Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23163 - pubb. 06/02/2020

Il creditore può modificare il proprio voto nei venti giorni successiva all’adunanza

Tribunale Benevento, 05 Dicembre 2018. Pres. Monteleone. Est. Cuoco.


Concordato preventivo - Voto - Modifica nei venti successivi all’adunanza dei creditori



La norma che nel concordato preventivo consente al creditore di esprimere il proprio voto nei venti giorni successivi all’adunanza ha il solo scopo di individuare il termine ultimo per una manifestazione espressa delle intenzioni di voto e prescinde dal significato che si è inteso attribuire al silenzio.

E poiché nel concordato preventivo è essenziale il consenso manifestato dai creditori, chiamati a valutare i margini di realizzabilità delle ipotesi di piano nonchè la convenienza della proposta formulata dal debitore, sarebbe illogico escludere in via interpretativa che il creditore possa successivamente cambiare il proprio voto per il solo fatto che questo comportamento potrebbe assumere in concreto aspetti patologici.

Precludere un concreto esercizio dello jus poenitendi non trova dunque un esplicito aggancio normativo ed appare incongruo con la generale disciplina codicistica dettata in tema di formazione del consenso e sarebbe altresì incoerente con il favor normativo per la soluzione concordataria della crisi. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato



Segnalazione del Dott. Domenico Ruggiero


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Quanto al primo profilo, il problema si è posto con particolare riferimento ai creditori postergati, ai fideiussori, ai creditori condizionati e, nei venti giorni successivi all’adunanza, ai creditori che abbiano espresso le loro determinazioni con voto espresso: riconoscere o meno la legittimazione al voto ai fideiussori o legittimare uno jus poenitendi incide, in concreto, sulla valutazione delle determinazioni di voto e, quindi, sull’approvazione della proposta.

Appare opportuno ribadire nel dettaglio le argomentazioni condivise da questo Collegio:

Non possono essere ammessi al voto i creditori postergati (se non nelle limitate ipotesi in cui sia loro riservata una qualche soddisfazione), atteso che il loro credito esiste solo all’esito della liquidazione e nel caso in cui residui un importo da distribuire;

Non può essere riconosciuta la legittimazione al voto in capo ai fideiussori. Conduce verso questa soluzione la formulazione letterale dell’art. 174 della legge fallimentare (che distingue tra creditori e coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso: la distinzione richiamata e la sola legittimazione alla “partecipazione” riconosciuta a questi ultimi porta a ritenere che i fideiussori, in quanto tali, non siano creditori; o diventano solo allorquando essi abbiano adempito parzialmente o integralmente prima del deposito della domanda di concordato preventivo la propria obbligazione solidale: Cass. n. 613/13; Cass. n. 11144/12), l’inevitabile oggettiva duplicazione dei voti e la conseguente alterazione delle maggioranze che conseguirebbe al riconoscimento del diritto di voto. Né appare pertinente il richiamo alla previsione di cui all’art. 55, al quale rinvia l’art. 169 (ricomprendendo fra i crediti che partecipano al concorso anche quelli che non possono farsi valere nei confronti del fallito, se non previa escussione di un obbligato principale, la norma, evidentemente si riferisce all’ipotesi simmetrica in cui la posizione di garante sia assunta dallo stesso proponente. Ipotesi nella quale alcuna il creditore principale non compare fra i creditori e, pertanto, alcuna duplicazione appare ipotizzabile).

Devono invece essere ammessi i creditori condizionati (la cui valutazione è comunque irrilevante ai fini del raggiungimento delle maggioranze) proprio in applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 169 e 55 l.fall.;

Devono, invece, essere computati i voti pervenuti nei venti giorni successivi all’adunanza, modificativi di pregresse manifestazioni di voto. Le norme di riferimento sono l’art. 177 della legge fallimentare (nella parte in cui specifica che “il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto”)ed il successivo art. 178 (“Nel processo verbale dell’adunanza dei creditori sono inseriti i voti favorevoli e contrari dei creditori con l’indicazione nominativa dei votanti e dell’ammontare dei rispettivi crediti. È altresì inserita l’indicazione nominativa dei creditori che non hanno esercitato il voto e dell’ammontare dei loro crediti... I creditori che non hanno esercitato il voto possono far pervenire lo stesso per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale. Le manifestazioni di voto sono annotate dal cancelliere in calce al verbale”). Si è detto che la preclusione dell’esercizio dei uno jus poenitendi troverebbe il suo fondamento normativo nella esplicita limitazione della platea degli aventi diritto al “voto postumo” contenuta nell’art. 178 l.fall., nella parte in cui precisa che “solo i creditori che non hanno esercitato il voto” possono far pervenire lo stesso nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale.

E tanto sarebbe giustificato, in ipotesi, dalla modifica della disciplina contenuta nel precedente art. 177 nella parte in cui sarebbe stato eliminato l’esplicito riferimento al significato da attribuire al silenzio (“in mancanza, si ritengono consenzienti”). La norma, tuttavia, ed in particolare l’inciso richiamato, potrebbe trovare una diversa e più significativa giustificazione: essa appare funzionale solo ad individuare il termine ultimo per una manifestazione espressa delle intenzioni di voto e prescinde dal significato che si è inteso attribuire al silenzio. D’altronde, essa è rimasta immutata nonostante il diverso significato attribuito al silenzio medesimo introdotto con la modifica del 2015. Non regolamenta lo jus poenitendi, né incide su di esso, che, in applicazione della generale disciplina codicistica ed in assenza di una specifica preclusione, può essere esercitato sino a che il consenso non si sia formato, perfezionando l’accordo (artt. 1326 e 1328 cod. civ.). E nel concordato, il consenso può ritenersi perfezionato, in applicazione del principio maggioritario (“il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto”: art. 177 l.fall.), solo nel momento in cui si sono formate le maggioranze prescritte, ossia nei 20 giorni successivi all’adunanza, di cui al successivo art. 178: entro tale termine, ciascun creditore potrà liberamente manifestare la propria determinazione consapevole ed insindacabile, alla luce delle informazioni fornite dal debitore e delle valutazioni offerte dai commissari. Né può precludersi l’applicazione dei principi generali dettati dalla disciplina civilistica in ragione di un’ipotizzata “pubblicizzazione” della procedura concordataria. È pur vero, infatti, che l’introduzione dell’obbligo generalizzato della procedura competitiva per la vendita, anche anticipata, delle aziende e dei beni sociali, alla disciplina delle proposte e delle offerte concorrenti, l’introduzione di nuove condizioni di ammissibilità per i concordati liquidatori, la diversa e più incisiva disciplina dell’esecuzione hanno ridotto gli spazi di autonomia riconosciuti alle parti nella gestione dei loro rapporti. Ma tanto, ad avviso di questo Collegio, non ha trasformato lo strumento concordatario in una mera procedura pubblicistica di risoluzione dello stato di crisi: ai fini del perfezionamento della fattispecie rimane comunque essenziale il consenso manifestato dai creditori, chiamati a valutare i margini di realizzabilità delle ipotesi di piano e, con essi, la convenienza della proposta formulata dal debitore. Ed all’interno di questo confine, le parti continuano ad essere libere di valutare autonomamente i rispettivi interessi. Né, in ultimo, può assumere effettiva rilevanza la maggiore apertura, che in questo modo si determinerebbe, alla concreta consumazione di condotte penalmente rilevanti, sanzionate dall’art. 233 l.fall. (mercato del voto: applicabile anche al concordato ex art. 236): appare illogico escludere, ermeneuticamente, una condotta astrattamente legittima, perché potrebbe assumere in concreto aspetti patologici. In sintesi, precludere un concreto esercizio dello jus poenitendi non trova un esplicito aggancio normativo ed appare incongruo con la generale disciplina codicistica dettata in tema di formazione del consenso. In ultimo appare incoerente con il favor normativo (pur sempre esistente) per la soluzione concordataria della crisi.

Alla luce di quanto sopra evidenziato, applicando i criteri indicati alla valutazione della determinazione di voto, la proposta può ritenersi effettivamente approvata dalla maggioranza dei creditori ammessi nei termini dettagliatamente indicati nel decreto reso dal giudice delegato il 22 giugno 2018.