Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19903 - pubb. 07/06/2018

Violazione del dovere di vigilanza del collegio sindacale e individuazione di specifici comportamenti rilevanti

Cassazione civile, sez. I, 03 Luglio 2017, n. 16314. Est. Fichera.


Collegio sindacale - Responsabilità - Individuazione di singoli comportamenti inadempienti - Necessità - Esclusione - Dovere di segnalare le irregolarità all'assemblea od al P.M. per l'attivazione del procedimento ex art. 2409 c.c. - Configurabilità



In tema di responsabilità degli organi sociali, la configurabilità dell'inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall'art. 2407, comma 2, c.c. non richiede l'individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Pubblico Ministero per consentirgli di provvedere ai sensi dell'art. 2409 c.c. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo - Presidente -

Dott. CRISTIANO Magda - Consigliere -

Dott. LAMORGESE Antonio - Consigliere -

Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere -

Dott. FICHERA Giuseppe - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16291/2011 R.G. proposto da:

La Corte d'appello di Napoli, con sentenza depositata il 30 aprile 2010, ha respinto il gravame proposto da M.G. avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che aveva accolto la domanda di condanna al risarcimento del danno, a seguito di una azione di responsabilità sociale promossa dal curatore del fallimento della (*) s.r.l. nei confronti di tutti i componenti del collegio sindacale della predetta società.

Ha ritenuto la corte d'appello, per quanto qui ancora rileva, che fosse anzitutto infondata l'eccezione di prescrizione dell'azione, sollevata da M.G., trovando applicazione il termine più lungo previsto per il reato di bancarotta preferenziale imputabile, in concorso con l'amministratore della società, ai componenti del collegio sindacale.

Ha poi affermato il giudice di merito che i sindaci dovevano ritenersi responsabili per non avere correttamente vigilato sulla condotta dell'amministratore della società fallita, il quale aveva restituito a taluni soci i pregressi finanziamenti erogati alla società, quando quest'ultima si trovava già in stato di insolvenza.

M.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi; il fallimento della (*) s.r.l. ha depositato controricorso, mentre non hanno spiegato difese il sindaco I.G., nè R.A. e V., quali eredi dell'altro sindaco R.C.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo deduce M.G. la violazione dell'art. 2949 c.c., poichè la corte d'appello ha erroneamente ritenuto applicabile la prescrizione decennale in luogo di quella quinquennale prevista per i rapporti societari, nè potendosi applicare la più lunga prescrizione prevista per il reato di bancarotta preferenziale, trattandosi qui di responsabilità contrattuale e non extracontrattuale.

Con il secondo motivo assume vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), poichè il giudice di merito ha erroneamente individuato il dies a quo della prescrizione, facendola decorrere dal momento in cui si è manifestata l'insufficienza patrimoniale della società e non dal compimento del fatto costituente reato.

Con il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 112, 324 e 329 c.p.c., per avere il giudice d'appello violato il giudicato formatosi in ordine ai fatti individuati come unica fonte di responsabilità sociale in capo ad esso ricorrente dal giudice di primo grado, vale a dire l'omessa verifica della documentazione comprovante l'esistenza di pregressi finanziamenti da parte dei soci della fallita.

Con il quarto motivo rileva vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), poichè la sentenza impugnata ha fondato la responsabilità sociale dei sindaci esclusivamente sul non avere impedito la restituzione dei finanziamenti ai soci da parte dell'amministratore della fallita, nonostante siffatta condotta non abbia in concreto arrecato alcun pregiudizio alla detta società.

2. Il primo e il secondo motivo, avvinti da evidente connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Sono inammissibili nella parte in cui sollevano questioni nuove, non risultando dalla sentenza impugnata che il ricorrente abbia mai contestato l'applicabilità della prescrizione lunga prevista per il reato di bancarotta preferenziale, solo perchè l'azione di responsabilità avanzata dal curatore fallimentare avrebbe natura contrattuale, nè che abbia messo in discussione il dies a quo della prescrizione, decorrente dal momento in cui si è manifestata l'insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i creditori.

Sono comunque infondati laddove il ricorrente assume che l'art. 2947 c.c., comma 3, non trovi applicazione nei casi di responsabilità contrattuale, per l'assorbente considerazione che già le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che tale disposizione va riferita sia al danno da fatto illecito contrattuale che di quello extracontrattuale, purchè sia considerato dalla legge come reato (Cass. s.u. 18/02/1997, n. 1479).

E sono parimenti infondati quando invocano il decorso della prescrizione dal momento in cui sarebbe stato commesso il reato di bancarotta preferenziale, dovendosi ribadire il costante orientamento di questa Corte, a tenore del quale la prescrizione dell'azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori e sindaci di società, ex art. 2394 c.c. - pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell'art. 146 L. Fall. -, decorre dal momento dell'oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall'effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall'insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d'insolvenza di cui all'art. 5 L. Fall., derivante, in primis, dall'impossibilità di ottenere ulteriore credito.

Con il corollario che, in ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull'amministratore o sul sindaco la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa (Cass. 04/12/2015, n. 24715).

Nella vicenda all'esame, al contrario, M.G. non ha neppure allegato quale sarebbe stata la data, precedente a quella accertata dalla corte d'appello, in cui si sarebbe manifestata l'oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i debiti sociali e, dunque, non può dolersi della circostanza che il giudice di merito abbia ancorato, in via residuale, il decorso della prescrizione alla dichiarazione di fallimento della (*) s.r.l.

3. Il terzo e quarto motivo, anch'essi avvinti da connessione, sono entrambi infondati.

Va anzitutto esclusa qualsivoglia violazione di un giudicato formatosi sull'accertamento operato dal giudice di primo grado, per l'assorbente considerazione che il M. ha impugnato tutti i capi della sentenza emessa dal Tribunale, assumendo di non avere responsabilità alcuna per gli addebiti mossi dalla curatela fallimentare e, dunque, ha integralmente devoluto al riesame della corte d'appello i fatti storici oggetto della decisione di primo grado.

E invero, ai sensi dell'art. 342 c.p.c., il giudizio di appello, pur limitato all'esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati, sicchè non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice di secondo grado che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall'appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate, le quali, però, appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi e, come tali, comprese nel thema decidendum del giudizio (Cass. 26/01/2016, n. 1377).

Neppure è dato ravvisare, poi, qualsivoglia vizio di motivazione, avendo la corte d'appello in maniera logica e congruente individuato la fonte di responsabilità dell'odierno ricorrente, nell'omesso controllo da parte del collegio sindacale, sui rimborsi dell'amministratore in favore dei soci per i precedenti finanziamenti erogati, posti in essere quando la società era già in stato di grave sofferenza finanziaria.

Del resto, in tema di responsabilità degli organi sociali delle società di capitali, questa Corte ha già precisato che la configurabilità dell'inosservanza del dovere di vigilanza, imposto ai sindaci dall'art. 2407 c.c., comma 2, non richiede l'individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunziando i fatti al Pubblico Ministero per consentirgli di provvedere ai sensi dell'art. 2409 c.c. (Cass. 13/06/2014, n. 13517).

Ed è esattamente quanto accaduto nella vicenda che ci occupa, dove i sindaci della (*) s.r.l., a fronte dei rimborsi effettuati in favore dei soci, pure in una situazione finanziaria della società ormai prossima all'insolvenza, nulla hanno osservato, omettendo di segnalare all'assemblea la condotta dell'amministratore gravemente lesiva dell'integrità del patrimonio sociale, ovvero di denunciare al tribunale - come pure era loro pacificamente consentito nell'assetto dell'art. 2409 c.c. precedente alla novella introdotta dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 - le irregolarità commesse dall'organo gestorio.

Nè può dubitarsi della "dannosità" del comportamento serbato dall'amministratore attraverso i pagamenti effettuati in via preferenziale a taluni soci, dovendosi qui ribadire il principio, di recente affermato anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, in forza del quale il pagamento preferenziale in una situazione di dissesto può comportare una riduzione del patrimonio sociale in misura anche di molto superiore a quella che si determinerebbe nel rispetto del principio del pari concorso dei creditori. Infatti la destinazione del patrimonio sociale alla garanzia dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura concorsuale, che espone i creditori alla falcidia fallimentare (Cfr. Cass. s.u. 23/01/2017, n. 1641).

4. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, fallimento (*) s.r.l., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 13.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2017.