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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21917 - pubb. 20/06/2019.

Doveri di diligenza e di informazione del professionista incaricato di assistere l’impresa nella presentazione della domanda di concordato preventivo


Tribunale di Monza, 04 Giugno 2019. Est. Albanese.

Concordato preventivo – Obbligazione del professionista che assiste l’imprenditore – Doveri di diligenza e di informazione


Il professionista incaricato di assistere l’impresa nella presentazione della domanda di concordato preventivo deve utilizzare tutte le cognizioni tecniche a propria disposizione per presentare una domanda completa, esaustiva e ineccepibile, quantomeno sotto il profilo dell’ammissibilità del beneficio richiesto, così da demandare esclusivamente ai creditori ogni decisione in ordine all’apertura o meno della procedura concordataria ovvero, in alternativa, dopo aver raccolto dalla propria committente tutta la documentazione e le informazioni necessarie per potervi accedere, la deve informare delle numerose criticità connesse alla scelta effettuata e, se del caso, rappresentarle il rischio concreto di una declaratoria di inammissibilità e/o l’opportunità di rinunciare alla domanda e ciò al fine di non essere costretta a sostenere gli ulteriori costi dei professionisti interessati. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
 
[Nel caso di specie, il commissario giudiziale, provvisoriamente nominato dal giudice delegato, aveva sin da subito rimarcato una serie di criticità del piano, successivamente riportate nel decreto di rigetto della domanda emanato dal tribunale, criticità non sanate nonostante - anche al di là di ogni ragionevolezza e del buon senso - la procedura sia rimasta in piedi all’incirca un anno; le criticità in questione attingono alla fattibilità tecnico-giuridica del piano, alla sostenibilità economica ed alla completezza dei dati forniti affinché l’organo giudicante potesse effettuare un vaglio di ammissibilità consapevole e sufficientemente adeguato.]

Segnalazione della Dott.ssa Paola Prati

Come sommariamente esposto nella superiore premessa, nel corso dell’anno 2013 Z. s.r.l. ha conferito ad Api Servizi s.r.l., all’epoca W. Industria Servizi s.r.l. e di seguito, indifferentemente, Api Servizi o W., due distinti incarichi professionali che è indispensabile esaminare preventivamente per vagliare la fondatezza delle domande risarcitorie proposte in questa sede dal Fallimento.

Il primo, stipulato in data 8.10.2013 e denominato “proposta per servizio assistenza gestione criticità aziendale”, prevedeva l’espletamento delle seguenti prestazioni: 1) un parere sulla posizione dei soci e degli amministratori, 2) un esame sull’indebitamento complessivo, 3) un parere sulle cause del dissesto della società, 4) un esame dei contratti e dei rapporti intercorsi con terze parti e, infine, 5) un concordato a stralcio.

Il costo complessivo di tale servizio è stato concordato in complessivi euro 22.901,00, oltre IVA, e, come ivi riportato nonché confermato dallo stesso Fallimento sin dall’atto introduttivo, la materiale esecuzione di tali prestazioni era stata affidata a professionisti “fiduciari” della convenuta ossia, nella specie, allo “Studio P.” ed allo “Studio M.”.

Una prima contestazione sollevata con riferimento a tale contratto, al netto delle altre concernenti soprattutto il secondo e di cui a breve si darà conto, attiene al “parere sulla posizione dei soci e amministratori” il quale, a dire del Fallimento, riguardando posizioni personali estranee a quelle della società contraente, non avrebbe potuto essere posto a carico di quest’ultima non avendo alcuna attinenza con la “soluzione della crisi d’impresa” (cfr. in tal senso, da ultimo, a pagina 2 della comparsa conclusionale).

L’eccezione sollevata non considera, tuttavia, che a nulla rileva l’interesse o meno della società conferente all’esecuzione di una o più delle prestazioni demandate alla controparte ed espressamente indicate in contratto le quali, scaturendo da un’intesa avente natura pattizia, obbligano per ciò solo il soggetto stipulante, proprio in quanto obbligatosi in proprio, alla corresponsione integrale del compenso pattuito (anche) per quelle attività in relazione alle quali non vi sarebbe alcun interesse a contrarre.

A distanza di un mese circa, precisamente in data 14.11.2013, tra le medesime parti è stato stipulato un secondo contratto avente ad oggetto la “proposta per servizio di consulenza ed assistenza nella predisposizione di un piano di risanamento dei debiti e nella verifica delle operazioni in divenire prodromica e susseguente alla predisposizione di una procedura concorsuale”.

L’attività che avrebbe dovuto essere svolta da W. in esecuzione di tale secondo incarico era stata frazionata in due distinte fasi: (A) la fase c.d. concorsuale, che prevedeva lo svolgimento di prestazioni di “Consulenza ed assistenza nella predisposizione di un piano di ripianamento dei debiti e nella verifica delle operazioni correlate e connesse”; (B) quella c.d. di omologa, che prevedeva lo svolgimento di prestazioni di “Assistenza alla instauranda procedura B”).

Il corrispettivo delle prestazioni correlate a tale ultimo disciplinare è stato concordato in complessivi euro 152.901,00, oltre IVA, ed anche in tal caso, come del resto avvenuto per quello precedente, l’espletamento di tutte le attività era stato affidato ai professionisti “fiduciari” rappresentati dallo “Studio A.” e dallo “Studio B.”.

Orbene, tali essendo gli accordi di natura contrattuale indiscutibilmente intercorsi tra le parti, i cui contorni generali, già sopra esplicitati, saranno ulteriormente approfonditi nel prosieguo di questa trattazione, sulla scorta di quanto emerge dalla fatture emesse dalla società convenuta, dalle contabili dei bonifici effettuati in suo favore da Z. s.r.l., all’epoca ancora in bonis, e dall’esame degli estratti conto prodotti in questo giudizio dal Fallimento, che attestano gli addebiti annotati a tale titolo sul conto corrente di corrispondenza intestato alla società (cfr. in tal senso tutta la documentazione prodotta dall’attore con la memoria ex art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c.), è possibile affermare che la somma complessivamente corrisposta ad Api Servizi per le prestazioni relative ad entrambi i disciplinari è pari a complessivi euro 152.050,00, oltre IVA, in luogo di quella pattuita pari a complessivi euro 152.901,00, oltre IVA, con una differenza tra quanto dovuto e quanto effettivamente versato pari a soli euro 851,00.

La prima domanda “restitutoria” proposta in questa sede dal Fallimento ha ad oggetto il compenso, pari ad euro 22.901,00, oltre IVA, integralmente corrisposto in esecuzione del primo disciplinare in quanto, a suo dire, nessuna delle attività ivi indicate sarebbe stata in realtà eseguita tant’è che la convenuta, rimanendo contumace nonostante la regolare notifica dell’atto di citazione e non assolvendo, pertanto, al proprio onere probatorio, non avrebbe specificamente dimostrato l’esecuzione di tutte le obbligazioni ivi assunte.

Ritiene, tuttavia, il Tribunale che una tale domanda sia solo parzialmente fondata in quanto, se è vero che l’effettivo espletamento di ciascuna delle cinque sub-attività costituenti nel complesso l’obbligazione contrattuale incombente su W. avrebbe dovuto essere specificamente documentato - o altrimenti dimostrato - dalla società convenuta la quale, di contro, ha preferito rimanere contumace, così rinunciando ad esercitare il proprio diritto (o, meglio, a questo punto sarebbe più appropriato esprimersi in termini di dovere) di difesa, è parimenti indiscutibile che lo stesso Fallimento ha prodotto al documento n. 2 la domanda di concordato e, di seguito, le successive integrazioni la quale, ad eccezione del punto n. 1 che riguardava esplicitamente “un parere sulla posizione dei soci e degli amministratori”, appare comunque idonea suffragare l’effettivo espletamento delle ulteriori obbligazioni assunte contenendo, nel dettaglio, “un esame sull’indebitamento complessivo” (cfr. in tal senso le pagine da 23 a 29), “un parere sulle cause del dissesto” (cfr. in tal senso le pagine 11 e 12), “un esame dei contratti e dei rapporti intercorsi con terze parti” (cfr. in tal senso le pagine 26 e 27, 30, 52, 53, 54 e 56) e “un concordato a stralcio” (cfr. in sé l’intero documento e gli allegati prodotti).

D’altro canto, la stessa presentazione della domanda di concordato preventivo, al netto di tutto ciò che sarà di qui a breve esposto in ordine a quanto pattuito, e, purtroppo, non regolarmente seguito con il secondo disciplinare, di cui il primo rappresentava solo la base di partenza, presupponeva necessariamente il preventivo studio e l’approfondimento di tutti quegli ulteriori aspetti, quali l’esame dell’indebitamento complessivo, l’analisi delle cause del dissesto e l’esame dei contratti in essere, propedeutici a consentire di accedere ad un istituto alternativo alla dichiarazione di fallimento che, d’altro canto, rappresentava lo scopo precipuo di Z. s.r.l. così come si evince, quantomeno implicitamente, dalle cospicue risorse economiche investite dalla società ed effettivamente corrisposte in favore di W. anche in anticipo rispetto all’espleta- mento di tutte le attività concretamente demandatele.

Come si può intuire dalla semplice lettura di tale elenco e dal compenso pattuito frazionatamente con riferimento a ciascuna di esse, le due fasi erano di fatto scindibili l’una dall’altra, avendo le parti concordato un compenso di euro 95.000,00, oltre IVA, per l’integrale adempimento delle prestazioni richieste dalla c.d. fase “concorsuale” (o, per meglio dire, per l’esecuzione delle prestazioni propedeutiche all’ammissione del concordato preventivo che avrebbe dovuto essere appositamente studiato e predisposto dalla società convenuta) ed uno ulteriore di euro 35.000,00, oltre IVA, per l’adempimento delle prestazioni successive e consequenziali all’apertura di tale procedura.

Quindi, al netto degli inadempimenti - relativi alla sola prima fase di tale secondo contratto trattandosi dell’unica iniziata - di cui a breve si darà conto, è piuttosto evidente che l’avvenuta corresponsione in favore di W. di quasi tutto il compenso pattuito sia per la prima che per la seconda, ossia - come detto e considerando anche il compenso relativo al primo contratto - di euro 152.050,00, oltre IVA, in luogo di euro 152.901,00, oltre IVA, non è affatto giustificabile ed impone alla convenuta la restituzione integrale dell’importo di euro 34.149,00 indebitamente versatole per le prestazioni mai eseguite di cui alla fase successiva all’omologa.

Ma non è tutto perché, come sopra accennato, con riferimento a tale secondo contratto (e, in particolare, con riferimento all’unica fase espletata) numerosi sono gli inadempimenti giustamente contestati alla società convenuta la quale, anche a prescindere dalla tesi attorea secondo cui quella assunta non sarebbe riconducibile ad una mera obbligazione di mezzi ma sarebbe più propriamente qualificabile in termini di obbligazione di risultato (conclusone, per inciso, non condivisa dal Tribunale quantomeno nel senso che l’effettiva apertura della procedura “concorsuale” non dipendeva necessariamente - o esclusivamente - dalla bontà e/o dalla convenienza del piano concordatario elaborato da W. quanto, piuttosto, da una valutazione discrezionale dei creditori interessati chiamati comunque ad esprimere il proprio parere in sede di votazione), avrebbe dovuto utilizzare tutte le cognizioni tecniche a propria disposizione per presentare una domanda completa, esaustiva e ineccepibile quantomeno sotto il profilo dell’ammissibilità del beneficio richiesto così da demandare esclusivamente ai creditori ogni decisione in ordine all’apertura o meno della procedura concordataria ovvero, in alternativa, dopo aver raccolto dalla propria committente tutta la documentazione e le informazioni necessarie per potervi accedere, avrebbe dovuto informarla delle numerose criticità connesse alla scelta effettuata e, se del caso, rappresentarle il rischio concreto di una declaratoria di inammissibilità e/o l’opportunità di rinunciare alla domanda per non essere costretta a sostenere gli ulteriori costi dei professionisti interessati - di cui a breve si darà conto - e, solo nell’ipotesi in cui quest’ultima avesse comunque insistito per accedervi, così da accettarne consapevolmente tutti i rischi connessi, avrebbe potuto essere sgravata da ogni conseguente responsabilità risarcitoria.

Tanto più che, come giustamente rimarcato dal Fallimento, la dott.ssa H., commissario giudiziale provvisoriamente nominato dal giudice delegato, aveva sin da subito rimarcato una serie di criticità del piano, successivamente riportate nel decreto di rigetto della domanda emanato dal Tribunale, non sanate nonostante - anche al di là di ogni ragionevolezza e del buon senso - la procedura sia rimasta in piedi all’incirca un anno, attinenti alla sua fattibilità tecnico-giuridica, alla sostenibilità economica ed alla completezza dei dati forniti affinché l’organo giudicante potesse effettuare un vaglio di ammissibilità consapevole e sufficientemente adeguato.

E proprio a tale fine, almeno così è logico supporre stante la durata particolarmente (e verrebbe anche da dire eccessivamente) dilatata della fase preliminare, la quale, a stretto rigore, non avrebbe potuto protrarsi oltre 120 giorni dal deposito della domanda (cfr. in tal senso l’art. 161 l.fall.), Il Tribunale aveva concesso a Z. s.r.l. ben tre opportunità per integrarla così da poterla sottoporre alla votazione dei creditori.

Ma, nonostante ciò, nessuna delle integrazioni depositate, il cui effetto immediato è stato solo quello di far lievitare a dismisura i costi della domanda di concordato, è stata idonea ad evitare la declaratoria di inammissibilità emanata dal Tribunale di Monza, successivamente confermata dalla Corte d’Appello di Milano e non impugnata in Cassazione, dall’esame della quale è possibile evincere con sufficiente chiarezza i plurimi profili di negligenza imputabili a W. che, piuttosto che prendere atto dell’inidoneità di quella domanda a raggiungere l’effetto desiderato dalla propria committente …, ha insistentemente perseverato depositando ben tre integrazioni in tal modo aggravandone il dissesto stanti gli oneri corrisposti in favore dei professionisti coinvolti a tal fine.

Nel decreto emesso in data 7.1.2015, prodotto dal Fallimento al documento n. 12, il Tribunale di Monza, ripercorrendo i pareri negativi espressi dal commissario provvisorio, aveva ben riassunto l’evoluzione della domanda riportando nello specifico tutte le omissioni via via segnalate, la maggior parte delle quali non sanate, e, per questa ragione, da ritenersi causa immediata e diretta della declaratoria di inammissibilità.

È sufficiente riportarne in questa sede i passi salienti per avvedersi di come alcuni degli aspetti ingiustificatamente trascurati da W. fossero piuttosto gravi e significativi, tali cioè da non poter in nessun modo oltrepassare il vaglio preliminare di ammissibilità perché contrastanti con tassative e inderogabili disposizioni di legge.

Nel dettaglio il Tribunale e, in primis, il commissario nominato, nell’esaminare il primo piano, aveva rimarcato le seguenti carenze: 1) la cessione del ramo di azienda non era stata garantita e neppure era stata assicurata la liberazione della società in relazione ai debiti nei confronti dei propri dipendenti; 2)la cessione degli immobili in favore di D. s.r.l. mediante accollo da parte di quest’ultima del mutuo fondiario residuo e dei debiti tributari non aveva previsto la liberazione della società cedente, neppure in via convenzionale; 3) del pari, la proposta di acquisto dei beni mobili da parte di D. s.r.l. non stata era assistita da alcuna garanzia; 4) era stata prevista la falcidia del debito IVA e delle ritenute nonostante l’art. 182 ter l.fall. escludesse una tale facoltà prevedendo esclusivamente la possibilità di richiedere una dilazione di pagamento; 5) il dato relativo ai debiti nei confronti dei fornitori era del tutto incerto; 6) non era stata dettagliata la quota IVA di rivalsa compresa nel debito nei confronti dei fornitori alla quale, tra l’altro, non era stato neppure attribuito il relativo privilegio né era stata allegata la relazione giurata di stima del valore dei beni che, a norma dell’art. 160 comma 2 l.fall., costituiva condizione di ammissibilità della proposta; 7) la relazione del professionista ex art. 161 comma 3 l.fall. non rivestiva le caratteristiche di completezza informativa in ordine ai dati aziendali e alle prospettive di attuazione del piano neppure fondato su un processo argomentativo che desse conto dei controlli effettuati, del metodo impiegato e dei diversi scenari di realizzo; e sottoposta all’esame ed alla votazione del proprio ceto creditorio e, conseguentemente, dell’opportunità 8) il liquidatore indicato non aveva i requisiti professionali di cui all’art. 28 l.fall., non essendo in possesso dei requisiti alla nomina di curatore.

Alcune di tali omissioni erano piuttosto significative e, come sopra accennato, stante la contrarietà a norme imperative di legge, non ci si sarebbe aspettato di riscontrarle in un piano predisposto da un soggetto particolarmente qualificato in materia quale certamente era W., collegato all’associazione della piccola e media industria.

Come a dire, insomma, che la modificata realtà e gli eventi negativi susseguitisi nel periodo intercorso tra la presentazione della domanda e la successiva integrazione avrebbero dovuto trovare un adeguato spazio nella proposta la quale, in mancanza, non avrebbe potuto essere (così come di fatto non è stata) accolta.

Nonostante ciò, il Tribunale, nuovamente sollecitato dalla difesa della proponente che aveva preannunciato di essere in procinto di presentare una nuova proposta di transazione fiscale, ha ritenuto opportuno concederle un’ulteriore chance la quale, tuttavia, neppure in tal caso è stata adeguatamente sfruttata se è vero che anche il terzo piano presentato è risultato essere affetto da molte delle criticità precedenti, affatto sanate, quali, in particolare, la mancata considerazione del “credito assistito da garanzia ipotecaria a favore di un ex socio su una porzione degli immobili della Società” ed il mancato rispetto dell’ordine dei privilegi disciplinato ex lege “dal momento che le spese di giustizia, di natura prededucibile”, avrebbero dovuto essere pagate “per metà dopo i crediti privilegiati” mentre il credito previdenziale addirittura dopo l’avvenuta soddisfazione di tutti “i crediti privilegiati di rango inferiore”.

Quanto, poi, al credito ipotecario vantato dal socio L., essendo oggetto di contestazione, andava per lo meno apposto un fondo rischi laddove la Corte d’Appello di Milano, investita del riesame a seguito del reclamo proposto da Z. s.r.l., aveva anche rilevato la mancanza dell’attestazione rispetto all’ultimo piano predisposto.

Per non parlare dell’ulteriore criticità (o, meglio, della clamorosa omissione) emersa solo in sede di verifica del passivo fallimentare così come suffragato dalla mancata indicazione, quale creditore della società fallenda, di tale A. V., ammesso al passivo del Fallimento e con il privilegio di cui all’art. 2751 bis n. 1 c.c. per l’importo, non propriamente irrisorio, di euro 278.399,69 (cfr. in tal senso lo stato passivo prodotto al documento n. 27).

Si tratta, a ben vedere, di criticità che avrebbero dovuto essere adeguatamente esaminate e risolte così da portare ad una riformulazione del piano concordatario che fosse quantomeno in linea con l’ordine dei privilegi previsto ex lege e che, proprio per tale ragione, si fonda su inadempimenti talmente gravi e inescusabili - in quanto contrastanti con chiare e non derogabili disposizioni di legge - che un operatore professionale, quale indiscutibilmente era W., non avrebbe dovuto commettere.

E, per inciso, la mancata costituzione della società convenuta nonostante la rituale notifica dell’atto introduttivo, non consente neppure al Tribunale di poter verificare l’insufficienza a tal fine della documentazione messale a disposizione dalla stessa Z. s.r.l.

Trattasi, insomma, di una responsabilità colposa grave che induce il Tribunale a non fare applicazione, stante la contrarietà del patto a quanto previsto dall’art. 1229 c.c., della clausola di esonero pattuita all’art. 6 del secondo contratto, secondo cui “W. Industria Servizi non potrà in alcun modo essere ritenuta responsabile, neppure in via concorsuale, né per il mancato rispetto da parte dei Committenti delle indicazioni fornite da W. Industria Servizi e dai suoi delegati in esecuzione del servizio reso né per la difforme/ non corretta attuazione da parte dei delegati di quanto conferito con incarico da W. Industria Servizi”.

Ne consegue che la somma che dovrà essere restituita al Fallimento, in essa già computata quella di euro 4.580,20, oltre IVA, di cui al primo disciplinare, è pari ad euro 133.729,20, oltre IVA.

Si aggiunga che, come anche in tal caso giustamente lamentato dal Fallimento, l’erronea esecuzione della prestazione assunta da W. ha provocato un aggravamento dell’indebitamento di Z. s.r.l. posto che, al fine di accedere alla procedura pre-concorsuale, quali incombenti accessori alle ulteriori proposte di modifica via via elaborate sono maturati ulteriori debiti prededucibili.

Ci si riferisce, in particolare, ai costi sostenuti per tutti i professionisti coinvolti nella fase prefallimentare (o concordataria) e, in particolare, come emerge dallo specchietto riepilogativo riportato a pagina 12 dell’atto di citazione, che si ritiene opportuno ritrascrivere in questa sede in quanto conforme a tutte le fatture prodotte dall’attore al documento n. 16, per quelli che hanno redatto le relazione ex art. 161 comma 2 l.fall., quelle di attestazione ex art. 161 comma 3 l.fall., le perizie estimative dei beni aziendali, i bilanci aggiornati nonché per il compenso liquidato in favore de pre-commissario, dott.ssa H.: … In totale si ha la somma di euro 133.437,66, oltre IVA, che, sommata alla precedente, comporta un credito restitutorio/ risarcitorio del Fallimento nei confronti di Api Servizi s.r.l. pari a complessivi euro 267.166,86, oltre IVA, ed interessi legali maturati sulla sorta capitale a decorrere dalla data di messa in mora, coincidente con la raccomandata ricevuta il 16.7.2015 (cfr. in tal senso il documento n.22), sino a quella del saldo effettivo.