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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21163 - pubb. 02/02/2019.

L’opponibilità della clausola compromissoria al Consorzio fallito


Cassazione civile, sez. VI, 08 Novembre 2018, n. 28533. Est. Mercolino.

Clausola compromissoria - Consorzio - Fallimento


In presenza di una clausola compromissoria statutaria, l’azione del curatore avente ad oggetto un diritto del consorzio fallito anteriore all’apertura della procedura concorsuale è improcedibile.

L’art. 83 bis l. fall. non si applica (e il procedimento arbitrale pendente può essere proseguito) quando il contratto in cui è contenuta la clausola compromissoria ha già avuto totale o parziale esecuzione. (Paola Merli) (riproduzione riservata)

 

1. Il curatore del fallimento del (*) in liquidazione ha convenuto in giudizio il Comune di Toscolano Maderno e la Comunità Montana Parco Alto Garda Bresciano, per sentirli condannare al pagamento della somma di Euro 91.960,54, a titolo di rimborso delle spese, dei danni e delle perdite subite o d'indennizzo per l'ingiustificato arricchimento.

Si sono costituiti i convenuti, ed hanno eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 241, art. 15, invocando inoltre la clausola compromissoria prevista dall'art. 42 dello statuto del Consorzio, e chiedendo comunque il rigetto della domanda.

2. Con sentenza del 19 maggio 2017, il Tribunale di Brescia, Sezione specializzata in materia di impresa, ha declinato la propria competenza in favore dell'arbitro.

Premesso che la controversia, avente ad oggetto diritti soggettivi, non è compresa tra quelle concernenti la formazione, la conclusione e l'esecuzione di un accordo stipulato tra Pubbliche Amministrazioni, il Tribunale ne ha escluso la riconducibilità alla competenza del Tribunale fallimentare, osservando che il curatore ha fatto valere un diritto già esistente nel patrimonio del Consorzio alla data della dichiarazione di fallimento, ed è pertanto soggetto ai relativi limiti, tra i quali va ricompresa la clausola compromissoria. Ha escluso che quest'ultima sia divenuta inoperante in virtù dello scioglimento del contratto consortile, derivante dalla dichiarazione di fallimento, rilevando che quest'ultima non determina l'estinzione dell'ente.

3. Avverso la predetta sentenza il curatore del fallimento ha proposto istanza di regolamento di competenza. Il Comune ha resistito con memoria. La Comunità Montana non ha svolto attività difensiva.

 

1. Premesso che l'art. 42 dello statuto consortile, nel deferire ad un arbitro tutte le controversie eventualmente insorte tra i consorziati e tra gli stessi ed il Consorzio, qualifica l'arbitro come "amichevole compositore" e gli attribuisce il compito di decidere "ex bono et aequo" e "senza formalità di procedura", il ricorrente eccepisce la nullità della clausola compromissoria, osservando che la stessa prevede un arbitrato irrituale, incompatibile con la natura pubblica dei contraenti, in quanto volto a favorire la composizione negoziale della controversia mediante il deferimento ad un soggetto individuato in difetto di un procedimento legalmente predeterminato, e quindi in assenza di adeguate garanzie di trasparenza e pubblicità.

Precisato inoltre che la controversia non ha ad oggetto un contratto stipulato tra più parti, una delle quali sia stata successivamente dichiarata fallita, ma lo statuto dello stesso Consorzio fallito, il curatore sostiene di non essere soggetto ai limiti dallo stesso imposti, non essendo subentrato in alcun contratto; aggiunge che la dichiarazione di fallimento ha determinato lo scioglimento del Consorzio, con la conseguente inopponibilità della clausola statutaria, analogamente a quanto accade per l'azione di responsabilità prevista dal R.D. 169 marzo 1942, n. 267, art. 146, nel cui esercizio il curatore non è soggetto ai limiti imposti dalla clausola compromissoria eventualmente contenuta nello statuto della società.

Afferma infine che l'inoperatività della clausola compromissoria è desumibile in via analogica dalla L. Fall., art. 83-bis, ai sensi del quale lo scioglimento di un contratto travolge anche il procedimento arbitrale eventualmente pendente, che diviene pertanto improcedibile.

2. Le censure sono infondate.

Non può tuttavia condividersi la tesi sostenuta dal Pubblico Ministero, secondo cui la questione riguardante la qualificazione dell'arbitrato non potrebbe trovare ingresso in questa sede, non essendo stata sollevata nel giudizio di merito e non essendo rilevabile d'ufficio, dal momento che la sentenza impugnata non si è pronunciata sulla natura della clausola compromissoria. Se è vero, infatti, che, a differenza dell'arbitrato rituale, quello irrituale non ha natura giurisdizionale, ma costituisce uno strumento negoziale di composizione delle controversie, la cui previsione implica la rinuncia ad avvalersi della tutela giurisdizionale, con la conseguenza che la relativa eccezione non dà luogo ad una questione di competenza, ma di merito (cfr. Cass., Sez. 2, 27/03/2007, n. 7525; Cass., Sez. 3, 14/04/2000, n. 4845), è anche vero, però, che la qualificazione dell'arbitrato come rituale risulta decisiva ai fini dell'ammissibilità del regolamento di competenza, che deve essere accertata anche d'ufficio (cfr. Cass., Sez. 6, 18/11/2015, n. 23629; Cass., Sez. 1, 2/07/2007, n. 14972); trattandosi di una questione di carattere processuale, questa Corte non può limitarsi ad un controllo logico-formale della pronuncia impugnata, ma è chiamata ad operare come giudice anche del fatto, procedendo all'esame diretto della clausola compromissoria, senza essere vincolata alla valutazione compiuta nel precedente grado (cfr. Cass., Sez. 6, 30/09/2015, n. 19546; Cass., Sez. 1, 8/08/2001, n. 10935; 27/01/2001, n. 1191).

2.1. Ciò posto, e rilevato che la sentenza impugnata non si è specificamente pronunciata in ordine alla natura dell'arbitrato, ma ne ha dato per scontato il carattere rituale, avendo accolto l'eccezione d'incompetenza sollevata dai convenuti, si osserva che la predetta qualificazione trova conferma nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che ai fini dell'affermazione della natura irrituale dell'arbitrato ritiene non decisiva nè la definizione degli arbitri come amichevoli compositori, contenuta nella clausola compromissoria, nè l'attribuzione agli stessi del potere di giudicare secondo equità o senza formalità di procedura, trattandosi di facoltà di per sè non estranee all'arbitrato rituale, ma il cui conferimento è anzi espressamente contemplato dagli artt. 816-bis e 822 c.p.c. (Cass., Sez. 1, 4/06/2001, n. 7520; 3/05/2000, n. 5505; 1/02/1999, n. 833). La prima di tali disposizioni, nel consentire alle parti di stabilire preventivamente le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedimento, dispone infatti che in mancanza delle stesse gli arbitri hanno facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono più opportuno, fermo restando l'obbligo di garantire l'attuazione del principio del contraddittorio, attraverso la concessione alle parti di ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa. La seconda, nel prevedere che gli arbitri decidono secondo diritto, consente invece alle parti di autorizzarli, "con qualsiasi espressione", a pronunciare secondo equità, e quindi come amichevoli compositori. In senso contrario alla qualificazione dell'arbitrato come irrituale depone d'altronde, nella specie, la circostanza che le parti abbiano adottato, per definire l'attività demandata all'arbitro unico, i termini "controversie", "giudizio" e "giudicare", la cui utilizzazione, pur in assenza di altri elementi, e segnatamente di un'espressa manifestazione della volontà di ottenere un lodo idoneo ad acquistare efficacia esecutiva, è stata più volte ritenuta da questa Corte sintomatica dello intento di attribuire al dictum degli arbitri una funzione sostanzialmente sostitutiva di una pronuncia giurisdizionale, anzichè di conferire agli stessi il potere di ricercare una soluzione della vertenza attraverso uno strumento negoziale, e cioè mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibili alla volontà delle parti (cfr. Cass., Sez. 1, 10/11/2006, n. 24059; 29/11/2000, n. 15292). Nell'incertezza, risulta comunque determinante il criterio secondo cui, a seguito dell'introduzione dell'art. 808-ter c.p.c., che subordina ad un'espressa previsione scritta la scelta di un procedimento arbitrale non destinato a sfociare in un lodo suscettibile di acquistare l'efficacia di cui all'art. 824-bis, ogni dubbio nell'interpretazione della clausola compromissoria va sciolto in favore della natura rituale dell'arbitrato, quale modello alternativo di risoluzione delle controversie considerato principale dallo stesso legislatore, in quanto idoneo ad assicurare le maggiori garanzie per le parti che l'hanno voluto, e rispetto al quale il ricorso all'arbitrato libero riveste una portata sostanzialmente derogatoria (cfr. Cass., Sez. 1, 7/04/2015, n. 6909).

2.2. Non merita pertanto accoglimento l'eccezione di nullità della clausola compromissoria, sollevata dal ricorrente in relazione alla natura pubblica dei soggetti coinvolti nella vicenda in esame: tale natura non risulta infatti incompatibile con l'utilizzazione di strumenti giuridici di diritto privato, e non impedisce quindi all'Amministrazione di convenire, in una logica negoziale, il deferimento ad arbitri delle controversie eventualmente insorgenti dai contratti stipulati con i terzi, purchè ovviamente le stesse abbiano ad oggetto diritti disponibili. In tal senso depongono chiaramente non solo le disposizioni che, in materia di appalti pubblici, hanno disciplinato espressamente nel tempo il ricorso all'arbitrato per la risoluzione delle relative controversie (cfr. del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 43 e segg.; L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 32; D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, artt. 241 e segg.), ma anche la norma di carattere generale dettata dal D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 12, che, riproducendo della L. 21 luglio 2000, n. 205, abrogato art. 6, il comma 2, consente alle parti di risolvere mediante arbitrato ai sensi degli artt. 806 c.p.c. e segg., le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, in tal modo ammettendo il deferimento ad arbitri anche di controversie riconducibili alla giurisdizione esclusiva, a condizione che non abbiano ad oggetto interessi legittimi, l'arbitrato abbia carattere rituale e sia escluso il potere di decidere secondo equità (cfr. Cass., Sez. Un., 16/04/2009, n. 8987; 1/07/2008, n. 17934; 30/11/2006, n. 25508).

2.3. Per quanto riguarda invece la sopravvenuta dichiarazione di fallimento del Consorzio, correttamente la sentenza impugnata ne ha escluso l'idoneità a rendere inopponibile all'attore la clausola compromissoria contenuta nello statuto, avuto riguardo alla natura dell'azione esercitata dal curatore, non derivante dal fallimento, ma avente ad oggetto un diritto del fallito preesistente all'apertura della procedura concorsuale: in proposito, è appena il caso di richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il curatore che subentra in un contratto stipulato dal fallito, nel quale sia contenuta una clausola compromissoria, non può sottrarsi all'efficacia di quest'ultima, trattandosi di un atto negoziale che, nonostante la sua autonomia rispetto al contratto cui accede, è riconducibile allo schema del mandato collettivo (cfr. art. 1726 c.c.) e di quello conferito nell'interesse anche di terzi (cfr. art. 1723 c.c., comma 2), con la conseguenza che non risulta soggetto a scioglimento ai sensi della L. Fall., art. 78, non operando tale disposizione nell'ipotesi di mandato conferito anche nell'interesse del mandatario o di terzi (cfr. Cass., Sez. 1, 17/02/2010, n. 3803; 14/10/2009, n. 21836; Cass., Sez. 3, 8/09/2006, n. 19298).

Non può condividersi, in proposito, il richiamo del ricorrente al principio, anch'esso enunciato da questa Corte, secondo cui, in caso di fallimento di una società, la clausola compromissoria contenuta nello statuto della stessa non è applicabile all'azione di responsabilità proposta dal curatore nei confronti degli amministratori ai sensi della L. Fall., art. 146 (cfr. Cass., Sez. 1, 12/09/2014, n. 19308): tale principio trova infatti giustificazione nel contenuto unitario ed inscindibile della predetta azione, quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale previsto a garanzia sia dei soci che dei creditori sociali, nel quale confluiscono, con connotati di autonomia e con la modifica della legittimazione attiva, sia l'azione prevista dall'art. 2393 c.c., che quella di cui all'art. 2394 c.c., in riferimento alla quale la clausola compromissoria non può operare, per il semplice fatto che i creditori sono terzi rispetto alla società. Nel caso in esame, invece, il giudizio, avente ad oggetto il pagamento di somme asseritamente dovute a titolo di ripianamento delle spese, dei danni e delle perdite subiti dal Consorzio ed in subordine l'indennizzo per l'ingiustificato arricchimento, trae origine da un'azione rinvenuta nel patrimonio del fallito, nel cui esercizio il curatore si colloca nella medesima situazione sostanziale e processuale di quest'ultimo, e risulta proposta nei confronti dei soci, anch'essi vincolati all'osservanza della clausola compromissoria, in quanto parti dell'atto costitutivo del Consorzio. Correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto irrilevante, a tal fine, la circostanza che la dichiarazione di fallimento abbia provocato lo scioglimento del Consorzio, trattandosi di un evento inidoneo a determinare l'estinzione dell'ente, il quale continua ad esistere, sia pure al limitato fine della liquidazione dell'attivo e della soddisfazione dei creditori, con la conseguente sopravvivenza dei rapporti con i singoli soci, che restano disciplinati dallo statuto, anche sotto il profilo della tutela giurisdizionale.

2.4. Inconferente risulta infine il richiamo alla L. Fall., art. 83-bis, ai sensi del quale, in caso di scioglimento del contratto in cui sia contenuta una clausola compromissoria, il procedimento arbitrale non può essere proseguito. Tale disposizione si limita infatti, per espressa precisazione del legislatore, a prevedere la sorte dei procedimenti arbitrali pendenti, ovverosia già instaurati alla data della dichiarazione di fallimento, nonchè relativi a contratti suscettibili di scioglimento ai sensi delle disposizioni del Titolo 2, Capo 3, Sezione 4 della Legge Fallimentare, stabilendo che, ove il curatore abbia esercitato la facoltà di sciogliersi dal contratto, la domanda di arbitrato diventa improcedibile. Essa non detta una regola generale in tema di rapporti tra arbitrato e fallimento, nè contraddice il principio, precedentemente richiamato, secondo cui, almeno per le azioni non spettanti alla competenza esclusiva del tribunale fallimentare ed aventi ad oggetto diritti disponibili, la dichiarazione di fallimento non comporta di per sè l'inoperatività della clausola compromissoria, e non impedisce pertanto la proposizione della domanda di arbitrato, nè la prosecuzione del procedimento, ove la domanda sia stata già proposta. L'effetto ostativo è infatti subordinato allo scioglimento del contratto, e pertanto non si produce nel caso in cui il curatore abbia omesso di esercitare tale facoltà, subentrando al fallito nel rapporto contrattuale, ovvero nel caso in cui la medesima facoltà non possa essere più esercitata, per avere il contratto già avuto totalmente o parzialmente esecuzione. E' a quest'ultima ipotesi che dev'essere ricondotta la fattispecie in esame, contraddistinta dal fatto che la domanda giudiziale ha ad oggetto il rimborso degli oneri sopportati dal Consorzio per l'attività svolta prima della dichiarazione di fallimento, e quindi dall'attinenza della controversia ad un rapporto contrattuale che, per la parte in contestazione, ha già avuto esecuzione, con la conseguenza che resta preclusa al curatore la facoltà di sottrarsi alla competenza arbitrale attraverso lo scioglimento del contratto ed il correlato venir meno dell'efficacia della clausola compromissoria.

3. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del resistente, che si liquidano come dal dispositivo.

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del resistente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso a 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2018.