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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19782 - pubb. 11/01/2018.

Divieto di iniziare o proseguire, dal giorno della dichiarazione di fallimento, azioni esecutive individuali sui beni compresi nel fallimento


Cassazione civile, sez. I, 03 Febbraio 1995, n. 1335. Est. Bibolini.

Liquidazione coatta amministrativa - Effetti per i creditori - Azioni cautelari - Divieto - Sussistenza - Conseguenze


Il divieto, posto dall'art. 51 della legge fallimentare (applicabile anche alla liquidazione coatta amministrativa perché espressamente richiamato dall'art. 201 della predetta legge) di iniziare o proseguire, dal giorno della dichiarazione di fallimento, azioni esecutive individuali sui beni compresi nel fallimento concerne non solo le azioni esecutive vere e proprie, ma anche quelle cautelari che, come il sequestro conservativo, abbiano funzione conservativa del patrimonio del debitore e carattere strumentale, quindi, rispetto al processo esecutivo; anche il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, come il fallimento, determina, pertanto, la caducazione del sequestro facendo venire meno l'oggetto del giudizio di convalida, che non può essere, quindi, proseguito dal creditore nemmeno per il riconoscimento delle spese processuali, che danno luogo solo ad un credito di far valere nelle forme previste dall'art. 209 della legge fallimentare, o per l'accertamento della vantata situazione creditoria per la quale è stato eseguito il sequestro, dato che nel procedimento di liquidazione coatta amministrativa la inderogabilità della procedura amministrativa di formazione dello stato passivo (di cui al citato art. 209) comporta la necessità, in caso di disconoscimento della pretesa, dell'accertamento giurisdizionale attraverso il giudizio di opposizione allo stato passivo, nel quale il giudice ordinario ha anche il potere di annullare atti dell'autorità amministrativa lesiva di diritti, in deroga all'art. 4 legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E.. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I



Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Vincenzo SALAFIA Presidente
" Antonio SENSALE Consigliere
" Angelo GRIECO "
" Giovanni OLLA "
" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "
ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

S.R.L. SO.V.AL - SOCIETÀ VENDITE ALIMENTARI, in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Carlo Schiavoni, ed elettivamente domiciliata presso lo stesso in Roma, via Lima n. 28 (studio Avv. Giuliano Pelà), giusta procura a margine del ricorso per cassazione.

Ricorrente

contro

CONSEMALMO SOC. COOP. A R.L. - CONSORZIO DELLE COOPERATIVE DELLA RIFORMA FONDIARIA DI PUGLIA, LUCANIA E MOLISE, in liquidazione coatta amministrativa, in persona dei Commissari Liquidatori Dr. Gianfranco Camaggio, Avv. Pietro Cardanobile e Avv. Franco Gagliardi La Gala, rappresentata e difesa dall'Avv. Scipione Scorc ia, elett. dom. in Roma presso la Dr. Proc. Maria Teresa Paoli in Roma, via Pineta Sacchetti n. 470, in virtù di procura a margine del controricorso.

Controricorrente

avverso la sentenza N. 953-91 pronunciata dalla Corte d'Appello di Bari; e depositata in data 22 ottobre 1991;
udita la relazione del consigliere Gian Carlo Bibolini;
sentito l'Avv. Scorcia il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito il P.M. dott. MARIO DELLI PRISCOLI il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
(N.D.R.: La discordanza fra i nomi delle Parti citate nell'intestazione e nel testo della sentenza è nell'originale della sentenza).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione 30 luglio 1986 la s.r.l. SO.V.AL conveniva davanti al Tribunale di Bari il CONSORZIO DELLE COOPERATIVE DELLA RIFORMA FONDIARIA DI PUGLIA-LUCANIA E MOLISE, in sigla CONSEMALMO, di cui chiedeva la condanna all'adempimento di un contratto di esclusiva vendita tra le stesse parti intervenuto, oltre il risarcimento dei danni quantificati il L. 900.000.000 ed al mancato guadagno. L'attrice assumeva di essersi impegnata, in base all'esclusiva di vendita instaurata con il CONSEMALMO a fornire 65.000 quintali di pasta di grano duro alla ditta "La General Chimica G.M.", contratto che essa non era stata in grado di onorare per inadempienza alle forniture della CONSEMALMO, tanto che era stata tratta in giudizio dalla predetta G.M. per una domanda risarcitoria di almeno L. 900.000.000.
Prima dell'udienza di comparizione la SO.V.AL otteneva dal Giudice Istruttore sequestro conservativo fino alla concorrenza di L. 1.600.000.000, sequestro che era eseguito su macchinari ed attrezzature del consorzio, nonché su una fideiussione rilasciata dalla Banca Popolare di Taranto.
Costituitosi in causa, il consorzio convenuto contestava la lite sia in ordine al concesso sequestro, sia nel merito, sostenendo che inadempiente al contratto di fornitura era stata la SO.V.AL, la quale era rimasta debitrice inadempiente per circa 200.000.000 di lire in relazione a forniture ricevute, tanto da indurre il consorzio a chiedere l'adempimento del fideiussore, adempimento che era stato bloccato dalla concessione del sequestro conservativo. Il consorzio, inoltre, proponeva domanda riconvenzionale volta alla condanna della SO.V.AL al pagamento del debito e dei danni, alla revoca del sequestro ed ai danni da responsabilità processuale aggravata, chiedendo anche sequestro conservativo in danno della SO.V.AL. Nel corso del giudizio la SO.V.AL mutava la domanda di adempimento in domanda di risoluzione di contratto per inadempimento. Con decreto in data 2 marzo 1989 il CONSEMALMO era posto in liquidazione coatta amministrativa e la SO.V.AL, prima della dichiarazione di interruzione, riassumeva la causa nei confronti dei liquidatori con citazione 3 luglio 1989, reiterando la domanda di risoluzione e di danni, indicati in L. 5 miliardi, con rivalutazione monetaria.
I liquidatori, costituitisi, eccepivano preliminarmente l'improcedibilità della domanda per difetto sopravvenuto di giurisdizione del giudice ordinario; deducevano, inoltre, l'inefficacia del sequestro ex art. 51 L.F..
Con sentenza 7 febbraio 1990 il Tribunale dichiarava l'inefficacia del sequestro conservativo operato dalla SO.V.AL e l'improcedibilità delle domande di convalida e di merito da essa proposte, disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio. Su appello principale proposto dalla s.r.l. SO.V.AL ed appello incidentale proposto dal CONSEALMO, pronunciava la Corte di Bari con sentenza n. 853-91 rigettando entrambe le impugnazioni. La decisione della Corte del merito sottoponeva a valutazione i seguenti punti:
A) riteneva applicabile al sequestro conservativo nei confronti della cooperativa, successivamente sottoposta alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, la disciplina preclusiva dell'art. 51 L.F., indipendentemente dal fatto che la causa dovesse proseguire sulle domande riconvenzionalmente proposte, per adempimento contrattuale e risarcimento danni, dal consorzio stesso;
B) riteneva improcedibile l'azione stante il carattere necessario del procedimento amministrativo di verificazione dei crediti nella procedura concorsuale sopra indicata.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la s.r.l. SO.V.AL sulla base di tre motivi; si costituiva con controricorso, integrato da memoria, la liquidatela della CONSEALMO.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 )
Con il primo mezzo di cassazione la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 51 e 201 L.F., nonché degli artt. 100, 353 e 354 c.p.c. e dell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.. Il motivo si articola sui seguenti punti:
A) Carenza di motivazione della Corte barese in merito all'affermata improcedibilità del giudizio di convalida e di merito, motivazione che era necessaria in quanto tale sanzione non è prevista esplicitamente dall'art. 51 L.F.. Sostiene in proposito la ricorrente che il giudizio di convalida di sequestro non può ritenersi compreso nella previsione dell'art. 51, pur applicabile alla liquidazione coatta amministrativa in base all'art. 201 L.F., in quanto non concretizzante "azione individuale esecutiva". B) La Corte del merito non ha esaminato se nel caso di specie sussistesse un interesse della SO.V.AL ad ottenere una pronuncia sulla sussistenza dei requisiti per ottenere l'autorizzazione al sequestro conservativo e la sua convalida, interesse nella specie individuabile in presenza di una condanna alle spese nel giudizio di primo grado nonché di una domanda riconvenzionale di danni proposta dalla procedura (sulla quale il Tribunale deve ancora decidere), anche a norma dell'art. 96 c.p.c., sul presupposto dell'inadempienza della SO.V.AL e della mancanza delle condizioni per la concessione del sequestro e per la sua convalida.
La ricorrente non pone in dubbio che essa non aveva interesse alla conversione del sequestro in pignoramento, come affermato dalla Corte d'Appello; sussisterebbe, però, un interesse all'accertamento dei presupposti del sequestro e della convalida ai fini, e nei termini, previsti.
C) Fuori luogo sarebbe, poi, la pronuncia del Tribunale ove afferma che la SO.V.AL, nel prosieguo del giudizio davanti al Tribunale, potrà ancora provare di fronte alla domanda di danni della liquidatela per supposta illegittimità del sequestro, la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi al momento del ricorso per sequestro conservativo, nonché le proprie ragioni di merito, considerando che la Corte aveva giudicato anche in relazione alle spese del giudizio di I grado.
II )
Con il secondo mezzo di cassazione la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 207, 208 e 209 L.F., 1, 5 e 353 c.p.c. nonché dell'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sotto il profilo dell'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., dolendosi del fatto che la Corte del merito abbia ritenuto improcedibile la domanda nei confronti della procedura concorsuale per dare applicazione necessaria al procedimento amministrativo previsto per l'ammissione dei crediti al passivo della liquidazione coatta.
Sostiene, al fine, la ricorrente la non equiparabilità della disciplina del procedimento per la verificazione dei crediti nel fallimento e nella liquidazione coatta. Nel primo caso, infatti, esiste un procedimento di natura giurisdizionale fin dall'origine, iniziato con la domanda del singolo creditore. Nella liquidazione coatta, invece, senza necessità di alcuna domanda, l'ammissione al passivo avviene attraverso l'analisi, da parte degli organi della procedura, delle scritture contabili della società sottoposta a procedura concorsuale. Ne conseguirebbe che in detta procedura l'ammissione al passivo avviene, con modalità amministrative, per i crediti che abbiano un titolo (causa petendi) di cui sia traccia nelle scritture sociali; non, quindi, per i titoli, quali quelli derivanti dall'azione di danni per risoluzione contrattuale, che debbono derivare da una pronuncia giudiziale in situazione controversa.
In tale caso, quindi, non troverebbe applicazione la procedura dell'art. 207 e ss. L.F., con l'inibitoria alla prosecuzione del procedimento giudiziario in atti, ma dovrebbe continuare la causa per risoluzione contrattuale e danni, al fine di acquisire un titolo da insinuare al passivo della liquidazione coatta amministrativa. I due mezzi di cassazione meritano una trattazione unitaria perché, pur ponendo problemi specifici tra di loro distinti, entrambi si articolano su principi comuni attinenti alla natura, alla funzione ed alla disciplina della procedura di liquidazione coatta amministrativa.
La liquidazione coatta amministrativa, coinvolgente le imprese nelle quali (in virtù della loro struttura, della loro dimensione o dell'attività svolta) gli interessi in gioco non sono soltanto quelli privatistici dei soggetti che vi partecipano, ma anche quelli generali della collettività, si esplica eminentemente mediante un'attività coordinata in un procedimento soggettivamente ed oggettivamente amministrativo; un procedimento, peraltro, cadenzato da momenti essenziali e necessari di giurisdizione (l'accertamento dello stato di insolvenza - art. 195 e 202 L.F.; l'accertamento del passivo - art. 209 L.F.; la formazione dello stato di riparto dei contributi dovuti dai soci - art. 211 L.F.; approvazione del bilancio finale di liquidazione e del conto di gestione art. 213 L.F.;
l'approvazione del concordato - art. 214 L.F.). In essa, quindi, si profila una liquidazione amministrativa che, come è stato rilevato in dottrina, si serve del meccanismo processuale della legge fallimentare attraverso una serie di norme espletate sul fallimento, avendo anche esse per oggetto la normale liquidazione del patrimonio del debitore.
La funzione liquidativa del patrimonio, e satisfattiva delle situazioni creditorie concorrenti, analogamente a quanto si verifica nelle altre procedure concorsuali liquidative, è espressione dei due fondamentali e connessi principi del sistema concorsuale; quello dell'universalità oggettiva e quello dell'universalità soggettiva. Universalità oggettiva derivante dal richiamo dell'art. 200 all'art. 42 L.F., dell'art. 201 alle norme del titolo II - capo II - sezione IV - nonché dalla disciplina dell'art. 204 L.F., secondo cui dalla data del provvedimento di messa in liquidazione l'impresa è privata della disponibilità di tutto il suo patrimonio, patrimonio che viene inventariato e preso in consegna dal commissario liquidatore, nonché dallo stesso liquidato per la soddisfazione della massa creditoria, secondo il principio della par condicio creditorum (art. 2741 c.c.). Con l'universalità oggettiva si coordinano poi, l'esperibilità da parte del commissario sia delle azioni in genere di natura patrimoniale (art. 200 comma 2 L.F.), sia l'esperibilità dell'azione revocatoria ordinaria (art. 201 comma 1 con il richiamo dell'art. 66 L.F.) nonché di quella fallimentare (art. 203 comma 2 L.F.), volte alla ricostituzione e conservazione della garanzia patrimoniale generale del debitore e, cioè, dell'intero suo patrimonio. L'universalità soggettiva, inoltre, scandita dal richiamo dell'art. 201 all'art. 52, in base al quale non può sorgere dubbio sulla esclusività del procedimento della formazione del passivo, come regolato dall'art. 209 L.F., nel senso che il creditore concorsuale, può divenire concorrente sul patrimonio inventariato del debitore, solo sottostando alle norme speciali sulla formazione dello stato passivo, nella loro duplice fase amministrativa e giurisdizionale, essendo impedito al singolo sia di ottenere autonoma realizzazione del credito sui beni del debitore che nella totalità sono destinati alla soddisfazione delle situazioni creditorie concorrenti, sia di promuovere o proseguire azioni volte a detta autonoma soddisfazione (ancora il richiamo dell'art. 201 all'art. 51 L.F. contenente il divieto di promozione o prosecuzione di azioni esecutive individuali), sia di costituirsi un titolo per la partecipazione al concorso al di fuori della sede procedurale, in assoluta coerenza con il richiamato principio dell'universalità soggettiva, tipico del sistema concorsuale.
Dalla correlazione dei due principi fondamentali del sistema concorsuale, deriva quindi che il patrimonio del debitore, acquisito ed amministrato dagli organi della procedura ai fini liquidativi, è destinato nella sua totalità alla soddisfazione della massa creditoria concorrente, che tale sia riconosciuta attraverso un procedimento necessitato, ancorché detto procedimento abbia natura, nella sua prima fase, eminentemente amministrativa. In applicazione dei principi richiamati, erronea deve ritenersi la tesi del ricorrente secondo cui sarebbe al di fuori della previsione dell'art. 51 L.F., pur richiamato dall'art. 201 L.F. per la liquidazione coatta amministrativa, la proponibilità o la proseguibilità dell'azione di convalida di sequestro conservativo, ancorché legittimamente proposta prima dell'inizio della procedura concorsuale.
Basti rilevare, al fine, che la funzione del provvedimento cautelare di quel tipo è quella della conservazione di un'entità patrimoniale del debitore alla soddisfazione delle ragioni del creditore, procedente per la convalida e nel merito. Si tratta, nella sostanza, della conservazione, a favore del creditore procedente, della garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740 c.c., secondo la rubrica del libro IV , titolo III , capo V del codice civile, con espressa trattazione nella sezione III. In virtù di detta funzione il sequestro è destinato alla conversione in pignoramento, qualora le ragioni creditorie controverse non trovino spontanea soddisfazione.
All'instaurarsi, peraltro, di una procedura concorsuale retta dai due fondamentali principi richiamati, la funzione conservativa della garanzia patrimoniale viene svolta dalle modalità procedurali speciali in cui si esprime, come sopra richiamato, l'universalità oggettiva, per cui l'azione singolare viene privata della sua funzione specifica; inoltre la finalità conservativa viene sottratta alla tutela singolare del procedente per correlarsi a quella della massa concorrente, integrando la cerniera di congiunzione tra l'universalità oggettiva e quella soggettiva.
In virtù di detta funzione riconoscibile anche alla procedura in esame, l'inammissibilità delle azioni esecutive, o della loro prosecuzione, sui beni del debitore, sanzionata dall'art. 51 L.F. richiamato dall'art. 201 L.F. per la liquidazione coatta amministrativa, si traduce nell'inammissibilità delle azioni cautelari, in virtù del loro carattere strumentale rispetto alle esecuzioni, non diversamente da quanto questa Corte ha deciso in relazione all'applicazione estensiva dell'art. 51 L.F. nel caso di fallimento (Cass. 21 maggio 1983 n. 3518). Da ciò la caducazione del sequestro conservativo da cui deriva l'improcedibilità del giudizio di convalida.
Nè si sostenga l'interesse della ricorrente ad una valutazione sulla fondatezza della proposizione del sequestro conservativo e del giudizio di convalida ai fini delle spese.
Una volta rilevato che l'apertura della procedura concorsuale intervenne nel corso del giudizio di primo grado e che nel corso di quel giudizio si realizzò la riassunzione da parte della SO.V.AL nei confronti degli organi esterni della procedura concorsuale, le spese relative ed anteriori alla riassunzione, se giustificate, assumono il carattere di crediti nei confronti del debitore, da fare valere nelle forme dei crediti concorsuali.
Nè le ragioni della ricorrente hanno maggior fondamento se riferite all'azione di cognizione volta al riconoscimento della vantata situazione creditoria verso il Consorzio, al fine, si dice, di ottenere un titolo esecutivo da fare valere nella procedura concorsuale, titolo che non sarebbe costituibile per i crediti che non trovino nella contabilità del consorzio la loro traccia (quali i crediti per danni), in virtù della natura eminentemente amministrativa dell'accertamento del passivo nella procedura in esame, malgrado il richiamo della disciplina dell'art. 52 L.F. come sopra interpretata nel senso dell'esclusività di detto procedimento anche nella liquidazione coatta amministrativa.
La ricorrente, nell'evidenziare le differenze tra la formazione dello stato passivo nel fallimento e nella liquidazione coatta e, in particolare, la natura giurisdizionale della prima anche nella fase sommaria e quella meramente amministrativa (sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto quello oggettivo) della seconda, non tiene conto dell'incidenza, nel sistema della liquidazione coatta, della fase di giurisdizione che assume la forma dell'opposizione allo stato passivo (art. 209 comma 2 L.F.). Alla inderogabilità della procedura amministrativa di formazione dello stato passivo, corrisponde la necessità, per i creditori le cui situazioni non siano state riconosciute secondo le rispettive pretese ed al fine di evitare la definitività dello stato passivo, di proporre l'opposizione giurisdizionale, la cui specialità è caratterizzata dal potere conferito al giudice ordinario di annullare atti dell'autorità amministrativa lesiva di diritti, in deroga all'art. 4 L. 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E). (Corte Cost. 2 dicembre 1980 n. 155).
Non deve dimenticarsi che, proprio in virtù della tutela giurisdizionale offerta, ancorché differita, dal giudizio di opposizione allo stato passivo, la Corte Costituzionale, con sentenza 22 maggio 1988 n. 181, ha riconosciuto costituzionalmente legittimo il condizionamento dell'azione giudiziaria dei creditori derivante dalla disciplina dell'art. 201, che richiama l'art. 52 e dell'art. 209 L.F., nel periodo corrente dall'apertura della procedura concorsuale al deposito dello stato passivo.
Quindi, contrariamente alla tesi svolta dalla ricorrente, non solo non è richiesta la formazione di un titolo esecutivo di natura giudiziale per i crediti non rientranti nella contabilità sociale della debitrice e non riconosciuti autonomamente dagli organi della procedura, ma essa è preclusa dalla inderogabilità della disciplina concernente l'accertamento dei crediti concorrenti nella liquidazione coatta, ancorché la tutela giurisdizionale in essa sia sottoposta a condizione sospensiva nel corso della subprocedura amministrativa di formazione dello stato passivo.
Esattamente, quindi, la Corte del merito, dando conferma a quella di primo grado, ha considerato legittima la dichiarata improcedibilità della domanda, avendo l'ordinamento sancito il congelamento dell'autonoma tutela di quel diritto in costanza del particolare procedimento concorsuale in atto (Cass. 18 marzo 188 n. 2484).
III )
Con il terzo mezzo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 1453 e ss. c.c. nonché dell'art.354 c.p.c. oltre ad omessa, insufficiente e comunque contraddittoria motivazione sotto il profilo, dell'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., dolendosi del fatto che, di fronte alla prospettata (in appello) inscindibilità delle due domande di risoluzione con addebito reciproco di inadempienza dello stesso contratto, la Corte di Bari abbia ritenuto proseguibile l'azione della liquidatela, a fronte della quale la SO.V.AL avrebbe potuto esperire tutte le proprie difese.
La ricorrente sostiene:
A) la motivazione della Corte barese sul punto è illogica, essendo evidente che le due domande contrapposte non potevano, e non possono, che essere decise unitariamente, essendovi la possibilità, in caso di separazione, di giudicati contrastanti. Ne consegue l'illegittimità della motivazione sul punto.
B) Subordinatamente la Corte avrebbe dovuto decidere, respingendo per mancanza di prova, la domanda della cooperativa. L'inderogabilità della disciplina dell'art. 209 L.F., già sopra affermata, non può subire modifica per ragioni di connessione, soprattutto considerando che la fase giurisdizionale del procedimento di ammissione al passivo di un credito individua una competenza funzionale, per cui, se vis actractiva fosse ipotizzabile, (ma ciò è fuori dal tema della discussione per mancata deduzione) la stessa dovrebbe essere affermata in favore della procedura speciale e non il contrario.
Quanto esposto è sufficiente per il rigetto del ricorso. Il principio di soccombenza regge l'obbligo della rifusione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in L. 210.300, liquidando gli onorari in L. 12.000.000.
Roma 14 aprile 1994.