Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19769 - pubb. 11/01/2018

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Cassazione civile, sez. I, 13 Giugno 2000, n. 8018. Est. Di Amato.


Pretese creditorie nei confronti di debitore fallito o assoggettato a liquidazione coatta amministrativa - Domanda introduttiva - Questioni in ordine all'autorità giurisdizionale - Natura di questioni in ordine alla competenza - Esclusione - Natura di questioni in ordine al rito - Configurabilità - Conseguenze - Domanda proposta nelle forme ordinarie - Incompetenza del giudice adito - Configurabilità - Esclusione - Improponibilità della domanda - Sussistenza - Conseguenze - Rilevabilità di ufficio della questione in ogni stato e grado del giudizio



Le questioni concernenti l'autorità giudiziaria dinanzi alla quale va introdotta una pretesa creditoria nei confronti di un debitore assoggettato a fallimento o (come nella specie) a liquidazione coatta amministrativa, anche se impropriamente formulate in termini di competenza, sono, in realtà (e prima ancora), questioni attinenti al rito. Pertanto, proposta una domanda volta a far valere, nelle forme ordinarie, una pretesa creditoria soggetta, invece, al regime del concorso, il giudice (erroneamente) adito è tenuto a dichiarare (non la propria incompetenza ma) l'inammissibilità, l'improcedibilità o l'improponibilità della domanda, siccome proposta secondo un rito diverso da quello previsto come necessario dalla legge, trovandosi in presenza di una vicenda "litis ingressus impediens", concettualmente distinta da un'eccezione d'incompetenza, con la conseguenza che la relativa questione, non soggiacendo alla preclusione prevista dall'art. 38 primo comma cod.proc.civ. (nella sua formulazione in vigore dopo il 30 aprile 1995), può essere dedotta o rilevata d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Alfio FINOCCHIARO - Presidente -
Dott. Vincenzo PROTO - Consigliere -
Dott. Giovanni VERUCCI - Consigliere -
Dott. Mario ADAMO - Consigliere -
Dott. Sergio DI AMATO - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:
CONSORZIO AGRARIO PROVINCIALE DI GROSSETO SOCIETÀ COOPEPRATIVA a r.l. in liquidazione coatta amministrativa, in persona del Commissario Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA LARGO DI TORRE ARGENTINA 11, presso l'avvocato DI MATTIA GIANCARLO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NICOSIA GIUSEPPE, GUIDONI SERANO, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

BILIARDO CLUB DI ANGELINI ROSSANA & C. Snc, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA presso la CANCELLERIA CIVILE della CORTE SUPREMA di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato TAMBURRO NICOLA, giusta delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 929/97 del Tribunale di GROSSETO, depositata il 22/12/97;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/11/99 dal Consigliere Dott. Sergio DI AMATO;
udito per il ricorrente, l'Avvocato Nicosia, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alberto CINQUE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 31 luglio 1995 la soc. Biliardo Club di Angelini Rossana e C. conveniva in giudizio il Consorzio Agrario Provinciale di Grosseto in liquidazione coatta amministrativa, in persona del commissario liquidatore, autorizzato all'esercizio provvisorio dell'impresa, chiedendo, ai sensi dell'art.31 della legge 29 luglio 1978 n. 392, il risarcimento dei danni subiti per avere dovuto rilasciare un immobile, condotto in locazione, a seguito del diniego di rinnovazione del contratto, che il locatore Consorzio aveva motivato con la necessità di utilizzare i locali per l'esercizio in proprio di attività commerciale di vendita al pubblico di prodotti e servizi; in particolare, la società attrice deduceva che, contrariamente a quanto affermato, il Consorzio aveva lasciato inutilizzati i locali, per cui la disdetta della locazione doveva ritenersi illecita, con conseguente suo diritto di ottenere il ristoro di tutti i danni subiti, nella misura stabilita dall'art. 31 della legge 392/78. Il Consorzio Agrario, costituendosi in giudizio, eccepiva pregiudizialmente la incompetenza funzionale, per valore e per territorio del giudice adito; in particolare, deduceva che la controversia, involgendo solo eventualmente, una valutazione del pregresso rapporto locatizio, non era devoluta ratione materiae alla competenza pretorile e che, pertanto, la competenza andava individuata alla stregua delle regole generali dettate dall'art. 8 c.p.c.; per ragioni di valore, quindi, la controversia avrebbe dovuto essere radicata innanzi al tribunale e, secondo le regole della competenza per territorio, questo andava individuato nel Tribunale di Grosseto. Nel merito il Consorzio affermava l'infondatezza della domanda, sostenendo di avere effettivamente destinato i locali a sede dei propri uffici di consulenza ed assistenza contabile ed amministrativa in favore della clientela, oltre che ad uffici della soc. F.A.T.A., della quale il Consorzio aveva la rappresentanza;
sotto altro profilo, deduceva l'infondatezza della domanda attrice in quanto la società conduttrice aveva rilasciato volontariamente e prima della scadenza i locali e non in conseguenza della intimata disdetta.
Il Pretore di Massa Marittima, con sentenza del 22 maggio 1996, accoglieva la domanda attrice e condannava il Consorzio a pagare la somma di lire 41.223.060=.
Il Consorzio Agrario proponeva gravame avverso detta sentenza, chiedendone la totale riforma sulla base delle stesse argomentazionì dedotte in primo grado. Inoltre, poiché si trovava in liquidazione coatta amministrativa, il Consorzio eccepiva l'incompetenza del Pretore adito anche in relazione alla competenza funzionale del tribunale fallimentare, che ancora una volta andava individuato nel Tribunale di Grosseto. Il Tribunale di Grosseto, con sentenza del 22 dicembre 1997, rigettava l'impugnazione; osservava in particolare che, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, la causa - avente ad oggetto l'accertamento della illegittimità del diniego di rinnovazione del contratto - era riservata alla competenza funzionale e per territorio del Pretore del luogo in cui era sita la cosa locata, ai sensi dell'art. 8, comma 2^, c.p.c., come modificato dalla legge 3 novembre 1990, n. 353, mentre l'art. 24 l. fall. L.F. non era invocabile in rapporto alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, non essendo richiamato dall'art. 201 l. fall.. Il Tribunale rilevava, infine, l'infondatezza nel merito dell'appello, posto che: a) il documento con cui le parti avevano stabilito l'anticipata restituzione dell'immobile, non aveva natura di atto transattivo, poiché oltre alla mancanza di ogni requisito di sostanza (le reciproche concessioni) e di causa (la finalità di dirimere o prevenire una lite), atteneva esclusivamente alle modalità, ai tempi di sgombero e di riconsegna dei locali; b) la effettiva utilizzazione dell'immobile per l'attività enunciata in sede di disdetta, avrebbe dovuto esplicarsi con quella intensità e continuità attinente alla stessa natura dell'attività dichiarata;
tale non poteva ritenersi la occasionale presenza di personale della soc. FATA., avente propria personalità giuridica e perciò distinta dal Consorzio, mentre non era stata fornita alcuna prova del preteso potere di rappresentanza di detta società assicuratrice in capo al Consorzio; c) la esiguità dei consumi di elettricità e telefono, unita alla sostanziale inattendibilità dei dipendenti dello stesso Consorzio, le cui dichiarazioni erano nettamente contrastate dalle testimonianze rese da altre persone del tutto indifferenti, rendevano immune da vizi logici la valutazione del giudice di primo grado; d) l'ammontare del danno, liquidato in misura pari a quindici mensilità, trovava fondamento nella disamina, giusta ed equilibrata, del materiale probatorio offerto da parte attrice.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la liquidazione coatta amministrativa del Consorzio agrario di Grosseto, deducendo quattro motivi. La s.n.c. Biliardo Club di Angelini Rossana e C. resiste con controricorso, illustrato anche con memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo complesso motivo di ricorso la società ricorrente deduce, tra l'altro, la violazione e falsa applicazione di norme riguardanti la competenza e la giurisdizione, lamentando che erroneamente era stata affermata la competenza del primo giudice sia perché non era configurabile una competenza funzionale del pretore per le cause previste dall'art. 31 della legge n. 392 del 1978, sia perché gli ordinari criteri di competenza per valore e per territorio conducevano ad individuare il Tribunale di Grosseto quale giudice competente, sia infine perché nella specie doveva affermarsi la competenza funzionale del tribunale fallimentare o quanto meno la temporanea carenza di giurisdizione del pretore, atteso che la società attrice aveva chiesto l'accertamento di un proprio credito risarcitorio e non si era ancora esaurita la fase amministrativa di accertamento del passivo.
Occorre premettere, come riferito in narrativa, che l'eccezione di incompetenza del Pretore di Massa marittima in relazione alla pendenza di una procedura concorsuale è stata sollevata per la prima volta dopo l'udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c. e, quindi, dopo il termine previsto dal primo comma dell'art. 38 c.p.c.
. Al riguardo, questa Corte ha chiarito che il regime della eccepibilità e della rilevabilità d'ufficio della incompetenza per materia, introdotto dalla nuova formulazione dell'art. 38 c.p.c., a seguito della novella del 1990, trova applicazione anche nel caso delle "competenze forti", e cioè delle competenze per materia e per territorio inderogabili ex art. 28 c.p.c. (cfr. Cass. 24 novembre 1999, n. 13055; Cass. 15 novembre 1999, n. 12630; Cass. s.u. 12 novembre 1999, n. 764; Cass. s.u. 21 luglio 1999, n. 490; Cass. 2 giugno 1999, n. 5396; Cass. 18 febbraio 1999, n. 1368; Cass. 16 gennaio 1999, n. 402), secondo una disciplina che ha già superato indenne il vaglio della Corte costituzionale (Corte cost. ord. n. 128 del 12 aprile 1999). Pertanto, premesso ancora che la domanda introduttiva del giudizio era diretta ad ottenere una condanna nei confronti di un debitore assoggettato alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, e quindi, una pronunzia idonea ad incidere sul relativo stato passivo, occorre, da un lato, una ricognizione della disciplina, quanto a competenza ed a rito, dell'accertamento del passivo nella procedura di liquidazione coatta amministrativa;
d'altro canto, occorre verificare se e quali questioni, attinenti al detto accertamento, siano ancora eccepibili o rilevabili in sede di impugnazione quando non siano state sollevate nel termine della prima udienza di trattazione, come previsto dal 1^ comma dell'art. 38 c.p.c., nel testo risultante dopo la legge n. 353\1990.
Sotto il primo profilo, questa Corte ha più volte affermato che il disposto dell'art. 24 l. fall., secondo cui appartengono alla competenza del tribunale fallimentare tutte le azioni che derivano dalla dichiarazione di fallimento, non trova applicazione nella procedura di liquidazione coatta amministrativa considerato che lo stesso art. 24 non è richiamato dagli artt. 201 e 203 in tema di liquidazione coatta amministrativa (v. da ultimo Cass. 14 agosto 1998, n. 8007). Ciò, tuttavia, non consente di affermare che nella procedura di liquidazione coatta amministrativa sia totalmente inoperante la vis attractiva del tribunale che ha dichiarato lo stato di insolvenza. Infatti, anche nella procedura di liquidazione coatta amministrativa operano i principi del concorso formale e sostanziale, in virtù dei quali, da un lato, i creditori, fatti salvi gli eventuali diritti di prelazione, possono partecipare solo in proporzione delle rispettive ragioni (par condicio creditorum) alla distribuzione del ricavato fallimentare e, d'altro canto, tutte le posizioni creditorie verso il fallito sono sottoposte ad un accertamento unitario, quali che siano i titoli e quali che possano essere, in astratto, le domande proponibili. Ciò discende univocamente dal richiamo, nell'ambito della legge fallimentare, degli artt. 51 e 52 e degli artt. da 98 a 103, operati rispettivamente dai successivi artt. 201 e 209. Pertanto, ogni diritto di credito, una volta aperta la procedura di liquidazione coatta amministrativa, è tutelabile esclusivamente nelle forme previste dagli artt. 201 (che richiama, come si è detto, anche l'art.
52), 207 e 209 l. fall.. La previsione di un'unica sede concorsuale per l'accertamento del passivo comporta la necessaria concentrazione presso un unico organo giudiziario delle azioni dirette all'accertamento dei crediti e l'inderogabile osservanza di un rito funziona le alla realizzazione del concorso dei creditori. Ciò determina l'improponibilità della domanda proposta nelle forme ordinarie. Per la liquidazione coatta amministrativa, inoltre ed a differenza di quanto accade per il fallimento, non si può neppure ipotizzare una residua proponibilità della domanda nelle forme ordinarie in relazione alla intenzione di ottenere un titolo da far valere, alla chiusura del concorso, soltanto in caso di ritorno in bonis dell'imprenditore, poiché tale eventualità è esclusa dalla stessa finalità del procedimento di liquidazione coatta amministrativa (Cass. 15 maggio 1975, n. 1881). Si deve, tuttavia, operare una distinzione in relazione alla fase in cui si trova la procedura concorsuale. Durante l'attività di formazione dello stato passivo, demandata ai competenti organi amministrativi della liquidazione coatta, e sino al momento del deposito dello stesso nella cancelleria del luogo ove l'impresa ha la sede principale, si verifica una temporanea improponibilità innanzi al giudice ordinario delle domande, per differimento dell'esercizio del potere giudiziale, ferma restando l'assoggettabilità ad opposizione o ad impugnazione del provvedimento attinente allo stato passivo (v. ex pluribus Cass. 23 ottobre 1986, n. 6224; Cass. s.u. 10 gennaio 1991, n. 162; Cass. 13 marzo 1994 n. 3442 e da ultimo Cass.23 luglio 1999, n. 8136). Una volta esaurita l'attività amministrativa di formazione dello stato passivo, inizia la fase giurisdizionale nella quale le modifiche dello stato passivo possono essere determinate, oltre che da opposizioni o impugnazioni dello stesso, anche dalle domande di insinuazione tardiva, proposte nelle forme previste dalla legge fallimentare (Cass. 20 dicembre 1971, n. 3699; Cass. 21 ottobre 1981, n. 5511). Così come avviene nella procedura fallimentare (cfr., tra le tante decisioni, Cass. 22 ottobre 1984 n. 5345; Cass. 6 giugno 1989 n. 2743; Cass. maggio 1991 n. 5124; Cass. 24 marzo 1994, n. 2896;
Cass. 28 ottobre 1998, n. 10759; Cass. 18 febbraio 1999, n. 1356), anche nella procedura di liquidazione coatta amministrativa i crediti prededucibili non possono farsi valere con le forme ordinarie, essendo, invece, applicabili le norme sulla formazione del passivo, con la conseguenza che dopo il deposito dello stato passivo il creditore in prededuzione, il cui credito sia stato escluso dal commissario liquidatore, dovrà proporre opposizione mentre il creditore il cui credito non sia stato preso in considerazione dovrà proporre domanda di insinuazione tardiva (v. ex pluribus Cass. 19 novembre 1971, n. 3345; Cass. 5 febbraio 1972, n. 272; Cass. s.u. 18 aprile 1988, n. 3034; in relazione alla amministrazione straordinaria, come regolata dalla l. n. 95 del 1979, che rinviava alle norme sulla liquidazione coatta amministrativa, v. Cass. 6 agosto 1998, n. 7704; Cass. 13 aprile 1994, n. 3432; Cass. 16 febbraio 1993, n. 1923). La domanda proposta nelle forme ordinarie è, invece, affetta da vizi per violazione delle forme inderogabili in cui (e della sede giurisdizionale dinanzi alla quale) può essere fatto valere un credito vantato nei confronti di impresa sottoposta a liquidazione coatta amministrativa.
Passando al secondo profilo della questione, si è precisato che siffatti vizi, rivelatori della violazione di norme inderogabilmente dettate a tutela del principio della "par condicio creditorum", possono essere rilevati d'ufficio (in quanto le norme stesse attendono ad un determinato "ordine" processuale stabilito per il raggiungimento del predetto scopo) anche in sede di legittimità (v. Cass. 9 marzo 1996, n. 1893; Cass. 14 aprile 1994, n. 3432). Tale regime non può ritenersi modificato per effetto delle preclusioni previste dall'art. 38, 1^ comma, c.p.c., nel testo successivo alla novella del 1990 ed applicabile dopo il 30 aprile 1995. Questa Corte ha chiarito (cfr. ex pluribus Cass. 1^ agosto 1997, n. 7154; Cass. 6 dicembre 1989, n. 5401; Cass. 30 ottobre 1980, n. 5830) che le questioni concernenti la sede innanzi alla quale deve essere introdotta una pretesa creditoria nei confronti di un debitore assoggettato a fallimento o a liquidazione coatta amministrativa, anche se spesso impropriamente formulate esclusivamente in termini di competenza, sono anzitutto questioni attinenti al rito, non implicanti affatto problemi di competenza quando il tribunale fallimentare coincide con il tribunale in sede ordinaria. In altre parole, il problema della competenza del tribunale fallimentare in ordine all'accertamento di crediti verso il fallito o verso l'impresa in liquidazione coatta amministrativa finisce con il rifluire nel problema del rito, che acquista rilevanza preminente ed assorbente. Pertanto, proposta una domanda tendente a far valere nelle forme ordinarie una pretesa soggetta al concorso, il giudice adito deve dichiarare, secondo i casi, l'inammissibilità della domanda o la sua improcedibilità o improponibilità, siccome proposta secondo un rito diverso da quello previsto come necessario dalla legge del concorso e, pertanto, inidonea a conseguire una pronuncia di merito (Cass. 14 febbraio 1977, n. 646
; Cass. 10 agosto 1966, n. 2174). Tale inidoneità è definitiva e non può essere superata ne' dalla coincidenza del tribunale fallimentare con il tribunale adito nelle forme ordinarie, ne' dal fatto che, comunque, è stata raggiunta la finalità di assicurare il contraddittorio tra le parti (per l'inapplicabilità del principio di conversione degli atti processuali nulli, v. Cass. n. 2174 del 1966 cit.). La proposizione, infatti, dell'azione in una sede diversa da quella prevista come necessaria ed obbligatoria dalla legge del concorso o, nella liquidazione coatta amministrativa, prima che sia esaurita la fase amministrativa di accertamento del passivo, non consente di raggiungere il risultato avuto di mira dall'attività svolta. La dichiarazione di inammissibilità, improcedibilità o improponibilità della domanda va, pertanto, fatta prima ed indipendentemente dal rilievo della eventuale incompetenza. Si tratta, come è evidente, di una exceptio litis ingressum impediens concettualmente distinta da una eccezione di incompetenza, con la quale, per quanto detto, può anche non coesistere. Da ciò consegue che la relativa questione non soggiace alla preclusione prevista dall'art. 38, 1^ comma, c.p.c. (nella formulazione in vigore dopo il 30 aprile 1995) e può essere eccepita o rilevata d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
Si deve, quindi, dichiarare l'improponibilità della domanda formulata con citazione del 31 luglio 1995, quando ancora non era chiusa la fase amministrativa di verifica del passivo della impresa in liquidazione coatta amministrativa; conseguentemente si devono cassare senza rinvio sia la sentenza impugnata che la sentenza di primo grado.
Alla accertata improponibilità della domanda consegue l'assorbimento dei motivi di ricorso attinenti al merito della decisione.
Soccorrono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

pronunciando sul ricorso dichiara improponibile la domanda e per l'effetto cassa senza rinvio la sentenza impugnata e la sentenza di primo grado; spese compensate.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 novembre 1999.
Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2000