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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21945 - pubb. 11/01/2019.

Fallimento del beneficiario del bonifico o bancogiro, conguaglio o compensazione


Cassazione civile, sez. I, 24 Marzo 2000. Est. Panebianco.

Pagamenti ricevuti dal fallito - Operazioni in conto corrente bancario - Bonifico o bancogiro - Momento perfezionativo - Annotazione dell'accredito sul conto del beneficiario - Accreditamento successivo alla data del fallimento - Inefficacia - Conguaglio o compensazione con i crediti derivanti dallo scoperto di conto corrente - Ammissibilità - Esclusione


Nei casi di versamento mediante bonifico o bancogiro, il quale consiste nell'accreditamento di una somma di denaro da parte di una banca a favore del correntista beneficiario e nel contemporaneo addebitamento della stessa somma sul conto del soggetto che ne ha fatto richiesta, al fine di verificare l'anteriorità o la posteriorità dell'operazione bancaria rispetto alla dichiarazione di fallimento del beneficiario stesso, è rilevante la cosiddetta "data contabile" e cioè quella in cui è avvenuta l'annotazione dell'accredito sul conto. L'accreditamento successivo alla dichiarazione di fallimento deve ritenersi inefficace nei confronti dei creditori in applicazione dell'art. 44 legge fall., con la conseguente impossibilità per la banca di operare alcun conguaglio con sue eventuali precedenti ragioni. Nè può invocarsi da parte della banca la compensazione, in quanto, ai fini dell'applicabilità dell'art. 56 legge fall., dovendo necessariamente risalire i fatti costitutivi dei reciproci crediti alla fase precedente all'apertura del fallimento, ogni evento successivo è improduttivo di effetti rispetto alla massa per la tutela della "par condicio". D'altra parte, a seguito del fallimento, risultando ormai sciolto il conto corrente in virtù dell'art. 78 legge fall., l'impossibilità di eseguire l'obbligo di accreditamento determina la mancata coesistenza dei due debiti e preclude, per ciò solo, il ricorso all'art. 56 legge fall. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Giovanni OLLA - Presidente -
Dott. Ugo Riccardo PANEBIANCO - rel. Consigliere -
Dott. Giovanni VERUCCI - Consigliere -
Dott. Mario Rosario MORELLI - Consigliere -
Dott. Luigi MACIOCE - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

 

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:

BANCA INTESA SpA già BANCO AMBROSIANO VENETO SpA, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 6, presso l'avvocato C. MARIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato S. LUIGI, giusta procura speciale per Notaio Salvatore D. di Milano rep. n. 157537 del 24.11.1998;

- ricorrente -

contro

FALLIMENTO A. di A. NICOLA & C. Sas, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA F. SIACCI 2/B, presso l'avvocato D. CORRADO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato F. ROBERTO, giusta mandato in calce al controricorso;

- controricorrente -

contro

BANCO AMBROSIANO VENETO SpA;

- intimato -

e sul 2^ ricorso n. 00515/99 proposto da:
BANCO AMBROSIANO VENETO SpA, in persona dei legali rappresentanti, elettivamente domiciliato in ROMA VIA P. DA PALESTRINA 63, presso l'avvocato C. MARIO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato S. LUIGI, giusta mandato in calce al controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

BANCA INTESA SpA, FALLIMENTO A. di A. NICOLA & C. Sas;

- intimata -

avverso la sentenza n. 644/98 della Corte d'Appello di GENOVA, depositata il 05/08/98;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/12/99 dal Consigliere Dott. Ugo Riccardo PANEBIANCO;
udito per il ricorrente, l'Avvocato S., che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, Fallimento A., l'Avvocato D., che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Fulvio UCCELLA che ha concluso per il rigetto del ricorso.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato il Fallimento A. di A. Nicola & C. s.a.s. conveniva avanti al Tribunale di Genova il Banco Ambrosiano Veneto s.p.a., chiedendo che venisse dichiarata l'inefficacia ai sensi dell'art. 44 L.F. dei pagamenti e/o comunque degli atti dispositivi effettuati in favore della convenuta in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento, con la condanna del Banco alla restituzione della somma di L. 54.038.871, oltre agli interessi dal 7.11.1994 al saldo ed, in subordine, la revoca ai sensi dell'art. 67 comma 2 L.F. dei pagamenti e degli atti solutori effettuati in favore del Banco medesimo, con la condanna al pagamento della stessa somma e degli interessi.
Esponeva a sostegno che:
- all'atto della dichiarazione di fallimento pronunciata con sentenza del 3-4.11.1994 il conto corrente di corrispondenza n. 837/64 intrattenuto dalla società, poi fallita, con il Banco presentava un saldo debitore di L. 60.009.915;
- in data 7.11.1994 era stato accreditato su tale conto l'importo di L. 54.038.871 ed il successivo 6.12.1994 il Banco aveva trasferito la pratica a "crediti in sofferenza" con un'esposizione contabile di L. 6.593.234 costituita dalla differenza tra il saldo debitore alla data del fallimento ed il bonifico di L. 54.038.871, oltre a competenze per L. 622.190 maturate alla data del fallimento;
- pertanto la indicata somma di L. 54.038.871, oltre agli interessi, doveva essere restituita ai sensi dell'art. 44 L.F. che prevede l'inefficacia di tutti gli atti e dei pagamenti compiuti in epoca successiva al fallimento, non rilevando l'assunto del Banco, secondo cui la disponibilità da parte sua della somma sarebbe avvenuta prima della dichiarazione di fallimento con riferimento alla data e a valuta, in quanto il versamento si realizza al momento dell'annotazione sul conto del beneficiario; in ogni caso, oggetto di inefficacia non è l'accreditamento della somma ma il conseguente atto dispositivo, avvenuto certamente in epoca successiva al fallimento;
- la richiesta subordinata di revoca ai sensi dell'art. 67 comma 2 L.F. si fondava sulla sicura "scientia decotionis" del Banco in relazione ai numerosi protesti elevati a carico della società. Si costituiva il Banco, sostenendo che l'importo di L. 54.038.871, riguardante un bonifico disposto dalla Regione Liguria, era pervenuto in data 3.11.1994 ed annotato con valuta del 28.10.1994, vale a dire con data anteriore alla dichiarazione di fallimento e che non sussistevano quindi i presupposti per l'applicazione dell'art. 44 L.F.. In ogni caso eccepiva la compensazione legale ex art. 56 L.F. tra il proprio maggior credito e le somme richieste in pagamento.
Contestava, in considerazione dello affidamento fino a 50.000.000 concesso alla società, il carattere solutorio del pagamento del terzo, negando l'applicabilità quindi dell'art. 67 comma 2 L.F. e chiedeva il rigetto delle domande, previa compensazione legale, ai sensi dell'art. 56 L.F., del proprio maggior credito.
Il Giudice unico con sentenza del 9.2-7.7.1997 dichiarava l'inefficacia della compensazione e condannava il Banco alla restituzione della somma richiesta oltre gli interessi. Proponeva impugnazione il Banco ed, all'esito del giudizio nel quale si costituiva il Fallimento, la Corte d'Appello di Genova con sentenza del 7.75.8.1998 rigettava il gravame.
Preliminarmente e con riferimento all'istanza appello di nuovi documenti, riteneva la Corte di merito che, trattandosi di prove precostituite che non incidono sulla celerità del procedimento, la loro ammissione non dovrebbe essere condizionata dalla valutazione in ordine alla loro indispensabilità e che, anche se astrattamente ammissibili, detti documenti, oltre che inidonei a dimostrare la dedotta circostanza dell'indicazione da parte della Regione Liguria di una data di valuta anteriore alla dichiarazione di fallimento in quanto non leggibile, sono comunque certamente irrilevanti, assumendo efficacia l'accreditamento conseguente all'ordine di un terzo dalla sua annotazione poiché solo da tale momento il correntista può averne l'effettiva disponibilità.
Al fine di stabilire l'anteriorità o la posteriorità di un accredito rispetto alla declaratoria di fallimento per gli effetti di cui agli artt. 42-44 L.F., attribuiva rilevanza esclusiva pertanto alla cosiddetta "data contabile", mentre considerava irrilevante la cosiddetta "data valuta", finalizzata solo al calcolo degli interessi.
Escludeva poi che in primo grado fosse stata introdotta da parte del Fallimento. con la comparsa conclusionale, una domanda nuova in quanto, se è vero che nelle conclusioni era stata chiesta l'inefficacia ai sensi dell'art. 44 L.F. degli atti dispositivi compiuti in favore del Banco dono la dichiarazione di fallimento, è anche vero che nell'atto introduttivo era stato posto in evidenza come oggetto dell'inefficacia non fosse l'accreditamento della somma, ma il successivo atto dispositivo avvenuto in epoca successiva al fallimento, vale a dire la compensazione operata dal Banco ai sensi dell'art. 56 L.F..
Riteneva infine inapplicabili sia i principi elaborati in materia di revocazione in relazione ai pagamenti effettuati da un terzo - attesa l'inefficacia di qualsiasi atto di disposizione compiuto dono la dichiarazione di fallimento - e sia la compensazione legale, trattandosi di un unico complesso rapporto di conto corrente in cui le rimesse dei terzi si inseriscono senza che - si realizzi un'autonoma obbligazione della banca di rimettere al cliente le somme riscosse e sussistendo, oltre tutto, diversità di soggetti contrapposti (da una parte banca-fallito e, dall'altra, banca e massa dei creditori).
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la Banca Intesa s.p.a., già Banco Ambrosiano Veneto s.p.a., deducendo un unico articolato motivo di ricorso. illustrato anche con memoria. Resiste il Fallimento A. di A. Nicola & C. s.a.s. con controricorso illustrato anch'esso con memoria. Anche il Banco Ambrosiano Veneto s.p.a., cui il ricorso era notificato, resiste controricorso e propone pure ricorso incidentale avente per contenuto lo stesso motivo dedotto dalla Banca Intesa s.p.a..


MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudizialmente i due ricorsi, il principale della Banca Intesa s.p.a. e l'incidentale del Banco Ambrosiano Veneto s.p.a., devono essere riuniti ai sensi dell'art. 335 C.P.C., riguardando la stessa sentenza.
Sempre pregiudizialmente deve essere esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata con la memoria dal Fallimento il quale sostiene che, mentre dal ricorso proposto dalla Banca Intesa s.p.a. sembrava che questa non fosse che la nuova denominazione sociale assunta dal Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. dal controricorso (e ricorso incidentale) spiegato dal Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. - cui il ricorso principale era stato pure notificato - risulta chiarito invece che tale Banco è un soggetto distinto da Banca Intesa alla quale aveva conferito l'azienda bancaria con atto dell'1.1.1998.
Al riguardo deduce che. risultando in tal modo il ricorso proposto da un soggetto diverso da quello che aveva assunto la qualità di parte nel giudizio in cui era stata emessa la sentenza impugnata, sarebbe stato necessario da parte della ricorrente Banca Intesa fornire, tramite Produzione documentale consentita ai sensi dell'art. 372 C.P.C., la prova della sua derivazione dalla preesistente società, prova che non era stata però resa. L'eccezione è infondata.
Risulta dalla documentazione prodotta unitamente al ricorso ai sensi dell'art. 372 C.P.C. e nuovamente Prodotta in udienza che la ricorrente principale Banca Intesa s.p.a. costituisce in effetti la nuova denominazione sociale del Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. che aveva agito nei giudizi di merito e che ha conferito l'azienda bancaria alla controllata Euragrind la quale poi ha assunto la denominazione di Banco Ambrosiano Veneto s.p.a..
È evidente pertanto che sia la ricorrente principale Banca Intesa s.p.a. che il controricorrente Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. hanno agito nel rispetto dell'art. 111 C.P.C., essendo, la prima, la stessa parte, sia pure con una nuova denominazione sociale, che aveva partecipato ai giudizi di merito (comma 1) e, la seconda, chiamata in giudizio quale successore a titolo particolare (comma 3). Con l'unico ma articolato motivo di ricorso la Banca Intesa s.p.a. (già Banco Ambrosiano Veneto s.p.a.) denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1241, 1242 e 1243 C.C.; 44 L.F.; 1853, 1856 e 1857 C.P.C. anche in relazione agli artt. 56 e 72 L.F.: 345 C.P.C. nonché omessa e/o contraddittoria motivazione. Lamenta che la Corte d'Appello, nell'escludere una modifica della "causa petendi" rispetto all'atto introduttivo, abbia ritenuto che con la domanda sia stata richiesta l'inefficacia non tanto del pagamento del terzo (la Regione Liguria) quanto dell'atto di disposizione effettuato dal Banco ai sensi dell'art. 56 L.F., senza considerare che la compensazione legale non comporta alcun atto di disposizione ma "estingue 'ope legis' i debiti contrapposti per il solo fatto della loro coesistenza" e non ha quindi alcuna valenza negoziale. Sostiene poi l'inapplicabilità al caso in esame dell'art. 44 L.F., trattandosi di un atto che sarebbe stato posto in essere da un soggetto diverso dal fallito e non a favore di questi. Deduce ancora che illegittimamente la Corte d'Appello ha escluso la produzione di documenti, pur ritenendoli ammissibili e che ha poi errato nel considerarli irrilevanti sul presupposto che ai fini dell'anteriorità o posteriorità dell'accredito rispetto al fallimento devesi tener conto della cosiddetta data contabile. Sostiene al riguardo che, determinando l'ordine di accreditamento in conto corrente il sorgere verso la banca di un diritto di credito del cliente beneficiario e non avendo avuto tale ordine ancora attuazione con l'annotazione in conto corrente al momento della dichiarazione di fallimento, detto adempimento era divenuto ormai giuridicamente impossibile per il sopraggiungere appunto del fallimento, con la conseguenza che la coesistenza dei due distinti rapporti di debito- credito è riconducibile alla previsione dell'art. 56 L.F.. Il ricorso è infondato.
La censura in esame, pur se variamente articolata. ripropone sostanzialmente e sotto un duplice profilo la tesi della legittimità della compensazione operata dalla banca ai sensi dell'art. 56 L.F. In primo luogo si sostiene infatti che. trattandosi di una compensazione legale che estingue "ope legis" i debiti contrapposti per il solo fatto della loro esistenza e non integrando quindi alcun atto di disposizione, essa non ha valenza negoziale e non può considerarsi inefficace ai sensi dell'art. 44 L.F. che riguarda invece gli atti compiuti dal fallito ed i pagamenti da lui eseguiti o ricevuti dopo la sentenza dichiarativa di fallimento. Con un'ulteriore considerazione si deduce poi che, poiché l'adempimento dell'ordine di accreditamento del bonifico era ormai precluso dal sopraggiunto fallimento, si era verificata la coesistenza di due distinti rapporti di debito e di credito riconducibile all'art. 56 L.F..
Orbene, va innanzitutto rilevato che nel contratto di conto corrente bancario, quale quello in esame, regolato dall'art. 1852 segg. C.C., se è vero che le annotazioni e le registrazioni delle singole operazioni, a differenza di quelle di conto corrente ordinario, hanno un valore esclusivamente contabile ed un'efficacia meramente dichiarativa (Cass. 1846/98), con la conseguenza che la compensazione opera in base alla semplice coesistenza dei contrapposti conti o rapporti (art. 1853 C.C.) e che l'azione revocatoria è esperibile anche in relazione agli importi di cui non siano state ancora effettuate le registrazioni dovendosi tener conto del cosiddetto saldo disponibile, è anche vero che un tale effetto non possa conseguire invece nei casi di versamento mediante bonifico o bancogiro il quale consiste nell'accreditamento di una somma di denaro da parte di una banca a favore del correntista beneficiario e nel contemporaneo addebitamento della stessa somma sul conto del soggetto che ne ha fatto richiesta.
In tal caso infatti il versamento si realizza al termine della complessa operazione e cioè allorché l'importo venga annotato sul conto del beneficiario, rappresentando l'annotazione in dette operazioni, sulla base della disciplina per esse previste, il momento perfezionativo della fattispecie e costitutivo quindi dello accreditamento (in tal senso Cass. 1846/98 già richiamata e Cass. 2545/72). Correttamente pertanto la Corte d'Appello, al fine di verificare l'anteriorità o la posteriorità dell'operazione bancaria rispetto alla dichiarazione di fallimento, ha ritenuto rilevante la cosiddetta "data contabile" e cioè quella in cui è avvenuta l'annotazione dell'accredito, riscontrando che essa è successiva al fallimento medesimo.
Orbene in tale contesto, risultando appunto successivo alla dichiarazione di fallimento, lo accreditamento eseguito in favore del fallito deve ritenersi inefficace nei confronti dei creditori in applicazione dell'art. 44 L.F., con la conseguente impossibilità per la banca di operare alcun conguaglio con sue eventuali precedenti operazioni.
Nè può invocarsi da parte della banca la compensazione in quanto, ai fini dell'applicabilità dell'art. 56 L.F., dovendo necessariamente risalire i fatti costitutivi dei reciproci crediti alla fase precedente all'apertura del fallimento, ogni evento successivo è improduttivo di effetti rispetto alla massa per la tutela della "par condicio" (da ultimo Cass. 1671/98), come nel caso in esame in cui, per i motivi esposti, il diritto di credito nei confronti della banca è sorto in pendenza del fallimento. D'altra Parte, a seguito del fallimento, risultando ormai sciolto il conto corrente alla data dell'accreditamento in virtù dell'art. 78 L.F., era venuta a mancare la coesistenza dei reciproci debiti che costituisce il presupposto necessario per dar luogo alla compensazione. Infatti nessun obbligo di versamento della somma ricevuta la banca Poteva ormai assumere nei confronti del proprio cliente, con la conseguenza che detta somma non avrebbe potuto essere oggetto di compensazione con i crediti ad essa derivanti dallo scoperto di conto corrente, ma avrebbe dovuto essere Posta a disposizione del curatore.
Diversamente da quanto sostiene la ricorrente banca quindi, l'impossibilità di eseguire l'obbligo di accreditamento sul conto corrente determina la mancata coesistenza dei due debiti e preclude, per ciò solo, il ricorso all'art. 56 L.F.
Nè d'altra parte ad opposte conclusioni sarebbe possibile pervenire se, sempre ai fini della compensazione, il riferimento fosse operato al momento in cui la banca ricevette l'ordine, momento da collocare precedentemente alla dichiarazione di fallimento, in quanto in tale contesto temporale non era stato ancora assunto dalla banca alcun obbligo, da ritenersi sorto, per quanto già esposto, solo all'atto dell'annotazione della somma sul conto corrente, avvenuta certamente dopo la dichiarazione di fallimento. In ogni caso va sottolineato che il versamento da parte di una banca sul conto corrente del cliente di somme rimesse da terzi per effetto di un "bonifico" costituisce Pur sempre, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, un'operazione che, salvo patto contrario, si inserisce nell'ambito dell'unitario complesso rapporto di conto corrente e non realizza un'autonoma obbligazione da parte della banca di rimettere al cliente medesimo le somme riscosse, le quali non sono suscettibili pertanto di compensazione legale, ma determinano una semplice variazione quantitativa del debito del correntista.
Pertanto, vertendosi nel caso in esame nell'ambito di un unico rapporto di conto corrente, deve ritenersi esclusa, Per ciò solo ed anche sotto tale profilo, ogni possibilità di compensazione. Il ricorso principale deve essere quindi rigettato, così come quello del Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. contenente le stesse censure.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale della Banca
Intesa s.p.a. e quello incidentale del Banco Ambrosiano Veneto s.p.a.. Condanna entrambe le banche in solido al pagamento dell'onorario che liquida in L. 6.000.000 oltre alle spese liquidate in L. 220.000.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 1999.
Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2000