Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22335 - pubb. 18/09/2019

Donazione di usufrutto successivo: necessaria l’accettazione del beneficiario

Tribunale Benevento, 30 Maggio 2019. Est. Galasso.


Donazione – Usufrutto successivo – Accettazione del beneficiario – Necessità



L’art. 796 c.c., nel prevedere la riserva a vantaggio di altra persona, dopo del donante, contempla un’ipotesi di donazione che, come tale, dev’essere accettata dal donatario (da ult., cfr. Cass. civ., Sez. V, 15.3.2019, ord. n. 7444: «La donazione dell'usufrutto in favore di un terzo, contenuta nella donazione con riserva di usufrutto di cui all'art. 796 c.c., si perfeziona con l'accettazione da parte del donatario, la quale può essere contenuta nel medesimo atto ovvero intervenire con atto pubblico posteriore, richiedendosi in quest'ultimo caso, ai fini del perfezionamento della fattispecie, la relativa notificazione al donante.»).

La tesi secondo cui l’accettazione non sarebbe necessaria, trattandosi di contratto a favore di terzo, non persuade: anche ammesso che il contratto a favore del terzo possa trasferire o costituire un diritto reale (in senso favorevole, Cass. civ., Sez. II, 27.6.2011, sent. n. 14180), non si vede quale sarebbe l’interesse (art. 1411, co. 1, c.c.) di colui che dovrebbe assumere (nello schema, appunto, del contratto a favore di terzo) la natura di stipulante, ossia il donatario della nuda proprietà: costui dovrebbe, infatti, nutrire un paradossale interesse ad ottenere meno, e cioè, si ribadisce, una nuda proprietà, anziché una piena proprietà.

Sembra, poi, difficile ammettere, nell’ipotesi della donazione, per sua natura caratterizzata dall’assenza di un qualunque corrispettivo da parte del donatario, che il beneficiario della nuda proprietà possa (quale stipulante), di propria esclusiva iniziativa, revocare o modificare la stipulazione, finché il terzo non abbia dichiarato di volerne profittare (art. 1411, co. 2, c.c.): in tal modo, il donatario della nuda proprietà sottrarrebbe al terzo l’usufrutto, sovrapponendosi alla volontà del donante e, anzi, cancellandone una delle direzioni. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


IL TRIBVNALE DI BENEVENTO

in composizione collegiale, in persona dei Magistrati:

Dott. Ennio RICCI Presidente

Dott.ssa Antonietta GENOVESE Giudice

Dott. Luigi GALASSO Giudice relatore ed estensore

ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 2454/2017 R.G.A.C.

TRA

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.      M. Margherita traeva in giudizio, innanzi al Tribunale di Benevento, D. M., o M. L., D. Enrico e D. B., chiedendo: che fosse accertata la lesione della quota di legittima a lei riservata, cagionata dalla donazione in data 22 Febbraio 1989, mediante la quale il marito, poi deceduto, D. Vincenzo, aveva disposto della nuda proprietà di tutti i propri beni in favore dei figli, odierni convenuti; che fosse, di conseguenza, ridotta la donazione, e che ella fosse reintegrata nella quota; che i convenuti fossero obbligati a rendere il conto della gestione dei beni di cui erano in possesso, a rilasciarle i beni che le fossero stati «assegnati nella divisione», a restituirle i «relativi frutti percetti e percipiendi dal rogito maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria.».

Spese di lite da distrarsi.

L’attrice era la vedova di D. Vincenzo, nato a Benevento il 10 Agosto 1929, ivi deceduto il 2 Novembre 2015, senza lasciare testamento.

La stessa M. ed i tre figli, attuali convenuti, erano i soli eredi.

Con la menzionata donazione del 22 Febbraio 1989, D. Vincenzo, nel donare ai tre figli la nuda proprietà di tutti i propri beni, aveva riservato l’usufrutto a se medesimo e, alla morte, alla moglie.

Successivamente, era stata compiuta la «vendita della sola nuda proprietà tra i germani M. e B.».

Il valore della quota era pari ad euro 65.197,49: a lei spettava, inoltre, il diritto di abitazione sulla casa coniugale.

Ella, quale legittimario pretermesso, non doveva accettare l’eredità con beneficio d’inventario.

A. Giovanni, «terzo avente causa della odierna convenuta M. D.», aveva citato in giudizio (la causa, pendente innanzi allo stesso Tribunale, aveva assunto il numero di ruolo 4723/2016) la stessa M., affinché questa restituisse gli immobili asseritamente da lei occupati senza titolo.

Era contestata, infatti, la validità o l’efficacia della riserva d’usufrutto.

Ella riteneva valida tale riserva: ove fosse stato vero il contrario, la lesione della quota si sarebbe addirittura ampliata.

2.     D. M., o M. L. si costituiva, insieme al A., che dichiarava di spiegare intervento adesivo dipendente.

Deve precisarsi che, nella comparsa di costituzione e risposta, la D. si qualificava unicamente come “M.”: nella memoria di costituzione del nuovo difensore, assume, invece, anche il secondo nome.

Il primo difensore la dichiarava nata il 7 Dicembre 1987, mentre il secondo nata il 13 Ottobre 1956: il codice fiscale indicato, in ambo i casi, reca come data di nascita il 1956 (i due codici, invero, divergono per una lettera, per un verosimile errore di trascrizione).

La donazione in data 27 Dicembre 2010, depositata dal primo difensore, indica le seguenti generalità: D. M., nata a Benevento il 13 Ottobre 1956; ella dichiarava al notaio «che in alcuni documenti figura con il nome di “M. L.”, ma che le proprie generalità sono esattamente riportate nella costituzione del presente, come peraltro si evince da documentazione anagrafica.».

La donazione del 22 Febbraio 1989 la individua, invece, come D. M. L., nata, comunque, a Benevento, il 13 Ottobre 1956.

La D., il 27 Dicembre 2010, aveva donato al figlio, A. Giovanni, la civile abitazione (aggiunge lo scrivente: in Benevento, come gli altri cespiti poi indicati) censita in catasto al fol. 57, p.lla 264, sub. 1; il capannone allo stesso foglio, p.lla 797; il fondo allo stesso foglio, p.lle 799 e 801; i diritti pro quota sulla corte comune allo stesso foglio, p.lla 734.

Tali immobili erano pervenuti alla D. da D. Vincenzo, attraverso la donazione del 1989.

La domanda di restituzione era stata formulata, dall’attrice, in maniera generica.

Il diritto di abitazione sulla casa familiare non spettava all’attrice: al momento della morte del de cuius, infatti, non si verificava la condizione dell’appartenenza a costui, o ad ambo i coniugi, della medesima casa: ma del solo diritto di usufrutto.

Il diritto di usufrutto del D., peraltro, si era estinto alla di lui morte, senza che la M. avesse accettato la donazione dell’usufrutto successivo, in proprio favore: col decesso del primo, pertanto, l’usufrutto si era consolidato con la nuda proprietà, ed i donatari erano rimasti pieni proprietari.

Ove l’usufrutto fosse esistito, la M., invece, avrebbe dovuto accettare l’eredità, con beneficio d’inventario: sicché la domanda di riduzione era inammissibile.

La M. occupava senza titolo gli immobili relitti.

Al valore della quota doveva «imputarsi l’uso integrale dell’abitazione donata alla D. M. e da questa, poi, al D’Addona Giovanni.».

L’attrice doveva imputare, altresì, «i frutti percetti dalla detenzione del capannone e del contiguo orto e, per l’effetto, [doveva essere] condannata al pagamento di un’indennità per l’occupazione da parte sua degli immobili caduti in successione, a far tempo dal novembre 2015, salvo compensazione con il valore attribuito alla quota ereditaria eventualmente riconosciutale.».

D. Enrico doveva restituire alla massa i frutti conseguenti all’uso dell’abitazione, col garage e l’orto, se la quota riconosciutagli si fosse rivelata differente: ancora dal Novembre del 2015.

L’usufrutto, se riconosciuto esistente, costituiva un valore da imputare alla quota della M.: tale diritto, inoltre, non poteva permanere oltre la divisione, la quale, altrimenti, sarebbe rimasta incompleta.

La lesione era stata individuata in maniera generica.

Occorreva considerare la disponibile, pari al quarto dei beni.

La parte concludeva per il rigetto della domanda; perché, in via riconvenzionale subordinata, fossero imputati alla quota della M. i valori di cui alla narrativa, ed altrettanto rispetto a D. Enrico.

Spese vinte, da distrarsi.

3. D. B. si dichiarava consapevole della lesione dei diritti della madre: la soluzione stragiudiziale della controversia era stata impedita, tuttavia, dall’atteggiamento della stessa madre.

Il 27 Febbraio 1989, venivano rogati la donazione della nuda proprietà dei beni di D. Vincenzo in favore dei figli, e la vendita della nuda proprietà ottenuta dal medesimo D. B., in favore di D. M., rispetto agli immobili in Benevento, in catasto al fol. 57, p.lle 264, sub. 1; 797; 798, sub. 2; 799; 734 (quota di un mezzo); 801.

La parte chiedeva accertarsi il valore della massa ed appurarsi l’eventuale lesione di legittima, subita dalla M., con la conseguente riduzione.

Spese di lite a carico di D. M., sola che contestava la pretesa dell’attrice: con distrazione.

4. D. Enrico si difendeva in maniera pressoché identica a D. B..

5. Mediante la propria memoria ex art. 183, co. 6, n. 1, c.p.c., l’attrice assumeva l’inammissibilità dell’intervento del A., quale titolare di un interesse di mero fatto.

Ne conseguiva che costui non poteva proporre la domanda riconvenzionale, che aveva avanzato contro l’attrice e contro D. Enrico.

Ove la difesa di D. M. e di A. Giovanni avesse voluto far intendere che la domanda fosse stata proposta dalla sola D., si sarebbe trattato, comunque, di domanda completamente generica, rispetto alla parte che l’aveva presentata.

D. M., comunque, avendo alienato i beni, oggetto della domanda di riduzione, nel 2010, donandoli all’interventore (il figlio), non poteva vantare un proprio credito, e, quindi, proporre una domanda riconvenzionale.

La stessa M., comunque, nell’agire, aveva ammesso che, ove le fosse stato riconosciuto il diritto di usufrutto, le sarebbe spettata una minor quota di riserva.

Non era chiaro come fosse stata determinata la somma, oggetto della pretesa della D. e del A..

La domanda riconvenzionale, proposta contro D. Enrico, era infondata, non avendo costui fruito pienamente dell’abitazione, del garage e dell’orto: il garage era stato venduto alla D. il 25 Gennaio 2006; l’orto, invece, era nel possesso esclusivo dell’attrice, come accertato dal Tribunale in altre cause.

6. La difesa della D. e del A., con la memoria ex art. 183, co. 6, n. 1, c.p.c., a propria volta, ribadiva la natura di mero intervento adesivo dipendente, da riconoscersi alla costituzione in giudizio del secondo.

7. La riunione della causa a quella iscritta al n. 4723/2016 R.G.A.C. , pur promossa dal Giudice Istruttore, non poteva essere disposta: l’Istruttore di quel giudizio, infatti, negava la sussistenza dei presupposti.

8. Con ordinanza datata al 3 Maggio 2018, il Giudice Istruttore fissava udienza di precisazione delle conclusioni, per l’emanazione di una sentenza, quanto meno non definitiva, così motivando:

considerato che, prima di condurre un’istruttoria sul valore dei beni o sulle somme oggetto della domanda riconvenzionale, sia necessario, alla luce delle contestazioni sollevate reciprocamente dalle parti, definire i rispettivi diritti (se M. Margherita sia titolare dell’usufrutto, già riservato a favore di D. Vincenzo, o dei diritti di uso ed abitazione, spettanti al coniuge superstite; se ella dovesse accettare l’eredità; quale sia la quota di riserva che eventualmente le spetti; se ed in quali limiti abbia agito e possa agire l’interventore; se ed in quali limiti D. M. possa avanzare la domanda riconvenzionale; eventuali ulteriori questioni che il Collegio ritenga), mediante una sentenza non definitiva: fermo il potere del Collegio, se possibile, di definire anche per intero la controversia;

 

La causa, pertanto, all’udienza appositamente fissata, veniva rimessa al Collegio per la decisione.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.      L’odierno interventore, A. Giovanni, citava in giudizio M. Margherita, nella menzionata causa n. 4723/2016 R.G.A.C.

Il A. chiedeva accertarsi la detenzione senza titolo, da parte della M., degli immobili a lui ceduti da D. M., e condannarsi la convenuta al rilascio ed al risarcimento del danno: sulla base della considerazione che la donazione di usufrutto successivo non fosse stata accettata.

È evidente che manca un’identità di tali domande rispetto alla domanda riconvenzionale avanzata, nella presente causa, dalla D.: innanzitutto, strutturalmente, per la diversità della parte che le avanzava e, poi, funzionalmente, perché le stesse questioni sono introdotte, nella presente controversia, al fine di ottenere una pronunzia collegata alla riduzione.

La differenza soggettiva (di partes) tra le rispettive domande impedisce la sospensione, escludendo un rapporto di pregiudizialità necessaria (Cass. civ., Sez. VI – Lav., 24.5.2018, ord. n. 12996; Cass. civ., Sez. VI - 2, 11.8.2017, ord. n. 20072): e, per la stessa ragione, esclude, altresì, che, sia pure limitatamente a taluni oggetti, il secondo giudizio, ossia il presente, possa essere considerato improcedibile per violazione del divieto di bis in idem.

2. Quale legittimaria completamente pretermessa, la M. non doveva e, anzi, non poteva accettare alcuna eredità (Cass. civ., Sez. II, 22.8.2018, ord. n. 20971; Cass. civ., Sez. VI - 2, 26.10.2017, ord. n. 25441): la domanda, pertanto, è ammissibile, ed altrettanto ammissibile va considerata anche sotto il profilo della specificazione dell’entità della lesione, giacché l’attrice deposita una propria apposita perizia tecnica (ed è irrilevante se questa verrà ritenuta esatta o meno, nei suoi presupposti e nelle sue conclusioni, all’esito del giudizio).

3. M. Margherita non accettava la donazione dell’usufrutto riservatole dal marito.

L’art. 796 c.c., nel prevedere la riserva a vantaggio di altra persona, dopo del donante, contempla un’ipotesi di donazione: che, come tale, dev’essere accettata dal donatario (da ult., cfr. Cass. civ., Sez. V, 15.3.2019, ord. n. 7444: «La donazione dell'usufrutto in favore di un terzo, contenuta nella donazione con riserva di usufrutto di cui all'art. 796 c.c., si perfeziona con l'accettazione da parte del donatario, la quale può essere contenuta nel medesimo atto ovvero intervenire con atto pubblico posteriore, richiedendosi in quest'ultimo caso, ai fini del perfezionamento della fattispecie, la relativa notificazione al donante.»).

La tesi dell’attrice, secondo cui l’accettazione non sarebbe necessaria, trattandosi di contratto a favore di terzo, non persuade: anche ammesso che il contratto a favore del terzo possa trasferire o costituire un diritto reale (in senso favorevole, Cass. civ., Sez. II, 27.6.2011, sent. n. 14180), non si vede quale sarebbe l’interesse (art. 1411, co. 1, c.c.) di colui che dovrebbe assumere (nello schema, appunto, del contratto a favore di terzo) la natura di stipulante, ossia il donatario della nuda proprietà: costui dovrebbe, infatti, nutrire un paradossale interesse ad ottenere meno, e cioè, si ribadisce, una nuda proprietà, anziché una piena proprietà.

Sembra, poi, difficile ammettere, nell’ipotesi della donazione, per sua natura caratterizzata dall’assenza di un qualunque corrispettivo da parte del donatario, che il beneficiario della nuda proprietà possa (quale stipulante), di propria esclusiva iniziativa, revocare o modificare la stipulazione, finché il terzo non abbia dichiarato di volerne profittare (art. 1411, co. 2, c.c.): in tal modo, il donatario della nuda proprietà sottrarrebbe al terzo l’usufrutto, sovrapponendosi alla volontà del donante e, anzi, cancellandone una delle direzioni.

Deve concludersi nel senso che la M. non sia titolare dell’usufrutto successivo.

4. L’attrice non ha diritto neppure ai diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei beni mobili che la corredavano: requisito dell’acquisto di tali posizioni soggettive (art. 540, co. 2, c.c.; Cass. civ., Sez. II, 23.5.2000, sent. n. 6691) è, infatti, che la casa, al momento dell’apertura della successione, appartenesse al defunto, o fosse di comune proprietà dei coniugi.

Nel caso di specie, nessuna di tali condizioni si verificava.

5. In conseguenza di quanto affermato, la quota spettante all’attrice, quale coniuge superstite ed in presenza di più figli, è pari ad un quarto del patrimonio (art. 542, co. 2, c.c.): o meglio, nella specie, al quarto del valore dei beni donati, salva l’eventuale imputazione dei controcrediti degli eredi, da accertarsi nel seguito del giudizio.

6. A. Giovanni, che si qualifica come interventore adesivo dipendente, nutre un interesse giuridicamente rilevante a sostenere le ragioni di D. M. (Cass. civ., Sez. II, 30.12.2016, sent. n. 27528: «L’intervento volontario in causa si qualifica come principale quando si faccia valere nei confronti di tutte le parti, o di alcune di esse, un diritto relativo all’oggetto del processo o dipendente dal titolo in questo dedotto, mentre è da ritenersi adesivo dipendente ove sia dedotto solo un interesse giuridicamente rilevante a sostenere le ragioni di una o di alcune delle parti»): egli, infatti, avendo acquistato, prima che la causa fosse stata iniziata, beni immobili oggetto della donazione asseritamente lesiva, è soggetto alla restituzione ex art. 563 c.c.

Proprio la natura e la funzione dell’intervento adesivo dipendente concorrono ad indurre a condividere l’affermazione che la domanda riconvenzionale sia stata proposta dalla sola D., e non anche dal A..

7. La D. può agire in riconvenzionale, al fine di far accertare che la quota dell’attrice vada decurtata di una serie di utilità economiche, poiché rimane soggetta all’escussione del patrimonio, pur dopo aver alienato taluni (manca il garage censito al fol. 57, p.lla 798, sub. 2) dei beni ottenuti in donazione: art. 563, co. 1, c.c.

8. Il regime delle spese dev’essere rimesso alla sentenza definitiva.

9. Con coeva ordinanza si dettano le disposizioni sul seguito del giudizio.

 

P.Q.M.

IL TRIBUNALE

non definitivamente pronunziando nella causa iscritta al n. 2454/2017 R.G.A.C., promossa da M. Margherita contro D. M., o M. L., D. B. e D. Enrico, e nella quale interveniva A. Giovanni, ogni diversa domanda, eccezione, richiesta disattesa, così decide:

1.      dichiara ammissibile l’esercizio dell’azione di riduzione;

2.     dichiara che M. Margherita non è titolare dell’usufrutto successivo, contemplato dalla donazione in data 22 Febbraio 1989, a rogito del Notaio Dott. Tommaso CARUSO, Rep. n. 21848, Racc. n. 4466;

3.     dichiara che M. Margherita non è titolare dei diritti di cui all’art. 540, comma 2, c.c.;

4.     dichiara la quota di riserva di M. Margherita pari al quarto del valore dei beni donati da D. Vincenzo, salva l’eventuale imputazione dei controcrediti degli eredi, da accertarsi nel seguito del giudizio;

5.     dichiara ammissibile la domanda riconvenzionale subordinata, avanzata da parte di D. M., o M. L.;

6.     rimette alla sentenza definitiva di regolare il regime delle spese;

7.      rimette ogni decisione sul seguito del processo alla coeva ordinanza.

Benevento, 28 Maggio 2019.