecie della responsabilità imputata alla stessa Consob. In relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

xii) nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 345 e 352 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè per violazione degli artt. 2043, 2056 e 1223 c.c. e ss., in relazione all'art. 360 c.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d'appello illegittimamente duplicato la condanna a favore degli attori portata dalla sentenza di primo grado con omesso esame, rilevante ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (intervenuto pagamento da parte di Consob dopo il rigetto, in appello, dell'istanza di inibitoria) ovvero con omessa pronuncia sull'eccezione di pagamento, rilevabile anche d'ufficio e comunque contenuta nella domanda di restituzione, in ogni caso con violazione e falsa applicazione delle norme emarginate sulla liquidazione del danno;

xiii) nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 345 e 352 c.p.c. avuto riguardo alla mancata detrazione, in sede di liquidazione del danno, delle somme conseguite per effetto del secondo riparto parziale eseguito dal Curatore del Fallimento di D.x.G. nel corso del giudizio di appello, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e/o all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e è stato oggetto di discussione tra le parti.

3. - Il ricorso incidentale condizionato proposto da A. ed altri contro la stessa sentenza del 5 maggio 2014 contiene due motivi così rubricati:

i) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. e della L. n. 216 del 1974, art. 3, lett. g),; D.P.R. n. 138 del 1975, artt. 1, 3, 4, 7, 10 e 13; D.P.R. n. 252 del 1979, artt. 24, 25, 37 e 38; L. n. 1 del 1991, artt. 11, 12 e 19; L. n. 289 del 1986, artt. 2 e 10 con riguardo al Regolamento Consob n. 2723/1987; D.M. 30 settembre 1991, art. 14 con riguardo alla valutazione del comportamento posto in essere dalla Consob prima del luglio 1994. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5";

ii) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. e della L. 2 gennaio 1991, n. 1, artt. 2, 6, 9, 11 e 12 con riguardo alla omessa valutazione del ruolo giocato, rispetto al danno lamentato dai controricorrenti, dalla negligente attività di vigilanza posta in essere dalla Consob nei confronti della Sim. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. - Il ricorso della Consob contro la sentenza del 15 giugno 2016 contiene tre motivi così rubricati:

i) nullità della sentenza per violazione degli artt. 99, 112, 189, 359, 400 e 402 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, quanto alla dichiarazione di "cessazione della materia del contendere" e alla contestuale pronuncia di "condanna" a carico della Consob;

ii) nullità della sentenza per violazione degli artt. 99 e 112, 189, 359, 398, 400 e 402 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, a proposito della quantificazione della condanna pronunciata a carico della Consob con l'effetto sostitutivo, quanto al dispositivo, rispetto alla pronuncia d'appello in parte qua revocata;

iii) nullità della sentenza per violazione degli artt. 398, 400 e 402 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per avere essa pronunciato la condanna a carico della Consob, con effetto sostitutivo, quanto al dispositivo, rispetto alla pronuncia di appello, in modo incoerente con il vizio da essa stessa accertato.

5. - I ricorsi proposti contro l'una e l'altra sentenza vanno riuniti. Difatti, i ricorsi per cassazione proposti, rispettivamente, contro la sentenza d'appello e contro quella che decide l'impugnazione per revocazione avverso la prima, devono, in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità, essere riuniti in applicazione (analogica, trattandosi di impugnazioni avverso distinti provvedimenti) della norma dell'art. 335 c.p.c., che impone la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza. Ed invero, la riunione di detti ricorsi, pur non essendo espressamente prevista dalla citata norma del codice di rito, discende dalla connessione esistente tra le due pronunce, atteso che sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza revocanda può risultare determinante la pronuncia di cassazione riguardante la sentenza resa in sede di revocazione (Cass. 5 agosto 2016, n. 16435; Cass. 29 novembre 2006, n. 25376; Cass. 29 luglio 2004, n. 14350; Cass. 3 febbraio 2004, n. 2818; Cass. 19 aprile 2003, n. 6328; Cass. 6 agosto 2001, n. 10835).

6. - Effettuata la riunione, occorre considerare che l'esame del ricorso per cassazione avverso la sentenza oggetto di impugnazione per revocazione si pone in posizione di subordinazione logica rispetto a quella pronunciata in detta sede (Cass. 20 marzo 2009, n. 6878; Cass. 20 maggio 2008, n. 14442; Cass. 29 luglio 2004, n. 14350; Cass. 13 febbraio 2004, n. 2818; Cass. 2 febbraio 2004, n. 1814).

Va pertanto esaminato anzitutto il ricorso contro la sentenza resa in sede di revocazione.

7. - A. ed altri hanno formulato eccezione di inammissibilità del ricorso ora in esame per carenza di interesse, sul presupposto, in buona sostanza, che la Consob sarebbe risultata vincitrice nel giudizio di revocazione.

L'eccezione è fondata.

L'interesse ad agire deve difatti sussistere anche nella fase di impugnazione e deve essere desunto dall'utilità giuridica che colui che impugna può oggettivamente conseguire attraverso l'accoglimento dell'impugnazione (Cass. 3 maggio 2017, n. 10726; Cass. 12 aprile 2013, n. 8934; Cass. 4 maggio 2012, n. 6770): utilità che non può evidentemente consistere nella mera pretesa di miglior formulazione della statuizione adottata.

Nel caso in esame la Consob ha denunciato dinanzi alla Corte d'appello di Roma un duplice errore revocatorio della sentenza revocanda, consistente in ciò, che essa, nel pronunciare a suo carico la condanna al pagamento delle somme dovute singolarmente a ciascun attore, non aveva tenuto conto nè di quanto corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado, nè di quanto da essi attori percepito per effetto di un riparto parziale eseguito nell'ambito del fallimento D.x., chiedendo darsi atto di tali circostanze ed accertarsi e dichiararsi "che la condanna della Consob... nei confronti di ciascuno di essi deve essere ritenuta come ridotta dell'1%... e, inoltre, dichiarare che tale sentenza è esecutiva limitatamente al pagamento di un ammontare pari al 49% degli importi nummari indicati nel dispositivo della stessa sentenza".

Ora, la sentenza pronunciata in sede di revocazione ha per l'appunto scomputato dall'importo liquidato nella sentenza riportata quanto indicato dalla Consob, sostituendo alla condanna al pagamento di somme sostanzialmente duplicate, rispetto a quelle effettivamente dovute, la condanna al pagamento degli importi correttamente calcolati in quanto depurati delle due componenti in discorso. Di guisa che l'impugnazione proposta non mira ad altro se non ad una -ipoteticamente - più corretta formulazione, sul piano della tecnica giuridica, del dispositivo recato dalla sentenza di revocazione, che, viceversa, secondo la Consob, conterrebbe, in conformità alla motivazione, una erronea dichiarazione di cessazione della materia del contendere oltre ad una non dovuta pronuncia di condanna.

Ma, sotto il primo aspetto (primo motivo di ricorso contro la sentenza resa in sede di revocazione), è di tutta evidenza che all'impiego, altrimenti senz'altro errato, della nozione pretoria di cessazione della materia del contendere, la quale consiste nel venir meno di ogni ragione di contrasto tra le parti in ragione del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio, cessazione indubbiamente in stridente contrasto con la statuizione di condanna pure adottata in sentenza, ed in ogni caso recisamente esclusa dalla pendenza del ricorso per cassazione contro la sentenza revocanda, altro significato non può ascriversi se non quello di semplice presa d'atto del riconoscimento, da parte degli originari attori costituiti nel giudizio di revocazione, dell'effettiva sussistenza degli errori revocatori denunciati.

Ed ancora, sotto il secondo aspetto (secondo e terzo motivo di ricorso contro la sentenza resa in sede di revocazione), è parimenti evidente che la Corte d'appello, nel revocare la sentenza impugnata, condannando la Consob al pagamento delle minori somme effettivamente dovute, ha semplicemente inteso ottemperare al precetto dettato dall'art. 402 c.p.c., che, una volta accolta la domanda di revocazione sotto l'aspetto rescindente, investe il giudice della fase rescissoria, imponendo di adottare una nuova decisione di merito sulla domanda originaria destinata a sostituire quella impugnata. Difatti la revocazione travolge completamente i capi della sentenza che sono frutto di errore, sicchè il giudice della fase rescissoria, chiamato nuovamente a decidere, deve procedere ad un nuovo esame della controversia. Il giudizio ex art. 402 c.p.c. è cioè nuovo e non è la mera correzione di quello precedente, per cui la nuova decisione sul merito è del tutto autonoma e non può certo essere la risultante di singoli elementi correttivi nell'iter logico-giuridico espresso dalla decisione revocata (Cass. 15 febbraio 2001, n. 2181; Cass. 16 maggio 2017, n. 12215).

Non è neppur vero che la pronuncia emessa in sede di revocazione, in ragione dell'effetto sostitutivo proprio della sentenza di appello, quantunque resa in sede di revocazione, sostituendosi, per l'appunto, a quella di primo grado, possa ritenersi "non sorreggere nè i pagamenti provvisori già ottenuti, nè la domanda di restituzione della Consob" (così a pagina 29 del secondo ricorso Consob). Non è difatti seriamente dubitabile che la sentenza pronunciata in sede di revocazione, nel condannare la Consob la pagamento delle somme ivi indicate, lo abbia fatto per essere "pacifico che gli appellati avessero già percepito in pendenza del giudizio di appello... la somma portata dalla sentenza di primo grado" (pagina 14 della sentenza), sicchè detta sentenza è senza alcun dubbio da intendere quale condanna tale da coprire tanto gli importi liquidati dal primo giudice, quanto quelli riconosciuti in sede di revocazione. Con l'ulteriore conseguenza che nessun problema si porrà in ipotesi di ripetizione di quanto già corrisposto dalla Consob, ove la prima sentenza della Corte d'appello, all'esito della cassazione con rinvio della sentenza a monte che qui, come tra breve si vedrà, verrà disposta, venga riformata, potendo la Consob ripetere in tutto o in parte l'intero importo corrisposto a ciascuno degli originari attori in forza della sentenza del Tribunale nonchè di quella pronunciata in sede di revocazione.

In definitiva, la Corte d'appello ha accolto l'impugnazione per revocazione proposta dalla Consob, la quale, una volta agevolmente interpretato il dictum contenuto in tale pronuncia, non ha ragione di dolersi della sua tutt'al più soltanto inelegante formulazione.

8. - L'effetto della conferma della pronuncia di revocazione di una sentenza d'appello impugnata per cassazione, travolgendo definitivamente quest'ultima, fa di regola venir meno l'interesse alla pronuncia su detto ricorso (Cass. 26 gennaio 1999, n. 673; Cass. 25 settembre 2013, n. 21951; Cass. 13 febbraio 2015, n. 2934), sicchè per tale ragione il ricorso contro la sentenza revocata va dichiarato inammissibile (Cass. 12 novembre 2007, n. 23515): ma ciò, evidentemente, solo nei limiti in cui la sentenza resa in sede di revocazione abbia inciso su quella revocata, travolgendola.

Va da sè che, nel caso in esame, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per revocazione rende inammissibile il ricorso per cassazione nei confronti della sentenza revocata limitatamente ai motivi dodicesimo e tredicesimo, che investono il duplice errore commesso dalla Corte d'appello nel non considerare nè i pagamenti effettuati in esecuzione della sentenza di primo grado, nè il riparto parziale in sede fallimentare di cui si è detto.

9. - Occorre dunque passare all'esame dei primi 11 motivi del ricorso principale proposto contro la sentenza del 5 maggio 2014.

10. - L.G. ha formulato eccezione di improcedibilità o inammissibilità del ricorso per inesistenza-nullità della notifica, e ciò per violazione della L. n. 53 del 1994, artt. 1, 3 e 7 giacchè il difensore della Consob non avrebbe indicato il numero dell'autorizzazione alla notifica degli atti giudiziari ed il numero di cronologico, non avrebbe utilizzato un plico recante la dicitura "notifica ex L. n. 53 del 1994", non avrebbe indicato l'ufficio postale presso cui era stata effettuata la notifica, non avrebbe indicato che la spedizione del plico era effettuata con posta raccomandata, non avrebbe indicato il numero della raccomandata della notifica, attribuendosi inoltre la veste di ufficiale giudiziario.

L'eccezione va disattesa.

L'attività di notificazione svolta dagli avvocati, ai sensi della L. n. 53 del 1994, in mancanza dei requisiti prescritti dalla legge stessa (ivi compreso, quello relativo alla previa autorizzazione del consiglio dell'ordine), va considerata nulla e non inesistente: principio, questo, da ritenersi rafforzato all'esito della più recente giurisprudenza di questa Corte che ha collocato in un ambito di residualità la nozione stessa di inesistenza della notificazione (Cass., Sez. Un., 20 luglio 2016, n. 14916), ma già precedentemente affermato, sicchè tale nullità, quand'anche riscontrata, è sanata dalla rituale e tempestiva costituzione dell'intimato e, quindi, dall'accertato raggiungimento dello scopo della notificazione stessa (Cass., Sez. Un., 1 dicembre 2000, n. 1242; Cass. 22 giugno 2001, n. 8592; Cass. 25 giugno 2003, n. 10077; Cass. 5 agosto 2004, n. 15081; Cass. 10 marzo 2011, n. 5743).

E che si tratti di nullità e non di inesistenza è del resto espressamente previsto dalla L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 11 recante "Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali", secondo cui: "Le notificazioni di cui alla presente legge sono nulle e la nullità è rilevabile d'ufficio, se mancano i requisiti soggettivi ed oggettivi ivi previsti, se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell'atto o sulla data della notifica".

Sicchè, anche ad ammettere la sussistenza della dedotta nullità, essa sarebbe rimasta sanata per effetto del deposito del controricorso da parte del L..

11. - Il ricorso principale contro la sentenza del 5 maggio 2014 è fondato nei limiti che seguono.

11.1. - Va accolto il primo motivo.

La Consob ha proposto appello nei confronti di Q.M.Y. e Q.A., decedute nel corso del giudizio di primo grado senza che l'evento interruttivo fosse stato dichiarato ovvero notificato ai sensi dell'art. 300 c.p.c..

In proposito la Corte d'appello, come si è visto, ha ritenuto, uniformandosi all'indirizzo giurisprudenziale all'epoca condiviso, che l'appellante, nella situazione verificatasi, fosse onerato della proposizione dell'impugnazione nei confronti della "giusta parte", ossia degli eredi delle Q..

Ma, le Sezioni Unite di questa Corte, riprendendo una soluzione già precedentemente accolta, hanno da ultimo riaffermato il c.d. principio dell'ultrattività del mandato, in forza del quale, in caso di evento interruttivo che, durante lo svolgimento del primo grado del giudizio, abbia colpito la parte costituita e non sia stato dichiarato o notificato, l'impugnazione notificata alla parte deceduta presso il procuratore costituito, ai sensi dell'art. 330 c.p.c., è ammissibile (Cass., Sez. Un., 4 luglio 2014, n. 15295).

Sicchè la pronuncia impugnata va cassata con rinvio nella parte in cui ha ritenuto inammissibile l'appello proposto nei confronti di Q.M.Y. e Q.A..

11.2. - E' fondato il secondo motivo.

Quantunque l'appello fosse stato proposto nei confronti anche di D.E., la Corte d'appello non ha nei suoi riguardi pronunciato, non essendo ella menzionata nè nell'intestazione, nè nel dispositivo della sentenza, nè altrove.

Sicchè la pronuncia impugnata va cassata con rinvio nella parte in cui ha omesso di pronunciare sull'appello spiegato nei confronti di D.E..

11.3. - Il terzo, quarto, quinto e sesto motivo, tutti spiegati sotto il profilo della violazione di legge, possono essere simultaneamente esaminati, giacchè diretti a censurare la pronuncia della Corte d'appello sull'an della riconosciuta responsabilità risarcitoria ex lege aquilia della Consob sotto un duplice profilo:

-) e perchè, trattandosi di responsabilità omissiva, sarebbe stato insussistente l'obbligo giuridico, in capo alla Consob, di impedire l'evento, ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2;

-) e perchè non sarebbe stata predicabile, per distinte ragioni, la sussistenza del nesso causale tra la denunciata omissione ed il danno lamentato.

11.3.1. - Tali motivi - svolti in modo pesantemente pletorico, con plurime sovrapposizioni e moltiplicazioni dei medesimi argomenti, diluiti nei diversi motivi - sono palesemente infondati.

Nella sostanza, ciò che la Consob vagheggia è una ormai inesistente immunità dalla responsabilità aquiliana, sull'assunto che la propria missione avrebbe avuto di mira all'epoca la tutela dell'integrità dei mercati e non anche le posizioni soggettive dei singoli risparmiatori, sicchè essa Consob per un verso non sarebbe stata tenuta, e per altro verso non avrebbe avuto gli strumenti utili ad impedire il verificarsi del danno lamentato dagli originari attori: tesi, questa, che avrebbe probabilmente potuto raccogliere consensi all'epoca dell'istituzione della Consob, ma la cui riproposizione, oggi, è svolta in manifesta violazione delle regulae iuris operanti nella materia, elaborate e ribadite da questa Corte e che costituiscono ormai ius receptum.

La L. 7 giugno 1974, n. 216, istitutiva della Commissione nazionale per le società e la borsa, risale a quasi mezzo secolo fa. Sarebbe stato all'epoca coerente coi limiti entro cui si riteneva configurabile la responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione negare che la funzione di vigilanza della Consob fosse posta a tutela di interessi diversi da quello, di rilievo esclusivamente pubblicistico, al buon funzionamento dei mercati finanziari, interesse ben distinto da quelli dei singoli investitori eventualmente danneggiati da investimenti rovinosi ed ingannevoli che la Consob, nell'esercizio dei suoi poteri di vigilanza, avesse potuto per avventura scongiurare. A fronte di tali poteri, suscettibili di esercizio con ampio margine di discrezionalità, si riteneva infatti che le situazioni soggettive degli investitori non ascendessero al rango del diritto soggettivo, e fossero pertanto escluse dalla tutela risarcitoria (occorrendo a tal fine una lesione non solo non iure, ma anche contra ius), sia che si affermasse il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario (Cass. 29 marzo 1981, n. 1531), sia che si pronunciasse il rigetto della domanda nel merito (Cass. 14 gennaio 1992, n. 367).

Già nella seconda metà degli anni 90 del secolo scorso, tuttavia, alcune decisioni hanno ammesso la condanna di autorità indipendenti al risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., individuando la posizione soggettiva lesa nel diritto soggettivo del risparmiatore all'integrità del patrimonio nonchè all'autodeterminazione nello svolgimento dell'attività negoziale (Cass., Sez. Un., 27 ottobre 1994, n. 8836, in materia di diffusione di informazioni inesatte e di omissioni o negligenze commesse dall'amministrazione nell'esercizio dei poteri di vigilanza; Cass., Sez. Un., 18 maggio 1995, n. 5477, in materia di ritardo nella pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di un decreto con cui era stata revocata l'autorizzazione ad una società a svolgere la sua attività).

I termini della questione, come è noto, si sono in seguito radicalmente modificati per effetto della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte che ha riconosciuto la risarcibilità ai sensi dell'art. 2043 c.c. del danno causato dall'esercizio illegittimo della funzione pubblica (Cass., Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500). E' sulla scia di questa decisione che si colloca l'ormai remoto riconoscimento della responsabilità della Consob, tenuta all'osservanza del principio del neminem laedere, per omissione di controllo, nella specie sui dati contenuti in un prospetto informativo falso (Cass. 3 marzo 2001, n. 3132), secondo una linea che successivamente risulta aver ricevuto soltanto conferme (Cass. 25 febbraio 2009, n. 4587, concernente la medesima vicenda; Cass. 23 marzo 2011, n. 6681, anch'essa pronunciata nei confronti della Consob; ma v. pure p. es. la più recente Cass. 20 febbraio 2015, n. 3458, concernente omessa verifica da parte dell'Ufficio Italiano Cambi della sussistenza dei requisiti per l'iscrizione nell'elenco degli intermediari finanziari comunitari; ed ancora v. Cass. 9 maggio 2008, n. 11556, che, ricostruiti i termini della questione nella linea di cui si è detto, ha confermato la decisione di merito che aveva in concreto escluso profili di colpa in capo alla Consob).

E' appena il caso di osservare che, nel quadro dell'orientamento giurisprudenziale così stabilizzatosi, l'inerzia o il ritardo della Consob, non possono mai ed in nessun caso trovare giustificazione nella discrezionalità tecnica che connota la sua attività, fermo essendo l'insegnamento di questa Corte secondo cui la discrezionalità relativa al quomodo della vigilanza non può mai estendersi anche alla scelta radicale tra l'attivarsi o non, soprattutto qualora - come nel caso di specie, secondo quanto ritenuto, come si vedrà, dal giudice del merito con apprezzamento che si sottrae al sindacato di questa Corte -sussistano gravi indizi di irregolarità (Cass. 3 marzo 2001, n. 3132). Resta da dire, in generale, che, per i fini del riconoscimento della responsabilità aquiliana della Consob, non occorre, in effetti, enucleare un diritto soggettivo del risparmiatore all'integrità del patrimonio, e dunque cimentarsi con la discussa figura del danno "meramente patrimoniale", giacchè l'ingiustizia del danno ricorre alla condizione necessaria e sufficiente della sussistenza di una lesione inferta ad una posizione soggettiva tutelata dall'ordinamento sulla base di specifici indici normativi, quali nella specie quelli che imponevano alla Consob l'attività di sorveglianza di cui si dirà (e v. successivamente, con grado di inequivocità ancor maggiore, il testo del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 91 testo unico della finanza, secondo cui la Consob, "esercita i poteri previsti dalla presente parte avendo riguardo alla tutela degli investitori nonchè all'efficienza e alla trasparenza..."), letti attraverso la lente unificante del dettato costituzionale ritratto dall'art. 47 Cost., e dunque del rilievo della tutela del risparmio.

11.3.2. - Ciò premesso, quanto alla prima delle due direttrici lungo la quale le censure in esame si sviluppano (quella dell'insussistenza dell'obbligo giuridico, in capo alla Consob, di impedire l'evento, ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2), non coglie nel segno l'assunto della Consob secondo cui essa non sarebbe stata titolare, all'epoca dei fatti, di poteri di vigilanza tali da giustificare l'addebito di un illecito aquiliano perpetrato mediante condotta omissiva, assunto sviluppato, per l'appunto, sul presupposto dell'assenza di un obbligo giuridico di impedire l'evento di danno denunciato dagli attori, obbligo rilevante per i fini dell'integrazione del nesso di causalità materiale scrutinato in applicazione dell'art. 40 c.p., comma 2.

Difatti la Consob aveva il potere:

-) di controllare il funzionamento delle singole borse e accertare la regolarità e i modi di finanziamento delle operazioni di intermediazione e negoziazione su titoli quotati in borsa effettuate dai soggetti che operavano in borsa o esercitavano attività d'intermediazione, avvalendosi a tal fine anche delle facoltà di richiedere la comunicazione di dati e notizie e la trasmissione di atti e documenti, eseguire ispezioni, assumere notizie e chiarimenti, al fine di accertare l'esattezza e completezza dei dati e delle notizie comunicati o pubblicati (L. 7 giugno 1974, n. 216, art. 3, lett. g);

-) di adottare "i provvedimenti necessari per assicurare il regolare andamento degli affari nelle singole borse", emanando a tal fine provvedimenti urgenti (D.P.R. 31 marzo 1975, n. 138, art. 7);

-) di effettuare accertamenti in ordine alla regolarità delle operazioni di borsa, mediante l'esercizio di appositi poteri ispettivi (D.P.R. 31 marzo 1975, n. 138, art. 10);

-) di accertare irregolarità o incompatibilità professionali dell'attività degli agenti di cambio o dei loro procuratori, dandone immediata comunicazione al ministero del Tesoro e dal consiglio dell'ordine per i provvedimenti di rispettiva competenza (D.P.R. 31 marzo 1975, n. 138, art. 13), ossia i provvedimenti disciplinari previsti dalla L. 29 maggio 1967, n. 402, artt. 19 e ss.;

-) di convocare i soggetti operanti in borsa o dediti all'esercizio di attività di intermediazione al fine dell'assunzione di notizie e chiarimenti (D.P.R. 11 giugno 1979, n. 252, art. 24);

-) di eseguire in qualsiasi momento ispezioni e controlli sulle singole borse al fine di accertare la regolarità ed i modi di finanziamento delle operazioni di intermediazione e negoziazione effettuate dai soggetti che operano in borsa o esercitano attività di intermediazione (D.P.R. 11 giugno 1979, n. 252, art. 25).

Resta da dire che la disciplina così riassunta non è stata intaccata dalla L. 2 gennaio 1991, n. 1, che ha attribuito alla Consob specifici compiti di vigilanza nei riguardi delle società di intermediazione mobiliare incrementando altresì i poteri di vigilanza nei confronti degli agenti di cambio, dovendo questi ultimi osservare le disposizioni dettate per le società di intermediazione mobiliare in materia di svolgimento dell'offerta fuori sede (art. 5), di modalità di negoziazione dei valori mobiliari (art. 11) e di modalità di esecuzione degli ordini (art. 12).

Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dalla Consob, non v'è ragione di dubitare che, come già affermato da questa Corte, e come poi espressamente ribadito in via di conferma dal Tuf, secondo quanto già ricordato, il sistema dei controlli e relative sanzioni spettanti alla Consob fosse diretto alla tutela "dell'interesse alla correttezza del comportamento degli intermediari finanziari, per i riflessi che ne possono derivare sul buon funzionamento dell'intero mercato" (Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26725), essendo la Consob non soltanto "organo di vigilanza del mercato dei valori, ma... anche organo di garanzia del risparmio pubblico e privato" (Cass. 23 marzo 2011, n. 6681).

Ne deriva che la Consob, nella veste ad essa riconosciuta dal legislatore di "organo di garanzia del risparmio", era assoggettata già all'epoca ad un vero e proprio obbligo giuridico di impedire o circoscrivere, nei limiti del possibile, il danno poi verificatosi a carico degli originari attori mediante l'esercizio dei propri poteri di vigilanza, danno scaturente da una condotta dell'agente di cambio di cui la Consob, alla stregua del parametro di diligenza di cui all'art. 1176 c.c., comma 2 a seguito della "notizia di irregolarità risalente al 1994" di cui dà conto la sentenza impugnata (pag. 14), avrebbe dovuto avvedersi, adottando, nel più breve tempo giustificabile in termini di osservanza del menzionato parametro di diligenza, le possibili contromisure.

Non ha pregio, al riguardo, la tesi sviluppata a pagina 30 del primo ricorso, la quale fa leva sul rilievo secondo cui l'adozione della singola misura dell'esclusione degli agenti di cambio dall'accesso ai locali della borsa valori e dalle contrattazioni non avrebbe, secondo una valutazione compiuta ex ante, potuto impedire all'agente di cambio di proseguire l'attività laddove essa non richiedesse l'accesso ai locali e ai servizi di borsa, giacchè è semmai evidente il contrario, ossia che l'interdizione dell'attività di borsa avrebbe messo gli investitori sull'avviso, rendendoli edotti dell'illiceità della condotta dell'agente di cambio, il che è poi quanto in effetti concretamente avvenuto, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata.

Orbene, la Corte territoriale, facendo applicazione dei principi della condicio sine qua non e della causalità adeguata te pervenuta alla conclusione che un tempestivo e corretto esercizio dei poteri di vigilanza della Consob - poteri che la Corte d'appello, rifacendosi anche alla decisione del primo giudice, ha riconnesso al quadro normativo ricordato e non soltanto, come sostenuto dalla ricorrente, all'art. 47 Cost. - avrebbe consentito "di scoprire la gestione illecita dello Studio D.X.", dissuadendo evidentemente gli investitori dalle operazioni compiute.

Per un verso, in definitiva, non sussiste alcuna delle violazioni di legge addebitate dall'ente ricorrente alla Corte d'appello nell'aver ritenuto che la Consob fosse tenuta ad intervenire per impedire il verificarsi del danno, mentre, per altro verso, il giudizio di fatto secondo cui un tempestivo e corretto esercizio dei poteri di vigilanza della Consob avrebbe consentito agli investitori, nel caso concreto, di cautelarsi, è evidentemente insindacabile in questa sede, attenendo non all'osservanza della legge ma alla ricostruzione del fatto, neppure essendo stato del resto censurato il ragionamento del giudice di merito sul piano motivazionale.

11.3.3. - Quanto, poi, al secondo aspetto su cui le ridondanti censure in esame si incentrano, la Consob ha in breve ribadito ed ulteriormente sostenuto che la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere la sussistenza del nesso di causalità tra la sua condotta ed il danno lamentato dagli attori giacchè, trattandosi di causalità omissiva, sarebbe mancata l'identificazione di un preciso obbligo giuridico di impedire il verificarsi della condotta dell'agente di cambio, avuto riguardo al rilievo, svolto in relazione al precetto posto dall'art. 2055 c.c., che detta condotta avrebbe dato luogo alla commissione di reati - reati che non alla Consob spetterebbe di prevenire e perseguire - da parte dell'agente di cambio medesimo, tali da integrare un'autonoma serie causale rispetto alla quale non avrebbe potuto essere predicata una sua corresponsabilità discendente da un'omissione colposa, tanto più che la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto l'idoneità dell'espletamento della vigilanza da parte sua, peraltro tempestivamente posta in essere, ad impedire il verificarsi del danno secondo il principio della regolarità causale.

Orbene, la Corte d'appello ha ritenuto la colpa della Consob nell'aver tardato ed in parte omesso i dovuti controlli e provvedimenti ispettivi, nonostante l'emersione di notizie concernenti l'irregolarità dell'attività posta in essere dall'agente di cambio, notizie riguardanti "la creazione di catene di negoziazione, finalizzate, come afferma la stessa Consob, a consentire, per la predeterminata differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita, quest'ultimo superiore al prezzo di mercato, ingiustificato profitto di determinate controparti". La colpa omissiva non è stata rinvenuta, cioè, nella generica inerzia nell'adozione di idonee misure di cautela e di prudenza - ed anzi la Corte d'appello ha sul punto riformato la decisione del Tribunale che aveva fatto discendere la responsabilità della Consob dal fatto in sè considerato di non aver disposto interventi ispettivi, prima ed indipendentemente dall'apprensione delle notizie di cui si è appena detto -, bensì nella diretta violazione di specifici obblighi di agire in base alle disposizioni richiamate, tenuto conto dell'emersione delle notizie menzionate.

Sicchè la sentenza impugnata, avendo proceduto alla preventiva individuazione dell'obbligo specifico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto responsabile, è perfettamente conforme all'insegnamento di questa Corte concernente la disamina in ordine alla sussistenza del nesso di causalità materiale in caso di condotta omissiva (v. Cass. 21 maggio 2013, n. 12401; Cass. 20 settembre 2006, n. 20328).

Ciò detto, attiene ancora una volta all'apprezzamento di fatto, non sindacabile in questa sede, l'accertamento, a fronte delle menzionate notizie, del rispetto da parte della Consob dell'insieme di regole che imponevano alla medesima di attivarsi, rispetto che avrebbe evitato il verificarsi dell'evento dannoso, ponendo gli investitori in condizione di essere dissuasi dagli investimenti ovvero di interromperli.

Quanto alla circostanza che i danni sarebbero derivati da fatti reato, è sufficiente richiamare il principio affermato da questa Corte secondo cui l'unicità del fatto dannoso richiesta dall'art. 2055 c.c., ai fini della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell'illecito, va intesa in senso non assoluto, ma relativo, sicchè ricorre tale responsabilità, volta a rafforzare la garanzia del danneggiato e non ad alleviare la responsabilità degli autori dell'illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni od omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l'assenza di un collegamento psicologico tra le stesse. Deve infatti escludersi, a norma dell'art. 41 c.p., comma 2, l'imputabilità del fatto dannoso a taluno degli autori delle condotte illecite esclusivamente nel caso in cui a uno solo degli antecedenti causali debba essere riconosciuta efficienza determinante ed assorbente, tale da escludere il legame eziologico tra l'evento dannoso e gli altri fatti, relegati al rango di mere occasioni, mentre non contrasta con tale principio la disposizione dell'art. 187 cpv. c.p., la quale, statuendo per i condannati per uno stesso reato l'obbligo in solido al risarcimento del danno, non esclude ipotesi diverse di responsabilità solidale di soggetti che non siano colpiti da alcuna condanna o siano colpiti da condanna per reati diversi o siano taluni colpiti da condanna e altri no (Cass. 12 marzo 2010, n. 6041; Cass. 8 agosto 2007, n. 17397; Cass. 7 giugno 2006, n. 13272).

Dopodichè costituisce nuovamente apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, la verifica della sussistenza o meno, nella specie, di una condotta dotata di efficienza determinante ed assorbente, tale da escludere ogni responsabilità concorrente. E parimenti costituisce apprezzamento incensurabile quello concernente tanto l'idoneità dell'espletamento dei necessari controlli ad impedire il verificarsi del danno secondo il principio della regolarità causale, quanto la violazione dell'obbligo di diligenza per aver tardato - salvo quanto si dirà tra breve in ordine all'individuazione del momento in cui il colpevole ritardo si è realizzato - ad attivarsi a seguito delle notizie apprese.

11.4. - I motivi dal settimo all'undicesimo, da esaminarsi congiuntamente in quanto concernenti tutti il quantum debeatur, sono fondati nei limiti che seguono.

La Corte territoriale, una volta affermata la responsabilità della Consob nell'an, ha sbrigativamente argomentato come segue: "Gli attori hanno prodotto in primo grado (e poi ridepositato in appello), divisa in fascicoletto di individuali, tutta la documentazione, comprese le ricevute rilasciate allo studio D.X., relativa alle operazioni di investimento e ai conferimenti in numerarlo operati dai singoli risparmiatori. Il giudice di primo grado non ha quindi accertato il danno solo sulla base dell'ammissione dei crediti al passivo fallimentare dell'agente di cambio. L'impugnazione avrebbe quindi dovuto argomentare, con riferimento a ciascuna posizione, sull'inidoneità dei numerosissimi documenti prodotti a fornire la prova di cui gli attori erano onerati".

Orbene, tale motivazione è insostenibile, e si colloca senz'altro al di sotto del "minimo costituzionale", così da essere sindacabile dalla Corte di cassazione (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

In buona sostanza, difatti, la Corte d'appello ha ritenuto di mantenere ferma la statuizione sul quantum adottata dal primo giudice, salvo che per la correzione dell'errore concernente la dimidiazione degli importi ed il calcolo delle somme già versate agli attori, sull'assunto che essa non fosse stata debitamente censurata dalla Consob e, cioè, che spettasse ad essa convenuta nel giudizio di primo grado dire quali somme competessero o meno a ciascuno degli originari attori, a fronte degli importi da ciascuno di essi pretesi sulla base della documentazione inserita in ciascun "fascicoletto".

Si può supporre che la Corte territoriale, nel ragionare in tal modo, abbia inteso rifarsi al pur non richiamato orientamento di questa Corte che vede in appello ribaltato l'onere probatorio, essendo l'appellante tenuto a comprovare la fondatezza delle censure volte a demolire la motivazione addotta dal primo giudice (Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2005, n. 28498; Cass., Sez. Un., 8 febbraio 2013, n. 3033). Ma, se questo fosse stato effettivamente l'inespresso pensiero della Corte d'appello, esso sarebbe stato palesemente errato, avendo essa stessa Corte d'appello travolto, nel giudicare sull'an, la statuizione sul quantum contenuta nella sentenza del Tribunale, così dal fare al riguardo tabula rasa.

Ed infatti, la decisione del Tribunale, che aveva riconosciuto a ciascun attore tutto quanto richiesto, sia pur decurtato di un importo pari alla metà (sulla base di un ragionamento giuridicamente del tutto errato che qui non interessa ripercorrere), costituiva logica conseguenza della premessa secondo cui la Consob era venuta meno ai propri doveri di vigilanza nell'intero arco temporale in contestazione, ossia nel periodo compreso tra il 1990 e l'aprile del 1996, cagionando così la perdita della totalità degli investimenti operati in quel periodo da ciascuno degli attori.

E però, una volta che il giudice d'appello ha escluso ogni addebito alla Consob fino al momento della propalazione delle notizie risalenti al luglio 1994, per ciò stesso la Corte territoriale - importando tale decisione qui confermata il venir meno della base logica della liquidazione operata dal primo giudice - avrebbe dovuto provvedere a rideterminare quanto spettante a ciascuno degli attori, senza poter tenere in alcun conto la pregressa statuizione del Tribunale e dovendo invece procedere ex novo all'esame delle singole pretese risarcitorie, in ossequio all'ordinario riparto degli oneri probatori, che pone a carico del danneggiato, secondo la previsione dell'art. 2697 c.c., comma 1 la prova del danno: tutto ciò, beninteso, non "a spanna", ma attraverso una dettagliata disamina, effettuata singolarmente, della posizione di ognuno di essi, mercè l'indicazione specifica delle perdite occorse nell'arco temporale entro il quale fosse predicabile il ritardo della Consob nel dispiegare l'esercizio dei suoi poteri di vigilanza, detratte tutte le somme percepite in qualunque sede dagli stessi attori a ristoro del pregiudizio subito, e con la chiara indicazione delle ragioni per le quali, in applicazione del congegno del giudizio controfattuale, il sollecito intervento della Consob avrebbe impedito il verificarsi del danno.

E, naturalmente, nel far ciò, la Corte territoriale avrebbe dovuto anzitutto individuare il preciso momento in cui potesse collocarsi l'esordio della condotta colposa della Consob, non potendo esso essere automaticamente ancorato, com'è ovvio, all'apprensione della notizia in discorso, occorrendo viceversa valutare quale fosse il tempo necessario, secondo il parametro di diligenza applicabile, ad effettuare le opportune verifiche e ad adottare così conseguentemente, causa cognita, le necessarie misure. E cioè: se sul piano dell'an va qui confermata la statuizione della Corte d'appello secondo cui la Consob doveva intervenire sollecitamente, dopo le notizie diffuse nel luglio 1994, ad esercitare i propri poteri di vigilanza, sul piano del quantum occorreva che la stessa Corte stabilisse quanto tempo la Consob avrebbe dovuto impiegare per intervenire.

Resta da dire dell'undicesimo motivo, con cui la Consob ha sostenuto che la Corte d'appello, come pure il Tribunale, avrebbe ritenuto la responsabilità solidale della Consob, senza identificare il condebitore in solido, che, secondo la ricorrente, potrebbe essere non soltanto l'agente di cambio, ma anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'economia e delle Finanze, nonchè la Banca d'Italia: motivo destituito di qualunque fondamento, essendo del tutto evidente, salvo a non prospettare una lettura del tutto speciosa della sentenza impugnata, che la Corte d'appello, nel ritenere la responsabilità della Consob per non aver vigilato sulla condotta dell'agente di cambio, ha inteso affermare che il danno patito dagli attori era stato cagionato, nel quadro di applicazione del richiamato art. 2055 c.c., dal sinergico comportamento di quest'ultimo e, sotto il profilo dell'omessa vigilanza, della Commissione.

12. - Il ricorso incidentale condizionato di A. ed altri va respinto.

12.1. - E' infondato il primo motivo.

La Corte d'appello, come si è già avuto modo di osservare, ha affermato che la responsabilità della Consob non potesse essere predicata per il generico addebito di non aver dispiegato la propria attività di vigilanza sull'agente di cambio, ma solo per il fatto che detta attività non era stata posta in essere dopo che la Consob era stata messa sull'avviso dalla notizia di cui si è in precedenza detto.

Orbene, la decisione della Corte di merito è conforme al principio, al quale va data continuità, secondo cui: "L'attività di vigilanza e controllo richiede una prestazione vigile, e cioè che il controllo si attivi in presenza di indici di anomalia e di esposti e segnalazioni circa la sussistenza di situazioni anomale o patologiche, ma anche che, per evitare una paralisi, sia dell'attività dell'organo, sia del mercato, questi proceda osservando regole di normale prudenza, onde evitare che segnalazioni fondate soltanto su giudizi soggettivi, eventualmente anche riconducibili a contrasti e mere delusioni di aspettative in ordine all'esito dell'investimento, possano pregiudicare la stessa efficacia ed efficienza dell'organo di controllo" (Cass. 9 maggio 2008, n. 11556). Principio del resto conforme alle regole operanti in materia di causalità omissiva, come già in precedenza esaminate, le quali richiedono che la responsabilità dell'agente debba essere ricollegata alla violazione di uno specifico obbligo giuridico di attivarsi, obbligo che non può essere fatto genericamente discendere dalla previsione di poteri di vigilanza in capo alla Consob, in mancanza del verificarsi di condizioni tali da innescare il doveroso esercizio di essi: se così non fosse, difatti, si finirebbe per ricollegare la responsabilità aquiliana per omissione non alla preesistenza di uno specifico dovere di azione, come è richiesto dall'art. 40 c.p., e dalla costante giurisprudenza di questa Corte, pur con una tendenza alla dilatazione in fattispecie peculiari che non mette conto richiamare in questa sede, ma al generale dovere del neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c., che - pur constando isolate opinioni dottrinali di segno diverso - ha invece senso richiamare nel solo campo della responsabilità commissiva. Ed invero, come questa Corte ha da tempo affermato, "il rispetto del principio del neminem laedere richiede l'astensione da ogni attività e cioè, propriamente, da un facere che possa recar danno ad altri; ma da esso non deriva che, sempre e necessariamente, sussista colpa in relazione ad un non facere, per il solo fatto che l'eventuale attività del soggetto avrebbe potuto impedire l'evento dannoso. Non la semplice inattività può dar luogo a responsabilità per colpa, ma soltanto quella inattività che si risolve in una vera e propria omissione, cioè nel mancato compimento di un'attività specificatamente dovuta" (Cass. 9 gennaio 1979, n. 116; sulla necessit).

Nè può avere ingresso la doglianza laddove sostiene che la responsabilità della Consob avrebbe dovuto essere ricollegata all'epoca dell'emanazione della delibera n. 9559 del 1995, nonchè alla emersione di irregolarità dai bilanci della Sim ed alla effettuazione di una ispezione informale nel 1993 da parte di un funzionario Consob, giacchè il motivo richiede inammissibilmente alla Corte di cassazione una rivalutazione del fatto insindacabilmente devoluto al giudice di merito.

12.2. - Palese è poi l'inammisibilità del secondo motivo di ricorso incidentale, se non altro per carenza di interesse, giacchè neppure risulta dagli atti - che in ogni caso non son indicati, con conseguente difetto di autosufficienza - che gli originari attori fossero stati clienti della Sim Professione e Finanza S.p.a..

13. - In definitiva, è dichiarato inammissibile il ricorso di Consob contro la sentenza del 15 giugno 2016; è respinto il ricorso incidentale condizionato di A. ed altri contro la sentenza del 5 maggio 2014; sono respinti i motivi 3, 4, 5, 6 e 11 e dichiarati inammissibili i motivi 12 e 13 del ricorso principale Consob contro la stessa sentenza; sono accolti nei termini in precedenza indicati i motivi 1, 2, 7, 8, 9 e 10 di tale ultimo ricorso; la sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, la quale, oltre a provvedere nei confronti di Q.M.Y., Q.A. e D.E., individuato l'esatto momento a partire dal quale configurare come colposo l'omesso esercizio dei poteri spettanti alla Consob, provvederà a quantificare il danno, individuando, con riguardo alla posizione di ciascun singolo investitore, le perdite che un tempestivo esercizio di detti poteri avrebbe impedito, detratte le somme a qualunque titolo percepite a ristoro del pregiudizio subito, nonchè liquidando le spese di questo giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso proposto da Consob contro la sentenza della Corte d'appello di Roma del 15 giugno 2016, rigetta il ricorso incidentale condizionato proposto da A. ed altri contro la sentenza della Corte d'appello di Roma del 5 maggio 2014, rigetta il terzo, quarto, quinto, sesto e undicesimo motivo e dichiara inammissibili il dodicesimo e tredicesimo del ricorso principale proposto dalla Consob contro la stessa sentenza, accoglie come in motivazione il primo, secondo, settimo, ottavo e decimo motivo del medesimo ricorso, cassa la sentenza del 5 maggio 2014 in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 10 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2018.