Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21456 - pubb. 30/03/2019

Nomina e sostituzione del tutore provvisorio

Tribunale Nocera Inferiore, 08 Marzo 2019. Est. Iannone.


Interdizione - Intervento del Tutore provvisorio nel giudizio di interdizione - Inammissibilità

Interdizione - Rimozione del Tutore provvisorio - Competenza

Interdizione - Parti necessarie del giudizio di interdizione - Processo notificatorio - Termini



Nel giudizio di interdizione è inammissibile l’intervento del Tutore provvisorio rimosso dal Giudice tutelare in quanto il regime di prorogatio ex lege, indicato chiaramente dal Giudice Tutelare, sussiste solo per non lasciare sprovvisto di tutela l’interdicendo per il tempo occorrente per la nomina di un nuovo tutore provvisorio e non di certo per conferire, al tutore rimosso, una legittimazione processuale attiva ad intervenire nel presente procedimento iure proprio. (Pasquale Coppola) (Francesco Mandara) (riproduzione riservata)

Il Giudice Istruttore del giudizio di interdizione non è competente né è tenuto a pronunciarsi sulle ragioni di merito che hanno portato alla rimozione del tutore provvisorio atteso che la disposizione di cui all’art. 384 c.c. indica chiaramente il Giudice Tutelare quale Ufficio deputato a valutare il comportamento del tutore (e conseguentemente anche del tutore provvisorio che, per ovvie ragioni e per l’incarico che riveste, ha pari dignità processuale rispetto a quello definitivo).

Questi, infatti, previo giuramento e formalizzazione della nomina, si interfaccia, nell’adempimento dei propri doveri d’ufficio, principalmente, se non esclusivamente, con il Giudice tutelare, il quale ha, pertanto gli strumenti conoscitivi per valutarne l’operato ex art. 384 c.c.

Il Giudice istruttore del procedimento di interdizione, invece, è deputato unicamente ad istruire la domanda di interdizione sino alla pronuncia definitiva, onde la disposizione di cui all’art. 717 c. II c.p.c. – laddove si parla di revoca, anche d’ufficio – può essere semmai invocata in relazione a tutte le ipotesi in cui vengano meno, ex post, i fatti costitutivi posti alla base della domanda di interdizione (sostanzialmente, l’incapacità di provvedere ed attendere ai propri interessi), nel corso del procedimento di interdizione.

In buona sostanza, come la nomina ex art. 717 c. I c.p.c. partecipa del presupposto della presunta incapacità dell’interdicendo, che diviene definitiva solo in seguito alla delibazione collegiale e che richiede di intervenire prontamente per nominare un soggetto che lo rappresenti negli atti giuridici e di vita quotidiana sino alla sentenza definitiva (non potendo, il corso del tempo necessario per la per la pronuncia definitiva, andare a suo detrimento) così, parimenti, ove nel corso delle attività processuali si constati il venir meno dei fatti costitutivi che ne giustificarono la nomina, si potrà procedere alla revoca, con riespansione piena e perfetta della capacità d’agire dell’interdicendo.
In tal senso, pertanto, si potrà, propriamente, parlare di “revoca” ex art. 717 c. II c.p.c. (Pasquale Coppola) (Francesco Mandara) (riproduzione riservata)

I parenti entro il quarto grado ed agli affini dell’interdicendo entro il secondo grado non sono parti necessarie del giudizio di interdizione ed il termine di notifica del ricorso a tali soggetti ha carattere ordinatorio.

I parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo non sono contraddittori necessari nel procedimento di interdizione – come più volte sottolineato anche dalla giurisprudenza di legittimità, oltre che di merito – e d’altronde non può pretendersi che il ricorrente, in questo caso coincidente con l’Ufficio del Pubblico Ministero, debba procedere ad una minuziosa e dettagliata loro ricerca sino al grado previsto dalla legge e, per l’effetto, pensare che l’omessa notificazione ad uno di costoro o, la tardiva notificazione oltre il termine dato dal Giudice, possa invalidare l’intero processo notificatorio.

Se si muove dal pacifico presupposto della loro non necessarietà della partecipazione al giudizio di interdizione, risulta evidente, in primo luogo, la non applicazione della disposizione di cui all’art. 102 c.p.c., la quale impone al Giudice di integrare il contraddittorio d’ufficio, senza, pertanto, che vi sia una richiesta in tal senso dalle parti; in secondo luogo, l’interesse a sollevare siffatta eccezione non potrà che essere solo delle parti omesse (oltretutto, nel caso di specie, solamente una), o nei confronti delle quali, eventualmente, il ricorso sia stato notificato oltre i termini stabiliti e purché le stesse dimostrino di aver subito un concreto pregiudizio nell’esercizio del loro facoltà di intervenire nel presente procedimento.

Inolre, ai sensi dell’art. 153 c.p.c., i termini previsti dalla legge sono definiti come ordinatori, salvo che la legge li qualifichi espressamente come perentori. A tale riguardo, infatti, nel caso di specie non sussiste alcuna perentorietà espressamente stabilita dalla legge, atteso come l’art. 713 c. II c.p.c. nulla dispone in tal senso e, conseguentemente, il termine concesso per la notifica ai parenti entro il quarto grado ed agli affini deve necessariamente intendersi come ordinatorio. (Pasquale Coppola) (Francesco Mandara) (riproduzione riservata)


Segnalazione degli Avv.ti Pasquale Coppola e Francesco Mandara 


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