Diritto Penale


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20765 - pubb. 13/11/2018

Inammissibilità del reclamo fondato su allegazioni di fatto contrastanti con le attestazioni contenute in documenti del procedimento disciplinare

Tribunale Alessandria, 08 Novembre 2018. Est. Vignera.


Esecuzione - Magistratura di sorveglianza - Reclamo giurisdizionale - Sanzioni disciplinari - Dedotta falsità di atti del procedimento disciplinare - Querela di falso - Mancata proposizione - Conseguenze - Manifesta infondatezza del reclamo - Inammissibilità - Dichiarazione de plano



Va dichiarato inammissibile de plano ai sensi dell’art. 666, comma 2, c.p.p. il reclamo giurisdizionale di cui agli artt. 35-bis e 69, comma 6, lettera a), O.P., allorchè il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare risulta contestato dal reclamante con allegazioni di fatto contrastanti con le attestazioni contenute in documenti del procedimento disciplinare aventi l’efficacia dell’atto pubblico ex art. 2700 c.c. (nella fattispecie, il verbale di contestazione dell’addebito disciplinare ex art. 81, comma 2, DPR 30 giugno 2000 n. 230 e la relazione di servizio ex art. 81, comma 1, stesso DPR), dei quali è stata sostanzialmente dedotta la falsità ideologica, ma rispetto ai quali non è stata già proposta la querela di falso o non è stata richiesta la fissazione di un termine entro cui proporla ai sensi dell’art. 77 d. lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (codice del processo amministrativo). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


N. 2018 / 4309 SIUS

N. 2018 / 3351 Decreto

 

UFFICIO DI SORVEGLIANZA

di A L E S S A N D R I A

(tel. 0131-284520 fax 0131-253718)

e-mail: uffsorv.alessandria@giustizia.it

 

Il Magistrato di Sorveglianza

letto il retroesteso reclamo proposto ex artt. 35-bis e 69, comma 6, lettera a), O.P.

DA

D. P. nato a Z. (Albania) il XX/XX/XXXX attualmente detenuto presso la Casa di Reclusione Alessandria,

OSSERVA

quanto segue.

++++++

1.- Il reclamante ha sostanzialmente dedotto che la sanzione disciplinare gli è stata inflitta:

1.      senza essergli “stato spiegato il motivo del rapporto”, cui è conseguita la sanzione stessa;

2.     malgrado la sua estraneità alla rissa tra detenuti, costituente l’oggetto del rapporto in questione (essendosi limitato nell’occasione a fare da paciere): estraneità che sarebbe confermata dal fatto che “il giorno 10/10/2018 mi hanno inflitto giorni 9 di esclusione dalle attività in comune e invece a quelli che hanno partecipato alla rissa giorni 15 di esclusione dalle attività in comune”.

La censura sub a) è manifestamente infondata perché smentita per tabulas da quanto attestato nel verbale di contestazione di addebito disciplinare redatto ex art. 81, comma 2, d.p.r. 30 giugno 2000 n. 230 in data 4 ottobre 2018 (dove si riporta la seguente “breve descrizione del fatto <<ha partecipato ad una rissa nella sezione 3b>>” e la seguente difesa del D. “io sono intervenuto solo per dividere”): verbale di contestazione che risulta sottoscritto dall’interessato ed al quale, comunque, vanno riconosciute la natura di atto pubblico e la conseguente efficacia probatoria privilegiata ex art. 2700 c.c.: di tal che, in mancanza di rituale proposizione della querela di falso, i fatti ivi descritti vanno considerati pienamente provati.

La censura sub b) è del pari manifestamente infondata perché smentita per tabulas da quanto attestato nel rapporto disciplinare redatto ex art. 81, comma 1, d.p.r. 30 giugno 2000 n. 230 in data 30 settembre 2018: rapporto al quale vanno parimenti riconosciute la natura di atto pubblico e la conseguente efficacia probatoria privilegiata ex art. 2700 c.c.: di tal che, in mancanza di rituale proposizione della querela di falso, i fatti ivi descritti dal verbalizzante vanno considerati pienamente provati (ivi compreso il coinvolgimento del reclamante nella rissa de qua).

Orbene!

Il reclamante, allegando fatti contrastanti con le risultanze degli atti pubblici suindicati, ha sostanzialmente dedotto la loro falsità ideologica, ma non ha provato di avere già proposto querela di falso domandato la fissazione di un termine entro cui proporla innanzi al tribunale ordinario competente: come prescritto, invece, dall’art. 77 d. lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (codice del processo amministrativo), che è applicabile analogicamente in subiecta materia, attesa la natura formalmente e sostanzialmente amministrativa dei provvedimenti applicativi delle sanzioni disciplinari previste dall’ordinamento penitenziario (conf. Cass. pen. Sez. I, sentenza 17 ottobre 1988 n. 2240, Adamo, Rv. 179950; Sez. I, sentenza 9 febbraio 2000 n. 919, Albert, Rv. 215915; e più recentemente Sez. VI, sentenza 9 maggio 2017 n. 31873, P.G. in proc. Basco, Rv. 270852, in motivazione) ed attesa conseguentemente l’assimilabilità del reclamo ex artt. 35-bis e 69, comma 6, lettera a), O.P. all’impugnazione di un provvedimento amministrativo [cfr. artt. 1, comma 1, e 40, comma 1, lettera b), d. lgs. 2 luglio 2010 n. 104].

Conseguentemente:

·         nella fattispecie il reclamo giurisdizionale risulta manifestamente infondato perché basato su circostanze contrastanti con le risultanze di atti pubblici, nei cui confronti non è stata proposta né è più proponibile la querela di falso, la quale invece sarebbe stata giuridicamente “necessaria” per infirmarne la piena efficacia probatoria loro assegnata dall’art. 2700 c.c.;

·         la fissazione dell’udienza camerale risulta superflua perché essa è insuscettibile di modificare la piena efficacia probatoria di quegli atti ex art. 2700 cit.

Il presente reclamo, pertanto, va dichiarato inammissibile ai sensi degli artt. 35-bis, comma 1, O.P. e 666, comma 2, c.p.p.

 

2.- Questo Giudice non ignora che secondo la giurisprudenza della Suprema Corte “il decreto di inammissibilità per manifesta infondatezza può essere emesso ‘de plano’, ai sensi dell'art. 666, comma secondo, cod. proc. pen., soltanto quando essa sia riscontrabile per difetto delle condizioni di legge e, cioè, per vizio di legittimità e non per ragioni di merito” (così ex multis e tra le più recenti Cass. pen., Sez. I, sentenza 10 gennaio 2013 n. 6558, Piccinno).

Codesta interpretazione, nondimeno, non appare condivisibile tanto dal punto di vista letterale, quanto dal punto di vista logico.

Dal punto di vista letterale, per cominciare, si osserva che:

1.      l’art. 666, comma 2, c.p.p. parla genericamente di manifesta infondatezza “per difetto delle condizioni di legge”;

2.     le “condizioni di legge”, a loro volta, possono distinguersi in “condizioni di ammissibilità” (requisiti formali e processuali necessari per procedere all’esame del merito) e “condizioni di merito” (requisiti necessari per l’accoglimento della domanda) [v. esemplificativamente in tal senso Cass. civ., Sez. lavoro, sentenza 16 aprile 1988 n. 3012, in Informazione Prev., 1988, 1486: “Ai fini dell'art. 152 disp. att. c. p. c., per il quale la soccombenza del lavoratore nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali non comporta l'obbligo del pagamento delle spese tranne che la pretesa sia manifestamente infondata e temeraria - la nozione d'infondatezza va intesa in senso non limitato alla insussistenza delle condizioni di merito per l'accoglimento della domanda, ma esteso alla mancanza dei requisiti formali e processuali necessari per procedere all'esame del merito (quali, ex art. 414, nn. 3 e 4 c. p. c., la determinazione dell'oggetto della domanda e l'indicazione degli elementi di fatto e di diritto posti a sostegno della medesima”; sul fatto che pure quelle di merito sono “condizioni stabilite dalla legge” v. Corte Giustizia Comunita' Europee, 2 febbraio 1988 n. 309, Barra C. Gov. Belgio, in Foro It., 1988, IV, 422: “Posto che il diritto di ottenere il rimborso delle somme percepite da uno stato membro in contrasto con le norme di diritto comunitario è la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti ai singoli dalle disposizioni di diritto comunitario quali interpretate dalla corte, il fatto che il rimborso possa essere richiesto solo alle condizioni di merito e di forma, stabilite dalle varie legislazioni nazionali in materia, non può legittimare l'imposizione di condizioni tali da rendere praticamente impossibile l'esercizio dei diritti attribuiti dall'ordinamento giuridico comunitario; pertanto, il diritto comunitario rende inapplicabile agli allievi e studenti degli altri stati membri, che hanno indebitamente pagato una tassa d'iscrizione supplementare, la legge nazionale che li privi del diritto di ottenere la restituzione qualora non abbiano intentato azioni di ripetizione prima della pronuncia della sentenza che ha accertato l'illegittimità della tassa”);

3.     per il suindicato orientamento giurisprudenziale, perciò, la nozione di “condizioni di leggeex art. 666, comma 2, c.p.p. coincide con quella di “condizioni di ammissibilità”;

4.     il che non sembra corretto perché pure le “condizioni di merito” sono stabilite dalla legge e sono, quindi, “condizioni di legge”.

Dal punto di vista logico, poi, si rileva che:

1.      la ratio dell’art. 666, comma 2, c.p.p. consiste sicuramente nell’esigenza di evitare le lungaggini e i “costi” [non solo “processuali” (nomina del difensore d’ufficio all’interessato che ne sia privo, avvisi della data dell’udienza alle parti e ai difensori, audizione per “rogatoria” della parte detenuta fuori della circoscrizione del giudice, ecc.), ma anche “economici” (compenso del difensore del detenuto ammesso al patrocinio a spese dello Stato, costi di traduzione del detenuto, ecc.)] della “udienza camerale partecipata” ogniqualvolta la stessa si rivela assolutamente superflua perchè la richiesta dell’interessato appare manifestamente priva di fondamento: è, cioè, sicuramente ed ictu oculi destinata ad essere rigettata, qualunque possa essere il risultato dell’istruttoria e/o della discussione nel contraddittorio delle parti;

2.     codesta manifesta infondatezza, se nella maggior parte dei casi deriva dal difetto di taluna delle condizioni poste dalla legge per la proposizione della richiesta (c.d. condizioni di ammissibilità), in alcune ipotesi può derivare pure dalla mancanza di taluna delle condizioni prescritte dalla legge stessa per il suo accoglimento [c.d. condizioni di merito: si pensi alla ipotesi (costituente proprio uno dei due motivi del presente reclamo) in cui il detenuto proponga reclamo ex artt. 35-bis e 69, comma 6, lettera a), O.P., deducendo la mancata contestazione degli addebiti, la quale invece dagli atti del relativo procedimento disciplinare (contestualmente trasmessi) risulta essere stata ritualmente compiuta alla stregua del relativo processo verbale (atto pubblico fornito di “certezza legale privilegiata” ex art. 2700 cod. civ.), che a sua volta reca addirittura la sottoscrizione dell’interessato].

Orbene!

Poiché la suindicata ratio dell’art. 666, comma 2, c.p.p. è sicuramente espressione del principio di economia processuale che, a sua volta, rappresenta una delle estrinsecazioni del valore costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.), non appare “costituzionalmente adeguata” la suindicata interpretazione giurisprudenziale, che considera i c.d. vizi di merito sempre irrilevanti ai fini della pronuncia del decreto di inammissibilità de plano.

Pertanto, per non esporsi a censure di incostituzionalità per violazione dell’art. 3, comma 1, Cost. (princio di ragionevolezza) e dell’art. 111, comma 2, Cost. (principio della ragionevole durata del processo), l’art. 666, comma 2, c.p.p. (la dove dice “se la richiesta appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge…”) deve essere interpretato nel senso che il decreto di inammissibilità ivi previsto va pronunciato quando:

1.      la richiesta appare infondata per difetto delle condizioni di ammissibilità o di merito stabilite dalla legge”;

2.     codesta infondatezza è “manifesta”, dovendosi a sua volta considerare tale soltanto quella che non implica valutazioni discrezionali o approfondimenti istruttori (per spunti in tal senso v. la motivazione di Cass. pen., sez. V, sentenza 5 maggio 1998 n. 2793, Prato, dove sta scritto: “La manifesta infondatezza … deve riguardare il difetto delle condizioni di legge, intese queste ultime, in senso restrittivo, come requisiti non implicanti una valutazione discrezionale, ma direttamente imposti dalla norma. La ratio del provvedimento "de plano", in assenza di contraddittorio consiste proprio nella rilevabilità ‘ictu oculi’ di ragioni che rivelano alla semplice prospettazione, senza uno specifica approfondimento, la mancanza di fondamento della istanza. Ne consegue che ogni qualvolta si pongano problemi di valutazione, imponenti l'uso di criteri interpretativi in relazione al ‘thema probandum’, deve essere data all'istante la possibilità dell'instaurazione del contraddittorio con il procedimento camerale previsto - sul modello di quello tipico ex art. 127 c.p.p. - dai commi 3/9 dell'art. 666 c.p.p.”).

Proprio codesta interpretazione (“adeguatrice” o “costituzionalmente orientata”) dell’art. 666, comma 2, c.p.p. (fatta in conformità con gli artt. 3 e 111 Cost.) giustifica la suindicata declaratoria di inammissibilità del reclamo.

P.Q.M.

visto il parere del P.M, dichiara l’inammissibilità del reclamo.

Alessandria, 8 Novembre 2018

Il Magistrato di Sorveglianza

Dr. Giuseppe Vignera

 

Depositata nella cancelleria

Oggi 8/11/2018