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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24306 - pubb. 06/10/2020.

Poteri degli amministratori nelle società a responsabilità limitata


Tribunale di Roma, 10 Settembre 2020. Pres. Di Salvo. Est. Romano.

Società a responsabilità limitata - Poteri degli amministratori - Limiti


Anche nelle società a responsabilità limitata è possibile attribuire il potere di rappresentanza soltanto ad alcuni amministratori ovvero ricollegarlo alla titolarità di alcune cariche, quale, ad es., la carica di amministratore delegato o di presidente del consiglio di amministrazione: la regola posta dall’art. 2475-bis, primo comma, c.c. costituisce una norma di default destinata ad assumere rilevanza nel silenzio dello statuto o dell’atto di nomina.

L’esclusione in capo a taluni amministratori della rappresentanza della società costituisce pur sempre una limitazione del potere rappresentativo (considerato nel suo complesso) ed è, quindi, sottoposto alla disciplina del secondo comma dell’art. 2475-bis c.c. con conseguente irrilevanza nei confronti dei terzi che non abbiano agito intenzionalmente a danno della società.

In questa prospettiva, si afferma che, se il potere rappresentativo discende direttamente dalla legge, la dissociazione dei poteri che si genera con l’attribuzione della rappresentanza solo ad alcuni amministratori costituisce una scelta organizzativa interna, frutto del potere dispositivo dei soci e, dunque, una limitazione che deriva dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina, soggetta al regime previsto dall’art. 2475-bis, secondo comma c.c.

In applicazione del secondo comma del richiamato art. 2475-bis c.c., le limitazioni statutarie - a differenza delle limitazioni legali - dei poteri rappresentativi degli amministratori non si riverberano in maniera automatica sul contratto sottoscritto dagli amministratori con i terzi, non essendo, se non nel concorso degli altri presupposti indicati dall’art. 2475-bis c.c., ad essi opponibili; m se al terzo non è (automaticamente) opponibile la limitazione del potere rappresentativo, ciò vuol dire che il contratto stipulato tra la società (in persona di un amministratore in violazione delle limitazioni, soggettive o oggettive, previste nell’atto costitutivo o nello statuto) ed un terzo è in grado di vincolare la società medesima. In altre parole, il rilievo dei limiti al potere rappresentativo si esaurisce sul piano dei rapporti interni alla società giustificando la revoca dell’amministratore dall’incarico gestorio ovvero la proposizione di un’azione di responsabilità nei suoi confronti ovvero ancora, qualora nella società sia presente il collegio sindacale, la denunzia ex art. 2408 c.c.

Al contrario, la violazione dei limiti in argomento non si traduce in una ragione di invalidità o di inefficacia del negozio stipulato dall’amministratore. Discende dalle precedenti considerazioni che se il contratto stipulato pur in violazione delle limitazioni statutarie del potere rappresentativo degli amministratori è vincolante per la società, il socio della società non è legittimato ad impugnare e ad opporre ai terzi eventuali vizi o l’inefficacia di quel contratto. In altre parole, spetta mentre non implica la legittimazione a denunciare in giudizio atti esterni ed in particolare ad impugnare i negozi giuridici stipulati dalla società, la cui validità, anche nelle ipotesi di nullità per illiceità dell’oggetto, della causa o dei motivi, resta contestabile solo dalla società stessa, senza che in contrario il socio possa invocare la norma dell'art. 1421 c.c. (Cass., 15 novembre 1999, n. 12615).

Tale orientamento è stato, peraltro, ribadito e sviluppato (cfr., Cass., 25 febbraio 2009, n. 4579 secondo la quale nelle società di capitali, dotate di distinta personalità giuridica e titolari di un proprio autonomo patrimonio, l'interesse del socio al potenziamento ed alla conservazione della consistenza economica dell'ente è tutelabile esclusivamente con strumenti interni, ivi compresa la possibilità di insorgere contro le deliberazioni invalide, e non implica la legittimazione a denunciare in giudizio atti esterni, ed in particolare ad impugnare i negozi giuridici stipulati dalla società, la cui validità, anche qualora ne venga sostenuta la radicale nullità, resta contestabile solo dalla società stessa).

Tali principi - pronunziati con specifico riferimento ai vizi di annullabilità e di nullità che possono afferire ad un determinato contratto stipulato da un amministratore - hanno portata generale e, dunque, devono valere anche per l’ipotesi di inefficacia del contratto.

L’interesse del socio al potenziamento (o al mancato depauperamento) del patrimonio della società viene tutelato esclusivamente mediante i rimedi endo-societari, di tipo partecipativo o di tipo reattivo, ma non conferisce al socio la legittimazione ad impedire che un determinato contratto stipulato dalla società medesima possa non essere vincolante per la società e, quindi, a far valere l’inefficacia o un vizio di detto contratto. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

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