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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24587 - pubb. 02/12/2020.

Concordato preventivo e scioglimento del contratto pendente: l’autorizzazione presuppone la verifica dell’abuso in danno del terzo contraente


Cassazione civile, sez. I, 23 Novembre 2020. Pres. Genovese. Est. Paola Vella.

Concordato preventivo – Scioglimento dei contratti pendenti – Ratio – Abuso – Incidenza sulle condizioni di ammissibilità del concordato

Concordato preventivo – Indennizzo al terzo contraente che ha subito lo scioglimento del contratto successivo al ricorso per concordato – Autorizzazione allo scioglimento dal contratto pendente – Verifica sulla correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto – Ingiusto pregiudizio a carico dell’altro contraente – Abuso dello strumento concordatario


La scelta del legislatore di sottoporre ad autorizzazione giudiziale il potere del debitore di sciogliersi dai contratti pendenti è evidentemente funzionale all’esigenza di scongiurare che egli possa farli venir meno per ragioni opportunistiche, nel perseguimento di interessi esorbitanti da una corretta regolazione della crisi d’impresa, attraverso l’abuso dello strumento concordatario. Il controllo svolto in prima battuta dal giudice delegato, e successivamente dal tribunale, si inserisce dunque all’interno di quella più ampia valutazione preordinata a verificare le condizioni di ammissibilità del concordato preventivo, prima fra tutte la fattibilità (tralatiziamente distinta in giuridica ed economica) del piano - non di rado fortemente condizionata dallo scioglimento dei contratti in corso -, in ultima analisi diretta a tutelare l’interesse pubblicistico al regolare svolgimento, oltre che al buon esito, della procedura concorsuale

In tema di concordato preventivo, il giudice, ai fini del giudizio di ammissibilità della domanda di concordato preventivo, è tenuto, in linea con i principi della normativa unionale in tema di ristrutturazione preventiva, a verificare che il debitore, nel formulare un piano che contempli l’autorizzazione allo scioglimento dal contratto pendente, a norma della L. Fall., art. 169-bis, abbia agito conformemente ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, in modo da evitare che ne derivi un ingiusto pregiudizio a carico dell’altro contraente, con conseguente abuso dello strumento concordatario.

[Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che il promittente venditore, procrastinando dolosamente la stipula del contratto definitivo - nonostante l’avvenuto pagamento dell’intero prezzo e l’immissione del promissario acquirente nella detenzione dell’immobile destinato ad abitazione principale - e procedendo a depositare, appena due mesi dopo la proposizione della domanda ex art. 2932 c.c., da parte del promissario acquirente, una domanda di concordato preventivo il cui piano contemplava nell’attivo concordatario anche l’immobile compromesso in vendita (di valore pari a circa un terzo dell’attivo complessivo), abbia palesemente contravvenuto al dovere di esecuzione del contratto secondo buona fede, ai sensi dell’art. 1375 c.c.; e ciò tanto più per aver poi indicato nel medesimo piano concordatario un indennizzo in favore del promissario acquirente pari al solo ammontare del prezzo versato, che per giunta, in quanto credito chirografario, è destinato ad essere soddisfatto nei limiti del 15%, in forza della falcidia concordataria.]. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

 

Fatto

1. Con sentenza del 30/05/2017, la Corte d’appello di L’Aquila ha respinto il reclamo L. Fall., ex art. 183, proposto da A.B. contro il decreto del 16/01/2017 con cui il Tribunale di Pescara aveva omologato il concordato preventivo della società "B.C. S.a.s. di * & C.", rigettando l’opposizione da egli proposta quale promissario acquirente di un immobile in costruzione - poi ultimato e incluso nell’attivo concordatario - in forza di contratto preliminare di compravendita del 26/11/2011, seguito da domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre ex art. 2932 c.c., pacificamente introdotta prima della domanda di ammissione al concordato preventivo della predetta società, ma trascritta dopo la sua iscrizione nel registro delle imprese.

1.1. Dalla cronologia dei fatti di causa riportati in sentenza risulta: - che in data 19/05/2014 la promittente venditrice "B.C. S.a.s. di * & C." ha dato atto dell’integrale versamento del prezzo di Euro 405.000,00 da parte del promissario acquirente A.B. (tramite acconti e saldo di Euro 55.000,00 a compensazione dei lavori di completamento dell’immobile effettuati direttamente da quest’ultimo);

- che il 03/06/2014 il F. ha proposto domanda ex art. 2932 c.c. (accolta dal Tribunale di Vasto con sentenza del 13/05/2016, poi gravata da appello) e il 12/06/2014 è stato "immesso dalla società nel possesso dell’immobile (verbale di consegna in atti)";

- che in data 01/08/2014 la società ha proposto domanda di concordato preventivo liquidatorio, ammesso dal Tribunale di Pescara con decreto del 05/06/2015;

- che il 24/06/2015 il F. ha ricevuto l’avviso L. Fall., ex art. 171, con fissazione dell’adunanza dei creditori al 14/07/2015;

- che il 10/07/2015 la società concordataria ha depositato istanza di scioglimento dal contratto preliminare L. Fall., ex art. 169-bis, dichiarata inammissibile dal Giudice Delegato in data 14/01/2016 "per omessa indicazione dell’indennizzo", ma successivamente accolta dal Tribunale di Pescara, su reclamo della società, con decreto del 08/04/2016, che ha autorizzato lo scioglimento;

- che a seguito di avviso L. Fall., ex art. 179, comma 2, il F. , indicato tra i creditori per la somma di Euro 405.000,00, ha espresso voto contrario all’omologazione del concordato, esponendo un credito di Euro 810.000,00 in luogo di quello di Euro 405.000,00 per il quale è stato ammesso al voto;

- che con decreto del 25/10/2015 il Tribunale di Pescara, "su relazione del Giudice Delegato che aveva condiviso le osservazioni del Commissario Giudiziale circa la legittimità dell’ammissione al voto del F. per il credito di Euro 405.000,00", ha dato ingresso al giudizio di omologazione, cui il F. si è opposto quale creditore dissenziente.

1.2. Con ricorso notificato a mezzo posta il 28/07/2017, il F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, corredato da memoria, cui la società concordataria ha resistito con controricorso; i restanti intimati non hanno svolto difese.

 

Motivi

2.1. Con il primo motivo, rubricato "Violazione e falsa applicazione della L. Fall, art. 169, n. 2, per errata identificazione degli elementi costitutivi dell’indennizzo", il ricorrente lamenta l’errore in cui la Corte d’appello sarebbe incorsa sulla nozione di indennizzo L. Fall., ex art. 169-bis, comma 2, "identificandolo con gli obblighi restitutori di quanto ricevuto dalla parte che invoca lo scioglimento del contratto", mentre esso dovrebbe essere "equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento" del contratto di cui sia autorizzato lo scioglimento, come ben aveva colto il Giudice delegato, il quale aveva negato l’autorizzazione allo scioglimento del contratto preliminare di vendita per cui è causa (con provvedimento però riformato in sede di reclamo) per mancanza, appunto, "di un requisito essenziale, ossia la previsione dell’indennizzo", dal momento che "nel piano concordatario, ove però lo scioglimento non era stato nè previsto nè richiesto (...) era appostato un debito di Euro 405.000,00 per "debiti per acconti/caparra clienti" di cui Euro 350.000,00 per "acconti caparre da clienti" ed Euro 55.000,00 per "debiti v/clienti per lavori eseguiti"", senza alcun richiamo "al debito indennitario/risarcitorio per lo scioglimento contrattuale". Ciò con evidente pregiudizio per il promissario acquirente, tenuto a rilasciare l’immobile alla procedura concordataria a fronte di un "indennizzo" di importo pari alla mera restituzione del prezzo versato (Euro 405.000,00), peraltro soggetto alla falcidia dell’85%, in quanto credito chirografario.

2.2. Con il secondo mezzo - rubricato "Violazione della L. Fall., art. 169-bis, nella parte in cui la sentenza conferma il rango chirografario e non prededucibile dell’indennizzo; in subordine illegittimità costituzionale dell’art. 169-bis, con riferimento all’art. 3 Cost." - il ricorrente osserva che, a fronte di una istanza di scioglimento presentata successivamente alla domanda di concordato, il credito da indennizzo in questione avrebbe dovuto essere considerato con rango prededucibile, piuttosto che chirografario, prospettando in subordine una questione di legittimità costituzionale per disparità di trattamento, ex art. 3 Cost., rispetto ad altre ipotesi analoghe che contemplano la prededucibilità dell’indennizzo (come lo scioglimento del curatore fallimentare dal contratto di affitto di azienda L. Fall., ex art. 79, o dal contratto di locazione L. Fall., ex art. 80, nonché le ipotesi D.Lgs. n. 270 del 1999, ex artt. 20 e 50) o comunque riconoscono il privilegio immobiliare ex art. 2775 bis c.c. (scioglimento del contratto preliminare trascritto, L. Fall., ex art. 72, comma 7).

2.3. Il terzo motivo prospetta la "Violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 169 bis, anche in relazione all’art. 1375 c.c., per aver ritenuto applicabile la disposizione sullo scioglimento del contratto in ipotesi di prestazioni totalmente eseguite dalla parte in danno della quale viene richiesto lo scioglimento". Osserva il ricorrente che il contratto preliminare non doveva ritenersi "pendente" - ossia "ineseguito, in tutto o in parte, da entrambe le parti" (come precisato da Cass. Sez. U., 18131/2015) - avendo il promissario acquirente assolto per intero l’obbligo di pagamento del corrispettivo ed ottenuto altresì la consegna dell’immobile, sicché residuava una sola prestazione a carico del promittente venditore, ossia "la formalizzazione del rogito definitivo", cui questi si era però sottratto, violando il principio di esecuzione del contratto secondo buona fede ex art. 1375 c.c., tanto da costringere il F. a promuovere un giudizio ex art. 2932 c.c., nonostante la società B.C. S.a.s. di * & C. lo avesse immesso nel possesso dell’immobile appena due mesi prima del deposito della domanda di concordato preventivo liquidatorio, e solo successivamente avesse chiesto l’autorizzazione allo scioglimento del contratto preliminare pressoché interamente eseguito, a distanza di un anno dall’inizio della causa ex art. 2932 c.c. (che l’aveva vista contumace e soccombente in primo grado). In tal modo, il debitore concordatario aveva lucrato solo vantaggi dallo scioglimento del preliminare, espropriando di fatto il promissario acquirente da un bene tutelato dall’art. 47 Cost., comma 2 - trattandosi pacificamente di una "casa di abitazione" - il cui valore costituiva, peraltro, circa un terzo dell’attivo concordatario, a fronte della proposta di restituzione di un importo pari solo al 15% del prezzo versato.

3. Il primo motivo è inammissibile.

3.1. Occorre innanzitutto premettere che alla fattispecie in esame è applicabile ratione temporis la L. Fall., art. 169-bis, come introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 33, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 34, nella versione vigente anteriormente alle modifiche apportate dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, art. 8, convertito dalla L. 6 agosto 2015, n. 132.

3.2. Occorre poi sottolineare che il contratto preliminare de quo non rientra tra quelli che della L. Fall., art. 169-bis, comma 4, esenta dalla soggezione allo scioglimento o alla sospensione, poiché il richiamato della L. Fall., art. 72, comma 8, pur contemplando (anche) il contratto preliminare di vendita avente ad oggetto un immobile destinato a costituire - come risulta nel caso di specie l’abitazione principale dell’acquirente, richiede come condizione necessaria che esso sia stato "trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c."; condizione, questa, che pacificamente difetta, come si legge a pag. 8 della sentenza impugnata.

3.3. Occorre infine evidenziare che l’originaria decisione del giudice delegato di dichiarare inammissibile l’istanza L. Fall., ex art. 169-bis, di autorizzazione allo scioglimento dal contratto preliminare de quo, per mancanza "di un requisito essenziale, ossia la previsione dell’indennizzo" - tale non essendo stata ritenuta l’appostazione concordataria di un credito del promissario acquirente pari alla sola restituzione del prezzo versato - è stata successivamente riformata dal Tribunale di Pescara, che ne ha invece autorizzato lo scioglimento, evidentemente assumendo che un indennizzo fosse stato - in qualche modo - contemplato. Tale decisione, oltre a non essere direttamente oggetto di impugnazione in questa sede, non sarebbe comunque sindacabile anche perché afferente al merito, potendosi al riguardo supporre che si sia tenuto conto di altri aspetti della vicenda (come, in ipotesi, l’occupazione dell’immobile dalla data di immissione in possesso sino al suo rilascio).

3.4. Più in generale, non si intende certo sottacere come la L. Fall., art. 169-bis, comma 2, preveda, in favore del terzo contraente pregiudicato dallo scioglimento, un vero e proprio "diritto ad un indennizzo" e come il legislatore abbia espressamente voluto (sia pure con apparente ambiguità terminologica) che tale indennizzo sia "equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento" del contratto di cui sia stato autorizzato lo scioglimento, sì da non poter essere immotivatamente surrogato da crediti di natura meramente restitutoria - come, nel caso di specie, la restituzione del prezzo versato -, pena lo svuotamento del già debole presidio posto dalla norma a tutela del terzo contraente, per bilanciare l’evidente favor legislatoris per la soluzione concordataria.

3.5. Al riguardo questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che l’istituto (assai peculiare) dello scioglimento del contratto L. Fall., ex art. 169-bis, costituisce una facoltà di natura potestativa messa a disposizione del debitore nel contesto delle soluzioni concordatarie, volte a perseguire il miglior soddisfacimento del ceto creditorio. A determinate condizioni, soggette a verifica giudiziale prima fra tutte la coerenza con il piano concordatario, anche sotto il profilo della sua "fattibilità" -, lo scioglimento assume i connotati della legittimità, in deroga al diritto comune (posto che, in assenza di vizi genetici o funzionali, il contratto continua ad avere forza di legge tra le parti, ex art. 1372 c.c., anche in costanza di concordato, a differenza del fallimento, che di regola comporta invece la sospensione automatica dei contratti pendenti L. Fall., ex art. 72), facendo però sorgere in capo alla controparte il diritto ad un indennizzo per il pregiudizio subito in conseguenza del venir meno del vincolo negoziale.

3.6. Il carattere dichiaratamente indennitario di tale diritto patrimoniale non deve pregiudicare la consistenza del ristoro da attribuire, come è reso palese dalla previsione (apparentemente antinomica) di una reintegrazione del patrimonio del contraente in bonis equivalente al risarcimento del danno derivante dal mancato adempimento, e perciò integrale, come imposto dall’art. 1223 c.c. (Cass. 6929/2019); norma, quest’ultima, tradizionalmente interpretata nel senso che la misura del danno risarcibile deve avere per oggetto l’intero pregiudizio subito dal soggetto danneggiato, essendo il risarcimento diretto alla completa restitutio in integrum del patrimonio leso (cfr. ex multis Cass. 15726/2010, 6856/1988).

3.7. Tuttavia, della L. Fall., art. 169-bism, comma 2, dispone inequivocabilmente che il credito in questione "è soddisfatto come credito anteriore al concordato", così assimilandolo a tutti gli altri crediti concorsuali, per i quali nel concordato preventivo non vi è - a differenza di quanto avviene in altre procedure concorsuali (in primis il fallimento) - una fase di vero e proprio accertamento, essendone la "verifica" funzionale non già alla selezione delle posizioni concorrenti ai fini della partecipazione al riparto dell’attivo, bensì solo alla individuazione dei creditori aventi diritto al voto e dei crediti da computare ai fini del calcolo delle maggioranze richieste per l’approvazione della proposta concordataria.

3.8. Ciò è reso palese dal disposto della L. Fall., art. 176, comma 1, il quale specifica che l’ammissione provvisoria, in tutto o in parte, dei crediti contestati - da parte del giudice delegato ed eventualmente del tribunale in sede di omologa (Cass. 30456/2019) - avviene "ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunzie definitive sulla sussistenza dei crediti stessi". Pertanto, l’eventuale accertamento su entità e natura dei crediti ammessi al voto nel concordato preventivo ha natura meramente incidentale e delibativa, in quanto strumentale al calcolo delle maggioranze necessarie, senza potersi in alcun modo ritenere preclusa la prosecuzione o l’instaurazione di un ordinario giudizio di cognizione su esistenza, entità e rango (privilegiato o chirografario) del credito, il cui esito costituirà definitivamente "la base su cui deve operarsi la c.d. falcidia concordataria" (Cass. 27489/2006, 2104/2002), solo quest’ultima essendo definitivamente accertata con la sentenza di omologazione del concordato preventivo passata in giudicato, la quale appunto, "per le particolari caratteristiche della procedura che ad essa conduce, determina un vincolo definitivo sulla riduzione quantitativa dei crediti, ma non comporta la formazione di un giudicato sull’esistenza, entità e rango (privilegiato o chirografario) di questi ultimi, nè sugli altri diritti implicati nella procedura stessa" (Cass. 20298/2014).

3.9. Sono queste le ragioni sottese all’affermazione del principio per cui "è inammissibile, per difetto di interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione avverso il decreto di omologa del concordato preventivo con il quale il creditore contesti l’entità o il rango (privilegiato o chirografario) di un suo credito, come determinato ai fini del calcolo delle maggioranze richieste per l’approvazione della proposta, dovendosi accertare sempre nelle forme della cognizione ordinaria le ragioni creditorie vantate nei confronti del debitore in concordato" (Cass. 208/2019).

3.10. Ebbene, le medesime conclusioni valgono anche per il credito indennitario in disamina (che il debitore deve, se del caso, contemplare nel ricorso ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 2, lett. b), ed eventualmente collocare in apposita classe L. Fall., ex art. 160, comma 1, lett. c) posto che - a differenza di quanto accade per le analoghe ipotesi in sede fallimentare (v. L. Fall., artt. 79, 80 e 105-bis) - la controversia sulla quantificazione dell’indennizzo va risolta in sede di cognizione ordinaria (ovvero in sede di accertamento del passivo del conseguente fallimento), mentre in sede concordataria, una volta esercitato il potere di concedere (o meno) l’autorizzazione allo scioglimento dal contratto, residua in capo al giudice solo il potere generale di ammettere in tutto o in parte i crediti contestati, ai fini del voto e del calcolo delle maggioranze, L. Fall., ex art. 176, senza pregiudizio per la pronuncia definitiva sulla loro sussistenza e quantificazione (Cass. 641/2019).

3.11. La giurisprudenza di questa Corte ha già fatto applicazione di questi principi, affermando che, "in ipotesi di autorizzazione da parte del G.D. (o diniego) allo scioglimento dei contratti, a norma della L. Fall., art. 169 bis, la parte non soddisfatta può adire il giudice e contestare la ritenuta sussistenza (o insussistenza) dei presupposti per lo scioglimento del contratto attraverso una domanda da proporsi nell’ambito di un giudizio a cognizione piena" (Cass. 11524/2020, 1442/2018, 17520/2015). Tale conclusione riguarda anche la ritualità del procedimento di autorizzazione allo scioglimento (Cass. 3441/2020, 1443/2018), i suoi effetti negoziali (Cass. 6243/2018) e il trattamento da riservare al credito derivante dallo scioglimento del contratto L. Fall., ex art. 169-bis, "quale credito anteriore piuttosto che prededucibile" (Cass. 3441/2020).

3.12. Di qui la costante affermazione della regola della non ricorribilità per cassazione, ex art. 111 Cost., dei provvedimenti assunti (anche in sede di reclamo) sulle istanze di sospensione o scioglimento dei contratti a norma della L. Fall., art. 169-bis, in quanto "proponibili dal debitore sia prima che dopo il decreto di ammissione alla procedura concordataria, oltre che da lui reiterabili nel corso di quest’ultima" e pertanto "inidonei a produrre effetti di diritto sostanziale con efficacia di giudicato" (Cass. 17520/2015, 18830/2018); in altri termini, trattandosi di "atti di esercizio del potere di amministrazione e gestione dei beni del debitore" - che, come noto, nel concordato subisce solo uno "spossessamento attenuato" (Cass. 1142/2018) - "e delle funzioni di direzione della procedura concorsuale, non deputati a risolvere controversie su diritti", i provvedimenti in questione sono ritenuti privi dei requisiti della decisorietà e definitività (Cass. 11524/2020 e Cass. 1442/2018, in tema di scioglimento; Cass. 4176/2016, in tema di sospensione).

3.13. Ciò non toglie che il contraente che abbia subito gli effetti dello scioglimento (così come della sospensione) del contratto possa opporsi all’omologa del concordato preventivo, L. Fall., ex art. 180, comma 1; tuttavia, l’opposizione non può fondarsi esclusivamente sulla concessione dell’autorizzazione o sulla quantificazione del relativo indennizzo, a meno che si intenda far valere la facoltà di tutti i creditori (anche parzialmente) esclusi di opporsi all’esclusione in sede di omologazione del concordato "nel caso in cui la loro ammissione avrebbe avuto influenza sulla formazione delle maggioranze", ai sensi della L. Fall., art. 176, comma 2; circostanza, questa, che però non emerge dal ricorso.

3.14. In conclusione, al primo motivo occorre rispondere affermando il seguente principio di diritto:

"In tema di concordato preventivo, l’accertamento con efficacia di giudicato circa l’esistenza, l’entità e il rango del credito relativo all’indennizzo cui ha diritto il terzo contraente che abbia subito lo scioglimento del contratto, a norma della L. Fall., art. 169-bis, va effettuato, come per tutti i restanti crediti concorsuali, nelle forme della cognizione ordinaria, fermo restando in capo al giudice delegato e al tribunale, in sede di omologazione, il potere di ammettere in tutto o in parte i crediti contestati, ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, ai sensi della L. Fall., art. 176".

4. Passando all’esame del secondo motivo, va dichiarata inammissibile la censura relativa alla natura prededucibile, piuttosto che chirografaria, del credito da indennizzo L. Fall., ex art. 169-bis, trattandosi di questione nuova e mai dibattuta nei gradi di merito, come risulta dalla sentenza impugnata (e prontamente eccepito in controricorso).

4.1. Ne consegue la non rilevanza della correlata questione di legittimità costituzionale, sollevata per contrasto con l’art. 3 Cost., che appare comunque manifestamente infondata, in ragione della discrezionalità riservata al legislatore, il quale ben può disciplinare in modo difforme fattispecie diverse, come quelle evocate a pag. 17 e 18 del ricorso (nessuna delle quali afferenti, invero, la procedura di concordato preventivo).

4.2. Al riguardo va considerato l’inequivocabile tenore testuale della L. Fall., art. 169-bis, che, pur consentendo al debitore di depositare la relativa istanza anche "dopo il decreto di ammissione" (comma 1), afferma la natura chirografaria dell’indennizzo, in quanto da soddisfare "come credito anteriore al concordato" (comma 2), come poi meglio chiarito in sede di riformulazione della norma ad opera del D.L. n. 83 del 2015, convertito dalla L. n. 132 del 2015, che ha espressamente riservato il rango prededucibile al solo credito da prestazioni eseguite - "legalmente e in conformità agli accordi o agli usi negoziali" - dopo la pubblicazione del ricorso ai sensi della L. Fall., art. 161.

4.3. Il tema è stato già affrontato da questa Corte, la quale proprio in riferimento a un contratto preliminare di compravendita pendente al momento dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo - ha confermato che, ai sensi della L. Fall., art. 169-bis, il credito relativo all’indennizzo dovuto per lo scioglimento del contratto ha sempre natura concorsuale, a prescindere dal fatto che la facoltà di scioglimento sia stata esercitata da parte del debitore al momento della proposizione della domanda di ammissione alla procedura o in un momento successivo. Ciò, si è detto, trova conferma nell’attuale testo della disposizione, introdotto nel 2015 proprio "al fine di chiarire, al comma 1, l’ambito applicativo della norma e precisare, al capoverso seguente, che in caso di scioglimento domandato successivamente al deposito del ricorso la collocazione in prededuzione rimane riservata alle sole prestazioni eseguite legalmente e in conformità agli accordi negoziali dopo la pubblicazione della domanda di concordato, con esclusione dell’indennizzo"; con l’importante precisazione che "la peculiare terminologia utilizzata dal legislatore ("ferma restando...") assume un’assonanza anche interpretativa della precedente situazione normativa, come a confermare che l’indennizzo era già, prima, e rimane, ora, comunque concorsuale, anche se il contratto sia rimasto in vita e sia stato parzialmente eseguito nel corso della procedura concordataria, con collocazione in prededuzione delle sole prestazioni eseguite nel corso della stessa". In altri termini, si sarebbe così voluto "porre il patrimonio del creditore nella medesima situazione in cui esso si sarebbe trovato se lo scioglimento non si fosse verificato, tramite la determinazione di un valore da esprimere in termini monetari alla data di apertura del concorso, in forza della regola della cristallizzazione dei crediti rispetto a quel frangente temporale" (Cass. 6929/2019).

4.4. All’esito della disamina del secondo motivo è opportuno enunciare, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 1, il seguente principio di diritto nell’interesse della legge:

"In tema di concordato preventivo, il credito relativo all’indennizzo dovuto per lo scioglimento del contratto a norma della L. Fall., art. 169-bis, ha natura concorsuale, in quanto va "soddisfatto come credito anteriore al concordato", anche quando la facoltà di scioglimento sia stata esercitata dal debitore successivamente al deposito del ricorso di cui alla L. Fall., art. 161, come chiarito con le modifiche apportate alla L. Fall., art. 169-bis, D.L. 27 giugno 2015, n. 83, art. 8, convertito dalla L. 6 agosto 2015, n. 132, avente sul punto natura sostanzialmente interpretativa. Infatti, tale ultima previsione ha altresì chiarito che la collocazione in prededuzione può essere riservata solo al credito derivante da eventuali prestazioni contrattuali eseguite "legalmente e in conformità agli accordi o agli usi negoziali, dopo la pubblicazione della domanda ai sensi dell’art. 161"".

5. Il terzo motivo sollecita una verifica della correttezza della posizione specificamente assunta dai giudici di merito (come ammesso a pag. 21 del controricorso, con conseguente infondatezza, stavolta, dell’eccezione di novità parimenti sollevata in controricorso) sulla "pendenza" o meno, ai fini che ne occupano, del contratto preliminare in questione.

5.1. La Corte d’appello invero, nel respingere la tesi del reclamante per cui detto contratto "non poteva considerarsi pendente (...) avendo egli ricevuto la consegna dell’immobile da un lato e avendo provveduto al pagamento dell’intero prezzo dall’altro, configurando l’obbligo della sas venditrice di stipulare il rogito definitivo come prestazione ulteriore meramente accessoria", ha richiamato l’autorevole orientamento che nega che "la stipula del preliminare c.d. "ad effetti anticipati" consenta al promissario acquirente di diventare possessore", poiché, "non provocando esso un’anticipazione degli effetti traslativi, non conferisce all’acquirente l’animus possidendi" (proprio degli effetti reali), bensì solo l’animus detinendi (tipico degli effetti obbligatori). Ha perciò escluso che il contratto preliminare "avesse già avuto esecuzione, per non essersi prodotto il fondamentale effetto traslativo della proprietà riservato al definitivo" (Cass. Sez. U., 7930/2008; conf. Cass. 1296/2010, 12634/2011).

5.2. In realtà, che al contratto preliminare de quo non fosse stata data compiuta esecuzione, appare indubitabile, confermandolo la stessa iniziativa assunta dal promissario acquirente, che, per tutelare le proprie ragioni, ha dovuto promuovere un giudizio ex art. 2932 c.c. (asseritamente pendente in secondo grado, su appello della società concordataria).

5.3. La questione prospettata dal ricorrente in questa sede è però diversa, e riconducibile al dibattito che ha portato il legislatore a modificare nel 2015 la rubrica - da "Contratti in corso di esecuzione" in "Contratti pendenti" - e, soprattutto, il tenore della L. Fall., art. 169-bis, comma 1, chiarendo che deve trattarsi di "contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti alla data di presentazione del ricorso" (s’intende) "da entrambe le parti", come si legge nell’incipit dell’analogo L. Fall., art. 72, cui il legislatore ha evidentemente voluto uniformare il testo della norma in disamina.

5.4. Invero, una parte minoritaria di dottrina e giurisprudenza ha sostenuto che, a differenza del fallimento, nel concordato preventivo dovrebbero ritenersi "pendenti" non solo i contratti bilaterali ineseguiti o parzialmente eseguiti da entrambe le parti, ma anche quelli unilaterali con obbligazioni ineseguite da una sola delle parti. Secondo l’orientamento maggioritario, invece, i contratti pendenti nel concordato preventivo sarebbero solo quelli a prestazioni corrispettive che, nel momento in cui una di esse presenti il ricorso L. Fall., ex art. 161, per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, risultino ancora ineseguite o non compiutamente eseguite da entrambe le parti.

5.5. Tra i vari argomenti addotti a favore di quest’ultima tesi si richiamano: i) l’argomento normativo, avendo la Relazione al D.L. 27 giugno 2015, n. 83, esplicitato l’intento di dare all’espressione "contratti pendenti" la stessa estensione di quella contenuta nella L. Fall., art. 72, sostituendola alla locuzione "contratti in corso di esecuzione" proprio per porre fine ai dubbi interpretativi sulla possibilità di sciogliere anche i contratti già interamente eseguiti da una delle parti; ii) l’argomento storico, per cui a un enunciato normativo deve essere attribuito lo stesso significato tradizionalmente e costantemente attribuito in passato agli analoghi enunciati regolatori della stessa materia, a tal fine constatandosi che con l’espressione "contratti pendenti" (e relative varianti lessicali) sono stati sempre designati i rapporti contrattuali bilaterali, in tutto o in parte ineseguiti da entrambe le parti al tempo del fallimento di una di esse; iii) l’argomento sistematico, in base al quale, se un rapporto contrattuale pendente con obbligazioni ineseguite da una sola delle parti è assoggettato alle disposizioni di cui alla L. Fall., artt. 42 e 52, quello stesso rapporto non può essere ricompreso tra quelli bilaterali, cui si applicano le regole di cui alla L. Fall., art. 72; iv) l’argomento "prospettico", avendo il legislatore della riforma organica delle procedure concorsuali dettato una disciplina sui contratti pendenti nel concordato preventivo che li definisce espressamente "contratti non eseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambi i contraenti alla data del deposito della domanda di concordato" (art. 97, Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui al D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 - di seguito CCII - la cui entrata in vigore è stata differita dal 14 agosto 2020 al 1 settembre 2021).

5.6. La tesi maggioritaria è stata di recente avallata da questa Corte (Cass. 11524/2020), attraverso un condivisibile percorso argomentativo, così sintetizzabile:

- "a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, art. 8, comma 10, lett. a), convertito con modificazioni nella L. 6 agosto 2015, n. 22, art. 132, con il quale la locuzione "in corso di esecuzione", presente nella rubrica della L. Fall., art. 169 bis, è stata sostituita da quella "pendenti", il legislatore ha voluto in modo inequivocabile ricondurre la nozione di contratti "pendenti" di cui alla L. Fall., art. 169 bis, a quella di "rapporti pendenti "di cui alla L. Fall., art. 72 comma 1, con la conseguenza che deve farsi riferimento a fattispecie negoziali che non abbiano avuto compiuta esecuzione da entrambe le parti al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo";

- "se è pur vero che la L. Fall., art. 169 bis, non contiene un espresso richiamo ad "entrambe le parti", tuttavia l’utilizzo di una locuzione identica a quella della rubrica della L. Fall., art. 72, non fa residuare alcun dubbio in ordine alla intenzione del legislatore, rivelata, peraltro, dalla relazione alla legge di conversione, inequivocabile sul punto";

- "dunque, alla luce anche della chiara formulazione legislativa (confermata anche all’art. 97 dell’introducendo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza, che fa espresso riferimento ad "entrambe le parti"), la L. Fall., art. 169 bis, non è applicabile ai contratti a prestazioni corrispettive in cui una delle parti abbia già compiutamente eseguito la propria obbligazione".

5.7. La citata pronunzia ha altresì chiarito che, mentre a fronte di un contratto con immediata efficacia traslativa (come, in quel caso, la cessione di credito a scopo di garanzia pro solvendo) gli effetti dell’operazione negoziale si esauriscono al momento del perfezionamento dell’accordo - sicché "non si pone neppure la questione della "pendenza" del singolo contratto di anticipazione bancaria" - nel caso, invece, di contratto di "anticipazione bancaria con mandato all’incasso e patto di compensazione, non può parimenti ritenersi "pendente" la singola operazione di anticipazione, avendo la banca, con l’erogazione della somma al cliente, già compiutamente eseguito la propria prestazione", senza che a diversa conclusione possa indurre la presenza di una "prestazione aggiuntiva" rientrante nel sinallagma contrattuale, quale "la previsione a favore della Banca di un mandato all’incasso, con patto di compensazione", trattandosi di un mandato in rem propriam "esclusivamente finalizzato a realizzare la funzione di garanzia", sicché la banca ha solo l’onere, non già l’obbligo giuridico, di incassare presso il terzo il credito del cliente; e comunque, "anche ove si volesse ritenere che l’attività di incasso dei crediti del cliente verso i terzi rientrasse tra le obbligazioni della banca, si tratterebbe comunque di una prestazione di natura accessoria, non idonea ad incidere sulla nozione di compiuta esecuzione della prestazione a norma della L. Fall., art. 72".

5.8. Quest’ultima precisazione si pone in linea di continuità con la pertinente giurisprudenza di questa Corte, la quale ha più volte statuito che "ai fini della L. Fall., art. 72, per stabilire se al momento della dichiarazione di fallimento il contratto non sia stato eseguito da entrambe le parti, occorre avere riguardo alle obbligazioni fondamentali che a ciascuna di esse derivano dal negozio e non anche alle prestazioni accessorie" (la stessa Cass. 11524/2020 richiama Cass. 3708/1983, "non disattesa da sentenze successive" e a sua volta conforme a Cass. 1007/1981, 2336/1975, 2248/1975, 3422/1974).

5.9. Come anticipato, la riferita continuità è destinata a proiettarsi anche nell’imminente futuro, poiché l’art. 97 del CCII prevede, nella prima parte del comma 10, che "salvo quanto previsto dall’art. 91, comma 2, i contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti alla data del deposito della domanda di accesso al concordato preventivo, proseguono anche durante il concordato".

6. Non va poi trascurato, ai fini dell’ermeneusi nomofilattica cui è chiamata questa Corte, che nella recente "Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la Dir. (UE) 2017/1132" - entrata in vigore il 17 luglio 2019 e da recepire in linea di massima entro il 17 luglio 2021 - non è dato rinvenire una disposizione analoga alla L. Fall., art. 169-bis, che consenta al debitore quantomeno la sospensione, se non anche lo scioglimento, dai contratti in corso; e ciò nonostante il Titolo II della direttiva disciplini in modo analitico i "Quadri di ristrutturazione preventiva" con riguardo ai concordati in continuità aziendale, che pure dovrebbero offrire opportunità maggiori (a corrispondente detrimento dei creditori) rispetto ai concordati meramente liquidatori, come quello per cui è causa.

6.1. Ciò per un verso testimonia la cautela del legislatore unionale nell’estendere oltremodo il sacrificio dei diritti dei terzi nell’ambito delle pur favorite soluzioni di risanamento delle imprese, per altro verso induce a interpretare restrittivamente e rigorosamente i maggiori "spiragli" lasciati aperti dalla normativa nazionale, in linea con il cd. obbligo di interpretazione conforme che deriva dal principio di leale cooperazione ex art. 4, par. 3, T.U.E..

6.2. Le direttive invero, pur non essendo (come noto) direttamente applicabili negli ordinamenti nazionali - per esserne forme e mezzi di attuazione rimessi alla discrezionalità degli Stati membri (art. 288, par. 3, T.F.U.E.) - generano, sin dalla loro entrata in vigore, non solo l’obbligo del legislatore nazionale di astenersi dall’adottare misure che possano compromettere il conseguimento dei risultati perseguiti (cd. stand stili), ma anche l’obbligo degli organi giurisdizionali di interpretare il diritto nazionale in modo conforme alla loro lettera e ratio, obbligo gradualmente esteso dalle norme di recepimento all’intero diritto nazionale, anteriore o successivo (cd. interpretazione conforme o adeguatrice), se non altro con riferimento ai principi stabiliti dalla direttiva in modo preciso e incondizionato (ex multis, Corte Giust. 10 aprile 1984, Von Kolson e Kamann; 13 novembre 1990, Marleasing; 5 ottobre 2004, Pfeiffer; 22 novembre 2005, Mangold; 15 aprile 2008, Impact; 19 gennaio 2010, Kucukdeveci; cfr. Cass. Sez. U., 27310/2008).

7. Le superiori considerazioni inducono dunque a ritenere che, ove uno dei contraenti abbia adempiuto la propria prestazione quantomeno quella da ritenersi principale nel sinallagma contrattuale - non possa trovare applicazione la L. Fall., art. 169-bis.

7.1. Nel caso di specie, è indubitabile che il promissario acquirente non solo abbia integralmente adempiuto la propria obbligazione principale di versare integralmente il prezzo dell’immobile promesso in vendita, ma si sia anche attivato formalmente per conseguire la controprestazione, sino a promuovere un giudizio contro il promittente venditore ex art. 2932 c.c., poiché questi, pur avendogli già consegnato l’immobile (con rilascio di ampia liberatoria) non ha adempiuto l’obbligazione di formalizzare il trasferimento mediante la stipula del contratto definitivo.

7.2. Sennonché, l’autorizzazione allo scioglimento L. Fall., ex art. 169-bis, è stata ormai concessa dal tribunale (in sede di reclamo avverso l’originario diniego del giudice delegato) ed essendo pacifica, come visto, la non impugnabilità di simili provvedimenti con ricorso straordinario ex art. 111 Cost., la fondatezza della censura in esame potrebbe rilevare in questa sede solo se decisiva ai fini del reclamo proposto contro l’omologazione del concordato L. Fall., ex art. 183 (Cass. 1442/2018). Su tale aspetto, però, la Corte d’appello non si è pronunciata, avendo ritenuto infondati tutti i motivi di reclamo dell’opponente.

7.3. Anche in tal caso è opportuna, a fini di regolazione della materia, l’enunciazione di un principio nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 1:

"In tema di concordato preventivo, l’autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento dal contratto pendente, a norma della L. Fall., art. 169-bis, presuppone che, al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo, esso non abbia avuto compiuta esecuzione da entrambe le parti, avuto riguardo alle prestazioni principali del sinallagma contrattuale; ne consegue che l’istituto non è applicabile ai contratti a prestazioni corrispettive in cui una delle parti abbia già compiutamente eseguito la propria prestazione (fattispecie relativa a contratto preliminare di compravendita in cui, prima del deposito del ricorso L. Fall., ex art. 161, il promissario acquirente aveva già versato l’intero prezzo, era stato immesso nella detenzione dell’immobile così che aveva promosso giudizio ex art. 2932 c.c., per ottenere la prestazione del conseno dell’altra parte alla stipulazione del contratto definitivo di compravendita)".

8. Nella medesima prospettiva va rilevata la fondatezza dell’ulteriore censura mossa col terzo motivo, per cui il promittente venditore, procrastinando dolosamente la stipula del contratto definitivo - nonostante l’avvenuto pagamento dell’intero prezzo e l’immissione del promissario acquirente nella detenzione dell’immobile destinato ad abitazione principale - e procedendo a depositare, appena due mesi dopo la proposizione della domanda ex art. 2932 c.c., da parte del promissario acquirente, una domanda di concordato preventivo il cui piano contemplava nell’attivo concordatario anche l’immobile compromesso in vendita (di valore pari a circa un terzo dell’attivo complessivo), ha palesemente contravvenuto al dovere di esecuzione del contratto secondo buona fede, ai sensi dell’art. 1375 c.c.; e ciò tanto più per aver poi indicato nel medesimo piano concordatario un indennizzo in favore del promissario acquirente pari al solo ammontare del prezzo versato, che per giunta, in quanto credito chirografario, è destinato ad essere soddisfatto nei limiti del 15%, in forza della falcidia concordataria.

8.1. Orbene, la scelta del legislatore di sottoporre ad autorizzazione giudiziale il potere del debitore di sciogliersi dai contratti pendenti è evidentemente funzionale all’esigenza di scongiurare che egli possa farli venir meno per ragioni opportunistiche, nel perseguimento di interessi esorbitanti da una corretta regolazione della crisi d’impresa, attraverso l’abuso dello strumento concordatario. Il controllo svolto in prima battuta dal giudice delegato, e successivamente dal tribunale, si inserisce dunque all’interno di quella più ampia valutazione preordinata a verificare le condizioni di ammissibilità del concordato preventivo, prima fra tutte la fattibilità (tralatiziamente distinta in giuridica ed economica) del piano - non di rado fortemente condizionata dallo scioglimento dei contratti in corso -, in ultima analisi diretta a tutelare l’interesse pubblicistico al regolare svolgimento, oltre che al buon esito, della procedura concorsuale (Cass. 1442/2018).

8.2. È quasi superfluo ricordare come la figura dell’abuso del diritto - nel cui genus si inscrivono l’abuso del processo e, per quanto qui rileva, del procedimento di concordato, parimenti sussumibili nell’idea di una "alterazione dello schema formale del diritto finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal legislatore", che si manifesta "quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, la funzione obiettiva dell’atto risulti alterata rispetto al potere che lo prevede", causando perciò la reazione dell’ordinamento, in forma di rifiuto di "tutela ai poteri, diritti e interessi esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva" (Cass. sez. U., 20106/2009) - trovi il proprio fondamento costituzionale nel dovere di solidarietà posto dall’art. 2 Cost. e riflessi positivi sia in campo contrattuale (si vedano i principi di correttezza e buona fede che permeano la fase delle trattative precontrattuali ex art. 1337 c.c., così come l’interpretazione e l’esecuzione del contratto ex artt. 1366 e 1375 c.c.) sia in campo processuale (si vedano i doveri di lealtà e probità imposti alle parti e ai loro difensori dall’art. 88 c.p.c.).

8.3. Peraltro, in dottrina è stato autorevolmente precisato che, mentre l’imposizione dei doveri di correttezza e buona fede mira a sanzionare le modalità scorrette con cui vengono perseguite finalità consentite dall’ordinamento, l’abuso del diritto si attaglia piuttosto ad utilizzi per finalità diverse da quelle previste dall’ordinamento, con conseguenti riflessi sul possibile scarto tra la causa tipica e la cd. causa concreta (intesa come funzione economico-pratica che il singolo contratto tende a realizzare, indipendentemente dalla sua corrispondenza al modello legale). Ed è stato altresì segnalato come la trasposizione di tali concetti sul piano processuale abbia sovente sollevato perplessità per il vulnus che ne potrebbe derivare al diritto di agire e difendersi in giudizio garantito dall’art. 24 Cost., apparendo sufficienti i presidi allestiti dall’ordinamento attraverso le cause di inammissibilità normativamente previste dal legislatore.

8.4. Nella giurisprudenza di questa Corte, un’ipotesi di abuso del diritto è stata di recente enucleata nell’utilizzo distorto del diritto previsto dalla norma istitutiva di una nullità di protezione segnatamente quella che può essere fatta valere dall’acquirente ove il promittente venditore violi l’obbligo, imposto dal D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 2, di procurargli, all’atto della stipula del contratto preliminare, una fideiussione a garanzia della restituzione del prezzo pagato per il caso in cui sopravvengano il pignoramento dell’immobile o la sottoposizione del costruttore a procedura concorsuale (Cass. 30555/2019, che ha respinto la domanda di nullità relativa in un caso in cui la garanzia fideiussoria era stata indebitamente rilasciata in un momento successivo alla sottoscrizione, tenuto conto che nelle more tra la stipulazione del preliminare e la prestazione della garanzia non si era manifestata l’insolvenza del promittente venditore nè risultava altrimenti pregiudicato l’interesse del promissario acquirente).

9. Venendo più specificamente al caso che ne occupa, la valenza al tempo stesso negoziale e processuale dell’istituto concordatario consente di attingere ai principi gradualmente affermatisi nell’uno e nell’altro campo, in termini di buona fede contrattuale e processuale, nella duplice (e assai sottile) variante dell’abuso del concordato (ove l’accesso al procedimento sia strumentale a fini diversi da quelli per i quali l’istituto è stato introdotto nell’ordinamento) o nel concordato (ove l’utilizzo in concreto dello strumento persegua funzioni distoniche o distorte rispetto alla sua funzione). Non è dunque un caso che, proprio nella materia concorsuale, la giurisprudenza si sia rivelata incline a ricorrere alla figura dell’abuso del diritto a presidio della correttezza del debitore, declinandone il divieto come clausola generale idonea, nella sua flessibilità, a consentire al giudice di intercettare possibili usi dilatori, opportunistici, ultronei o ingiustamente pregiudizievoli dello strumento concordatario (cfr. Cass. Sez. U., 9935/2015; Cass. 5677/2017, 25210/2018, 30539/2018, 7117/2020).

9.1. Lo stesso legislatore della riforma ha da ultimo esplicitato il riferimento alla figura dell’abuso, proprio a bilanciamento della preminenza accordata dall’ordinamento alle soluzioni concordate della crisi rispetto ai più penalizzanti esiti liquidatori dell’insolvenza (v. della Legge Delega n. 155 del 2017, art. 2, lett. g), attuato con l’art. 7, comma 2, CUI). Ma soprattutto ha dato per la prima volta cittadinanza, collocandolo tra i principi generali del nuovo corpus della materia concorsuale, al dovere - tanto del debitore quanto dei creditori - di comportarsi secondo buona fede e correttezza (art. 4 CCII, intitolato "Doveri delle parti"), che nella sua dettagliata enunciazione, inclusiva degli obblighi di verità, trasparenza, lealtà e financo cura degli interessi altrui, lascia intravedere sottotraccia quel limite ultimo all’esercizio di un proprio diritto in cui si annida, appunto, il divieto di abuso del diritto.

9.2. Analoga sensibilità emerge dalla menzionata Direttiva (UE) 2019/1023, che anzi con maggior coraggio segnala espressamente la necessità di "evitare abusi dei quadri di ristrutturazione" (Cons. 24; cfr. Racc. 2014/135/UE della Commissione Europea del 12 marzo 2014, Cons. 16), accanto all’obbiettivo di "garantire un giusto equilibrio tra i diritti del debitore e quelli dei creditori" (Cons. 35) e assicurare "che i creditori non subiscano inutili pregiudizi" o siano "ingiustamente pregiudicati", dovendo l’autorità giudiziaria verificare "se il debitore agisca in malafede o con l’intento di arrecare pregiudizio o, in generale, se agisca contro le aspettative legittime della massa dei creditori" (Cons. 36, sia pure con specifico riguardo al cd. stay). A ben vedere, tutta la Direttiva è permeata dal riferimento alla necessità di evitare "un ingiusto pregiudizio" nei confronti dei creditori, proprio nella consapevolezza dell’enorme favor messo in campo, anche a livello unionale, per le ristrutturazioni che salvaguardino la continuità aziendale.

9.3. Se così è, la sede naturale di una simile verifica, la cui necessità si è venuta a porre in questa sede, non può che essere quella del giudizio di reclamo avverso il provvedimento di omologazione, L. Fall., ex art. 183, dovendo la Corte d’appello valutare l’esistenza di eventuali profili di abuso dello strumento concordatario da parte del debitore, in relazione al trattamento riservato al promissario acquirente nella complessiva economia del piano di concordato, tenendo conto anche della tempistica della vicenda e delle iniziative giudiziali assunte da entrambe le parti.

9.4. In conclusione, al terzo motivo occorre rispondere, affermando il seguente principio di diritto:

"In tema di concordato preventivo, il giudice, ai fini del giudizio di ammissibilità della domanda di concordato preventivo, è tenuto, in linea con i principi della normativa unionale in tema di ristrutturazione preventiva, a verificare che il debitore, nel formulare un piano che contempli l’autorizzazione allo scioglimento dal contratto pendente, a norma della L. Fall., art. 169-bis, abbia agito conformemente ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, in modo da evitare che ne derivi un ingiusto pregiudizio a carico dell’altro contraente, con conseguente abuso dello strumento concordatario (fattispecie relativa a scioglimento dal contratto preliminare di compravendita in cui, prima del deposito del ricorso L. Fall., ex art. 161, il promissario acquirente aveva già versato l’intero prezzo, era stato immesso nella detenzione dell’immobile e aveva promosso giudizio ex art. 2932 c.c., subendo una quantificazione dell’indennizzo in misura corrispondente alla mera restituzione del prezzo versato, oggetto di falcidia concordataria nella misura dell’85%)".

10. L’accoglimento del terzo motivo comporta la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di L’Aquila per il riesame delle condizioni di ammissibilità del concordato, avuto riguardo, in particolare, ad eventuali profili di abuso e alla fattibilità del piano, ai fini dell’omologa della proposta di concordato.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i primi due motivi di ricorso, in relazione ai quali enuncia i principi di diritto ai sensi dell’art. 363 c.p.c., nei sensi di cui in motivazione; accoglie il terzo e - in relazione a questo - cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio.

Dep. 23 novembre 2020.