Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20093 - pubb. 04/07/2018

Dovere del giudice di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione del giudizio

Cassazione civile, sez. II, 14 Maggio 2018, n. 11683. Est. Criscuolo.


Processo civile - Ragionevole durata - Dovere del giudice di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione del giudizio - Inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue



Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall'art. 111 Cost., comma 2 e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti del l'uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall'art. 101 c.p.c., da sostanziali garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111 Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo - Presidente -

Dott. CARRATO Aldo - Consigliere -

Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere -

Dott. ABETE Luigi - Consigliere -

Dott. CRISCUOLO Mauro - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

Svolgimento del processo

La Corte d'Appello di Bologna con sentenza n. 203 del 3/2/2016 ha dichiarato inammissibile l'appello proposto da Z.G. avverso la sentenza del Tribunale di Ferrara con la quale era stata rigettata la domanda avanzata da Z.G. e R. volta ad ottenere l'annullamento del testamento pubblico di P.M.T. del 3 maggio 2006, con la conseguente devoluzione dell'eredità sulla base del precedente testamento olografo, procedendosi pertanto al successivo scioglimento della comunione ereditaria.

Rilevava la Corte distrettuale che la sentenza gravata era stata pubblicata in data 28/3/2011, e notificata all'avv. Marasco, quale difensore degli attori presso la Cancelleria del Tribunale di Ferrara in data 11/5/2011, atteso che il difensore apparteneva ad un circondario diverso da quello del Tribunale di Ferrara, sicchè la notifica dell'appello era intervenuta oltre il termine di trenta giorni decorrente dalla notifica della sentenza.

Osservava la decisione d'appello che in realtà ad eleggere domicilio presso lo studio dell'avv. M. G. Pennetta in Ferrara erano state le parti personalmente, e non anche il difensore, che all'atto della costituzione in giudizio aveva omesso di procedere all'elezione di domicilio come imposto dalla disposizione di cui al R.D. n. 37 del 1934, art. 82.

Rilevava altresì che doveva darsi seguito all'orientamento ormai riaffermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 20845/2007 per il quale l'elezione di domicilio effettuata personalmente dalla parte non può estendersi anche in favore del difensore, dovendosi escludere che l'autenticazione della sottoscrizione della parte possa intendersi come idonea a fare propria anche l'elezione di domicilio fatta da quest'ultima.

Da tanto conseguiva la validità della notifica della sentenza effettuata al difensore dell'appellante presso la Cancelleria del Tribunale di Ferrara con la sua idoneità a far decorrere il termine breve.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Z.G. sulla base di cinque motivi.

D.B.G. ha resistito con controricorso illustrato da memorie ex art. 378 c.p.c..

Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.

 

Motivi della decisione

1. Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità della produzione da parte del ricorrente delle copie delle varie comunicazioni di cancelleria compiute nel corso del giudizio di primo grado, dovendosi escludere l'invocabilità della previsione di cui all'art. 372 c.p.c., in relazione ad atti processuali facenti parte del fascicolo d'ufficio dei precedenti gradi di merito (cfr. Cass. n. 5682/2006).

2. Sempre in via preliminare si rileva che nelle memorie depositate dal ricorrente in prossimità della celebrazione dell'udienza camerale presso la VI Sezione civile, si era dato atto che la notifica del ricorso non era andata a buon fine anche nei confronti di Z.S., originaria parte convenuta rimasta però contumace nei precedenti gradi di merito, sul presupposto del suo avvenuto decesso in data anteriore alla stessa notifica dell'atto di appello.

Orbene, quanto alla necessaria presenza dell'intimato nel presente giudizio, si rileva che il ricorso è relativo all'impugnazione di una sentenza avente ad oggetto un'impugnativa testamentaria, così che si versa in un caso di litisconsorzio necessario, anche nel grado di impugnazione, per cui sarebbe indispensabile l'impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti, con la conseguenza che dovrebbe disporsi, ai sensi dell'art. 331 c.p.c., l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari, a cui il ricorso non è stato in precedenza notificato.

Senonchè, occorre ribadire che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall'art. 111 Cost., comma 2 e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti del l'uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall'art. 101 c.p.c., da sostanziali garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111 Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti (Cass. 17 giugno 2013 n. 15106; Cass. 8 febbraio 2010 n. 2723; Cass., Sez. Un., 3 novembre 2008, n. 26373; Cass., Sez. 3, 7 luglio 2009, n. 15895; Cass., Sez. 3, 19 agosto 2009, n. 18410; Cass., Sez. 3, 23 dicembre 2009, n. 27129).

In applicazione di detto principio, essendo il presente ricorso (per le ragioni che andranno ad esporsi nel prosieguo) prima, facie infondato, appare superflua la fissazione di un termine per l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'altra parte attrice e dei suoi eredi, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell'effettività dei diritti processuali delle parti.

Inoltre, se, come si esporrà in prosieguo,i1 ricorso è infondato, il che implica la conferma della statuizione di inammissibilità dell'appello per la sua tardiva proposizione, si palesa del pari irrilevante la mancata partecipazione dell'intimato al giudizio di appello.

3. Il primo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 170 c.p.c., e del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, comma 2, in quanto si sostiene che deve accedersi all'interpretazione delle norme de quibus nel senso che laddove il procuratore esercente al di fuori del circondario sottoscriva per autenticazione la procura alle liti, nella quale risulti l'elezione di domicilio effettuata dalla parte personalmente, tale elezione debba ritenersi estesa anche al difensore.

Il motivo è palesemente infondato, in quanto mira nella sostanza a riproporre una tesi interpretativa che appare viceversa ormai disattesa dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 20845 del 2007, espressamente chiamata a risolvere il precedente contrasto manifestatosi all'interno della Corte.

Reputa il Collegio che non vi siano valide ragioni per discostarsi dalla soluzione raggiunta dalle Sezioni Unite e che di recente ha trovato conferma anche in altro arresto delle Sezioni Unite (Cass. n. 10143/2012), occorrendo a tal fine richiamare, al fine di giustificare l'adesione all'orientamento sposato anche dai giudici di merito, la considerazione per la quale le regole del processo civile hanno carattere strumentale della tutela dei diritti e la loro interpretazione, rispetto all'evoluzione di questi (ossia delle situazioni sostanziali), deve essere tendenzialmente stabile sicchè la fedeltà ai precedenti (stare decisis), in cui si esprime la funzione nomofilattica di questa Corte, ha una valenza maggiore, così come è in linea di massima giustificato (e tutelabile) l'affidamento che le parti fanno nella stabilità dell'interpretazione giurisprudenziale delle regole del processo (così anche Cass. S.U. n. 10864/2011, che ribadisce che dinanzi a due possibili interpretazioni alternative della norma processuale, ciascuna compatibile con la lettera della legge, le ragioni di economico funzionamento del sistema giudiziario devono indurre l'interprete a preferire quella consolidatasi nel tempo, a meno che il mutamento dell'ambiente processuale o l'emersione di valori prima trascurati non ne giustifichino l'abbandono e consentano, pertanto, l'adozione dell'esegesi da ultimo formatasi).

Alla luce di tali principi non può non rilevarsi che la pronuncia che parte ricorrente invoca a favore della propria tesi (Cass. n. 7196/2009), sibbene successiva all'arresto delle Sezioni Unite del 2007, mostra in realtà di voler fare propria la soluzione di cui alla precedente decisione di questa Corte n. 561/2005, la quale è invece oggetto di disamina critica ad opera della pronuncia delle Sezioni Unite, senza peritarsi di apportare alcuna riflessione critica a quanto invece deciso da questa Corte nella sua più autorevole composizione, dovendosi quindi escludere che si tratti di un meditato tentativo di rivisitazione del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite.

Ne discende quindi l'infondatezza del motivo in esame, avendo la Corte di merito applicato la previsione di cui al R.D. n. 37 del 19354, art. 82, in maniera conforme alla giurisprudenza di questa Corte, quale delineatasi a seguito dell'intervento risolutore del conflitto nel 2007.

4. Il rigetto del primo motivo è poi destinato a riflettersi in termini di infondatezza degli altri motivi di ricorso.

4.1 Con il secondo motivo si denunzia l'abuso del processo con la conseguente violazione dell'art. 2 Cost., art. 6 Cedu, artt. 24 e 111 Cost., artt. 88, 91, 94 e 96 c.p.c., con il terzo si lamenta la violazione dell'art. 6 Cedu, e artt. 2, 24 e 111 Cost., ed infine con il quarto si denunzia la violazione e falsa applicazione dei principi del giusto processo di cui all'art. 111 Cost..

Ed, invero i motivi, la cui intima connessione è evidenziata dallo stesso ricorrente, muovono dall'erroneo presupposto della non conformità a legge della notifica della sentenza effettuata al difensore dell'appellante in primo grado presso la Cancelleria, e non anche presso il domicilio eletto invece dalla parte personalmente.

Giova però rilevare che la scelta dell'odierna controricorrente di effettuare la notifica con le suddette modalità risponde alla corretta applicazione delle norme, in conformità dei principi affermati dalle Sezioni Unite già alcuni anni prima della data della stessa notificazione, sicchè non appare addebitabile alla parte una condotta contraria ai doveri di buona fede processuale per il fatto di aver conformato il proprio comportamento a quella che all'epoca era l'interpretazione della norma come offerta in sede di legittimità.

Nè appare censurabile, come forma di abuso del processo, l'avere proceduto alla notifica della sentenza conformemente a quanto imposto dalle norme di rito, come interpretate dalla giurisprudenza di questa Corte, ancorchè in alcuni precedenti scritti difensivi del giudizio di primo grado la difesa della D.B. avesse erroneamente affermato che l'elezione di domicilio riguardasse avesse anche il difensore del ricorrente, e palesandosi del tutto estranea alla sfera della controparte la decisione del Tribunale di effettuare le comunicazioni dei provvedimenti emessi fuori udienza nel corso del giudizio di primo grado, presso il domiciliatario delle parti, e non anche in cancelleria.

Il richiamo ai principi del giusto processo, della buona fede e dei principi costituzionali e convenzionali espressi dalle norme citate nei motivi appare quindi non pertinente rispetto alla situazione in concreto verificatasi, non potendosi a tal fine trarre argomenti a favore della tesi del ricorrente per l'eventuale errore commesso dal personale di cancelleria del giudice di primo grado che ebbe ad effettuare le comunicazioni presso il domicilio eletto dalle parti personalmente, anzichè, come invece doveroso presso la Cancelleria medesima, in quanto la parte appellante avrebbe dovuto avvedersi già nel corso del giudizio di primo grado che in realtà, e tenuto conto dell'interpretazione giurisprudenziale ormai affermatasi come prevalente, mancava una valida elezione di domicilio del procuratore, tale da legittimare il diritto a pretendere le comunicazioni ovvero le notificazioni presso il domiciliatario, anzichè presso la Cancelleria.

Nè l'errore commesso dalla cancelleria imponeva che anche la controparte dovesse conformare la sua condotta in occasione della notifica della sentenza ad un'erronea applicazione delle norme effettuata dalla prima.

Analogamente, l'eventuale errore commesso anche dal difensore della D.B. nel ritenere, come da indicazioni contenute in alcuni atti difensivi della parte nel giudizio di primo grado, che l'avv. Marasco, difensore degli Z. dinanzi al Tribunale, fosse domiciliata presso lo studio dell'avv. Pennetta in Ferrara, non impediva di potersi appunto avvedere dell'erroneo convincimento, frutto di una non corretta applicazione dell'art. 82 citato, e di poter quindi legittimamente procedere alla notificazione della sentenza presso la cancelleria del giudice di prime cure, con modalità idonee a far decorrere il termine breve per la proposizione dell'appello.

5. Da tali premesse deriva altresì l'infondatezza del quinto motivo di ricorso con il quale si sostiene che la Corte d'Appello avrebbe dovuto, anche in assenza di una richiesta di parte concedere la rimessione in termini, escludendo quindi la decadenza dalla proposizione dell'appello, invocandosi una rimessione fondata in realtà sull'erronea applicazione della norma di cui al R.D. n. 37 del 1934, così come interpretata dalle Sezioni Unite già alcuni anni prima della notificazione della sentenza, risultando quindi carente il requisito della non imputabilità della decadenza.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla per le spese per gli intimati che non hanno svolto attività difensiva.

7. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l'art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 4.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell'art. 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2018.