Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19969 - pubb. 11/01/2018

Responsabilità degli amministratori e dei sindaci, transazione ed applicazione dell'art. 1304 c.c.

Cassazione civile, sez. I, 08 Luglio 2009, n. 16050. Est. Maria Rosaria Cultrera.


Responsabilità - Amministratori e sindaci - Solidarietà - Sussistenza - Transazione conclusa fra un responsabile solidale ed il creditore - Applicabilità dell'art. 1304, primo comma, cod. civ. - Condizioni - Conseguenze



La responsabilità degli amministratori e dei sindaci di società ha natura solidale, ai sensi dell'art. 1292 cod. civ., e tale vincolo sussiste - tanto quando la responsabilità sia contrattuale, quanto ove essa sia extracontrattuale - anche se l'evento dannoso sia collegato da nesso eziologico a più condotte distinte, ciascuna delle quali abbia concorso a determinarlo, restando irrilevante, nel rapporto col danneggiato, la diversa valenza causale. Pertanto, in caso di transazione fra uno dei coobbligati ed il danneggiato, l'art. 1304, primo comma, cod. civ. si applica soltanto se la transazione abbia riguardato l'intero debito solidale, mentre, laddove l'oggetto del negozio transattivo sia limitato alla sola quota del debitore solidale stipulante, la norma resta inapplicabile, così che, per effetto della transazione, il debito solidale viene ridotto dell'importo corrispondente alla quota transatta, producendosi lo scioglimento del vincolo solidale tra lo stipulante e gli altri condebitori, i quali, di conseguenza, rimangono obbligati nei limiti della loro quota. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo - Presidente

Dott. BERNABAI Renato - Consigliere

Dott. CULTRERA Maria Rosaria - rel. Consigliere

Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere

Dott. DIDOMENICO Vincenzo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

 

sentenza

 

Svolgimento del processo

Il curatore del fallimento della società Carlo P. S.p.A., dichiarato con sentenza 9.1.85, propose innanzi al Tribunale di Ferrara azione di responsabilità a mente della L. Fall., art. 146 nei confronti di P.C., S.A. e P.L., ciascuno di essi in proprio e quale erede di P.F., nonchè nei confronti di C.F. già amministratore della società fallita e dei sindaci C.G., L.R. e S.C., chiedendone condanna al risarcimento dei danni pari alla differenza fra il passivo accertato e l'attivo fallimentare.

Nel giudizio di primo grado intervennero le compagnie assicuratrici Toro Assicurazioni S.p.A. ed Assicurazioni generali S.p.A.; tra di esse, il curatore fallimentare ed i sindaci, venne perfezionata conciliazione giudiziale, con pagamento alla curatela della somma di L. 470 milioni.

Il Tribunale accolse la domanda nei confronti degli altri convenuti che condannò in solido al pagamento della somma di L. 5.158.115.798 oltre accessori e spese processuali.

Con la sentenza ora impugnata n. 36 depositata il 12 gennaio 2004, la Corte d'appello di Bologna, in parziale riforma dell'anzidetta decisione, ha confermato la responsabilità di tutti i convenuti, condannando il C.F. al risarcimento del danno limitatamente alla somma di L. 2.307.826.390 pari ad Euro 1.191.892,86.

Contro questa decisione S.A. e P.C. hanno proposto il presente ricorso per cassazione con cinque mezzi non resistiti da alcuno degli intimati.

 

Motivi della decisione

I ricorrenti, denunciando col primo violazione dell'art. 112 c.p.c., ascrivono alla Corte territoriale omessa pronuncia sul motivo d'appello, di cui pur si da atto nella narrativa della sentenza impugnata, con cui si era criticata la decisione del primo giudice sia perchè aveva supinamente condiviso le conclusioni del c.t.u. trascurando gli atti del procedimento penale contro alcuni dei convenuti, sia perchè l'ausiliare non aveva accertato fatti ma espresso valutazioni di carattere giuridico sostituendosi al giudicante. In particolare, la critica all'elaborato del consulente tecnico si era incentrata sulle considerazioni espresse riguardo all'omessa convocazione dell'assemblea a mente dell'art. 2446 c.c., alla rivalutazione dei cespiti immobiliari ex art. 2445 c.c., alla regolarità formale del bilancio 31.12.83.

Il motivo appare infondato.

La decisione impugnata espone la censura e ne illustra la sua reiezione con adeguata motivazione, laddove spiega che la scarna motivazione della prima decisione deve intendersi integrata dalle ragioni esposte, e che non si è ritenuto di dar rilevanza all'accertamento eseguito in sede penale in assenza di perfetta coincidenza dei fatti.

Siffatto tessuto argomentativo, seppur succinto, rende conto della conclusione esposta, nè il motivo censura con necessaria specificità il riferito passaggio logico, avente valore decisivo. I ricorrenti invocano piuttosto ancora una volta la disamina degli atti del procedimento penale, esprimendo la relativa censura con assoluta genericità, senza precisare se si fosse dedotta in sede di merito la coincidenza effettiva soggettiva ed oggettiva tra i due processi, penale e civile, che rappresenta requisito indefettibile per l'efficacia degli accertamenti nell'una sede anche nell'altra.

Col secondo motivo i ricorrenti, deducendo analogo vizio nonchè violazione degli artt. 2907 e 2697 c.c., ascrivono al giudice d'appello d'aver affermato la loro responsabilità in astratto, senza sorreggere la propria conclusione su fatti accertati in concreto, e d'aver peraltro espresso giudizio ex post senza vagliare il materiale probatorio, valorizzando solo le parti dell'elaborato peritale favorevoli alla procedura.

Anche questo motivo è infondato.

La Corte territoriale ha riscontrato tutte la gravi irregolarità nella gestione della società denunciate dal curatore e consistite:

1.- nel non aver gli amministratori assunto l'iniziativa prescritta dall'art. 2446 c.c. Pur in presenza di perdite nette di esercizio emergenti dai bilanci al 31.12.82 ed in particolare da quello chiuso al 31.12.83 che avevano eroso il capitale sociale in misura superiore al terzo, il c.d.a. aveva concluso nella sua relazione, indi approvata dall'assemblea, nel senso che le perdite fossero riportate a nuovo, laddove avrebbe dovuto convocare senza indugio l'assemblea per le necessarie conseguenti iniziative. 2.- nell'aver disposto la rivalutazione del compendio immobiliare, che aveva comportato reintegra del capitale ridotto oltre il terzo in occasione dell'approvazione al 31.12.83, violando l'art. 2445 c.c. 3.- nel non aver riportato nel detto ultimo bilancio passività certe, verificate dal c.t.u., quali il mancato pagamento di contributi INPS e INAIL; 4.- nell'aver fatto ricorso al credito così peggiorando la già compromessa situazione patrimoniale dell'ente, procurando analogo effetto omettendo tanto di procedere a ridimensionamento del personale dipendente che di chiedere il fallimento; 5. - nel non aver dal marzo 1984 pagato più le retribuzioni ai dipendenti; 6. - nell'aver tenuto contabilità irregolare dal luglio 1984.

Tanto accertato in punto di fatto sulla scorta dell'esame dei bilanci, delle prove testimoniali, nonchè della c.t.u. espletata in primo grado, ha addebitato tale condotta a C. e P.L. ed alla S.A. in quanto componenti del c.d.a. In ordine alla posizione del C.F., ha tenuto conto del fatto che egli era subentrato alla S.A. nel c.d.a. dal 30 giugno 1983.

Nel determinare la misura del danno ha tenuto conto del criterio fondato sulla differenza tra attivo fallimentare e passivo accertato, A parte la sua genericità, il motivo in esame indirizza critica contro suddetto tessuto motivazionale che appare esaustivo, puntuale ed immune da vizio logico o errore di diritto. I fatti verificati in sede di merito non sono suscettibili di rilettura in questa sede;

tanto meno è sindacabile l'apprezzamento espresso a loro riguardo nella decisione impugnata, come rilevato, del tutto corretta in chiave motivazionale.

Col terzo motivo, i ricorrenti deducono violazione di legge con riferimento agli artt. 1292, 1304, 2697 e 1965 c.c., e correlato vizio di carente motivazione in relazione all'omesso ricalcolo del titolo di responsabilità, relativo a tutta l'attività di gestione, dunque non circoscritta ai soli amministratori, alla luce della transazione avvenuta in giudizio fra gli assicuratori dei sindaci, questi ultimi ed il curatore fallimentare. Dato l'interesse pubblico che assiste la procedura concorsuale, la riserva apposta alla transazione, erroneamente valorizzata dal giudice d'appello, non aveva rilevanza.

La Corte territoriale ha escluso che la transazione, intervenuta in causa con riguardo alla posizione dei sindaci, potesse spiegare effetto nei confronti degli altri convenuti stante la riserva dei diritti del fallimento nei confronti degli altri obbligati espressa nell'atto al punto 6. Non ha pertanto decurtato dal totale liquidato la somma già percepita a tale titolo.

La censura indirizzata nel motivo in esame contro tale conclusione è fondata.

Gli amministratori, e per quel che rileva gli odierni ricorrenti S.A. e P.C., atteso che la traduzione in moneta della responsabilità solidale loro e dei sindaci debba avere un corpus unico, chiesero di applicare il disposto dell'art. 1292 c.c. siccome la transazione intervenuta in corso di causa, in quanto riferita alla quota interna dei debitori che la conclusero, ha ridotto l'intero debito nella misura corrispondente alla quota transatta.

Siffatta istanza avrebbe meritato accoglimento.

Secondo unanime orientamento esegetico, l'art. 1304 c.c., comma 1 che disciplina gli effetti della transazione intervenuta fra il creditore ed uno dei condebitori solidali si riferisce alla sola ipotesi in cui la transazione abbia riguardato l'intero debito solidale; se l'oggetto del negozio transattivo è invece limitato alla sola quota interna del debitore solidale stipulante, la transazione resta fuori della previsione normativa e riduce l'intero debito dell'importo corrispondente alla quota transatta, producendo conseguente scioglimento del vincolo solidale fra lo stipulante e gli altri condebitori. Il corollario comporta che questi ultimi rimangono obbligati nei limiti della loro quota. (Cass. nn. 8957/90, 7413/91, 2931/99, 8991/2001, 8946/2006, 9369/2006, 7845/2007). Il pagamento della somma corrispondente alla quota transatta giova per l'effetto agli altri coobbligati e li libera quindi nella misura pari al relativo importo ai sensi del disposto dell'art. 1292 c.c.

Che nella specie la responsabilità fra amministratori e sindaci sia solidale è dato indiscusso ed indiscutibile atteso che siffatta responsabilità, sia essa contrattuale e/o extracontrattuale, come nel caso in cui venga invocata nell'esercizio dell'azione prevista dalla L. Fall., art. 146, sussiste anche se l'evento dannoso sia collegato da nesso eziologico a più condotte, seppur distinte, di più soggetti ciascuna delle quali abbia concorso a determinarlo restando irrilevante nel rapporto col danneggiato la diseguale efficienza causale delle singole condotte (Cass. n. 15341/2005).

La decisione impugnata non spende alcun argomento critico in questa chiave; richiama invece acriticamente il precedente di questa Corte n. 4792/1991, espresso in un caso rientrante nella previsione del disposto dell'art. 1304 c.c., cui dichiara di prestare adesione, adattandolo alla fattispecie pur dando conto dell'esatto contrario del postulato in facto della norma in esso richiamata, avendo affermato che la transazione non estinse l'intero debito ma appunto solo quella ricadente sui soli sindaci. Tale evenienza, come si è già premesso, esclude l'operatività dell'ipotesi contemplata dall'art. 1304 c.c., comportando l'immediato scioglimento del vincolo sociale tra i sindaci stipulanti, e gli altri consorti, e la conseguente applicazione del disposto dell'art. 1292 c.c., correttamente invocato dai ricorrenti.

Col quarto motivo i ricorrenti, deducendo ancora vizio d'omessa e contraddittoria motivazione, rilevano che esiste trasmissione ereditaria della qualità d'amministratore, nè il titolo di responsabilità L. Fall., ex art. 146 è trasmissibile jure hereditatis. La censura è evidentemente indirizzata contro il passaggio logico della sentenza impugnata in cui si afferma che la responsabilità per omessa convocazione dell'assemblea ex art. 2446 c.c. ricadeva sul c.d.a. in carica alla data del 31.12.82 costituito dal P.F., P.C. ed S.A.; a P.F., deceduto il (*) erano succeduti C. e P.L. ed S.A. che devono rispondere in solido a titolo ereditario in quanto successori universali. Il tenore di tale affermazione, letta in chiave suggestiva dai ricorrenti, è invece univocamente interpretabile nel senso che, attesa la responsabilità del dante causa, accertata in ragione del fatto riscontrato, gli eredi universali devono rispondere dei danni conseguenti in quanto tali. Il vizio denunciato risulta pertanto insussistente. Del resto la motivazione, letta nel suo complesso, evidenzia ben altro titolo di responsabilità, ascritta ai detti ricorrenti in proprio, in quanto componenti del c.d.a. Col quinto motivo i ricorrenti deducono infine vizio di motivazione circa il criterio di determinazione del danno, liquidato nella differenza tra attivo e passivo, e citano a sostegno precedenti arresti contrari.

Anche questo motivo appare infondato.

La Corte territoriale, pur dando atto dell'inadeguatezza in astratto del menzionato criterio, ne ha nondimeno ritenuto l'applicabilità nella specie "tanto più che uno degli addebiti è costituito dalla sostanziale assenza di scritture contabili", intendendo riferirsi all'assenza di elementi specifici utilizzabili all'uopo. Ciò premesso, ammessa in tesi la pacifica inadeguatezza del suddetto criterio ormai affermata da consolidato orientamento (Cass. nn. 16211/2007, 17033/2008, 9619/09), devesi rilevare che la Corte territoriale non ne ha fatto acritica applicazione; piuttosto, ne ha tenuto conto, apprezzandolo nel merito quale utile parametro di riferimento attesa l'impossibilità di ricostruire i dati contabili ed individuare sulla loro scorta le conseguenze dannose riconducibili agli amministratori. In questa chiave, la valutazione condotta in punto di fatto circa la sua utilizzabilità, demandata esclusivamente al giudice di merito, in quanto sorretta da logica motivazione, non è sindacabile in questa sede.

Tutto ciò premesso, il ricorso merita accoglimento in relazione al motivo accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ad esso. Non essendo necessarie ulteriori indagini istruttorie, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c., condannando gli odierni ricorrenti, e solo essi in quanto in relazione alle posizioni degli altri convenuti si è formato il giudicato, al pagamento in favore del fallimento attore della somma di Euro 2.431.944,10 pari alla differenza tra il totale liquidato in sede di merito (Euro 2.663.944,50 corrispondente alla somma di L. 5.158.115.798) e la somma di Euro 242.033,80, pari a L. 470.000.000 già incassate dalla procedura in adempimento della riferita transazione.

Le spese delle fasi di merito, atteso il parziale accoglimento della domanda, vengono compensate nella misura di 1/3, condannando i convenuti odierni ricorrenti al pagamento del residuo fin 2/3 nella misura già liquidata in sede di merito. Le spese del presente giudizio, atteso l'esito della lite, e la parziale soccombenza dell'intimato, vengono dichiarate irripetibili.

 

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo del ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito condanna gli odierni ricorrenti S.A. e P. C. al pagamento in favore del fallimento Carlo P. S.p.A. della somma di Euro 2.905.978,30. Compensa nella misura di 1/3 le spese processuali liquidandole negli importi già determinati nelle fasi merito, ponendo il residuo 2/3 a carico degli odierni ricorrenti.

Dichiara irripetibili le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2009.