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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23478 - pubb. 11/04/2020.

Nullità della Fideiussione ABI per violazione normativa Antitrust


Cassazione civile, sez. III, 19 Febbraio 2020, n. 4175. Pres. Spirito. Est. Francesca Fiecconi.

Fideiussione "ABI" – Violazione normativa Antitrust – Nullità rilevabile d’ufficio per la prima volta anche in Cassazione – Ammissibilità


La nullità della fideiussione per conformità allo schema redatto secondo il modello ABI (relativamente alle clausole di sopravvivenza, reviviscenza e rinuncia ai termini di cui all'art. 1957 c.c.) giudicato dall'Autorità garante, allora preposta, come frutto di un'intesa orizzontale restrittiva della concorrenza (come da atto di accertamento della Banca d'Italia, n. 55 del 2 maggio 2005) puo’ essere rilevata d’ufficio per la prima volta anche in sede di legittimità purchè sussistano gli elementi necessari per poterla rilevare sulla base di dati fattuali già acquisiti e, nel rispetto del contraddittorio.

Detto principio, espresso di recente dalla Corte di Cassazione con la sentenza n 4175 del 19.02.2020, trova riscontro nelle sentenze gemelle dei Giudici di Piazza Cavour pronunciatisi a Sezioni Unite (sentenze n 26242 e 26243 del 2014) , con le quali si è stabilito che “ la domanda di accertamento della nullità contrattuale proposta, per la prima volta, in sede di appello è inammissibile ex art 345 comma primo cpc, salva la possibilità del Giudice investito del gravame di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall’appellante, ex art  345 comma secondo c.p.c.”.

La rilevabilità officiosa, pertanto, costituisce il proprium anche delle nullità speciali, incluse quelle denominate "di protezione virtuale". Il potere del giudice di rilevarle tout court, difatti, è essenziale al perseguimento di interessi pur sempre generali sottesi alla tutela di una data classe di contraenti (consumatori, risparmiatori, investitori), interessi che possono addirittura coincidere con valori costituzionalmente rilevanti - quali il corretto funzionamento del mercato, ex art. 41 Cost. e l'uguaglianza non solo formale tra contraenti in posizione asimmetrica -, con l'unico limite di riservare il rilievo officioso delle nullità di protezione al solo interesse del contraente debole, ovvero del soggetto legittimato a proporre l'azione di nullità, in tal modo evitando che la controparte possa, se vi abbia interesse, sollecitare i poteri officiosi del giudice per un interesse suo proprio, destinato a rimanere fuori dall'orbita della tutela. (Patrizia Perrino) (riproduzione riservata)

Segnalazione dell'Avv. Patrizia Perrino

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 19 aprile 2004 i ricorrenti, R.L. e G.V., fideiussori in base a due garanzie bancarie rilasciate in favore della Banca Commerciale Italiana (cui è succeduto Italfondiario s.p.a.), che aveva intrattenuto rapporti di conto corrente con le società (*) e la M. s.r.l. s.r.l. a far data dal (*) e (*), amministrate dal figlio con loro convivente, ricorrono avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia, n. 8472018, pubblicata il 26 gennaio 2018 e notificata il 22 febbraio 2018 via Pec, affinchè venga cassata la sentenza che, rigettando l'appello, ha confermato l'accoglimento dell'azione revocatoria, svolta nei loro confronti,ex art. 2901 c.c., dalla banca creditrice per vedere dichiarare l'inefficacia dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale, disposto in data 21.4.2006 dai due ricorrenti, nel quale erano confluiti i beni immobiliari dei due coniugi fideiussori.

2. Il ricorso è affidato a quattro motivi. La parte intimata ha notificato controricorso. Le parti hanno depositato memorie.

 

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3, in violazione degli artt. 1325, 1334, 1334, 1335, 1421, 1936, 2901, 2721, 2724, 2727, 2729 e 2967 c.c. e artt. 112, 115 e 116 c.p.c., laddove la Corte d'appello ha ritenuto sussistere l'elemento oggettivo e soggettivo dell'azione revocatoria intentata ex art. 2901 c.c., nei confronti dei ricorrenti, garanti in forza di fideiussioni bancarie rilasciate in relazione ai debiti di due società ((*) con fideiussione del 23/5/2001 e M. e (*) s.r.l. - quest'ultima fallita il 12 luglio 2005 - con fideiussione del 15/1/2004), entrambe amministrate dal figlio, con loro convivente. In particolare denunciano un vizio nel ragionamento presuntivo dei giudici di merito in relazione alla ritenuta sussistenza dell'eventus damni e della scientia damni, a fronte della contestazione dei ricorrenti di non avere avuto cognizione della situazione di insolvenza in cui le due società versavano, non essendo essi soci delle due società, e non essendo del pari dimostrato che la raccomandata del 10/8/04, con cui la banca aveva comunicato loro la revoca degli affidamenti alla società (*) s.r.l. (fallita nel 2005), amministrata dal figlio, fosse pervenuta a loro conoscenza, mancando la produzione della prova dell'avvenuta ricezione presso la loro residenza. Sicchè, i ricorrenti deducono che da tale mancata conoscenza avrebbe dovuto desumersi, invece, che l'atto dispositivo di costituzione del fondo patrimoniale del 21 aprile 2006, oggetto di revocatoria, era stato stipulato nella inconsapevolezza della situazione di insolvenza in cui versavano le due società. Con il secondo motivo, sempre in riferimento alla scientia damni, si deduce la sussistenza di una motivazione apparente, con violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, ex art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto la Corte d'appello, nel rigettare l'appello, avrebbe utilizzato un ragionamento presuntivo errato in ordine alla sussistenza della cd scientia damni. Anche in questo caso la deduzione è svolta con richiamo degli artt. 1325, 1334, 1334, 1335, 1421, 1936, 2901, 2721, 2724, 2727, 2729 e 2967 c.c. e artt. 112, 115 e 116 c.p.c., ritenuti violati.

1.1. I primi due motivi vanno analizzati congiuntamente in quanto tra loro connessi. Essi si dimostrano infondati per i seguenti motivi.

1.2. Nel caso di specie, i motivi di censura si devono confrontare con una motivazione che ha dato rilievo alla sequenza temporale di circostanze anteriori o concomitanti all'atto dispositivo di costituzione del fondo patrimoniale tra i due coniugi, per sua natura a titolo gratuito, per affermare la sussistenza sia del pregiudizio arrecato al creditore dall'atto costitutivo del fondo patrimoniale, in cui è confluito l'intero patrimonio immobiliare dei due coniugi fideiussori, sia della scientia damni dei fideiussori, riposta su elementi presuntivi, e in particolare sul dato, incontestato, che lo stato di insolvenza in cui già obiettivamente versavano le due società amministrate dal figlio dei due coniugi fosse non solo significativamente anteriore all'atto dispositivo, ma anche presumibilmente noto ad essi in quanto fideiussori, traendo argomenti non solo dal rapporto di stretta parentela e convivenza con il figlio, amministratore delle due società garantite, ma anche dal fatto che la raccomandata di revoca degli affidamenti inviata dalla banca fosse comunque pervenuta al loro indirizzo, e dovesse comunque essere considerata come una comunicazione ricevuta ex art. 1335 c.c., pur mancando l'attestazione di ricevuta, in ciò richiamando i precedenti portati da Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 22687 del 28/09/2017 e Cass. Sez. 1, n. 17204/2016.

1.3. Con riguardo all'obbligazione prestata dai fideiussori che hanno costituito il fondo patrimoniale, l'azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, e segnatamente per la valutazione dell'eventus damni, la sola esistenza di un debito, e non anche la sua concreta esigibilità. Pertanto, una volta prestata una fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse ad un'apertura di credito, gli atti dispositivi del fideiussore (nella specie, la costituzione in fondo patrimoniale degli unici beni immobili di sua proprietà), successivi all'apertura di credito ed alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell'art. 2901 c.c., n. 1, prima parte, in base al fattore oggettivo dell'avvenuto accreditamento (eventus damni), cui deve aggiungersi la consapevolezza del fideiussore di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (scientia damni). L'insorgenza del credito va, dunque, apprezzata con riferimento al momento dell'accreditamento (o affidamento) dato al debitore principale dal creditore, oggetto della garanzia prestata, e non a quello, eventualmente successivo, dell'effettivo prelievo, da parte del debitore principale, della somma messa a sua disposizione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8680 del 09/04/2009; Cass. sez. 3, Sentenza n. 762 del 19/01/2016).

1.4. Il principio di diritto applicato dalla Corte di merito, laddove ha considerato il carattere già in sè pregiudizievole della disposizione patrimoniale intervenuta tra i coniugi, si dimostra conforme a quanto indicato dalla giurisprudenza in tale materia, nel senso che l'atto di costituzione del fondo patrimoniale, dovendo ritenersi a titolo gratuito, è soggetto all'azione revocatoria ai sensi dell'art. 2901 c.c., comma 1, n. 1), ove sussista un pregiudizio arrecato ai creditori e non sia dimostrato che l'atto abbia una diversa causa giustificativa (cfr. sul punto Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 9798 del 09/04/2019; Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 29298 del 06/12/2017; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 2530 del 10/02/2015). Sicchè, quando l'atto di disposizione del fideiussore è a titolo gratuito e incida negativamente sulla garanzia patrimoniale generica costituita dal patrimonio del debitore, ex art. 2740 c.c., risultando successivo al sorgere dell'accreditamento fatto dal creditore al debitore principale garantito, si realizza la condizione inerente all'esistenza di un concreto pregiudizio per agire in revocatoria, salvo che il debitore dimostri che l'atto non costituisca un effettivo pregiudizio e abbia una sua propria causa giustificativa.

1.5. L'ulteriore condizione per l'esercizio dell'azione revocatoria nei confronti del fideiussore è che l'atto, "appaia" compiuto nella ragionevole consapevolezza del pregiudizio, anche solo eventuale, che esso arreca alle ragioni del creditore (scientia damni). La prova sulla scientia damni, peraltro, riguarda un fatto di per sè impalpabile, attinente a quanto avvenuto in interiore homine in ordine alla determinazione soggettiva a effettuare una disposizione patrimoniale in pregiudizio delle ragioni del creditore, normalmente non acquisibile in termini di prova certa. La prova presuntiva, al riguardo, rappresenta il più comune mezzo a disposizione perchè in null'altro consiste se non in un ragionamento logico-deduttivo che, sulla base di fatti noti, consente di risalire a fatti ignoti. Invero, se è vero che la prova presuntiva non può essere svilita ad una mera massima di esperienza, è altresì vero che essa può essere cercata anche d'ufficio, una volta che la parte abbia dedotto e provato i fatti noti che ne possono costituire il fondamento. Pertanto, quando i fatti noti siano ritualmente entrati nel materiale utilizzabile ai fini della decisione, il giudice deve comunque procedere a quel ragionamento: vuoi per trarne la prova dei fatti allegati da una parte; vuoi per concludere che i fatti noti di cui dispone sono privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, e non consentono di risalire al fatto ignorato (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 17058 del 11/07/2017; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 2788 del 31/01/2019). Anche in questo caso, incombe sulla parte a cui sfavore gravano le presunzioni iuris tantum dare la prova contraria ed idonea a vincerle, con valutazione spettante comunque al giudice di merito, anche nel caso in cui detta prova risulti difficilmente ottenibile (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13546 del 12/06/2006).

1.6. La presunzione della consapevolezza del fideiussore di ledere le ragioni del creditore, per giurisprudenza consolidata, può desumersi da varie circostanze, quali lo status di socio della società debitrice principale e, ove tale status manchi, la sussistenza di un determinato rapporto, anche di stretta parentela e convivenza, tra il fideiussore e l'amministratore della società garantita che si trovi in stato di difficoltà. Pertanto, la presunzione che si trae dal rapporto di parentela esistente tra il disponente e l'amministratore della società, già in stato di insolvenza (valevole anche per la cd scientia fraudis necessaria per i negozi a titolo oneroso ex art. 2901 c.c.); è da ritenersi logica e congrua laddove tale rapporto personale - che di per sè solo può essere più o meno significativo in relazione al contesto in cui si colloca - si caratterizzi per la coabitazione tra le medesime parti, riguardi parenti stretti e non risulti alcun altro motivo oggettivo idoneo a rendere ragione della disposizione patrimoniale (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 16221 del 18/06/2019; Sez. 3 -, Ordinanza n. 1286 del 18/01/2019; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13447 del 29/05/2013). La prova, presuntiva, pertanto, comporta un margine di apprezzamento, devoluto al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità ove si dimostri congruamente motivato (Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 16221 del 18/06/2019).

1.7. Al proposito, la Corte distrettuale ha dimostrato di avere correttamente applicato la norma in questione dando ampia motivazione della sussistenza delle due condizioni sopra indicate, che dimostra l'infondatezza non solo della prima censura, ma anche della seconda, riguardante l'apparenza o manifesta incongruenza motivazionale, denunciata sotto il profilo dell'art. 132 c.p.c., comma 2, valevole solo in caso di motivazione apodittica od apparente, perplessa o incomprensibile, in questo caso non rilevabile. Sicchè, la contestazione circa la mancata ricezione della lettera raccomandata con cui la banca, nel 2004, aveva comunicato ai fideiussori e alla società il recesso dagli affidamenti rilasciati a una delle due società garantite, poi fallita nel 2005 (inviata prima della stessa disposizione patrimoniale intervenuta nel 2006), considerata dalla Corte di merito tra i vari indici della consapevolezza dei fideiussori di ledere le aspettative della banca garantita, non è in grado di mettere in discussione il ragionamento per presunzioni adottato, posto che si tratta di un argomento ulteriore rispetto alla presunzione di consapevolezza del pregiudizio che già solo si trae considerando la ristretta cerchia familiare in cui si è consumata la vicenda, posta anch'essa a supporto della decisione (cfr. Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 17720 del 06/07/2018, in tema di vizi correlati al mancato ragionamento presuntivo).

2. Con il terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1325,1375,1421,1944 e 1955 c.c. e degli artt. 112,115 e 116c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, sull'assunto che la banca, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, avrebbe dovuto insinuarsi al passivo del fallimento (*) s.r.l., avendo tale omissione impedito la surroga dei fideiussori nei diritti, nel pegno, nelle ipoteche e nei privilegi del creditore. Inoltre, si deduce - per la prima volta in sede di giudizio di legittimità - che la fideiussione rilasciata per le obbligazioni di (*) srl sia nulla in quanto conforme allo schema predisposto dall'ABI, in tema di clausole da apporre alle fideiussioni, in vigore nel 2001, dichiarato illegittimo dalla Banca d'Italia il 2 maggio 2005, in quanto risultante da un'intesa restrittiva della concorrenza, come tale vietata dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2, lett. a), (Antitrust), in tesi consumatasi nella concordata predisposizione di un uniforme modulo di fideiussione bancaria. Nel quarto motivo si denuncia che la motivazione resa sia apparente e incorra nel vizio di cui all'art. 132 c.p.c., comma 2.

3. Vertendo le censure su questioni relative alla invalidità e alla intervenuta inefficacia delle garanzie fideiussorie prestate, poste a fondamento della pretesa fatta valere dalla banca con l'azione revocatoria svolta nei confronti dei fideiussori, e sulla carenza di motivazione al riguardo, esse vengono trattate congiuntamente.

3.1. Le censure sono entrambe infondate.

3.2. Quanto alla questione relativa alla nullità della fideiussione, logicamente anteposta a quella della sua pretesa inefficacia, essa si riferisce alla fideiussione stipulata dai due fideiussori in riferimento all'accreditamento concesso alla società (*) s.r.l., sull'assunto che essa corrisponda allo schema contrattuale (relativamente alle clausole di sopravvivenza, reviviscenza e rinuncia ai termini di cui all'art. 1957 c.c.) giudicato dall'Autorità garante, allora preposta, come frutto di un'intesa orizzontale restrittiva della concorrenza (come da atto di accertamento della Banca d'Italia, n. 55 del 2 maggio 2005).

3.3. Tale questione, nuova e mai dedotta nelle difese precedenti, coinvolge un contratto "a valle" dell'intesa illecita, predisposto ancor prima dell'accertata violazione da parte dell'Autorità preposta, in tesi corrispondente allo schema contrattuale accertato come invalido e riferito a un'intesa dell'ABI del 2001. Sul punto, giova sottolineare che in riferimento ai contratti "a valle" dell'intesa si è ritenuto che l'accertamento dell'esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, con stipulazione di contratti o negozi che costituiscano l'applicazione di quelle intese illecite concluse "a monte" (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative), comprenda anche i contratti stipulati anteriormente all'accertamento dell'intesa illecita da parte dell'Autorità indipendente, preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato, a condizione che quell'intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza (Cass. sez. 1 Sez. 1 -, Ordinanza n. 29810 del 12/12/2017).

3.4. Il precedente sopra richiamato si è conformato alla giurisprudenza di questa Corte che ha da tempo sancito che la legge "antitrust" 10 ottobre 1990, n. 287 detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un'intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte ad un'intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, e, dall'altro, che il cosiddetto contratto "a valle" costituisce lo sbocco dell'intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti. Pertanto, siccome la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall'ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto ex art. 2043 c.c., il consumatore finale, che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per l'effetto di una collusione "a monte", ha a propria disposizione, ancorchè non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l'azione di accertamento della nullità dell'intesa e di risarcimento del danno di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 33, azione la cui cognizione è rimessa da quest'ultima norma alla competenza esclusiva, in unico grado di merito, della corte d'appello (cfr. Sez. U, Sentenza n. 2207 del 04/02/2005 (Rv. 579019 - 01): nella specie, dopo l'irrogazione da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato a numerose compagnie di assicurazione di una sanzione per la partecipazione a un'intesa restrittiva della concorrenza, il consumatore finale aveva convenuto in giudizio, dinanzi al giudice di pace, la propria compagnia di assicurazioni, chiedendo il rimborso di una parte - il 20% - del premio corrisposto per una polizza di Rc-auto, assumendo che l'ammontare del premio era stato abusivamente influenzato dalla partecipazione dell'impresa assicuratrice all'intesa vietata).

3.5. Per il rilievo di nullità, sollevato per la prima volta in sede di gravame, deve inoltre farsi riferimento al precedente reso da Cass. S.U. in tema di rilievo dell'eccezione di nullità contrattuale, con cui si è sancito che la domanda di accertamento della nullità di un negozio proposta, per la prima volta, in appello è inammissibile ex art. 345 c.p.c., comma 1, salva la possibilità per il giudice del gravame - obbligato comunque a rilevare di ufficio ogni possibile causa di nullità, ferma la sua necessaria indicazione alle parti ai sensi dell'art. 101 c.p.c., comma 2 - di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall'appellante, giusta del citato art. 345, il comma 2 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014). La rilevabilità officiosa, pertanto, costituisce il proprium anche delle nullità speciali, incluse quelle denominate "di protezione virtuale". Il potere del giudice di rilevarle tout court, difatti, è essenziale al perseguimento di interessi pur sempre generali sottesi alla tutela di una data classe di contraenti (consumatori, risparmiatori, investitori), interessi che possono addirittura coincidere con valori costituzionalmente rilevanti - quali il corretto funzionamento del mercato, ex art. 41 Cost. e l'uguaglianza non solo formale tra contraenti in posizione asimmetrica -, con l'unico limite di riservare il rilievo officioso delle nullità di protezione al solo interesse del contraente debole, ovvero del soggetto legittimato a proporre l'azione di nullità, in tal modo evitando che la controparte possa, se vi abbia interesse, sollecitare i poteri officiosi del giudice per un interesse suo proprio, destinato a rimanere fuori dall'orbita della tutela.

3.6. Non potendosi maturare preclusioni o giudicati impliciti in materia di nullità rilevabili d'ufficio, pertanto, il potere di rilievo officioso della nullità del contratto per violazione delle norme sulla concorrenza spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di una pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione, e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, nè le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia, trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un'eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio anche in appello, ex art. 345 c.p.c. (cfr. Sez. U -, Sentenza n. 7294 del 22/03/2017; Cass. 6 n. 8841/017; Cass. 6 n. 19251/018)).

3.7. Dunque, la possibilità di rilievo d'ufficio della nullità riguarda anche il giudizio di legittimità, pur dovendosi sottolineare i limiti che tale rilievo può incontrare in tale sede, ex art. 372 c.p.c.. Con riguardo alla eccezione di nullità negoziale sollevata solo in sede di giudizio di legittimità, certamente rilevabile d'ufficio per espresso disposto dell'art. 101, par 2, Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (ex art. 81, 2 TCE) (da cui deriva la Legge Nazionale n. 287 del 1990, posta a garanzia della libera concorrenza tra imprese e operatori economici), occorre infatti avere riguardo agli "effetti derivati" della nullità di un'intesa anticoncorrenziale di tipo orizzontale, intervenuta tra i vari operatori economici di un determinato settore, rilevando se gli effetti distorsivi si siano effettivamente trasferiti sui negozi stipulati "a valle" dell'intesa illecita. E su questo punto, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 2, non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all'intesa (cfr. Cass. n. 9384 del 11/06/2003; in tema Cass. n. 3640 del 13/02/2009; Cass., sez. 3. n. 13486 del 20/06/2011; Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 9116 del 2014). Ad esempio, si è sancito che nel giudizio promosso dall'assicurato ed avente ad oggetto il risarcimento del danno da questi patito per l'elevato premio corrisposto in conseguenza di un'illecita intesa orizzontale restrittiva della concorrenza, posta in essere da compagnie assicuratrici, gli atti del procedimento, in esito al quale l'Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato ha accertato la sussistenza dell'illecito anticoncorrenziale, ed irrogato una sanzione ad una determinata impresa, costituiscono una prova privilegiata, quando non una presunzione, del danno patito dal singolo assicurato. Ne consegue che la medesima impresa assicuratrice può fornire prova contraria del nesso causale tra l'illecito concorrenziale e il danno, ma non con argomentazioni generali, tese a rimettere in discussione i fatti costitutivi della sussistenza della violazione della disciplina sulla concorrenza, già valutati dall'Autorità Garante, bensì offrendo precise indicazioni su situazioni e comportamenti relativi ad essa e all'assicurato, idonei a dimostrare che il livello del premio non è stato determinato dalla partecipazione all'intesa illecita, ma da altri fattori (così Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 9116 del 2014).

3.8. Da ultimo, poi, rileva anche che la Corte di cassazione, sez. 1, con sentenza del 4 aprile 2019, ha sancito che le nullità "a valle" delle fideiussioni omnibus in questione debbano essere valutate alla stregua degli artt. 1418 c.c. e segg. e che possa trovare applicazione l'art. 1419 c.c., laddove l'assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalla intesa illecita, posto che, in linea generale, solo la banca potrebbe dolersi della loro espunzione. Tale possibile effetto limitato della nullità dell'intesa "a valle", ovviamente, comporta un ulteriore vaglio degli interessi in gioco da parte del giudice. E, per tale motivo, la nullità dell'intesa (coinvolgente lo schema contrattuale predisposto da ABI), costituente il presupposto di validità del titolo negoziale qui in questione (la fideiussione, indicata come conforme al modello ABI), da cui deriva la legittimazione attiva della creditrice, per quanto rilevabile d'ufficio, in sede di giudizio di legittimità non può, del pari, essere accertata sulla base di una "nuda" eccezione, sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione, rimandando la deduzione a contestazioni, in fatto, mai effettuate dalle parti convenute nell'azione revocatoria, a fronte della quale l'intimato sarebbe costretto a subire il "vulnus" di maturate preclusioni processuali (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 2 - Sentenza n. 21243 del 09/08/2019: principio enunciato in relazione ad una fattispecie in cui, richiesto il pagamento del compenso per l'attività di mediazione espletata, è stata sollevata solo in sede di legittimità l'eccezione relativa alla mancata iscrizione del mediatore nel relativo albo professionale).

3.9. Ne consegue che l'eccezione de qua, proposta solo in sede di giudizio di legittimità, è priva degli elementi necessari per poterla rilevare d'ufficio sulla base degli elementi fattuali sin qui acquisiti e discussi tra le parti.

3.10. Quanto alla censura inerente all'assunta inefficacia della fideiussione per violazione dell'art. 1955 c.c., che prevede l'estinzione della fideiussione per effetto della condotta del creditore che, per fatto proprio, non permetta al fideiussore la surroga nei suoi diritti, in tale ipotesi al creditore si imputa un mancato esercizio di un proprio diritto, e pertanto non la violazione di un dovere giuridico imposto dalla legge, non rilevante a tal fine, come ritenuto da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 28838 del 05/12/2008: "Il fatto del creditore, rilevante ai sensi dell'art. 1955 c.c., ai fini della liberazione del fideiussore, non può consistere nella mera inazione, ma deve costituire violazione di un dovere giuridico imposto dalla legge o nascente dal contratto e integrante un fatto quanto meno colposo, o comunque illecito, dal quale sia derivato un pregiudizio giuridico, non solo economico, che deve concretizzarsi nella perdita del diritto (di surrogazione ex art. 1949 c.c., o di regresso ex art. 1950 c.c.), e non già nella mera maggiore difficoltà di attuarlo per le diminuite capacità satisfattive del patrimonio del debitore"(v. anche Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 21833 del 20/09/2017; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9634 del 16/06/2003).

3.11. Ragionando in questi termini, ad esempio, l'accordo transattivo, intervenuto tra creditore e terzo, che comporti l'estinzione di un'ipoteca posta a garanzia del credito, ha come conseguenza la liberazione del fideiussore per fatto del creditore, ai sensi dell'art. 1955 c.c., perchè tale accordo integra un comportamento - un fatto imputabile al creditore - dal quale deriva un pregiudizio giuridico, non solo economico, sofferto dal fideiussore, che si concretizza nella perdita del diritto di surrogazione ex art. 1949 c.c., o di regresso ex art. 1950 c.c. (cfr. Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 22775 del 25/09/2018). Mentre, nell'ipotesi in esame, occorre considerare che l'escussione diretta del fideiussore rappresenta il naturale effetto del negozio di garanzia, poichè esso ha la precipua funzione di istituire in favore del creditore un diritto di rivalersi sul garante, anzichè sul debitore inadempiente, allargando la cerchia dei soggetti tenuti al pagamento dell'obbligazione; il garante, una volta escusso, può sempre surrogarsi nei diritti del creditore verso il debitore, ad esempio insinuandosi tardivamente al passivo del fallimento, proprio perchè il diritto di surroga del fideiussore non viene pregiudicato dalla sola scelta del creditore di escutere il garante, anzichè il debitore.

3.12. Da tutto quanto sopra consegue l'infondatezza della terza censura, alla luce della motivazione resa, dimostratasi non solo conforme ai principi di cui sopra, ma del tutto esaustiva e non apparente, come invece viene infondatamente denunciato nel quarto motivo.

4. Conclusivamente il ricorso va rigettato, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, a favore della parte resistente, in quanto vittoriosa.

 

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in via tra loro solidale, alle spese, liquidate in Euro 15.200,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2020.