Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20468 - pubb. 14/09/2018

Il professionista è responsabile dei contributi pubblici persi a causa della sua negligenza

Cassazione civile, sez. III, 19 Luglio 2018, n. 19148. Est. Anna Moscarini.


Risarcimento del danno – Responsabilità professionale – Consulente del lavoro – Tardiva comunicazione di assunzione – Perdita dei contributi regionali – Prova del danno – CTU cd. Percipiente



In materia di responsabilità del professionista, grava sul committente l’onere di provare il danno ed il nesso causale tra la condotta del professionista e il danno medesimo. Non potendosi il giudice limitare a mere congetture, è necessario che, mediante l’ausilio di una CTU, si valuti la corrispondenza tra la somma richiesta a titolo di risarcimento del danno e quella alla quale il committente avrebbe avuto diritto. Nel caso di CTU percipiente, è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga necessaria la disponibilità di specifiche cognizioni tecniche. [Nella fattispecie, la Corte ha confermato la legittimità della condanna di un consulente del lavoro a risarcire all’impresa committente il danno conseguente alla perdita dei contributi regionali causata dalla tardiva comunicazione dell’assunzione di un apprendista, avendo il CTU acclarato che il mancato ottenimento del contributo era dipeso dalla negligenza del consulente.] (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Presidente -

Dott. DI FLORIO Antonella - Consigliere -

Dott. SCRIMA Antonietta - Consigliere -

Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere -

Dott. MOSCARINI Anna - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

 

Svolgimento del processo

Con atto notificato l'11/12/2003 R.S. adì il Tribunale di Catania chiedendo la condanna del rag. P. al pagamento della somma di Euro 100.000 quale risarcimento danni causati dal comportamento tenuto nello svolgimento dell'attività di consulente del lavoro e fiscale in favore dell'azienda di cui il R. era titolare. Dedusse che, a causa del comportamento del P., l'Ispettorato del Lavoro di Catania gli aveva contestato la mancata comunicazione dell'assunzione del Pa. quale apprendista, gli aveva irrogato la sanzione di Euro 568 e che, sempre a causa del comportamento negligente del convenuto, l'impresa aveva perduto il diritto ad ottenere la concessione dei contributi previsti dalla L.R. Sicilia n. 27 del 1994, quantificati in Euro 19.506,77. Il P. si costituì in giudizio contestando la domanda, rappresentò di aver svolto soltanto l'attività di consulenza fiscale per l'azienda mentre la consulenza del lavoro era stata svolta da Rita Pantano che collaborava con il convenuto; affermò che le ritardate comunicazioni di assunzione del rapporto di lavoro costituivano mere irregolarità formali sanzionate in forma pecuniaria; chiese l'autorizzazione alla chiamata in causa della p..

Il Tribunale di Catania condannò il P. a pagare al R. la somma di Euro 568 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo e rigettò le altre domande, compensando in parte le spese del giudizio.

Il R. presentò appello, chiedendo l'ammissione di una CTU in relazione alla perdita del contributo; il P. si costituì resistendo e presentando appello incidentale sulla statuizione relativa alla sanzione pecuniaria di Euro 568. La Corte d'Appello di Catania accolse la domanda di ammissione di una CTU che venne espletata, raggiungendo la conclusione che l'azienda aveva, in astratto, tutti i presupposti per poter accedere all'erogazione dei contributi e, all'esito dell'istruttoria, accolse l'appello principale, condannando il P. a pagare al R. la somma di Euro 13.502,40 oltre interessi, e le spese legali di entrambi i gradi del giudizio. Avverso quest'ultima sentenza il P. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Nessuno svolge attività difensiva per resistere al ricorso.

 

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 342 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui ha ritenuto inammissibile l'appello incidentale perchè aspecifico. Ad avviso del ricorrente le argomentazioni del Tribunale erano state contestate in maniera puntuale sicchè l'inammissibilità per violazione dell'art. 342 c.p.c., non avrebbe dovuto essere pronunciata. La sentenza non sarebbe adeguata alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale l'onere di specificità dei motivi di appello deve ritenersi assolto quando, anche in assenza di una formalistica enunciazione, le argomentazioni contrapposte dall'appellante a quelle esposte nella decisione gravata siano tali da inficiarne il fondamento logico giuridico. (Cass., 3, 18/9/2015 n. 18307).

1.1. Il motivo è infondato. Come si desume dal testo della impugnata sentenza, già il Giudice di primo grado aveva, in modo articolato, motivato sulle ragioni per le quali delle funzioni di consulente del lavoro, pur se delegate dal P. alla P., il solo P. era tenuto a rispondere nei confronti del cliente, stante che il rapporto tra il ragioniere e la consulente del lavoro aveva una rilevanza meramente interna, non opponibile al cliente terzo, come dimostra la circostanza, sottolineata dalla impugnata sentenza, che il rapporto economico era regolato esclusivamente tra il R. ed il P.. La sentenza dà atto che il P. svolgesse nei confronti dell'azienda un'attività di "consulente del lavoro e fiscale", sicchè si ha la controprova che il rapporto interno con la consulente P. non avesse assunto alcun rilievo esterno tale da poter essere opposto al cliente. Non era sufficiente affermare, come svolto dal P. con l'appello incidentale, che la prestazione della P. non potesse essere riguardata quale prestazione svolta in qualità di sostituto o ausiliario del prestatore d'opera incaricato, perchè avente un oggetto del tutto distinto rispetto alla consulenza fiscale, in quanto già la sentenza di primo grado aveva adeguatamente argomentato come l'appellato P. dovesse rispondere dell'attività di consulente del lavoro, ancorchè la medesima fosse stata delegata alla P.. Ribadire che l'attività era stata svolta da un soggetto terzo era censura puramente ripetitiva di quanto già formulato nel primo grado del giudizio e non una censura specifica alla sentenza di appello. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte "il ricorrente non è dispensato dall'onere di specificare (a pena di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell'errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l'onere di specificare nel ricorso le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all'atto di appello ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità"(Cass., 5, n. 22880 del 29/9/2017; Cass., 6-2, n. 21336 del 14/9/2017; Cass., L, n. 7332 del 23/3/2018).

Da quanto precede consegue l'infondatezza del primo motivo di ricorso. 2. Con il secondo motivo ("la violazione e falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., e dell'art. 111 Cost. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Nullità della sentenza in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4") il ricorrente denuncia la statuizione relativa alla sanzione pecuniaria, a suo avviso nulla perchè priva di qualunque supporto motivazionale. In sostanza, dice il ricorrente, la sentenza si basa sulla tesi secondo la quale, a seguito della richiesta di integrazione documentale inoltrata dall'Ispettorato del Lavoro, egli avrebbe dovuto prevedere la successiva erogazione della sanzione pecuniaria.

2.1 n motivo è manifestamente infondato.

Come emerge dalla lettura della impugnata sentenza, la Corte territoriale si è data carico di motivare adeguatamente sul punto, dando atto della conoscenza, in capo al P., della contestazione relativa alla ritardata comunicazione dell'assunzione dell'apprendista. Lo stesso P. aveva inviato, qualificandosi consulente del R., una comunicazione all'Ispettorato del Lavoro di Catania, con la quale si era detto impossibilitato a presentare i libri paga e matricola, compresi quelli relativi al dipendente Federico Pa., in quanto la consulente del lavoro, Rita P., li aveva smarriti e che comunque la stessa aveva effettuato in ritardo la comunicazione di prima assunzione. Dando atto di ciò, la Corte territoriale ha motivato in modo più che adeguato, senza ricorrere neppure a presunzioni, circa la consapevolezza, da parte del P., dell'incombente ingiunzione di una sanzione pecuniaria. Ne consegue la manifesta infondatezza del relativo motivo di ricorso.

3. Con il terzo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 2697, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3) censura la statuizione relativa alla mancanza di prova del nesso eziologico tra l'inadempimento del professionista ed il danno incorso al danneggiato R.: non vi sarebbe certezza circa il fatto che l'istanza volta ad ottenere l'erogazione dei contributi sarebbe stata rigettata a causa dell'inadempimento del P.. Non sarebbe stata in alcun modo provata la responsabilità del professionista nè potrebbe ritenersi che la CTU tenga il luogo della prova fornita dall'onerato, stante l'obbligo, a carico di chi voglia far valere un diritto, di provarne i fatti costitutivi. Secondo il ricorrente una volta che la CTU aveva acclarato il ritardo nella comunicazione relativa all'apprendista Pa., ciò avrebbe dato luogo ad una irregolarità sanzionata con una multa pecuniaria ma non anche alla perdita del contributo, correlato dalla legge soltanto alla violazione degli obblighi formativi gravanti sul datore di lavoro. Ad avviso del ricorrente la sentenza avrebbe, quindi, altresì violato l'art. 2697 c.c., in materia di onere della prova, dichiarando assolto l'onere probatorio da parte dell'attore, laddove, invece, il medesimo risultò illegittimamente esonerato da ogni prova grazie all'ammissione della CTU. La Corte d'Appello avrebbe errato nell'ammettere la CTU in mancanza di prova, da parte dell'attore, del fatto costitutivo del proprio diritto, cioè del nesso eziologico esistente tra la mancata o ritardata istruzione circa l'assunzione di un apprendista e la perdita dei contributi regionali.

3.1 II motivo è manifestamente infondato.

Come affermato da questa Corte proprio nella pronuncia invocata dal ricorrente a sostegno della propria contraria tesi (Cass., 3, n. 6922 del 21/3/2012), in materia di responsabilità del professionista, gravando sul committente l'onere di provare il danno ed il nesso causale tra la condotta del professionista ed il danno medesimo, non potendosi il giudice limitare a mere congetture, è necessario che, mediante l'ausilio di una CTU, si valuti la corrispondenza tra la somma richiesta a titolo di risarcimento del danno e quella alla quale il committente avrebbe eventualmente avuto diritto laddove la domanda di finanziamento fosse stata accolta. Essendo stata disposta una CTU cd. percipiente, è risultato acclarato che il mancato ottenimento del contributo, rappresentante la perdita la cui liquidazione è stata rapportata all'entità dei contributi che sarebbero stati erogati, sia dipeso, in presenza di tutti i requisiti in astratto necessari per ottenere i medesimi benefici, esclusivamente dalla negligenza del consulente del lavoro. Nel caso di specie, trattandosi di dover considerare presupposti giuridici che implicavano anche la conoscenza di elementi tecnici, la CTU fu disposta al fine, non tanto di valutare i fatti accertati o dati per esistenti, quanto di accertare i fatti stessi. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte nel caso di CTU percipiente è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga necessaria la disponibilità di specifiche cognizioni tecniche (Cass., 3, n. 6155 del 13/3/2009; Cass., 3, n. 4792 del 26/2/2013). Soddisfatte le condizioni richieste perchè fosse disposta la consulenza tecnica percipiente, correttamente la Corte territoriale ha argomentato che a nulla rilevasse la mancata prova di un provvedimento di diniego, giacchè quest'ultimo non poteva che essere la naturale conseguenza di quanto accertato dal CTU. Da quanto precede discende l'infondatezza del terzo motivo di ricorso.

4. Con il quarto motivo il ricorrente censura l'impugnata sentenza per violazione degli artt. 190 e 112 c.p.c., art. 24 Cost., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la stessa non ha esaminato le argomentazioni addotte dal P. in comparsa conclusionale perchè articolate al di fuori di un regolare contraddittorio.

Già nella comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale il P. avrebbe articolato tutte le proprie censure sì che la pretesa estraneità di alcuni temi al contraddittorio delle parti semplicemente non sussisterebbe.

4.1 n motivo è inammissibile perchè privo di decisività: quand'anche si giungesse alla conclusione che erroneamente la Corte territoriale abbia erroneamente ritenuto non articolato adeguatamente il contraddittorio su questioni invece ricomprese in esso, non si vede quale decisività potrebbe essere attribuita a detto argomento, non essendo ad esso riconducibile alcun motivo che possa autonomamente inficiare l'impugnata sentenza. Come si desume dalla trattazione dei precedenti motivi la sentenza impugnata è basata su più rationes decidendi che reggono alle avverse censure sicchè, anche in presenza di un motivo in astratto accoglibile, le altre rationes resterebbero immuni da censura, sì da privare di decisività l'eventuale accoglimento del residuo motivo di ricorso.

5. Conclusivamente il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere sulle spese in quanto non è stata svolta alcuna attività difensiva per resistere al ricorso. Sussistono i presupposti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; non occorre provvedere sulle spese non essendo stata svolta alcuna attività difensiva da parte resistente. Si dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 20 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2018.