Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24182 - pubb. 16/09/2020

E’ contrario al buon costume e dunque non ripetibile il finanziamento all’impresa insolvente in realtà finalizzato alla sua acquisizione

Cassazione civile, sez. I, 05 Agosto 2020, n. 16706. Pres. Genovese. Est. Ferro.


Finanziamento – Impresa in crisi – Finalità contraria al buon costume – Irripetibilità delle somme erogate



Non sono ripetibili le somme erogate a titolo di finanziamento quando la finalità in realtà perseguita dal finanziatore è quella di tenere artificiosamente in vita l'impresa finanziata per pervenire alla sua acquisizione, così ritardandone l'emersione della crisi e turbando le regole del mercato e della concorrenza.

Un simile comportamento è contrario al buon costume ed è sanzionabile ai sensi dell'art. 2035 c.c., il quale non consente la ripetibilità delle somme erogate.

Si riportano alcuni significativi passi della decisione:
“…. in questo senso le pur stringate osservazioni finali del decreto impugnato colgono nel segno ove, riferendosi ad una "sanzione" (civile), danno conto di un soggetto che ha condotto un comportamento disdicevole alla luce del sentire comune, così valorizzando - come detto - le clausole generali volte ad imporre, a chi si immette nel traffico giuridico e nelle reti interimprenditoriali in particolare, prestazioni conformate secondo buona fede, secondo criteri non moralistici, si può aggiungere, ma di concorrente condivisa opportunità e utilità sociale nelle relazioni ordinate di mercato, che non sopportano la permanenza artificiale in esso di concorrenti decotti, la cui insolvenza sia resa occulta ovvero ingiustificatamente ritardata nella sua emersione e strumentalizzata per operazioni in danno dei creditori; in questo ambito, la regola non assume una finalità educativa, ma pur sempre si riferisce a rapporti giuridici e non a soggetti in sé intesi, permettendo allora che il diritto - cui essa tuttora appartiene - neghi le sue tutele a negozi giuridici compiuti in violazione di principi, come detto, immanenti nei contesti in cui vengono conclusi, come nel caso il principio del corretto e leale svolgimento della competizione economica;
… i motivi dal quarto al sesto, riuniti in trattazione perché connessi, sono infondati, per alcuni profili e inammissibili, per altri; l'accertamento della simulazione relativa ha riguardato l'inopponibilità alla massa dei creditori, in virtù delle eccezioni formulate, non delle erogazioni finanziarie ricevute dalla fallita ma del titolo contrattuale che le avrebbe giustificate, secondo una causa negoziale formalizzata solo ex post, apprezzata quale non credibile dal tribunale, sostituita dalla diversa qualificazione siccome attività di finanziamento delle sovvenzioni e finale valutazione di illiceità delle stesse, conseguendone che non può dunque dirsi assente una motivazione; né sussiste erroneità del riferimento (peraltro solo gradato) al negozio indiretto, avendo anche il secondo istituto assunto, nel quadro giustificativo posto in decreto, la natura di presupposto "ipotetico" che, analogamente al negozio dissimulato, aveva finito con l'acquisire in fatto, come reale assorbente finalità, quella di finanziare un'impresa decotta, apparendo non realmente perseguita la causa commerciale anche nella "ipotesi" della anticipazione dei pagamenti su "voluta" fornitura, invero del tutto priva di convincenti elementi storici (i prezzi, la natura della merce, le epoche di consegna) e, poi, essendo stato del tutto carente l'ordinario monitoraggio esecutivo del creditore (che non risulta avesse mai chiesto la consegna della merce, nemmeno determinando più puntualmente l'oggetto del contratto);
… l'improprio mantenimento in vita della impresa è stato a sua volta correlato dal tribunale al contributo causale assunto dal citato finanziamento e alla relativa consapevolezza compartecipativa rispetto al ritardo nell'apertura della vicenda concorsuale ovvero all'intensificazione del dissesto, secondo un apprezzamento di fatto insindacabile sotto il profilo motivazionale e, sul piano della qualificazione antigiuridica della condotta e della prova dell'elemento soggettivo, parimenti sorretto da una pluralità di indici (tra cui durata del finanziamento, progressività degli assetti negoziali perseguiti, inadempimenti, dissimulazione negoziale, insistenza del ricorso al credito privato piuttosto che a quello bancario, esposizione debitoria già nel bilancio 2009 con "utile ridottissimo" rispetto alle dimensioni d'impresa, perdita poi certificata nel bilancio 2010, assets e attivi privi di connotazioni di liquidità, scarsa competitività); ne è derivato l'accertamento - ai fini di causa - di una compartecipazione negli stessi fatti di bancarotta semplice tratteggiati all'art.217, comma 1, n.4 I.f. per i quali occorre aver "aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa"; sul punto, appare inammissibile la produzione acclusa alla memoria finale della ricorrente sia per parzialità delle conclusioni del giudice penale (la pronuncia assolutoria non è passata in giudicato), sia per il difetto di inerenza diretta all'ammissibilità del ricorso (apparendo più ampia, già sotto il profilo del coinvolgimento soggettivo, la serie di operazioni culminate nei finanziamenti alla società fallita e non coincidente la fattispecie dell'indagine penale con l'accertamento incidentale del reato condotto dal tribunale).” (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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