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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23843 - pubb. 10/07/2020.

Concordato preventivo con continuità aziendale: condizioni per la dilazione del pagamento dei crediti privilegiati anche oltre il termine di un anno


Cassazione civile, sez. I, 18 Giugno 2020. Pres. Didone. Est. Amatore.

Concordato preventivo con continuità aziendale - Creditori privilegiati - Pagamento dilazionato ultrannuale - Ammissibilità - Esercizio del diritto di voto - Criteri - Fondamento


Nel concordato preventivo con continuità aziendale è consentita la dilazione del pagamento dei crediti privilegiati anche oltre il termine di un anno dall'omologazione, purché si accordi ai titolari di tali crediti il diritto di voto e la corresponsione degli interessi. In tal caso, il diritto di voto dei privilegiati dilazionati andrà calcolato sulla base del differenziale tra il valore del loro credito al momento della presentazione della domanda di concordato e quello calcolato al termine della moratoria, dovendo i criteri per tale determinazione essere contenuti nel piano concordatario a pena di inammissibilità della proposta, come si desume sia dall'art. 86 del d.lgs. n. 14 del 2019 che dall'art. 2426, comma 1, n. 8), c.c. (massima ufficiale)

 

Fatto

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo ha accolto il reclamo proposto ai sensi della L. Fall., art. 18, dalla società (*) s.r.l. unip. nei confronti della curatela fallimentare avverso la sentenza emessa in data 22 dicembre 2015 dal Tribunale di Trapani, con la quale, dopo la dichiarazione di inammissibilità del concordato preventivo presentato dalla società debitrice, quest'ultima era stata dichiarata fallita.

La corte del merito ha ritenuto che: a) quanto alla dedotta violazione della L. Fall., art. 162, comma 2, (ove si prescrive l'audizione in camera di consiglio del debitore prima della declaratoria di inammissibilità della proposta di concordato preventivo) e alla contestata violazione del diritto di difesa, la riunione tra le due procedure, e cioè tra quella prefallimentare e quella di ammissione alla procedura concorsuale, aveva assicurato l'attuazione del contraddittorio tra le parti e l'esercizio delle prerogative difensive da parte della società debitrice; b) nonostante la proposta di concordato avanzata dal debitore, con la indicazione di un pagamento in 24 rate mensili, non avesse previsto, in origine, la corresponsione di interessi in favore dei creditori privilegiati, tale previsione era stata superata dalla società proponente che, nelle note a chiarimento, aveva invece indicato risorse per il pagamento degli interessi sui crediti muniti di privilegio, risorse che tuttavia dovevano considerarsi insufficienti; c) erroneamente il tribunale non aveva sottoposto al debitore la questione attinente all'esercizio di voto di creditori privilegiati non immediatamente soddisfatti, con ciò integrando una violazione del diritto di difesa; d) in relazione all'ammissione al voto dei creditori privilegiati, la questione non era stata sottoposta alla società debitrice, la quale, peraltro, già in sede di reclamo, aveva prospettato dei correttivi per emendare le lacune, prevedendo l'inclusione dei creditori privilegiati entro la classe N (già contemplata dal piano); f) la moratoria dei creditori privilegiati superiore all'anno, senza previsione di interessi, doveva costituire questione rimessa al giudizio di convenienza economica riservata ai creditori.

2. La sentenza, pubblicata il 6.11.2017, è stata impugnata dalla curatela del fallimento (*) s.r.l. unip. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui la (*) s.r.l. unip. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Diritto

1. Con il primo motivo la curatela ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, L. Fall., violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 162, comma 1. Si osserva che era erroneo ritenere che la concessione del termine previsto dall'articolo da ultimo citato fosse funzionale a sollecitare una modifica sostanziale della proposta concordataria: ciò significherebbe chiedere al tribunale un sindacato preventivo sull'ammissibilità della proposta e, al contempo, dilatare i confini di questo sindacato ben oltre la soglia della fattibilità giuridica. Evidenzia la curatela che il tribunale poteva solo chiedere integrazioni che implementino il contenuto informativo della proposta, ma non può sollecitarne una modifica e che, peraltro, nel caso in esame, il tribunale aveva concesso più di un termine per integrare il piano.

2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, omessa pronuncia da parte della corte di merito, in relazione a quanto disposto dall'art. 112 c.p.c.. Tale omessa pronuncia avrebbe riguardato l'ulteriore profilo di inammissibilità della proposta concordataria inerente al trattamento dei fornitori aventi ad oggetto la rivalsa dell'Iva, crediti quest'ultimi assistiti dal privilegio speciale previsto dall'art. 2758 c.c., comma 2.

3. Il terzo mezzo deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. Fall., art. 162, comma 2, nonchè degli artt. 55 e 169, medesima legge. Si evidenzia che la proposta, nella sua originaria formulazione, non prevedeva il pagamento di interessi sui crediti privilegiati, come la società debitrice ammetteva nella sua memoria difensiva e che, invece, era da applicarsi il principio fondamentale secondo cui la procedura concordataria non sospende il corso degli interessi sui crediti privilegiati.

4. Con il quarto motivo la ricorrente articola, sempre ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione della L. Fall., art. 160, comma 2. Si evidenzia che, anche secondo la giurisprudenza di legittimità, la proposta concordataria può prevedere il pagamento dilazionato dei crediti privilegiati, dovendosi tuttavia precisare che, per quanto integrale, un pagamento dilazionato implica un soddisfacimento solo parziale dei creditori, perchè il ritardo con il quale questi conseguono la disponibilità delle somme loro spettanti si traduce in una perdita economica. Si evidenzia che il pagamento degli interessi maturati era incerto sia nell'an che nel quantum e che, comunque, gli interessi erano dovuti ai sensi del combinato disposto della L. Fall., artt. 55 e 169.

5. Il ricorso è fondato nei limiti qui di seguito precisati.

5.1 Il primo motivo di doglianza è fondato.

Osserva la Corte come il provvedimento impugnato abbia legato la lesione del diritto di difesa della società proponente alla mancata sottoposizione a quest'ultima da parte del tribunale - che aveva, poi, decretato l'inammissibilità della proposta concordataria - della questione relativa alla necessità dell'esercizio del voto da parte dei creditori privilegiati non soddisfatti integralmente, perchè pagati con dilazione e senza la corresponsione di interessi.

5.1.1 Sul punto, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, la mancata formulazione da parte del giudice, nel corso dell'udienza camerale, di osservazioni critiche in ordine alla proposta concordataria non impedisce al proponente di richiedere, nel suo interesse, un termine per integrarla, in relazione ad eventuali profili di inammissibilità che potrebbero pur sempre emergere in sede di decisione, mentre la L. Fall., art. 162, comma 1, attribuisce al giudice un potere discrezionale, il cui omesso esercizio non necessita di motivazione, nè è censurabile in sede di legittimità (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21901 del 25/09/2013).

Va precisato che, relativamente alla fase di ammissione, spetta, in buona sostanza, al tribunale di controllare la corretta formulazione della proposta, presupposto indispensabile al fine della garanzia della corretta formazione del consenso dei creditori. E, in tale ambito, come può ricavarsi dal disposto della L. Fall., art. 162, comma 2, che impone al tribunale di dichiarare l'inammissibilità della proposta qualora non ricorrano i presupposti di cui alla L. Fall., art. 160, commi 1 e 2, e art. 161 (in essi compresi dunque anche quelli concernenti la veridicità dei dati indicati e la fattibilità del piano) è conferito al giudice il compito di esaminare criticamente la relazione del professionista che accompagna il piano indicato dall'imprenditore, verificando che l'attestazione di veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano medesimo non solo trovi puntuale riscontro nella documentazione allegata, ma sia sorretta da argomentazioni logiche, idonee a dar conto della congruità delle conclusioni assunte rispetto ai profili di fatto oggetto di esame (così, sempre Cass. n. 21901/2013, cit. supra).

In realtà, ciò che maggiormente rileva è che l'art. 162, comma 1, sopra citato, nello stabilire che il tribunale "può" (e non "deve") concedere il termine in questione, attribuisce al giudice un potere di natura discrezionale, il cui mancato esercizio - come già sopra precisato - non necessita di motivazione e non è censurabile in sede di legittimità.

5.1.2 In tema di concordato preventivo, il controllo del tribunale nella fase di ammissibilità della proposta, ai sensi della L. Fall., artt. 162 e 163, ha per oggetto principalmente la completezza e la regolarità della documentazione allegata alla domanda, con la conseguenza che, quanto all'attestazione del professionista circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, il giudice si deve limitare al riscontro di quegli elementi necessari a far sì che detta relazione - inquadrabile nel tipo effettivo richiesto dal legislatore, dunque aggiornata e con la motivazione delle verifiche effettuate, della metodologia e dei criteri seguiti - possa corrispondere alla funzione, che le è propria, di fornire elementi di valutazione per i creditori (così, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3586 del 14/02/2011). Nè ad uno scopo diverso assolve l'eventuale termine concesso al debitore dal tribunale, L. Fall., ex art. 162, comma 1, al fine della integrazione del piano e della produzione di nuovi documenti, essendo tale possibilità diretta a soddisfarne maggiormente la completezza informativa al fine di assicurare il consenso informato dei creditori (così, sempre Cass., n. 3586/2011, cit. supra).

5.1.3 Ciò posto, risulta evidente come la Corte di appello sia incorsa, nella decisione impugnata, nella denunciata violazione del disposto normativo di cui alla L. Fall., art. 162, commi 1 e 2, atteso che non rappresenta un obbligo del tribunale quello di concedere un termine per modificare da parte del debitore proponente l'originaria domanda di concordato, allorquando la proposta sia ritenuta inammissibilmente proposta. A rigore, poi, tale termine è previsto, ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 1, solo "per apportare integrazioni al piano e per produrre nuovi documenti".

5.1.4 Va, peraltro, aggiunto come, nel caso in esame, il Tribunale avesse comunque concesso più di un termine per integrare il piano, sicchè la denunciata violazione risulta viepiù evidente.

Deve, pertanto, ritenersi come la pretesa violazione del diritto di difesa del debitore non sia neanche astrattamente predicabile nel caso in esame. Invero, dalla ricostruzione della vicenda processuale emerge che la (*) s.p.a. era stata resa edotta dei profili di inammissibilità del piano concordatario prima della celebrazione dell'udienza di cui alla L. Fall., art. 162, di talchè la società debitrice avrebbe potuto di sua iniziativa riformulare la proposta. Va, per completezza, evidenziato come neanche emerga dalla stessa ricostruzione della vicenda procedurale, oggi in scrutinio, che la società debitrice avesse richiesto un ulteriore termine per apportare modifiche alla proposta ed al piano concordatario.

Ne consegue che la tesi accolta dalla corte territoriale risulta, all'evidenza, errata nella parte in cui attribuisce al tribunale addirittura il compito di delineare una proposta di concordato, ammissibile (ed alternativa, dunque, a quella formalizzata dal debitore), ipotizzando che l'udienza prevista dalla L. Fall., art. 162, comma 2, dovesse essere necessariamente rinviata per consentire al debitore di adeguarsi alle indicazioni fornite.

5.2. Il secondo motivo di censura è invece infondato.

5.2.1 E' pur vero che la corte territoriale non si è pronunciata sull'ulteriore profilo di inammissibilità della proposta concordataria dedotta dalla curatela in sede di reclamo e relativo al trattamento dei fornitori aventi ad oggetto la rivalsa Iva; tuttavia la censura (riguardante, invero, una questio iuris) deve ritenersi, nel merito, giuridicamente infondata e dunque non apprezzabile in questa sede al fine dell'accoglimento del motivo di censura dedotto come violazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dell'art. 112 c.p.c., dovendosi ricordare che, per unanime affermazione di questa Corte, il difetto di motivazione - che riguardi (come nel caso in esame) una questione di diritto infondata - non può determinare, per ragioni di economia processuale, la cassazione del provvedimento impugnato con regressione alla precedente fase del giudizio (Cass. 3388/2005; Cass. 8561/2006; Cass. 28663/2013; Cass. Sez. Un. 2731/2017).

5.2.2 Sul punto, è infatti necessario ricordare che, sempre secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (cfr., Sez. 1, n. 24970/2013), anche nel concordato preventivo, come riformato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, vale la regola generale, secondo cui, a differenza che nel fallimento, la mancanza nel compendio patrimoniale del debitore del bene gravato da privilegio non impedisce l'esercizio del diritto di prelazione, con la conseguenza che il credito va soddisfatto integralmente; ciò a condizione, però, che il proponente non si sia avvalso della facoltà, introdotta dalla L. Fall., novellato art. 160, comma 3, di limitare la soddisfazione dei creditori privilegiati alla sola parte del loro credito, che troverebbe capienza nell'ipotesi di liquidazione del bene gravato.

5.2.3 Ciò posto, osserva la Corte come dalla stessa enunciazione del motivo di doglianza prospettato dalla curatela ricorrente si evinca che il privilegio speciale di cui all'art. 2758 c.c., comma 2, - che non consentirebbe, almeno per i crediti di rivalsa, la collocazione dei fornitori dei farmaci nelle due categorie di creditori chirografari strategici e non strategici indicati nel piano (classe F e classe G) - riguarda beni farmaceutici, in realtà, oramai confusi nel magazzino e, peraltro, in parte anche consumati, e dunque non individuabili nella loro consistenza ed entità.

Risulta, dunque, corretta l'indicazione dei predetti creditori nelle classi dei creditori chirografari sopra indicate.

5.3 Il terzo e quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente e devono essere rigettati.

5.3.1 Sul punto, occorre fornire continuità applicativa a quella giurisprudenza già espressa da questa Corte, secondo la quale, in materia di concordato preventivo, la regola generale è quella del pagamento non dilazionato dei creditori privilegiati, sicchè l'adempimento con una tempistica superiore a quella imposta dai tempi tecnici della procedura (e della liquidazione, in caso di concordato cosiddetto "liquidativo") equivale a soddisfazione non integrale degli stessi in ragione della perdita economica conseguente al ritardo, rispetto ai tempi "normali", con il quale i creditori conseguono la disponibilità delle somme ad essi spettanti (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10112 del 09/05/2014; Sez. 1, Sentenza n. 20388 del 2 6/09/2014; Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 2422 del 04/02/2020).

5.3.2 Occorre ricordare che, con la riforma della L. Fall., art. 160, operata con il D.Lgs. n. 169 del 2007, "la proposta può prevedere che i creditori muniti di diritto di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purchè il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d)". Coerentemente, poi, la nuova formulazione dell'art. 177, comma 3, prevede che, ai fini della legittimazione al voto, "i creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell'art. 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito". Va anche ricordato che, nel regime previgente, anche i creditori muniti di privilegio speciale su beni non più esistenti (o non rinvenuti) erano esclusi dalle operazioni di voto, salvo che avessero rinunciato alla prelazione. Inoltre, l'ammissione dell'imprenditore al concordato preventivo postulava l'integrale pagamento dei crediti privilegiati immediatamente dopo l'omologazione del concordato, sia perchè l'art. 160, ante riforma, nel condizionare la proposta di concordato al pagamento, entro sei mesi, dei crediti chirografari, e, in caso di dilazione maggiore, alla prestazione di garanzie anche per il pagamento degli interessi, implicitamente presupponeva l'immediato pagamento dei crediti privilegiati, sia perchè solo l'obbligo dell'immediata soddisfazione di tali crediti giustificava l'esclusione dei creditori privilegiati dal voto per l'approvazione del concordato e la necessità, per partecipare ad esso, della loro rinunzia alla prelazione (Cass. Sez. 1, n. 12632/1992; Cass., Sez. 1, n. 6901/2010).

5.3.3 Del resto, era stato correttamente osservato nel precedente arresto sopra ricordato: "che la norma innanzi indicata avesse natura innovativa e, dunque, non interpretativa, era perfettamente chiaro al Legislatore, posto che nella Relazione illustrativa del D.Lgs., c.d. "correttivo" è esplicitata la ragione dell'innovazione evidenziandosi che "la normativa precedentemente in vigore non consentiva, in sede di concordato preventivo, ed a differenza di quanto poteva invece accadere nell'ambito di un concordato fallimentare, di offrire un pagamento in percentuale dei creditori privilegiati, neppure con riferimento a quella parte del loro credito destinata a rimanere comunque insoddisfatta avuto riguardo al presumibile valore di realizzo dei beni sui quali il privilegio cade" (cfr. Cass. n. 10112/2014, cit. supra).

Deve, dunque, ritenersi che il legislatore abbia voluto incentivare ulteriormente il ricorso allo strumento concordatario della soluzione della crisi di impresa, eliminando così un'illogica diversità di disciplina rispetto al concordato fallimentare e prevedendo che anche la proposta di concordato preventivo possa contemplare il pagamento in percentuale dei creditori privilegiati, semprechè la misura del soddisfacimento proposta non sia inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di vendita dei beni sui quali il privilegio cade.

5.3.4 La conferma della tesi favorevole all'ammissibilità della dilazione del pagamento dei crediti privilegiati trova, oggi, l'appiglio normativo previsto dalla L. Fall., art. 186 bis, lett. c), (introdotto con D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012) secondo il quale, nel concordato con continuità aziendale, piano può prevedere, fermo quanto disposto dall'art. 160, comma 2, una moratoria sino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto".

Qui l'esclusione del diritto di voto - con una sorta di "moratoria" coatta paragonabile a quella di cui all'abrogato istituto dell'amministrazione controllata - vale come conferma - a contrario, per i concordati senza continuità aziendale - del principio generale sancito dalla L. Fall., art. 177, comma 3, secondo il quale "i creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell'art. 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito" (così, sempre Cass. n. 10112/2014, cit. supra).

Deve, pertanto, concludersi nel senso che, anche alla luce delle finalità perseguite dal legislatore con il decreto c.d. correttivo, così come esplicitate anche nella Relazione illustrativa, se la regola generale è quella del pagamento non dilazionato dei crediti privilegiati, allora il pagamento dei crediti medesimi con dilazione superiore a quella imposta dai tempi tecnici della procedura (e della stessa liquidazione, in caso di concordato c.d. "liquidativo") equivale a soddisfazione non integrale di essi e ciò a causa della perdita economica conseguente al ritardo (rispetto ai tempi "normali") con il quale i creditori conseguono la disponibilità delle somme ad essi spettanti.

5.3.5 Venendo ad affrontare le questioni sopra esaminate nell'ambito del concordato con continuità aziendale (che riguarda, più da vicino, il caso oggi qui in esame), va detto che - per quanto già precisato in relazione alla giurisprudenza richiamata - il contenuto del piano concordatario, può contenere, secondo la espressa previsione normativa dettata dall'art. 186 bis, comma 2, lett. c), una moratoria fino ad un anno dalla omologazione per il pagamento dei crediti muniti di privilegio, pegno ovvero ipoteca, a meno che il piano stesso non preveda la liquidazione dei beni sui quali sussiste la causa di prelazione.

Sul punto, la dottrina ha evidenziato l'opportunità di tale previsione normativa in relazione al cosiddetto concordato di ristrutturazione, cioè quello in cui l'attività prosegue con lo stesso imprenditore, opportunità che è stata evidenziata in relazione, da un lato, all'esigenza di chiarire i tempi massimi ex lege previsti per il pagamento dei creditori privilegiati e, dall'altro lato, alla possibilità di pagare con dilazione anche i creditori privilegiati, possibilità già ammessa nella prassi applicativa e la cui introduzione tuttavia risolve un problema interpretativo assai dibattuto in passato.

5.3.5.1 Così deve ritenersi - per quanto qui rilevi, in relazione alle censure contenute nel ricorso - che l'ammissione al voto possa essere affermata sulla base della considerazione che il sacrificio del diritto del voto risulta giustificato solo dall'indifferenza rispetto al concordato, che esiste solamente se il pagamento è integrale all'omologazione ovvero, secondo taluni, se dilazionato con il riconoscimento degli interessi.

Tuttavia, una simile soluzione interpretativa comporterebbe l'accettazione di una opzione ermeneutica sostanzialmente abrogativa ovvero fortemente riduttiva della portata innovatrice della norma.

Ne consegue che, a fronte della introduzione di una specifica norma che consenta la possibilità per il piano concordatario di "una moratoria sino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca", risulta plausibile ritenere che, in tal caso, la dilazione non richieda l'ammissione al voto e neanche l'inserimento di tali creditori in una specifica classe, trattandosi dell'utilizzazione da parte dell'imprenditore proponente il piano concordatario di una facoltà prevista dalla legge.

Per contro, deve ritenersi che, nella misura in cui la moratoria per il soddisfacimento dei creditori privilegiati ecceda il termine di un anno dalla omologazione previsto dalla norma, i creditori privilegiati, al pari di quanto avveniva in passato, saranno chiamati ad approvare la proposta di concordato, se del caso, previo inserimento in un'apposita classe.

Occorre altresì aggiungere che nulla vieta che la proposta - nei limiti e alle condizioni di cui alla L. Fall., art. 160, comma 2, - preveda la mancata integrale soddisfazione dei creditori privilegiati qualora il bene su cui grava il privilegio sia incapiente. Sul punto, attenta dottrina ha evidenziato la diversa terminologia dettata dall'art. 186 bis, comma 2, lett. c), il cui testo riporta il "pagamento" dei creditori privilegiati, rispetto all'art. 160, commi 1 e 2, all'interno del quale si parla invece di "soddisfazione" dei creditori (cfr. comma 1), ivi compresi i privilegiati (comma 2). Com'è noto, il termine "soddisfazione" dei creditori riveste un contenuto più ampio di quello di "pagamento", atteso che la soddisfazione può avvenire in forme diverse rispetto al pagamento, come accade nella ipotesi di operazioni straordinarie di conversione del credito nel capitale di rischio ovvero nelle diverse ipotesi di datio in solutum. Deve, pertanto, concludersi nel senso che, qualora la "soddisfazione" del creditore privilegiato non avvenga con un pagamento, a tale creditore dovrebbe essere riconosciuto il diritto di voto.

5.3.5.2 Come sopra rilevato, l'art. 186 bis, prevede, pertanto, quale speciale beneficio concesso per incentivare la continuità aziendale, che, fermo quanto disposto dall'art. 160, comma 2 (ossia, fatta salva la possibilità che creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca non vengano soddisfatti integralmente, in caso di incapienza dei beni oggetto di prelazione, purchè in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di alternativa liquidazione), il piano possa contemplare una moratoria sino ad un anno dalla omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca.

Come già in premessa tratteggiato, la norma introduce espressamente la possibilità, che prima della riforma era oggetto di incerte applicazioni nella prassi, di pagare con dilazione anche i creditori privilegiati, ponendo, tuttavia, un limite di tempo massimo alla dilazione, cioè il termine annuale dalla omologazione del concordato.

Sul punto, va precisato che la clausola di salvezza in relazione a quanto disposto dall'art. 160, comma 2, serve a chiarire che, quando la parte del credito prelatizio degradi al chirografo per incapienza del bene su cui grava la prelazione, la dilazione del pagamento può riguardare comunque la residua parte del credito che resta garantita dalla prelazione stessa.

5.3.5.3 La norma in esame non si esprime expressis verbis sulla possibilità di una moratoria ultra annuale.

Si deve tuttavia concludere, per le osservazioni già sopra riportate, nel senso della possibilità di tale previsione nel piano concordatario con continuità aziendale, previa previsione del diritto di voto per i creditori privilegiati "dilazionati" e corresponsione degli interessi (in tal senso, v. anche Sez. 1, Sentenza n. 17834 del 03/07/2019 per gli accordi di ristrutturazione dei debiti ed i piani del consumatore).

5.3.6 Ebbene, emerge dalla lettura del provvedimento impugnato e dallo stesso ricorso introduttivo come, nel caso in esame, la società debitrice avesse proposto, ai sensi del sopra richiamato L. Fall., art. 186 bis, un piano concordatario con continuità aziendale che prevedeva una dilazione ultrannuale nel pagamento dei creditori privilegiati che deve ritenersi legittima, per quanto sopra osservato, qualora accompagnato dalla previsione del diritto di voto e del pagamento degli interessi. Sul punto, è anche emerso, come circostanza pacificamente ammessa dalle parti, che, in sede di modifica della proposta concordataria, la società debitrice avesse previsto il pagamento degli interessi per il credito privilegiato.

5.3.7 Deve, ora, essere affrontata la questione della determinazione in 1,' concreto della perdita relativa al mancato pagamento immediato del credito privilegiato, oggetto di dilazione nella previsione del piano, questione rilevante ai fini del computo del voto dei creditori privilegiati che, pur integrando un accertamento in fatto rimesso al giudice del merito, richiede tuttavia la fissazione di regole applicative di carattere generale.

5.3.7.1. Sul punto, soccorre, in parte, il criterio dettato dal legislatore nel nuovo "Codice della crisi di impresa", per come regolato nel D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 86, norma che, pur entrando in vigore il 15.8.2020, può essere utilizzata anche per la regolamentazione della materia in esame in relazione ai concordati ricadenti sotto l'egida applicativa dell'attuale legge fallimentare, essendo identici i principi regolanti la materia dell'esercizio del diritto di voto da riconoscersi ai creditori privilegiati "dilazionati". Deve, pertanto, ritenersi estraibile dalla norma da ultimo citata il principio di "attualizzazione" dei pagamenti previsti dal piano concordatario, calcolati sul valore alla data di presentazione della domanda di accesso alla procedura concorsuale (come deve risultare dall'attestazione del professionista incaricato), con l'esclusione, tuttavia, del riferimento al tasso di sconto di cui al D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, art. 5.

5.3.7.2 Per altra parte, occorre far riferimento, come principio regolatore, alla disciplina di cui all'art. 2426 c.c., punto 8, come modificata dal D.Lgs. n. 139 del 2015, ed ai corrispondenti principi contabili OIC, secondo i criteri oramai normativizzati del costo ammortizzato e dell'attualizzazione del valore dei crediti.

Ne consegue che - sulla base del differenziale tra il valore del credito al momento della presentazione della domanda di concordato e quello al momento del termine della "moratoria" (la cui concreta determinazione deve essere rimessa, come accertamento in fatto, ai giudici del merito) potrà essere calcolato il diritto di voto dei creditori privilegiati dilazionati, con la precisazione, tuttavia, che i criteri per tale determinazione dovranno essere contenuti nel piano concordatario e certificati nella loro effettività e veridicità dal professionista, a pena di inammissibilità della proposta.

Del resto, la soluzione qui prospettata deve ritenersi preferibile rispetto alla possibilità di attribuire il diritto di voto per l'intero ammontare del credito, alternativa quest'ultima che attribuirebbe un peso eccessivo al voto dei privilegi dilazionati e creerebbe, dunque, un rischio di inquinamento delle maggioranze, in favore di creditori, cioè, destinati ad essere soddisfatti per intero, come peraltro già prospettato dalla giurisprudenza di questa Corte (così Cass. n. 10112/2014, cit. supra), ove era stato ritenuto determinante, ai fini del computo del voto, la perdita economica conseguente al ritardo nel conseguimento della disponibilità delle somme spettanti ai creditori.

6. Si impone pertanto la cassazione della sentenza in esame con rinvio alla Corte di appello di P. che deciderà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso; rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020.