Diritto della Famiglia e dei Minori


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20444 - pubb. 11/09/2018

Sospensione del giudizio di dichiarazione giudiziale di paternità in pendenza del disconoscimento

Cassazione civile, sez. VI, 03 Luglio 2018, n. 17392. Est. Falabella.


Azioni di stato – Azione di disconoscimento – Azione di dichiarazione della paternità – Contestuale pendenza – Sospensione ex art. 295 c.p.c. – Ammissibilità – Sussiste



L’accertamento con cui viene rimosso (o mantenuto) lo stato di figlio legittimo è pregiudiziale rispetto a quello con cui è rivendicato altra paternità: detto accertamento ha efficacia ultra partes e retroattiva e non può non riverberarsi sul giudizio di accertamento pendente determinando, nel caso di vittorioso esperimento dell’azione di disconoscimento, il definitivo venir meno di quella condizione (di figlio legittimo) che era originariamente ostativa all’accoglimento della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità. Tra le due cause è dato quindi di ravvisare un nesso di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico: ciò in corrispondenza della ratio dell’istituto della sospensione per pregiudizialità, che è quella di evitare il rischio di un conflitto tra giudicati (per tutte: Cass. 16 marzo 2016, n. 5229). Infatti, la nominata sospensione è idonea proprio ad evitare che la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità sia, in ipotesi, accolta laddove, per effetto del rigetto dell’azione di disconoscimento, non potrebbe esserlo: e cioè proprio ad escludere, in una tale ipotesi, pronunce contrastanti. Sul piano dei rapporti tra i due giudizi, va escluso che la rimozione dello status di figlio legittimo costituisca un presupposto processuale della domanda, insuscettibile, come tale, di sopravvenire nel corso del giudizio, e tale da imporre, in conseguenza, una pronuncia di inammissibilità della domanda stessa pur in pendenza del giudizio diretto al disconoscimento della paternità. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


Fatti di causa

1. - Ru.Ma.Gr., figlia di Ru.An. e Ru.Gi. , chiedeva accertarsi che il defunto S.G. era suo padre; conveniva pertanto in giudizio gli eredi del medesimo.

Con successivo atto di citazione la medesima attrice evocava in giudizio la propria madre e le altre due figlie di Ru.An. disconoscendo la paternità di quest’ultimo.

2. - Il Tribunale di Torino, con ordinanza del 19 giugno 2017 disponeva sospendersi il primo giudizio a norma dell’art. 295 c.p.c..

3. Contro tale pronuncia R.G. e S.S. hanno proposto regolamento di competenza. Ru.Ma.Gr. ha depositato memoria. Il pubblico ministero ha rassegnato le proprie conclusioni ex art. 380 ter c.p.c. chiedendo l’accoglimento del ricorso.

 

Ragioni della decisione

1. - Le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 295 c.p.c. e deducono, in sintesi, che il giudizio di disconoscimento della paternità instaurato dalla controparte non possa costituire l’antecedente logico giuridico dell’accertamento della paternità naturale.

2. Occorre anzitutto richiamare l’attenzione sul profilo che ha indotto il Tribunale a ravvisare, nella fattispecie che qui interessa, la pregiudizialità di cui all’art. 295 c.p.c. Il Tribunale ha ritenuto, in proposito, che la paternità possa essere dichiarata giudizialmente nei soli casi in cui è ammesso il riconoscimento e che il riconoscimento del figlio naturale non è ammesso ove esso risulti in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova (artt. 269 e 253 c.p.c.).

Non risulta quindi risolutivo il rinvio ad alcuni precedenti di questa Corte che hanno scrutinato il nesso tra i due giudizi da angolazioni diverse rispetto a quella indicata. Tale considerazione vale per Cass. 9 giugno 2005, n. 12167, secondo cui promosso, a seguito del vittorioso esperimento di azione di disconoscimento di paternità, giudizio di ammissibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale ai sensi dell’art. 274 c.c.., deve escludersi che, rispetto a questo giudizio, abbia carattere pregiudiziale la causa di opposizione di terzo, che il presunto padre naturale abbia intentato contro la sentenza di disconoscimento di paternità, e che, pertanto, sussistano i presupposti, di cui all’art. 295 c.p.c., per la sospensione del giudizio di ammissibilità: tale esclusione del nesso di pregiudizialità è stato nella fattispecie argomentata sulla scorta del rilievo per cui la paternità legittima non può essere messa in discussione e neppure difesa da colui che è indicato come padre naturale: intatti, quest’ultimo - ha spiegato la Corte nella circostanza -, allorché deduca che l’esito (positivo) dell’azione di disconoscimento di paternità si riverbera sull’azione di riconoscimento della paternità intentata nei suoi confronti, si limita in realtà a far valere un pregiudizio di mero fatto, laddove il rimedio contemplato dall’art. 404 c.p.c. presuppone in capo all’opponente un diritto autonomo la cui tutela sia però incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza impugnata. Con detta pronuncia è stato quindi affermato che colui verso cui sia stata proposta l’azione di accertamento della paternità non è titolato a contrastare con l’opposizione di terzo semplice la pronuncia con cui è stata accolta l’azione di disconoscimento della paternità legittima proposta, verso altro soggetto, da colui che si affermi suo figlio: e ciò in quanto il solo oggetto del giudizio di riconoscimento è costituito, per il padre biologico, dal suo diritto ad escludere la paternità naturale ex adverso pretesa, non anche da quello a vedere affermata la paternità disconosciuta nell’altro procedimento. In tal senso, la pronuncia indicata, al pari di Cass. 13 gennaio 2014, n. 487 (che ad essa si richiama, vertendo su analoga fattispecie), non prende specificamente in esame la diversa questione dell’influenza che l’accoglimento della domanda di disconoscimento è idonea a spiegare sul giudizio di dichiarazione giudiziale della paternità avendo riguardo alla condizione posta dal primo comma dell’art. 269 c.c., secondo cui "Ma paternità e la maternità possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso".

Al riguardo, non pare si possa prescindere da due rilievi: quello, sottolineato dal Tribunale, per cui a norma dell’art. 253 c.c. "(i)n nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova"; quello per cui la sentenza che accoglie l’azione di disconoscimento di paternità del figlio concepito durante il matrimonio, avendo natura di pronuncia di accertamento, travolge, con effetti ex tunc ed erga omnes, lo stato di figlio legittimo del disconosciuto (Cass. 3 giugno 1978, n. 2782; sulla efficacia erga omnes, cfr. pure Cass. 16 gennaio 2012, n. 430; Cass. 5 novembre 1997, n. 10838; Cass. 21 gennaio 1985, n. 194).

Proprio in quanto l’accertamento in questione ha efficacia ultra partes e retroattiva, lo stesso non può non riverberarsi sul giudizio di accertamento pendente determinando, nel caso di vittorioso esperimento dell’azione di disconoscimento, il definitivo venir meno di quella condizione (di figlio legittimo) che era originariamente ostativa all’accoglimento della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità.

In tal senso, non sembra contestabile che l’accertamento con cui viene rimosso (o mantenuto) lo stato di figlio legittimo sia pregiudiziale rispetto a quello con cui è rivendicato altra paternità. Tra le due cause è dato infatti di ravvisare un nesso di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico: ciò in corrispondenza della ratio dell’istituto della sospensione per pregiudizialità, che è quella di evitare il rischio di un conflitto tra giudicati (per tutte: Cass. 16 marzo 2016, n. 5229). Infatti, la nominata sospensione è idonea proprio ad evitare che la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità sia, in ipotesi, accolta laddove, per effetto del rigetto dell’azione di disconoscimento, non potrebbe esserlo: e cioè proprio ad escludere, in una tale ipotesi, pronunce contrastanti.

D’altro canto, l’assunto secondo cui la rimozione dello status di figlio legittimo costituirebbe un presupposto processuale della domanda - insuscettibile, come tale, di sopravvenire nel corso del giudizio, e tale da imporre, in conseguenza, una pronuncia di inammissibilità della domanda stessa pur in pendenza del giudizio diretto al disconoscimento della paternità - pare estranea alla previsione legislativa, alla quale più non appartiene quella preventiva delibazione che di contro connotava il giudizio avente ad oggetto la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, per come prevista dall’art. 274 c.c. anteriormente alla pronuncia di incostituzionalità resa da Corte cost. 10 febbraio 2006, n. 50 (e infatti, prima di detto intervento si riteneva comunemente che tra i motivi di improponibilità della domanda che potevano, da soli, risolvere immediatamente la controversia, portando a una declaratoria di inammissibilità, fosse ricompresa la richiesta di riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo o legittimato: cfr. Cass. 19 agosto 1998, n. 8190).

La soluzione interpretativa qui ricusata porterebbe poi a risultati irragionevoli; dovrebbe infatti ritenersi che il giudizio volto alla dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità debba essere sempre dichiarato inammissibile ove, al momento della sua proposizione, non sia stata accolta, con sentenza passata in giudicato, la domanda di disconoscimento: e questo anche se, successivamente all’introduzione di quel giudizio, ma prima della pronuncia che lo definisca, la res juciata in questione si sia formata.

Infine, non costituisce ostacolo alla pronuncia ex art. 295 c.p.c. il fatto che il giudizio pregiudicante intercorra tra soggetti diversi: infatti, il rapporto di pregiudizialità necessaria tra cause pendenti fra soggetti diversi, seppur legate fra loro da pregiudizialità logica, viene escluso in quanto la parte rimasta estranea ad uno di essi potrebbe sempre eccepire l’inopponibilità, nei propri confronti, della relativa decisione (Cass. 11 agosto 2017, n. 20072): ma tale eventualità non si verifica nel caso in esame, in quanto, come si è detto, la sentenza resa in esito al giudizio di disconoscimento ha efficacia erga omes.

3. - In conclusione, il ricorso è respinto.

4. La novità della questione consente la compensazione integrale delle spese di giudizio.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il corso e compensa le spese di giudizio; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.