Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24066 - pubb. 11/01/2020

Accertamento dello stato d'insolvenza di una società di persone

Cassazione civile, sez. I, 04 Giugno 1992, n. 6852. Pres. Corda. Est. Pannella.


Stato d'insolvenza - In genere - Società di persone - Stato d'insolvenza - Accertamento - Criteri - Riferimento ai singoli patrimoni dei soci - Inammissibilità - Limiti



Ai fini della dichiarazione di fallimento, l'accertamento dello stato d'insolvenza di una società di persone va condotto unicamente in relazione al patrimonio sociale e non pure ai singoli patrimoni dei soci, i quali non costituiscono componenti del patrimonio sociale, a meno che non siano stati espressamente oggetto di conferimenti. Il coinvolgimento nel fallimento della società dei patrimoni dei soci si realizza solo in conseguenza del fallimento degli stessi soci (illimitatamente e solidalmente responsabili per le obbligazioni sociali ex artt. 2267, 2293, 2297), fallimento che costituisce un inderogabile effetto di quello della società. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 20 dicembre 1979 il Tribunale di Venezia su istanza della soc. IPLAVE dichiarava i fallimenti della s.d.f. Ditta MEXAL di P. Bruno e dei soci in proprio Bruno P. e Gianfranco B.. Entrambi proponevano opposizione con atti separati. Riunite le due cause, il Tribunale rigettava le opposizioni. Il P. impugnava tale decisione, chiedendo - tra l'altro - che fosse revocata l'estensione del fallimento a terzi. Nel giudizio di appello si costituivano il P., il B. e la società IPLAVE.

Il B. proponeva appello incidentale chiedendo che fosse esclusa la sua qualità di socio e il suo stato d'insolvenza; in subordine, che fosse dichiarata la nullità della sentenza di fallimento per violazione dell'art. 15 L.F.

La Corte di Appello di Venezia, rigettando entrambe le impugnazioni, osservava, in relazione ai fatti ed alle questioni rilevanti per la decisione del ricorso proposto dal P.:

1) che, quando alla pretesa violazione degli artt. 5 e 6 L.F., l'insolvenza della "MEXAL" era stata accertata mediante:

a) le dichiarazioni del P., che aveva ammesso di essere nullatenente;

b) l'esito del pignoramento, eseguito dalla creditrice soc. IPLAVE nella casa di Bruno P., nel corso del quale erano stati rinvenuti beni per un valore di L. 800.000 circa;

c) Il rapporto informativo dei carabinieri allegato agli atti processuali fallimentari.

2) che non avevano alcuna incidenza negativa sullo accertato stato di insolvenza sia il fatto che, avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dalla IPLAVE munito di provvisoria esecuzione, fosse stata proposta opposizione, sia la circostanza che il relativo credito fosse stato ammesso allo stato passivo in appello e soltanto con sentenza impugnata con ricorso per Cassazione;

3) che l'esistenza di crediti della MEXAL nei confronti di terzi non significava che sussistessero le condizioni di liquidità per far fronte alle obbligazioni assunte con normali mezzi di pagamento:

condizioni in realtà inesistenti.

4) che quanto all'estensione del fallimento a Gianfranco B. sussisteva, da un lato, interesse giuridico del P. ad escludere che l'impresa fosse considerata collettiva anziché individuale, dall'altro, la prova dell'esistenza della reale società di fatto tra il P. e B.;

5) che lo stesso P. non doveva essere convocato nuovamente dopo l'audizione del B. e prima dell'estensione del fallimento a quest'ultimo a pena di nullità, non essendo ciò richiesto dall'art. 147 L.F.;

6) che il P. era stato posto in condizioni di difendersi sotto ogni punto di vista nel corso dell'audizione effettuata ai sensi dell'art. 5 L.F.

7) che non ricorreva il denunciato vizio di ultrapetizione, in quanto l'art. 147 L.F. consente che l'estensione della dichiarazione di fallimento ad altro socio possa disporsi anche d'ufficio. La Corte, in relazione alle questioni rilevanti per la decisione del ricorso proposto da Gianfranco B., riteneva accertata l'esistenza della società di fatto tra il P. ed il B. medesimo sui seguenti elementi:

a) la sede della MEXAL, esercente l'attività di costruzione di lampadari mediante assemblaggio dei singoli pezzi, era presso il garage dell'abitazione del B.;

b) il sistema di vendita di laminati plastici ad artigiani per piccole partite era stato concordato dal B. con i signori Ennio De Paoli e Renato Cristelli nel senso che, compilati originariamente bollettini di consegna provvisori, questi successivamente venivano sostituiti con un'unica bolletta riassuntiva intestata alla MEXAL;

c) operazioni di vendita dell'autovettura del B. con inserzioni pubblicitarie e offerte di prestazioni professionali venivano effettuate dal B. insieme con le emissioni di fatture intestate alla MEXAL e quietanzate dal B. stesso in modo tale da caratterizzare lo stretto rapporto fra lui e la MEXAL, della quale dimostrava di avere completa disponibilità;

d) il B. teneva la contabilità e l'amministrazione della "MEXAL", della quale curava i rapporti esterni, senza alcun compenso, e disponeva del denaro che riscuoteva per la "MEXAL";

e) nel ricorso al giudice delegato dell'8-10-82 Bruno P., Gianfranco B. e la moglie di quest'ultimo, Anna B., scrissero: "gli scriventi sono creditori per centinaia di milioni delle c.d. aziende padovane".

Sosteneva, infine, la Corte veneta che non aveva rilevanza alcuna accertare se il B. fosse solvibile o meno, dal momento che, per giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, lo stato di insolvenza, da accertarsi sussistente o meno in concreto, riguardava lo stato patrimoniale della società e non pure quello del socio illimitatamente e solidamente responsabile.

Contro tale sentenza della Corte veneta del 29.11.85 sono stati proposti distinti ricorsi per cassazione da Bruno P., sulla base di 2 motivi, illustrati con memoria e da Gianfranco B. con un solo motivo, sotto due profili, illustrato anch'esso con memoria. La s.p.a. IPLAVE, in istato di amministrazione straordinaria, ha presentato due distinti controricorsi.

 

Motivi della decisione

Pregiudizialmente va disposta la riunione dei due ricorsi, iscritti rispettivamente nel registro generale sotto i numeri 1086-87 e 1087-87, ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. I due ricorsi, come i due motivi del ricorso proposto da Bruno P., vanno esaminati in modo congiunto, avendo essi ad oggetto, da una parte, argomentazioni similari, dall'altra, argomentazioni collegate fra loro, riconducibili ad un'unica tematica. Così: quanto al tema della nullità della sentenza dichiarativa di fallimento della società di fatto fra Bruno P. e Gianfranco B. per vizi procedurali, il primo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 147 R.D. 16.3.42 n. 267; 100, 112 e 120 c.p.c., sostiene (col 1 e 2 profilo del 1 motivo e col 1 profilo del 2 motivo) che, proposta istanza di fallimento dalla pretesa creditrice soc. IPLAVE unicamente nei confronti di Bruno P., titolare della ditta Mexal, il rapporto processuale si era instaurato soltanto col P., imprenditore individuale, e non pure con una società di fatto fra esso P. ed il nipote Gianfranco B., sicché il Tribunale, prima di dichiarare il fallimento della società, avrebbe dovuto riconvocare in camera di consiglio esso P. perché, edotto dell'iniziativa d'ufficio, avesse potuto adeguatamente difendersi. Per non avere ciò fatto - chiarisce il ricorrente - il Tribunale di Venezia ha violato i diritti della difesa e ha pronunciato di là dai limiti della domanda giudiziale della società IPLAVE.

Sul medesimo concetto insiste Gianfranco B. (3 profilo dell'unico motivo), in particolare sostenendo il vizio della mancata contestazione a lui dell'(eventuale) attribuzione della qualità di socio della "Mexal" quando fu convocato davanti al Tribunale ed egli ebbe a ritenere di dover essere sentito nella sola veste di testimone nella quale veste, peraltro, rispose alle domande dei giudici. Le censure non vanno condivise sul rilievo che i ricorrenti non tengono conto della chiara enunciazione dell'art. 6 della legge fallimentare, secondo cui il fallimento può essere dichiarato d'ufficio del Tribunale alla stregua degli elementi di fatto e delle informazioni assunte e che l'unico limite alla discrezionale attività istruttoria pre-fallimentare è sancito dalla pronuncia della Corte Costituzionale (sent. 16.7.70 n. 141) là dove è fatto obbligo al giudice di disporre la comparizione dei fallendi in camera di consiglio per l'esercizio dei rispettivi diritti di difesa compatibili con la natura sommaria di tal procedimento. È quanto risulta essere stato fatto dal Tribunale, giusto il riferimento specifico riportato nella sentenza impugnata, nella quale è chiarito, altresì, che Gianfranco B. chiamato e comparso davanti al Tribunale si presentò assistito da difensore tecnico, avvocato Campisi.

È noto che nella fase prefallimentare, data la sommarietà della procedura, viene, di regola, esclusa l'audizione di testimoni, sicché la convocazione non ha scopo diverso da quello di consentire al convocato di rappresentare ed offrire ai giudici argomenti e prove idonei alla propria difesa.

Nella specie, la Corte del merito ha osservato che il B. aveva esposto al Tribunale dettagliate dichiarazioni circa i suoi rapporti con la Mexal ed aveva "giustificato" l'attività svolta nell'impresa.

Consegue l'illazione che correttamente la Corte veneta ha ritenuto esente da vizi procedurali l'attività procedimentale del Tribunale e perciò legittima la pronuncia dei fallimenti della società e di entrambi i soci.

Da quanto detto si deduce, inoltre, come sia sterile l'assunto del P. sulla necessità della sua riconvocazione in camera di consiglio da parte del Tribunale una volta considerata da tal giudice la possibilità della dichiarazione di fallimento della società in luogo della ditta individuale.

In effetti, oltre all'inesistenza di un dovere strettamente giuridico del giudice in tali sensi, mancava - almeno in quella fase prefallimentare - il proposito di incidere ulteriormente su interessi propri del solo P., atteso che, con la pronuncia del fallimento sociale anziché individuale di lui, si incideva su quelli peculiari del B..

In relazione all'esistenza della società di fatto negata da entrambi i ricorrenti, il P. (col 2 profilo del 1 motivo) osserva che la sua attività di natura individuale, concernente l'assemblaggio di lampadari, era da inquadrare nelle modeste dimensioni dell'artigianato, giuste le disposizioni della L. n. 860-56, come confermato dalla sentenza del giudice penale, nel giudizio di bancarotta semplice, che aveva escluso lo "status" di imprenditore commerciale di Bruno P..

Il B., col 2 profilo dell'unico motivo, ed il P., col 2 profilo del 2 motivo, aggiungono che in modo del tutto erroneo i giudici del merito hanno ritenuto di ravvisare circostanze e fatti, nell'indagine processuale, rivelatori dell'esistenza del rapporto sociale, mentre, viceversa, non v'è prova degli elementi costitutivi di esso: "affectio societatis" - conferimenti - distribuzione e divisione degli utili.

Le censure non hanno fondamento.

La sentenza impugnata, con motivazione esente da vizi logici e giuridici (il sunto di essa legge nella parte narrativa della presente sentenza), ha esaminato tutti gli aspetti dell'esistenza del vincolo societario fra i due attraverso un'indagine presuntiva, fondata su elementi noti gravi, precisi e concordanti, sino al punto di manifestare il raggiunto convincimento che Gianfranco B. aveva assunto la piena disponibilità dell'impresa sia amministrativa e gestionale e sia economica.

L'accertamento della corte del merito viene contestato dai ricorrenti nelle sue articolazioni e soprattutto nell'interpretazione dei singoli elementi probatori, con l'adduzione di argomentazioni diverse ed opposte a quelle espresse dal giudice.

Ciò vorrebbe indurre questa Corte ad un riesame degli elementi (tutti) probatori: la qual cosa non è consentita in sede di legittimità.

Quello che interessa in questa sede riguarda la linearità-giuridco delle argomentazioni del giudice e non anche le loro difformità rispetto a quelle di parte.

Consegue, pertanto, che tali censure vanno respinte. In relazione, per ultimo, alla contestata esistenza dello stato d'insolvenza, il P. (col 3 e 4 profilo del 1 motivo) sostiene che l'erroneo convincimento dei giudici è dipeso: a) dall'avere considerato che la somma di L. 7.627.803, di cui al decreto ingiuntivo della soc. IPLAVE, fosse un credito certo, quando invece era stato proposta rituale opposizione; b) dal non avere considerato che la provvisoria esecuzione di quel decreto era stata concessa per errore macroscopico del giudice; c) dal non avere tenuto conto che mancavano protesti di titoli di credito nei confronti del P.; d) dal non avere considerato che l'unico credito ammesso al passivo dei fallimenti era quello dell'avvocato Popolini neppure coperto da fattura, e per il quale non v'era stata ancora intimazione di pagamento all'epoca della dichiarazione di fallimento. Il B., dal canto suo, (col 1 profilo dell'unico motivo) sostiene che erroneamente sia stata ritenuta l'insolvenza della società sulla base dell'accertata esiguità del patrimonio mobiliare del solo P. all'epoca della dichiarazione di fallimento, mentre, trattandosi di vincolo sociale in cui il B. avrebbe conferito anche il proprio patrimonio, l'accertamento dell'insolvenza sociale andava condotto anche attraverso l'esame della consistenza del patrimonio personale di lui, una volta ritenuto socio. Le censure sono prive di fondamento.

Quanto alla doglianza del P., che addebita alla Corte del merito di avere trascurato l'esame dei fatti e delle circostanze suindicate sotto le lettere da a) a d), è sufficiente osservare che essa si risolve nella denuncia di vizio della motivazione: vizio, peraltro, inesistente, alla stregua del consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte Suprema secondo cui il giudice del merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell'accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso la valutazione dei vari elementi probatori acquisiti, considerati nel loro complesso, pur senza un'esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati o non accolti, perché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, a quelli utilizzati (ex multis: sent. 454-80).

Nella fattispecie in esame il giudice del merito, con motivazione logica, ha dato conoscenza degli elementi e della valutazione di essi, su cui ha fondato in modo corretto il raggiunto accertamento dello stato d'insolvenza della ditta Mexal al tempo della dichiarazione del fallimento di essa. (Elementi e valutazione riportati in sintesi nella parte narrativa della presente sentenza). Quanto alla doglianza del B., è necessario preliminarmente chiarire un concetto giuridico al fine di rilevarne l'inconsistenza. La caratteristica della società (anche) di persone è data dall'esistenza di un patrimonio sociale distinto da quelli dei soci che la compongono (artt. 2268 e 2293 e 2304 c.c.). Essa è presente anche nelle società irregolari o di fatto (art. 2297 c.c.). Da ciò consegue che, esclusi i conferimenti fatti dai soci all'ente societario, i patrimoni personali di ciascuno di essi non costituiscono componenti del patrimonio sociale, a meno che non siano stati espressamente oggetto di conferimenti. Di modo che, nell'ipotesi di stato d'insolvenza di società di persona, l'accertamento di esso va condotto unicamente in relazione al patrimonio sociale e non pure ai singoli patrimoni dei soci. Questi, poi, vengono coinvolti nel fallimento sociale solo in conseguenza dei fallimenti dei soci, attesa la loro responsabilità illimitata e solidale (artt. 2267 - 2293 - 2297 c.c.): fallimenti che - per giurisprudenza consolidata - costituiscono solamente un inderogabile effetto del fallimento della società, cui essi soci appartengono. Ciò premesso, rilevasi evidente che l'assunto del B. sia inconsistente sulla riflessione che l'accertamento dello stato d'insolvenza della società Mexal non poteva ne' doveva estendersi anche alla verifica dello stato di "salute" del patrimonio personale di esso B..

In conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati ed i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali e dell'onorario in favore della costituita s.p.a. IPLAVE, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi 1086-87 e 1087-87; li rigetta entrambi; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e degli oneri, liquidando a carico di Gianfranco B. L. 34.000 per le spese e L. 1.500.000 per onorario ed a carico di Bruno P. L. 34.000 per le spese e L. 1.500.000 per onorario

Roma 25.6.91.