Persone e Misure di Protezione


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20569 - pubb. 04/10/2018

Impugnazione del provvedimento e sospensione dell’esecuzione

Corte Giustizia UE, 27 Settembre 2018. Est. Silva De Lapuerta.


Rinvio pregiudiziale – Procedimento pregiudiziale d’urgenza – Articolo 99 del regolamento di procedura della Corte – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46 – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 18, articolo 19, paragrafo 2, e articolo 47 – Diritto a un ricorso effettivo – Decisione che respinge una domanda di protezione internazionale – Normativa nazionale che prevede un secondo grado di giudizio – Effetto sospensivo automatico limitato al ricorso di primo grado



Il diritto dell’Unione, in particolare le disposizioni della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, lette alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dev’essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale prevede un procedimento di impugnazione contro un provvedimento giurisdizionale di primo grado che conferma la decisione della competente autorità amministrativa di respingere una domanda di protezione internazionale, senza dotare tale impugnazione di effetto sospensivo automatico, ma che consente al giudice che ha emesso tale provvedimento di disporre, su istanza dell’interessato, la sospensione della sua esecuzione, previa valutazione della fondatezza dei motivi dedotti nell’impugnazione contro tale provvedimento e non della sussistenza di un rischio di danno grave e irreparabile che la sua esecuzione causerebbe al richiedente.


 


ORDINANZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

 27 settembre 2018 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Procedimento pregiudiziale d’urgenza – Articolo 99 del regolamento di procedura della Corte – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46 – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 18, articolo 19, paragrafo 2, e articolo 47 – Diritto a un ricorso effettivo – Decisione che respinge una domanda di protezione internazionale – Normativa nazionale che prevede un secondo grado di giudizio – Effetto sospensivo automatico limitato al ricorso di primo grado»

 

Nella causa C 422/18 PPU,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale di Milano (Italia), con ordinanza del 9 maggio 2018, pervenuta in cancelleria il 28 giugno 2018, nel procedimento

FR

contro

Ministero dell’Interno – Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale presso la Prefettura U.T.G. di Milano,

in presenza di:

Pubblico Ministero,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da R. Silva de Lapuerta (relatore), presidente di sezione, J. C. Bonichot, A. Arabadjiev, S. Rodin ed E. Regan, giudici,

avvocato generale: E. Sharpston

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la domanda del giudice del rinvio del 9 maggio 2018, pervenuta alla Corte il 28 giugno 2018, di applicare al rinvio pregiudiziale il procedimento d’urgenza, conformemente all’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte,

vista la decisione della Prima Sezione dell’11 luglio 2018 di accogliere detta domanda,

ha emesso la seguente

Ordinanza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), lette alla luce dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra FR, cittadino di uno Stato terzo, e il Ministero dell’Interno – Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale presso la Prefettura U.T.G. di Milano (Italia) (in prosieguo: la «commissione territoriale»), in merito al rigetto della sua domanda di protezione internazionale.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3 Il considerando 12 della direttiva 2013/32 enuncia quanto segue:

«(12) Obiettivo principale della presente direttiva è sviluppare ulteriormente le norme relative alle procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale, così da istituire una procedura comune di asilo nell’Unione».

4 L’articolo 22, paragrafo 1, di tale direttiva così dispone:

«Ai richiedenti è data la possibilità di consultare, a loro spese, in maniera effettiva un avvocato o altro consulente legale, ammesso o autorizzato a norma del diritto nazionale, sugli aspetti relativi alla domanda di protezione internazionale, in ciascuna fase della procedura, anche in caso di decisione negativa».

5 L’articolo 46 di tale direttiva, intitolato «Diritto a un ricorso effettivo», prevede quanto segue:

«1. Gli Stati membri dispongono che il richiedente abbia diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi:

a) la decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, compresa la decisione:

i) di ritenere la domanda infondata in relazione allo status di rifugiato e/o allo status di protezione sussidiaria;

(...)

3. Per conformarsi al paragrafo 1 gli Stati membri assicurano che un ricorso effettivo preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9)], quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado.

(...)

5. Fatto salvo il paragrafo 6, gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso.

6. Qualora sia stata adottata una decisione:

a) di ritenere una domanda manifestamente infondata conformemente all’articolo 32, paragrafo 2, o infondata dopo l’esame conformemente all’articolo 31, paragrafo 8, a eccezione dei casi in cui tali decisioni si basano sulle circostanze di cui all’articolo 31, paragrafo 8, lettera h);

b) di ritenere inammissibile una domanda a norma dell’articolo 33, paragrafo 2, lettere a), b) o d);

c) di respingere la riapertura del caso del richiedente, sospeso ai sensi dell’articolo 28; o

d) di non esaminare o di non esaminare esaurientemente la domanda ai sensi dell’articolo 39, un giudice è competente a decidere, su istanza del richiedente o d’ufficio, se autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro, se tale decisione mira a far cessare il diritto del richiedente di rimanere nello Stato membro e (...) ove il diritto nazionale non preveda in simili casi il diritto di rimanere nello Stato membro in attesa dell’esito del ricorso.

(...)».

Diritto italiano

6 Come emerge dall’ordinanza di rinvio, il diritto italiano prevede, in materia di protezione internazionale, che le decisioni che respingono le domande di protezione internazionale siano adottate a seguito di un esame delle domande da parte dell’organo amministrativo competente in formazione collegiale, e siano impugnabili in sede giurisdizionale.

7 L’articolo 19 del decreto legislativo del 1° settembre 2011, n. 150 – Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (GURI n. 220, del 21 settembre 2011), come modificato dal decreto legislativo del 18 agosto 2015, n. 142 – Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GURI n. 214, del 15 settembre 2015), prevedeva che le decisioni della commissione territoriale fossero impugnabili dinanzi al Tribunale di primo grado territorialmente competente, i cui provvedimenti potevano a loro volta essere oggetto di appello. Ai sensi del suddetto articolo 19, le pronunce della Corte d’appello potevano successivamente essere impugnate dinanzi alla Corte suprema di cassazione. Inoltre, il giudice del rinvio espone che la presentazione di un ricorso contro una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale sospendeva, in linea di principio, gli effetti di tale decisione fino alla pronuncia della sentenza della Corte suprema di cassazione.

8 Come risulta dall’ordinanza di rinvio, questo sistema di ricorso è stato modificato dal decreto legge del 17 febbraio 2017, n. 13 – Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale (GURI n. 40, del 17 febbraio 2017), convertito in legge, con modifiche, dalla legge del 13 aprile 2017, n. 46, che ha, in particolare, abolito l’impugnazione dinanzi alla Corte d’appello.

9 Il giudice del rinvio indica che dall’articolo 35 bis del decreto legislativo del 25 gennaio 2008, n. 25 – Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GURI n. 40, del 16 febbraio 2008), come modificato dal suddetto decreto legge del 17 febbraio 2017, n. 13 (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 25/2008»), discende che le decisioni della commissione territoriale possono attualmente essere impugnate dinanzi al Tribunale di primo grado territorialmente competente, sotto il controllo del giudice di cassazione. All’esercizio del ricorso di primo grado si accompagna tuttora il mantenimento dell’effetto sospensivo dell’esecuzione della decisione impugnata. Il menzionato articolo 35-bis dispone altresì che la proposizione di un ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale che confermi una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale non ne sospende più l’efficacia esecutiva. Tuttavia, entro il termine di cinque giorni dal deposito del ricorso per cassazione, il ricorrente può chiedere al giudice che ha emesso tale decreto la sospensione della sua efficacia esecutiva. Se il giudice adito ritiene che i motivi dedotti dal richiedente siano fondati, può allora disporre la sospensione dell’efficacia del suddetto decreto e, pertanto, anche quella dell’esecuzione della decisione amministrativa originariamente impugnata.

10 Il giudice del rinvio precisa, infine, che il codice di procedura civile contiene due disposizioni, ossia gli articoli 283 e 373, che disciplinano la sospensione delle decisioni giudiziarie immediatamente esecutive.

11 L’articolo 283 del codice di procedura civile, che riguarda la sospensione dell’efficacia della sentenza di primo grado che sia stata appellata, stabilisce che il giudice d’appello, su istanza di parte proposta con l’impugnazione principale o con quella incidentale, quando sussistono gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione di tale sentenza, con o senza cauzione.

12 L’articolo 373 del codice di procedura civile, relativo alla sospensione dell’efficacia di una decisione giudiziaria impugnata dinanzi alla Corte suprema di cassazione, dispone che il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione di tale decisione. Tuttavia, il giudice che ha pronunciato detta decisione può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione.

Procedimento principale e questione pregiudiziale

13 FR, cittadino nigeriano, è giunto in territorio italiano il 25 dicembre 2015 e ha immediatamente presentato domanda di asilo. A sostegno della sua domanda, FR ha affermato di essere stato costretto ad abbandonare la Nigeria in quanto le autorità nazionali avevano scoperto che egli intratteneva una relazione omosessuale, e di rischiare, in applicazione della normativa nigeriana, di essere arrestato e sottoposto a pena detentiva.

14 La commissione territoriale ha proceduto all’audizione di FR il 13 luglio 2017 e, con decisione notificatagli il 18 agosto 2017, ha respinto la sua domanda.

15 Il 15 settembre 2017 FR ha proposto ricorso contro detta decisione dinanzi al Tribunale di Milano (Italia), ricorso respinto il 5 marzo 2018 con la motivazione che FR non soddisfaceva i presupposti per poter beneficiare della protezione internazionale.

16 Il 4 aprile 2018 FR, da un lato, ha proposto ricorso dinanzi alla Corte suprema di cassazione avverso il decreto del Tribunale di Milano del 5 marzo 2018, e, dall’altro, ha presentato a quest’ultimo un’istanza di sospensiva dell’esecutività di tale decreto. A sostegno di quest’ultima istanza FR deduce, in primo luogo, che nel suo paese di origine egli corre un pericolo concreto ed attuale; in secondo luogo, che, in caso di espulsione dal territorio italiano, non potrebbe partecipare al procedimento dinanzi alla Corte di Cassazione e, in terzo e ultimo luogo, che, se non venisse disposta la sospensione del decreto impugnato, egli rischierebbe di essere oggetto di una decisione di espulsione, dato che le autorità italiane non possono rinnovare il suo permesso di soggiorno.

17 Il giudice del rinvio rileva che il diritto dell’Unione non impone l’esistenza di un doppio grado di giudizio contro le decisioni di rigetto delle domande di protezione internazionale, dato che questa materia rientra nell’ambito dell’autonomia procedurale degli Stati membri, fatti salvi i principi di effettività e di equivalenza. Tuttavia, esso nutre dubbi circa la compatibilità con il diritto dell’Unione di una disposizione nazionale, quale l’articolo 35 bis del decreto legislativo n. 25/2008, discusso nel procedimento principale, che non prevede un effetto sospensivo automatico nei procedimenti di ricorso dinanzi alla Corte suprema di cassazione avverso i provvedimenti pronunciati da un giudice di primo grado. Esso si chiede se il sistema dei mezzi di ricorso contro le decisioni di rigetto delle domande di protezione internazionale non violi il diritto a un ricorso effettivo e quello a un giudice imparziale, nonché il principio di equivalenza.

18 Il giudice del rinvio ritiene che il diritto all’assistenza e alla rappresentanza legali in ogni fase del procedimento, previsto all’articolo 22 della direttiva 2013/32, nonché il diritto dei richiedenti protezione internazionale, sancito dall’articolo 46, paragrafo 5, di detta direttiva, di rimanere nel territorio dello Stato membro in cui hanno depositato la domanda fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo contro le decisioni relative a tale domanda, sono conferiti ai richiedenti protezione internazionale al fine, in particolare, di consentire loro di esercitare i propri diritti di difesa e, in tal modo, di contribuire a un esame completo ed ex nunc dei loro ricorsi da parte dell’autorità giudiziaria. Il Tribunale di Milano rileva tuttavia che, dal momento che il ricorso per cassazione proposto da FR contro il decreto che ha confermato la decisione di respingere la domanda di protezione internazionale di tale cittadino di Stato terzo non ha effetto sospensivo automatico, FR può essere oggetto di un provvedimento di espulsione prima della fine del giudizio di cassazione.

19 Inoltre, il giudice del rinvio illustra i due regimi di diritto comune in materia di sospensione dell’efficacia esecutiva di una decisione giurisdizionale. Da un lato, l’articolo 283 del codice di procedura civile stabilisce che il giudice d’appello è competente a disporre, sulla base della sussistenza di «gravi e fondati motivi», la sospensione degli effetti di una sentenza di primo grado che sia stata appellata. Dall’altro, l’articolo 373 del codice di procedura civile prevede che il giudice che ha pronunciato la decisione giurisdizionale impugnata per cassazione sia competente a disporre, sulla base della sussistenza non già di «gravi e fondati motivi», ma di un rischio di «grave e irreparabile danno» che possa derivare dall’esecuzione di tale decisione, la sospensione degli effetti della medesima.

20 In materia di protezione internazionale, l’articolo 35 bis, comma 13, del decreto legislativo n. 25/2008 prevede una norma specifica secondo la quale il tribunale di primo grado che ha emesso il decreto impugnato per cassazione è competente a disporre la sospensione del medesimo sulla base della sussistenza non già di un rischio di «grave e irreparabile danno» che possa derivare dall’esecuzione di tale decreto, ma di «fondati motivi» del ricorso per cassazione.

21 Il giudice del rinvio rileva, a quest’ultimo riguardo, che sulla base di tale norma specifica gli organi giurisdizionali competenti esaminano le istanze di sospensione dell’efficacia esecutiva delle proprie decisioni procedendo a una valutazione sommaria della fondatezza dei motivi dei ricorsi per cassazione diretti contro le loro decisioni, senza valutare l’eventuale esistenza di un danno grave e irreparabile che sarebbe cagionato al ricorrente dall’esecuzione di tali decisioni di diniego della protezione internazionale.

22 Alla luce di tali circostanze, il Tribunale di Milano ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il principio di leale collaborazione ed i principi di equivalenza ed effettività della tutela giurisdizionale, di cui agli artt. 4, par. 3 e 19, par. 1, TUE, l’articolo 47, commi 1 e 2 della [Carta], nonché la direttiva [2013/32] (in particolare, artt. 22 e 46) debbano essere interpretati nel senso che:

a) il diritto dell’Unione europea impone che il mezzo di impugnazione, ove il diritto nazionale lo preveda per le procedure vertenti sul rigetto di una domanda di riconoscimento di protezione internazionale abbia automaticamente effetto sospensivo;

b) essi ostano ad una procedura come quella italiana (art. 35 bis, comma 13, del [decreto legislativo n. 25/2008]) in cui all’autorità giudiziaria adita dal richiedente asilo – la cui domanda sia stata respinta dall’Autorità amministrativa incaricata di esaminare le richieste di asilo e dal Tribunale di primo grado – è consentito di rigettare l’istanza di sospensione della decisione negativa, considerando esclusivamente la fondatezza dei motivi di ricorso avverso la decisione, emessa dallo stesso giudice chiamato a decidere la sospensiva e non il pericolo di un grave ed irreparabile danno».

Sul procedimento d’urgenza

23 Il giudice del rinvio ha chiesto di sottoporre il presente rinvio pregiudiziale al procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto all’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte.

24 A sostegno di tale domanda, il giudice del rinvio fa essenzialmente valere che il ricorrente nel procedimento principale è tenuto ad abbandonare immediatamente il territorio italiano e può essere espulso in qualsiasi momento verso la Nigeria, dove sarebbe esposto a un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.

25 In tali circostanze, il giudice del rinvio sottolinea che la risposta della Corte alle questioni sollevate può avere un’influenza determinante sulla questione relativa alla possibilità, per il ricorrente nel procedimento principale, di rimanere nel territorio italiano in attesa dell’esito del ricorso da lui proposto dinanzi alla Corte suprema di cassazione.

26 A tale riguardo, si deve rilevare, in primo luogo, che la domanda di pronuncia pregiudiziale in esame – che verte, in particolare, sull’interpretazione della direttiva 2013/32 – solleva questioni che rientrano nei settori contemplati dal titolo V della terza parte del Trattato FUE, relativo allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Ad essa può pertanto applicarsi il procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto all’articolo 23 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e all’articolo 107 del suo regolamento di procedura.

27 In secondo luogo, non può escludersi la possibilità che il ricorrente nel procedimento principale sia espulso verso la Nigeria prima della conclusione di un procedimento pregiudiziale ordinario nella presente causa (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2017, C.K. e a., C 578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 50).

28 In considerazione di quanto precede, l’11 luglio 2018 la Prima Sezione della Corte ha deciso, su proposta del giudice relatore e sentito l’avvocato generale, di accogliere la domanda del giudice del rinvio di sottoporre il presente rinvio pregiudiziale al procedimento pregiudiziale d’urgenza.

Sulla questione pregiudiziale

29 Ai sensi dell’articolo 99 del regolamento di procedura, quando una questione pregiudiziale è identica a una questione sulla quale la Corte ha già statuito, quando la risposta a tale questione può essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza o quando la risposta alla questione pregiudiziale non dà adito a nessun ragionevole dubbio, la Corte, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata.

30 La citata disposizione trova applicazione nel presente procedimento di rinvio pregiudiziale.

31 Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione, in particolare le disposizioni della direttiva 2013/32, lette alla luce dell’articolo 47 della Carta, debba essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale prevede un procedimento di impugnazione contro un provvedimento giurisdizionale di primo grado che conferma la decisione della competente autorità amministrativa di respingere una domanda di protezione internazionale, senza dotare tale impugnazione di effetto sospensivo automatico, ma che consente al giudice che ha emesso tale provvedimento di disporre, su istanza dell’interessato, la sospensione della sua esecuzione, previa valutazione della fondatezza dei motivi dedotti nell’impugnazione contro tale provvedimento e non della sussistenza di un rischio di danno grave e irreparabile che la sua esecuzione causerebbe al richiedente.

32 A tale riguardo, la Corte ha già avuto occasione di dichiarare che, sebbene le disposizioni della direttiva 2013/32 impongano agli Stati membri di prevedere un diritto a un ricorso effettivo contro le decisioni di rigetto di una domanda di protezione internazionale, nessuna di queste disposizioni stabilisce che gli Stati membri riconoscano, ai richiedenti protezione internazionale il cui ricorso di primo grado contro la decisione di rigetto della loro domanda sia stato respinto, il diritto di proporre appello né, a maggior ragione, che l’esercizio di un diritto siffatto si accompagni a un effetto sospensivo automatico [sentenza del 26 settembre 2018, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (effetto sospensivo dell’appello), C 180/17, EU:C:2018:775, punto 23].

33 Obblighi siffatti non possono nemmeno essere dedotti dalla struttura generale e dalla finalità della direttiva 2013/32, il cui obiettivo consiste – come emerge dal suo considerando 12 – anzitutto nello sviluppare ulteriormente le norme relative alle procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale, così da istituire una procedura comune di asilo nell’Unione. Per contro, dai considerando di tale direttiva non emerge affatto che essa sia volta a obbligare gli Stati membri a introdurre un secondo grado di giudizio [sentenza del 26 settembre 2018, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (effetto sospensivo dell’appello), C 180/17, EU:C:2018:775, punto 24].

34 Peraltro, l’obbligo di effettività del ricorso si riferisce espressamente, come risulta dall’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, ai «procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado». Tale obbligo, richiedendo l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto, si riferisce unicamente allo svolgimento del procedimento giurisdizionale di primo grado. Di conseguenza, tale obbligo non può, alla luce dell’obiettivo di detta direttiva, essere interpretato nel senso che impone agli Stati membri di istituire un secondo grado di giudizio, né di prevedere una determinata modalità di svolgimento del medesimo [sentenza del 26 settembre 2018, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (effetto sospensivo dell’appello), C 180/17, EU:C:2018:775, punto 25].

35 Pertanto, sebbene, come confermato dai termini «quanto meno» che figurano all’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, il diritto dell’Unione non precluda la possibilità che uno Stato membro preveda un secondo grado di giudizio per l’esame dei ricorsi proposti contro le decisioni di rigetto di una domanda di protezione internazionale, tale direttiva non contiene alcuna disposizione relativa all’introduzione e all’organizzazione di un tale grado di giudizio. Infatti, né dai termini, né dal sistema o dalla finalità della direttiva 2013/32 emerge che, qualora uno Stato membro preveda un secondo grado di giudizio contro una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale, il procedimento di appello da esso istituito debba necessariamente conferire effetto sospensivo automatico al ricorso proposto dal richiedente [sentenza del 26 settembre 2018, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (effetto sospensivo dell’appello), C 180/17, EU:C:2018:775, punto 26].

36 Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte emerge che l’articolo 47 della Carta, letto alla luce delle garanzie sancite dall’articolo 18 e dall’articolo 19, paragrafo 2, di quest’ultima, non impone l’esistenza di un doppio grado di giudizio. L’essenziale, infatti, è unicamente che sia possibile esperire un ricorso dinanzi a un’autorità giurisdizionale [sentenze del 19 giugno 2018, Gnandi, C 181/16, EU:C:2018:465, punto 57, e del 26 settembre 2018, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (effetto sospensivo dell’appello), C 180/17, EU:C:2018:775, punto 30].

37 Ne consegue che la tutela conferita dalle disposizioni della direttiva 2013/32, lette alla luce dell’articolo 18 e dell’articolo 19, paragrafo 2, nonché dell’articolo 47 della Carta, a un richiedente protezione internazionale avverso una decisione che respinge una domanda di protezione internazionale si limita all’esistenza di un mezzo di ricorso giurisdizionale [v., in tal senso, sentenza del 26 settembre 2018, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (effetto sospensivo dell’appello), C 180/17, EU:C:2018:775, punto 33].

38 Ciò considerato, l’introduzione di un ricorso per cassazione contro le decisioni di rigetto di una domanda di protezione internazionale e la scelta di dotarlo, se del caso, di effetto sospensivo automatico rientra, in mancanza di norme fissate dal diritto dell’Unione, nell’ambito dell’autonomia procedurale degli Stati membri, fatto salvo il rispetto dei principi di effettività e di equivalenza [v., in tal senso, sentenza del 26 settembre 2018, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (effetto sospensivo dell’appello), C 180/17, EU:C:2018:775, punto 34 e giurisprudenza ivi citata].

39 Lo stesso vale per quanto riguarda l’introduzione di altre modalità procedurali come un procedimento cautelare diretto a sospendere l’esecuzione della decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale.

40 A tale riguardo, da giurisprudenza costante della Corte emerge che le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di diritto interno (principio di equivalenza), né devono rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) [sentenza del 26 settembre 2018, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (effetto sospensivo dell’appello), C 180/17, EU:C:2018:775, punto 35 e giurisprudenza ivi citata].

41 Il rispetto degli obblighi derivanti dai principi di equivalenza e di effettività dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo delle norme di cui trattasi nell’insieme del procedimento, dello svolgimento dello stesso e delle peculiarità di tali norme, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali [sentenza del 26 settembre 2018, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (effetto sospensivo dell’appello), C 180/17, EU:C:2018:775, punto 36 e giurisprudenza ivi citata].

42 Per quanto riguarda il principio di equivalenza, emerge dalla giurisprudenza della Corte che il suo rispetto richiede un pari trattamento dei ricorsi basati su una violazione del diritto nazionale e di quelli, analoghi, basati su una violazione del diritto dell’Unione, ma non l’equivalenza delle norme processuali nazionali applicabili a contenziosi aventi diversa natura [sentenza del 26 settembre 2018, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (effetto sospensivo dell’appello), C 180/17, EU:C:2018:775, punto 37 e giurisprudenza ivi citata].

43 Occorre quindi, da un lato, identificare le procedure o i ricorsi comparabili e, dall’altro, determinare se essi siano trattati in modo più favorevole dei ricorsi aventi ad oggetto la tutela dei diritti conferiti ai singoli dal diritto dell’Unione [sentenza del 26 settembre 2018, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (effetto sospensivo dell’appello), C 180/17, EU:C:2018:775, punto 38 e giurisprudenza ivi citata].

44 Per quanto riguarda la comparabilità dei ricorsi, spetta al giudice nazionale, che dispone di una conoscenza diretta delle modalità processuali applicabili, verificare la somiglianza tra i ricorsi di cui trattasi quanto a oggetto, causa ed elementi essenziali [sentenza del 26 settembre 2018, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (effetto sospensivo dell’appello), C 180/17, EU:C:2018:775, punto 39 e giurisprudenza ivi citata].

45 Per quanto riguarda il principio di effettività, si deve constatare che esso non determina, nel caso di specie, obblighi che vadano al di là di quelli derivanti dai diritti fondamentali, in particolare del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, garantiti dalla Carta. Orbene, dato che, come risulta dal punto 36 della presente sentenza, l’articolo 47 della Carta, letto alla luce delle garanzie contenute all’articolo 18 e all’articolo 19, paragrafo 2, della medesima, impone soltanto che un richiedente protezione internazionale, la cui domanda sia stata respinta, possa far valere i suoi diritti in maniera effettiva dinanzi a un organo giurisdizionale, il mero fatto che un grado di giudizio aggiuntivo, previsto dal diritto nazionale, non abbia effetto sospensivo automatico non permette, di per sé solo, di ritenere che il principio di effettività sia stato violato [sentenza del 26 settembre 2018, Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (effetto sospensivo dell’appello), C 180/17, EU:C:2018:775, punto 43].

46 Dato che il diritto dell’Unione esige soltanto, in materia di protezione internazionale, l’esistenza di un mezzo di ricorso giurisdizionale, il fatto che uno Stato membro preveda, come nel procedimento principale, un ricorso per cassazione, privo di effetto sospensivo automatico e, inoltre, istituisca, nell’ambito di tale ricorso, un procedimento cautelare il quale consente al giudice che ha pronunciato un provvedimento di primo grado recante rigetto di una domanda di protezione internazionale di disporre, su istanza dell’interessato, la sospensione della sua esecuzione, previa valutazione della fondatezza dei motivi dedotti nell’impugnazione contro tale provvedimento e non della sussistenza di un rischio di danno grave e irreparabile che la sua esecuzione causerebbe al richiedente, non è contrario al principio di effettività.

47 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che il diritto dell’Unione, in particolare le disposizioni della direttiva 2013/32, lette alla luce dell’articolo 47 della Carta, dev’essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale prevede un procedimento di impugnazione contro un provvedimento giurisdizionale di primo grado che conferma la decisione della competente autorità amministrativa di respingere una domanda di protezione internazionale, senza dotare tale impugnazione di effetto sospensivo automatico, ma che consente al giudice che ha emesso tale provvedimento di disporre, su istanza dell’interessato, la sospensione della sua esecuzione, previa valutazione della fondatezza dei motivi dedotti nell’impugnazione contro tale provvedimento e non della sussistenza di un rischio di danno grave e irreparabile che la sua esecuzione causerebbe al richiedente.

Sulle spese

48 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

Il diritto dell’Unione, in particolare le disposizioni della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, lette alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dev’essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale prevede un procedimento di impugnazione contro un provvedimento giurisdizionale di primo grado che conferma la decisione della competente autorità amministrativa di respingere una domanda di protezione internazionale, senza dotare tale impugnazione di effetto sospensivo automatico, ma che consente al giudice che ha emesso tale provvedimento di disporre, su istanza dell’interessato, la sospensione della sua esecuzione, previa valutazione della fondatezza dei motivi dedotti nell’impugnazione contro tale provvedimento e non della sussistenza di un rischio di danno grave e irreparabile che la sua esecuzione causerebbe al richiedente.

Lussemburgo, 27 settembre 2018