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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20019 - pubb. 11/01/2018.

Azione di responsabilità: impugnazione avverso sentenza di condanna di più debitori in solido e integrazione del contraddittorio


Cassazione civile, sez. I, 09 Marzo 1988, n. 2355. Est. Tilocca.

Azione di responsabilità - Azione contro l'amministratore e congiunta azione contro i componenti di detto collegio - Integrazione del contraddittorio


Nel giudizio d'impugnazione avverso la sentenza di condanna di più debitori in solido, promosso da uno di essi, l'esigenza di integrazione del contraddittorio nei confronti dell'altro, ai sensi ed agli effetti dell'art. 331 cod. proc. civ., insorge, per ragioni di dipendenza di cause, quando le distinte posizioni dei due coobbligati presentino obiettiva interrelazione, alla stregua della loro strutturale subordinazione anche sul piano del diritto sostanziale, sicché la responsabilità dell'uno presupponga la responsabilità dell'altro, come si verifica nel caso della responsabilità del sindaco di una società per "culpa in vigilando" sull'amministratore (art. 2407 cod. civ.), che logicamente e giuridicamente postula quella dell'amministratore stesso (art. 2394 cod. civ.). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati

Dott. Andrea VELA Presidente

" Ernesto TILOCCA Rel. Consigliere

" Michele MAIELLA "

" Luigi CATAMO "

" Vincenzo CARBONE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 17.2.1977 il Tribunale di Milano dichiarava il fallimento della s.p.a. Salumi M..

Il giudice delegato autorizzava il curatore a promuovere azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore unico della società fallita, Elio Malizia, e nei confronti dei componenti del collegio sindacale, Giovanni N., Anna T., Maria Antonia M..

Ottenuto ed eseguito il sequestro conservativo sui beni di tutti costoro, il curatore li conveniva davanti al Tribunale di Milano per la convalida e per la causa di merito.

I convenuti si costituivano contestando le pretese del curatore e chiedendone il rigetto.

I sindaci, inoltre, proponevano, in subordine, domanda di manleva nei confronti del Malizia.

Il Tribunale, con sentenza in data 26 marzo-25 maggio 1981, condannava tutti i convenuti, in solido, al pagamento in favore del fallimento della somma di L. 1.033.823.083, con gli interessi legali, e, convalidava i sequestri.

Proponeva appello il Malizia e all'udienza di comparizione del 19.1.1982 si costituivano i tre sindaci - N., T., M. - dichiarando di proporre appello sia contro la curatela sia, in subordine, contro il Malizia allo scopo di ottenere l'accoglimento della domanda di manleva, sulla quale il Tribunale aveva omesso ogni decisione.

Si costituita pure il curatore del fallimento instando per la conferma della sentenza impugnata.

Con sentenza 13 luglio - 7 ottobre 1983 la Corte di appello di Milano dichiarava inammissibile l'appello proposto dalla T. contro il Fallimento.

Osservava la Corte che il predetto appello doveva ritenersi tardivamente proposto, giacché alla T. la sentenza di primo grado era stata notificata a cura della curatela il 31.7.1981 e giacché nella specie ricorreva la ipotesi dell'art. 332 c.p.c. e non quella prevista dallo art. 331 dello stesso codice.

Con unico atto propongono ricorso per cassazione N. Giancarlo, M. Maria Antonietta e T. Anna, sulla base di due motivi.

Non si sono costituiti né il Fallimento né il Malizia.

 

Motivi della decisione

Con il primo mezzo i ricorrenti deducono "violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 118 c.p.c. in relazione all'art. 2908 c.c. e agli artt. 161, 360, nn. 4 e 5, c.p.c. nonché degli artt. 103, 105, 331 e 332 c.p.c. sempre in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c.".

Essi rilevano che "sebbene dalla motivazione sembrava che le circostanze giustificatrici della decisione fossero riferite a tutti i componenti del collegio sindacale, sia nella parte motiva che nel dispositivo è stato indicato il cognome di uno di essi (T. Anna); le sentenze esprimono la loro efficacia soltanto tra le parti nei cui confronti sono state pronunciate e, quindi, l'esigenza di esatta individuazione appariva, nella specie, assorbente...". "Pertanto, a meno di desumere che non riguardava i componenti del collegio sindacale non menzionati, l'impugnata sentenza deve ritenersi affetta da nullità insanabile.

Con lo steso motivo i ricorrenti censurano "la pronuncia di separazione, assolutamente immotivata, contraria al disposto dell'art. 103 c.p.c. secondo cui tale possibilità sussiste solo quando la continuazione simultanea renderebbe più gravoso il processo mentre, nella specie, nulla sarebbe mutato non soltanto perché la rilevazione del merito pretendeva indagini più approfondite per cui doveva continuare, ma anche perché i componenti del collegio sindacale avevano aderito, con uguale interesse, all'appello proposto dall'amministratore e, quindi, non potevano essere estromessi dal processo e, d'altra parte, vi dovevano partecipare ugualmente per la controversia subordinata, conseguente alla loro domanda nei confronti dell'amministratore (cioé dell'appellante principale), d'essere manlevati da ogni esborso cui fossero condannati che esigeva, inevitabilmente, un unico processo, deciso da un'unica sentenza".

Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano la "violazione e falsa applicazione degli artt. 331, 332, 333, 334 c.p.c. in relazione agli artt. 1302, 1306, 2394, 2407, 2449 c.c. e all'art. 360 n. 5, c.p.c. sostenendo che l'ipotesi di cause inscindibili ricorre anche ogni volta che sia preminente la necessità d'evitare contrasto di giudicato" e nella specie "le cause essendo palesemente in rapporto di continua connessione e dipendenza e trovando presupposti comuni nell'accertamento della responsabilità risarcitoria e dell'entità del danno risarcibile, la impugnazione che investiva i presupposti comuni, da qualunque parte proposta, giovava alle altre, consentendo le impugnazioni incidentali".

"Nella specie, la reciproca dipendenza era anche di natura processuale per la presenza della domanda di manleva e, quindi, l'inscindibilità veniva ulteriormente rafforzata nei successivi gradi di giudizio".

E' opportuno premettere all'esame dei motivi che il ricorso, benché formalmente unico, consta di tre distinte dichiarazioni di impugnazione, ancorché di contenuto identico, quanti sono appunto i ricorrenti.

I ricorsi riferibili a Giancarlo N. e ad Antonia M. devono essere dichiarati inammissibili, mentre quello della Maria Antonia T. va accolto.

Ai fini della motivazione di entrambe le statuizioni si rende necessario l'esame congiunto dei due motivi dedotti, strettamente collegati fra di essi.

La sentenza impugnata ha deciso esclusivamente la controversia vertente fra Anna T. e il Fallimento della società Salumi M., dopo averne disposto, con apposita ordinanza, la separazione dalle altre cause che con essa erano cumulate.

Contrariamente a quanto si afferma nel ricorso, la motivazione ed il dispositivo della sentenza non pongono alcun dubbio che la declaratoria di inammissibilità possa investire altro rapporto processuale inserito nel simultaneus processus, oltre quello suindicato.

Nella motivazione è precisato chiaramente ed univocamente che quella declaratoria non si estende agli appelli proposti avverso la medesima sentenza dagli altri debitori solidali e neppure a quello spiegato dalla stessa T. nei confronti del Malizia in ordine alle domande di manleva da lei formulata in primo grado e pretermessa dal Tribunale, sottolineandosi che "limitatamente a tale domanda" la T. "continuava a partecipare al giudizio di appello".

Il dispositivo, poi, è formulato in modo da non poter determinare alcuna incertezza sull'ambito oggettivo della declaratoria di inammissibilità specificando che veniva dichiarato "inammissibile l'appello della T. contro il fallimento" e dichiarate "compensate tra le stesse parti (T. e Fallimento), per intero, le spese" del grado.

Non essendo state parti nella causa decisa con la predetta sentenza e non essendo, quindi, rimasti soccombenti rispetto alle statuizioni da questa poste, il N. e la M. non hanno interesse tutelato e perciò legittimazione a reagire, ossia a ricorrere per cassazione contro la sentenza medesima.

Occorre aggiungere che la responsabilità verso la società prevista dall'art. 2407 c.c. per l'ipotesi di inadempimento dei sindaci ai loro doveri non grava sul collegio sindacale quale organo della società medesima, ma direttamente e personalmente sui sindaci, sia pure in via solidale fra loro (e con gli amministratori) (Cass. sent. n. 1281 del 1977).

Pertanto le azioni proposte ai sensi della predetta norma contro i componenti del collegio sindacale non danno luogo ad una causa unica ed inscindibile e neppure possano qualificarsi agli effetti dell'art. 331 c.p.c. l'una dipendente dalle altre, per cui, qualora siano state trattate in primo grado in un unico processo, non necessariamente debbono restare unite anche in sede di gravame.

Le dette cause vanno, invece, considerate dipendenti rispetto alla causa proposta contro gli amministratori per la cattiva gestione nello stesso processo e decisa in primo grado con la stessa sentenza, giacché l'accertamento di siffatta cattiva gestione costituisce presupposto necessario ai fini della declaratoria delle responsabilità dei sindaci, seppure questa si fondi su un titolo distinto ed autonomo.

Infatti, se è vero che la responsabilità degli amministratori deriva dalla loro cattiva gestione e quella dei sindaci da omessa vigilanza sui fatti e le omissioni dei primi, non è men vero che l'una e l'altra presuppongono la produzione di un danno per la società, quale effetto appunto di quella gestione (v., ancora, l'art. 2407, II. coma, cit.).

Sicché, essendosi determinato fra le cause contro i sindaci e quelle contro gli amministratori un litisconsorzio processuale in primo grado, esse debbono essere tutte decise unitariamente anche in sede di gravame ai sensi dell'art. 331 c.p.c. e pertanto il gravame proposto dagli amministratori mantiene in vita, nei riguardi dei sindaci, il diritto di impugnazione (art. 334 c.p.c.).

Poiché l'amministratore unico della società, Sergio Malizia, aveva interposto avverso la sentenza di primo grado tempestivo gravame, era consentito alla T. proporre appello incidentale tardivo. Pertanto la sentenza impugnata, dichiarando inammissibile l'appello spiegato dalla T. oltre il termine previsto dall'art. 325 c.p.c., è incorsa in errore di diritto e, quindi, va cassata con rinvio. Anche per la statuizione sulle spese di questa fase, provvederà il Giudice di rinvio, che si designa in altra Sezione della Corte di Appello di Milano.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi proposti da N. e M.. Accoglie, per quanto di ragione, il ricorso proposto dalla T. e cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa, anche per la decisione sulle spese di questa fase, ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano. Così deciso a Roma, nella Camera di Consiglio della I. Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 23.11.1987.

Depositata in cancelleria il 9 marzo 1988.